martedì 21 giugno 2011

Su A futura memoria di Gianmario Lucini

Edizioni CFR, 2011, pp. 64, € 10,00

nota di lettura di AR

È dotata di una carica (evangelicamente, v. la poeisa di Turoldo in esergo) destabilizzante questa nuova corrusca e a tratti epica raccolta di Gianmario Lucini, già dal titolo una sorta di testamento po-etico e spirituale del Nostro, il quale indaga senza facili condanne (ciascuno di noi ha infatti una quota di responsabilità, “fratelli nel male”) il problema del male, in primis quello delle guerre (più o meno intelligenti). Il sottotitolo ci toglie ogni dubbio sul giudizio espresso in questi versi: “poesie di un decennio disumano”.  Nella Prefazione Marco Ratto scrive: «L'intento di Lucini, infatti, è quello di richiamare il nostro mondo (…) a una maggiore consapevolezza (…), perché le regole morali della nostra società cosiddetta “civile”, proprio quando avrebbero bisogno di vedere un'apertura dell'uno verso l'altro nel nome di una nuova solidarietà, appaiono invece viziate da una indifferenza, da un egoismo e da un'ipocrisia di fondo che sembrano appartenere a noi tutti, civili e soldati compresi.»
Ci sembra, ahinoi, che queste parole siano del tutto sottoscrivibili. La Parte prima della raccolta si intitola “Medioevo (1998/99)” con riferemento alla guerra del Kosovo:
«Bagno di sangue; mi bagno nel sangue / d'un sole radente – vuoto occidente / demente occaso, al diavolo tu / che blateri cultura e non fai niente» (Anamnesi, 14-09-98, p. 10); «Mi rintano nell'angusia del mio niente / che pena / senza più fiato e senza più argomenti, / mentre la rabbia sibila e sfreccia / senza distinguere i vincitori dai  vinti, // fratelli nel male…» (Apnea, p. 14);  «Dove fuggi Caino e quale rabbia / sul tuo cammino deflagra / (…) / Dove romba e urla, in quale orizzonte / vincerà oggi l'orrore? / Che parola dirà lo smarrimento / d'esserti simile, fratello?» (La follia, p. 23); «credono in Dio e non sanno chi sia – Padre / armato e ostile, Figlio macellato, Spirito / irato in vento di fuoco – sono figli / di questo cupo novecento (come noi) –.» (Equivalenze, p. 24). Di questa I parte riportiamo integralmente Quasi uno scrupolo (p. 12) che si apre citando il tremendo versetto finale del Salmo 136: Beatus qui tenebit et allidet / parvulos tuos ad petram):

Si può trovare l'inizio del tempo?
Il punto primo della circonferenza?
Si può marchiare il sentimento più vero,
quando gli occhi si incrociano?


Si può frugare il ventre della storia
e trarne fuori la scintilla dell'origine?
Il primo feto da scagliare contro il muro,
il primo capo da mozzare?


(Potrò star dentro e fuori dal tempo
e, insieme, pote dire «io esisto»?).

Nel mio cuore, stanotte,
gira una giostra, cigolando amaro,
fanno ressa i pensieri.

Quanto intense, qanto esiziali queste domande che Lucini esprime per tutti noi con un ritmo oscillante e sincopato, un lessico sobrio e concreto, un afflato deprecatorio e qoheletiano assieme: versi che sintetizzano in forma di preghiera a un Deus absconditus una umiltà/tragicità dell'esserci che si fa carico della unicità/responsabilità/libertà di ciascuno.

La Parte seconda, dai versi generalmente più lunghi, si intitola “Elegie per Baghad”: «Dio, se eri Dio, quali parole tacesti entro questo tepore? / che cosa faremo, entro la coscienza, nel tempo del verbo banale? / (…) / Che paradosso del tempo ci vuole testimoni del suo nulla, / no ch'eravamo e saremo?» (Dubbio, p. 29); «ci aggiriamo per la notte come lune sconfitte, / descriviamo paraboli impossibili» (Profezia, p. 32); «Chissà quali pensieri hanno i morti, /  (…) / dissolti nell'aria dai missili» (Il sorriso dei morti, p. 34).

La Parte terza è intitolata “Diario al fronte (2007)”: «I bambini hanno occhi profondi / e muoiono senza un lamento» (Annotazione, p. 40). Splendidi nella loro  crudezza “naïf” questi versi di Cronaca dell'ordinario:   «Questa mattina hanno colpito un mio compagno, / (un largo squarcio e cadde sull'asfalto / scivolando dolcemente, come s'affloscia / un meccanismo pneumatico bucato). // Ho raccolti i suoi pensieri, li ho legati in un fascio regolare, / li ho caricati sulla spalla destra;  / oltre questo muro, fra scaffali di libri li posso indovinare / puntati alla mia tempia, al cuore» (p. 45). E ancora: «Frughiamo la notte, cechiamo / il respiro dei compagni / ma il sangue è gelato e l'indice tormenta / il metallo del fucile» (Sortita, p. 46); «A noi, solenne, tramandarono / nei versi, gli antichi, una pietà / che più non sappiamo interrogare» (Épos, p. 50); «il dovere del soldato non contempla il ricordo, / ma d'essere presenza senza volto, / pioniere alieno d'un futuro ipotecato» (Briefing, p. 58).

Una poesia, quella di Lucini, aderente all'ethos, alla pietas a quella umanità che sembra essersi “globalmente” addormentata dai consumi e dalla sete di potere sempre in agguato se non ci rendiamo conto di scivolare nella disumanità che diventa vangelo a sé stessa.

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