di Eros Olivotto
È possibile riferirsi all’idea di una “Poesia Trentina”, individuare cioè delle caratteristiche comuni, tali da giustificare l’ipotesi di una scuola poetica che trovi la sua ragione di essere nell’ambiente culturale proprio della nostra regione? Domanda difficile, crediamo, al punto da non consentire una risposta precisa, né tantomeno definitiva. Nell’attesa dell’approssimarsi di una simile risposta, la materia potrebbe rappresentare l’oggetto di un convegno che indagasse, una volta per tutte, circa la reale possibilità di tale evenienza, quanto rimane è continuare a leggere i testi dei nostri autori e gustare la buona poesia che alcuni di essi sicuramente racchiudono. Come nel caso, per la verità piuttosto sorprendente, di Io sto con Agar (Obliquamente edizioni), una raccolta di Antonella Bragagna, autrice trentina capace di una poesia raffinata, contraddistinta da un linguaggio essenziale e ficcante, teso a scandire da un lato l’universo sentimentale dell’autrice, dall’altro la sua grande capacità di analisi psicologica dei personaggi e, quindi, delle ragioni che li animano. Quanto sorprende, di questo libro, è la varietà dei livelli di scrittura che esso consente: l’empatia profonda che lega la poetessa ad Agar, alla sua vicenda e al suo destino, il rimando sapienziale di molti di questi versi, l’accorato richiamo dell’autrice alla sua condizione di donna, vissuta con orgoglio e gioia, pur se con molta sofferenza, la visione dell’amore, della sua radicalità e della sua assolutezza, come principio e fine di ogni nostra azione. Questo l’ordito di Io sto con Agar, la cifra che ne impreziosisce la poesia e il dettato. “Questa è la casa dell’attesa / questa è la casa della porta che si apre / questa è la casa della raccolta”; testi brevissimi, versi che cadono come sassi in uno stagno, creando una suggestione carica di echi che si disperdono in noi, lontani. “Sono venuta a vedere come sono cambiata”; una sola riga, a volte, un enunciato conciso, definitivo, originato dalla piena fiducia nel potere del linguaggio poetico, della forza che è in grado di trasmettere. “Io che uso esatte le parole” scrive ad un tratto Antonella, quasi a rivendicare la certezza di una raggiunta maturità “non ho detto un maledetto gioco d’amore / ho detto un gioco d’amore maledetto”, riconducendo così il viaggio di Agar e il suo, più intimo e personale, a quello dell’amore, la sola verità in grado di trasformare, di trasformarci. L’amore, avverte l’autrice, che perdendoci ci può salvare, restituendoci in tal modo a noi stessi e quindi agli altri, alla vita, a Dio. È alla luce di questo, crediamo, cioè della straordinaria opportunità che l’amore rappresenta, qualora si decida di accettare il rischio che ne costituisce l’essenza profonda, che Io sto con Agar diviene uno strumento prezioso, capace di trasformare il linguaggio in una misura di verità e di creare dentro di noi quello spazio che ci è indispensabile per vivere più pienamente. Lo stesso rischio la cui accettazione rappresenta l’oggetto della bellissima poesia che abbiamo scelto in chiusura del nostro intervento:
Io non te l’avevo mai sentito dire che mi amavi.
E poi strane pupille nere hai,
a ogiva.
Così m’affaccio.
È possibile riferirsi all’idea di una “Poesia Trentina”, individuare cioè delle caratteristiche comuni, tali da giustificare l’ipotesi di una scuola poetica che trovi la sua ragione di essere nell’ambiente culturale proprio della nostra regione? Domanda difficile, crediamo, al punto da non consentire una risposta precisa, né tantomeno definitiva. Nell’attesa dell’approssimarsi di una simile risposta, la materia potrebbe rappresentare l’oggetto di un convegno che indagasse, una volta per tutte, circa la reale possibilità di tale evenienza, quanto rimane è continuare a leggere i testi dei nostri autori e gustare la buona poesia che alcuni di essi sicuramente racchiudono. Come nel caso, per la verità piuttosto sorprendente, di Io sto con Agar (Obliquamente edizioni), una raccolta di Antonella Bragagna, autrice trentina capace di una poesia raffinata, contraddistinta da un linguaggio essenziale e ficcante, teso a scandire da un lato l’universo sentimentale dell’autrice, dall’altro la sua grande capacità di analisi psicologica dei personaggi e, quindi, delle ragioni che li animano. Quanto sorprende, di questo libro, è la varietà dei livelli di scrittura che esso consente: l’empatia profonda che lega la poetessa ad Agar, alla sua vicenda e al suo destino, il rimando sapienziale di molti di questi versi, l’accorato richiamo dell’autrice alla sua condizione di donna, vissuta con orgoglio e gioia, pur se con molta sofferenza, la visione dell’amore, della sua radicalità e della sua assolutezza, come principio e fine di ogni nostra azione. Questo l’ordito di Io sto con Agar, la cifra che ne impreziosisce la poesia e il dettato. “Questa è la casa dell’attesa / questa è la casa della porta che si apre / questa è la casa della raccolta”; testi brevissimi, versi che cadono come sassi in uno stagno, creando una suggestione carica di echi che si disperdono in noi, lontani. “Sono venuta a vedere come sono cambiata”; una sola riga, a volte, un enunciato conciso, definitivo, originato dalla piena fiducia nel potere del linguaggio poetico, della forza che è in grado di trasmettere. “Io che uso esatte le parole” scrive ad un tratto Antonella, quasi a rivendicare la certezza di una raggiunta maturità “non ho detto un maledetto gioco d’amore / ho detto un gioco d’amore maledetto”, riconducendo così il viaggio di Agar e il suo, più intimo e personale, a quello dell’amore, la sola verità in grado di trasformare, di trasformarci. L’amore, avverte l’autrice, che perdendoci ci può salvare, restituendoci in tal modo a noi stessi e quindi agli altri, alla vita, a Dio. È alla luce di questo, crediamo, cioè della straordinaria opportunità che l’amore rappresenta, qualora si decida di accettare il rischio che ne costituisce l’essenza profonda, che Io sto con Agar diviene uno strumento prezioso, capace di trasformare il linguaggio in una misura di verità e di creare dentro di noi quello spazio che ci è indispensabile per vivere più pienamente. Lo stesso rischio la cui accettazione rappresenta l’oggetto della bellissima poesia che abbiamo scelto in chiusura del nostro intervento:
Io non te l’avevo mai sentito dire che mi amavi.
E poi strane pupille nere hai,
a ogiva.
Così m’affaccio.
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