Mauro Germani
Non è un paradosso: la parola poetica, negli istanti più decisivi delle sue interrogazioni, deve assumere la forma di un docile fantasma, ricorrendo, se possibile, a una severa asciuttezza, e a una specie di auto-dissolvimento; in molti casi deve, addirittura, sfiorare le regioni dell’indicibilità e dell’azzeramento, perché l’acuta risonanza del vero è soltanto avvertibile nel gorgo del silenzio, e a partire dal silenzio (la verità è istantanea, accecante: e non pretende che il buio). Ce lo dimostra pienamente Mauro Germani con il suo ultimo libro di poesie, Terra estrema, edito da L’arcolaio di Gianfranco Fabbri (testi critici di accompagnamento, assai puntuali, a cura di Marco Ercolani e di Fabio Botto). Germani condensa, stringe e concentra immagini di vertiginosa convulsione, entro le quali si muovono e si accendono, implacabilmente, oscillazioni ed esplosioni, fuochi ed enimmi, spasimi e tremori; e aperture di abissi, folgorazioni, battiti, lacerazioni. Eppure, questa grumosa e incandescente galleria di immagini e di eventi, sospinta da feroci pulsioni e da intense contrazioni, da slanci delicati e da paurose voragini, si mostra e si manifesta per il tramite di una lingua vigile e cauta, anzi secca e determinata, che incamera e proietta la vibrazione di un’alta e oggettiva sentenza, mossa da un’obbligante, superiore e implacabile legge. La poesia è davvero, qui, la riva ultima, la più verticale mèta espressiva che sia concessa all’uomo per significare il fondamento essenziale della realtà, coincidente con l’irreparabilità di un dolore incomunicabile e incomprensibile: i versi lambiscono la terra estrema che finalmente corrisponde a quell’immenso buio, fitto di lame e di domande irresolute, ma si muovono con una nobile circospezione, rinunciando a qualsiasi timbro enfatico o tragico ed esprimendo, invece, l’oscura ineffabilità degli eventi con un dire potentemente scarno e lapidario, e perciò ancora più caustico, più duro, più incisivo. A un certo punto, poi, la poesia avverte la propria insensata impotenza e si trasforma in prosa: parrebbe una sorta di resa di fronte all’incedere del dubbio, del tormento, dell’attesa; ma è solo, diremmo, una provvisoria risoluzione che sembra aver trovato, per un momento, il dono di una finale, bruciante rivelazione, in cui la risposta è, tuttavia, annichilente e amara: ché tutto il mondo esplorato e analizzato appare vano e imponderabile; e poi la stessa gola, dopo tanta fatica, resta povera e disarmata, afona e nuda; e senza alcuna via di uscita.
IV.
Lui era un poeta e le sue parole, le sue domande non uscivano da quella stanza.
A volte la notte gli rispondeva dicendo: «Verrà l’ora onnipotente, verrà come una ladra e sarà una bambina dai capelli bianchi. Ti riconoscerà e ti porterà con sé per sempre. Andrete lontano, andrete dove non c’è ritorno e la vostra solitudine sarà immensa e gloriosa…».
VI.
Tutta la stanza era ferita, una domanda imperfetta che non pretendeva più nulla, una grazia sfiorita negli occhi.
Non poteva esserci salvezza nelle loro parole dilaniate, in quelle promesse informi e capovolte, in quella curva feroce del tempo.
Mauro Germani è nato a Milano nel 1954. Ha fatto parte della redazione di «Schema» e ha fondato, nel 1988, la rivista di scrittura, pensiero e poesia «Margo», che ha diretto fino al 1992. Opere di poesia: L'attesa dell'ombra (1988), L'ultimo sguardo (1995), Luce del volto (2002), Livorno (2008), Terra estrema (2011). Opere di narrativa: Racconti segreti (1985) e Il prescelto (2001). Ha collaborato a varie riviste, tra le quali «Capoverso», «La Mosca di Milano», «La Clessidra», «Poesia». Gestisce il blog letterario “Margo”: www.maurogermani.splinder.com.
4 commenti:
Mario Fresa ha più volte dimostrato, e lo conferma in questo caso, di leggere la poesia a partire dai meccanismi più interni, isolandone me motivazioni spirituali. Sono lieto di dire che la mia conoscenza di Mauro Germani è passata attraverso uno dei suoi illuminanti ritratti, come molte volte è stato per altri poeti da lui trascelti e trattati. Stelvio Di Spigno.
Mario Fresa ha più volte dimostrato, e lo conferma in questo caso, di leggere la poesia a partire dai meccanismi più interni, isolandone me motivazioni spirituali. Sono lieto di dire che la mia conoscenza di Mauro Germani è passata attraverso uno dei suoi illuminanti ritratti, come molte volte è stato per altri poeti da lui trascelti e trattati. Stelvio Di Spigno.
Ringrazio Mario Fresa per questa sua bellissima nota critica, che coglie l'essenza del mio libro.
Mauro Germani
Ringrazio di cuore Mario Fresa per questa sua bellissima nota critica, che coglie l'essenza del mio libro.
Mauro Germani
Posta un commento