lunedì 25 giugno 2012

Su Finestra cosmica di Gladys Basagoitia


Fara Editore, 2012

recensione di Vincenzo D'Alessio

Gladys Basagoitia Dazza, peruviana per nascita, italiana per scelta di vita, rinnova il suo contratto poetico con la nuova raccolta Finestra cosmica. La raccolta è suddivisa in quattro sezioni: la prima “Universo intimo” comprende quarantotto frammenti diaristici in forma di prosa poetica; la seconda “Verso la luce” è composta da trentuno poesie; la terza “La vita degli attimi” comprende ventinove prove di hayku personalizzati e infine la quarta “Poesie del 20 marzo 2012” tre poesie.

La presente raccolta della poeta, come le precedenti, invitano il lettore al dialogo con l’anima, lo spirito della musica, i colori del mondo e l’immensità dell’Universo. Il termine finestra non deve essere letto come cornice definita dello sguardo, bensì come impossibilità della parola a racchiudere le emozioni, i dolori, le gioie che l’esistenza produce: “una forza invisibile / mi aiuta a rialzarmi” (pag. 80).

Il “difficoltoso viaggio” al quale ogni essere vivente è chiamato. La naturalità delle esigenze terrene e l’eterno desiderio della conoscenza: “Chi fertilizza gli uragani? C’è un affanno di riproduzione negli elementi che combattono e rimangono. Infiniti mondi microscopici ti rivelano la sua presenza” (pag. 40).
Gli interrogativi che da secoli l’umanità si pone, scavando nel passato, cercando nella Scienza, rifugiandosi nella religione: dove nasce la vita? dove finisce l’esistenza ? dove abita l’anima dell’universo?

“La tenerezza si concentrò nella bocca contratta a bacio. La dimenticanza prossima, si manifestò in una musica da fondo. Un’allegria estinta socchiudeva i suoi occhi, una cordicella allargò le sue labbra in un sorriso da clown” (pag. 46). Prosa poetica ricca di ossimori e richiami al perturbante della memoria. La ricerca della Serenità, come ricordava Seneca a Sereno: “Dobbiamo educare il nostro spirito a imparare questo: a volere tutto ciò che la realtà esige, e soprattutto a pensare senza tristezza né angoscia alla nostra fine.”

La raccolta di Gladys, che ripete il suo nome nel fiore gladiolo richiamato più volte insieme agli altri fiori e agli infiniti colori nei versi, consegna al lettore questa chiave di lettura, questa bisaccia per il viaggio non facile nel mondo degli uomini. Invita a convivere, in piena coscienza, con la Natura. Convince all’ascolto della musica: rimedio eterno per sconfiggere i fantasmi del passato e le angosce del presente: “nella tua paura un coraggio indistruttibile” (pag. 47); “io non coltivo scorpioni / (…) / coltivo invece fiori di gratitudine e di / perdono amo senza condizioni né timori / sono amante della bellezza silenziosa e muta” (pag. 101). L’enjambement soccorre il verso precedente per incrementarne la forza nel successivo. La ripetizione ossimorica della “bellezza” eterna della parola: “silenziosa e muta”, per rivelarne invece la potenza che essa assume nel vincere il Tempo e rivelarsi nel Cosmo come supremo raggiungimento delle forze migliori che l’uomo utilizza nel suo comporre, nel “fare”. Il durissimo mestiere della fedeltà alle Arti. L’inadeguatezza della parola rispetto all’energia della Verità che sottende a tutta la Creazione che si muove nell’Universo conosciuto, e non conosciuto.

“Quando ti svegli ricordando, in una lingua che non è la tua, il sogno della notte passata e ricordi che hai sognato in un’altra lingua, ti sorprendi, ti impaurisci, orrore: usurpano il luogo delle tue radici, strappate, rotte” (pag. 47); “vorrei un altro idioma un linguaggio universale / che mi permetta di rivelare tutte le creature del silenzio / le creature del sacro cosmo che in me come in te dimora” (pag. 100). La ricerca continua di una lingua pura, per la poeta, nata nell’America del Sud e venuta a venire nel centro della nostra penisola. L’Italia che l’affascina, che le ruba le radici, che le ha fatto conoscere l’amore e il dolore del distacco. Un dualismo sfruttato al meglio per ottenere la potente musicalità del pensiero poetico.

Della terra natale, Gladys, conserva molti doni: musica, magia, colori. Della terra che l’ha accolta parla con tenerezza e dolore, di fronte alla freddezza della gente: “accoltellata dalla crudele indifferenza / come tanti sulla terra nuda / dissanguata e solitaria esposta / come tanti alle intemperie senza / neanche una mano né un sorriso” (pag. 81). Non si stanca di raccontare il suo viaggio, a noi, spesso disattenti. Noi figli di un tempo di consumismo di immagini, affamati di assurdi protagonismi, lontani dai sentimenti più veri: l’accoglienza dei viaggiatori, la difesa dei profughi, la volontà di fare propria la sofferenza degli stranieri.

La poeta Basagoitia Dazza, sveglia in chi legge l’altra metà del Cosmo, quella che si nutre di pensiero benevolo verso tutti ma che statico guarda, immobile, dalla finestra gli avvenimenti strazianti dei propri simili. Noi siamo gli altri! Noi manchiamo di tepore umano verso i nostri simili. La raccolta palpita di una energia cosmica che, pure senza citare Dio, si veste della sua identità più pura e paleocristiana: “(…) spero / vivamente come tanti sulla terra vorrei / come tutti sulla terra anelito / di felicità e d’amore / per ogni essere vivente amore nostro / per il cielo e per la terra” (pag. 81).
Come non avvertire il richiamo alla lauda di Francesco d’Assisi, o ai versi incontaminati del profeta di Dio: “Emigrare al di là del visibile / e raggiungere lo stato di verità / e fare del mistero la tua casa / e sentirti beato / perché finalmente pazzia non ti manca! / E il fango trasfigurare in oro…” (David Maria Turoldo, Emigrare al di là del visibile).

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