NOTIZIA: Beno Fignon, "ferito a vita dalla poesia", è morto domenica
È morto domenica sera Beno Fignon. Non era soltanto un caro amico, ma anche un fine poeta. famoso per i suoi “aforismi” che periodicamente inviava, a blocchi di duecento, agli amici, prima ancora di pubblicarli, la sua memoria resta legata a diversi libri di poesia in dialetto friulano e in italiano (dal lontano Isla de Pasqua a Dialet, da Li’ castelanis a Erosmetro, per arrivare alle due raccolte più recenti in cui con maturità e pacatezza ha riversato la sua saggezza e la sua fede di cattolico praticante, Sine glossa (1993) e Il sole insiste (2005). Ha scritto anche prose dedicate alla sua Valcellina (Friuli). Importanti anche i saggi: Mille e un respiro (2003) e Lei domani sciopera? dedicati ai suoi anni di lavoro e in particolate al tempo in cui ha fatto il sindacalista alla Dalmine. Nato a Montereale Valcellina, 1940, è vissuto a Milano dal 1957. Ha fatto il sindacalista fino a quando è andato in pensione. Ma ha sempre percorso i sentieri della cultura. Compresa la musica. Era sempre disponibile con la sua fisarmonica, sia nelle serate serie dedicate alla poesia, sia nelle serate mondane delle feste in trattoria. Quello che lo distingueva in ogni occasione, ed anche in tutto il periodo di malattia, era il sorriso.
Lo scorso anno mi aveva mandato un biglietto: “Ricordando che una volta hai accennato a una tua attenzione per la poesia religiosa, mi fa piacere inviarti i miei due libretti che, diciamo, rientrano in questa categoria”. I libri sono: Sine glossa (Edizioni del leone, 1993) e Il sole insiste (Città Aperta Edizioni, 2005). Queste due raccolte, pubblicate a distanza di 12 anni l’una dall’altra, in effetti riassumono il suo stupore ma anche la sua preoccupazione di credente colto, quindi assillato da dubbi e fermezze. Studioso dei libri sacri, del Vangelo, ha scritto poesie segnate da un soffio religioso, ma percorse anche dalla necessità di entrare dentro le parole sacre. E ha scritto, perciò, una poesia intensa e dolce. La poesia religiosa ha illustri precedenti nel Novecento italiano (per esempio, Clemente Rebora, Davide M. Turoldo, Mario Luzi), ma non è stata comunemente praticata. In Fignon, tale poesia diventa leggera, sobria, paziente, senza eccessi e senza presunzioni.
Dalla prima raccolta propongo ala lettura del seguente testo:
II.8
Jesus Christ superstar
figlio di Teti e di Nettuno
Con la falsa nascita a Betlemme
sarebbe bene che la natura facesse saltus
per non permettere che solo tu assista
senza batter ciglio
i paralitici i paraplegici i parafrasati
ti sei fermato ai deboli agli emboli agli ematomi
(e la Chiesa ci consegna un neonato
negato alla crescita)
tutto hai riscattato?
C’è l’identità della tua vita con la nostra
(recalcitranti)
e il tuo pedagogico rifiuto del calice
Beno Fignon
Da Sine glossa (1993)
Dalla raccolta Il sole insiste (2005), estraggo due testi:
Magnificat (Luca 1, 46-56)
Ante litteram perfetta letizia di Francesco
lode a colui che svuota per abitare
non sono più io che vivo
canta così chi ama ricambiato
garanzia di guadagno è già l’agàpe.
Dimmi ti amo che mi passa il male
o lo dico io che mi passa lo stesso.
Dio ha disperso, rovesciato, rimandato
me, il senza lode, il senza vuoto.
Compito del corpo
danzare nella luce
compito dello spirito
portare il corpo da cui viene portato.
Beno Fignon
Il sole insiste
Una brezza irrimediabile
ci gonfia vicino a Dio.
L’uomo non è piccolo, stenta
con piccoli polmoni nella prateria
e i bisonti da domare
si rifugia nella casa affamato
il sole insiste dalle fessure
c’è
nell’inverno della mente
nell’inverno del cuore acceso in primavera
l’orso al limitare della soglia.
Così la vita degna
è fame dolorosa dell’impossibile necessario
in attesa del carro di fuoco.
Beno Fignon
Beno Fignon è stato ben cosciente dei limiti della poesia e del poeta. Ha scritto: “Eh, la poesia. Nel corpo a corpo con essa, il poeta ne esce ferito a vita. La condizione della poesia è l’esilio. Più essa canta la vita e più fa sgorgare nostalgia per la vita stessa”. E ha aggiunto: “Ogni poesia è un gradino della scala che sembra portare tra le nuvole, in realtà essa affronta anche il cielo e la morte”. La morte. Beno Fignon ha scritto molti pensieri sulla morte. Molto anche tra gli aforismi. Una delle sue conclusioni, che mi piace ricordare, a proposito della morte, è questa: rispetto alla morte, la poesia “è un ghepardo che si raccoglie per lo slancio e la insegue fino a sbranarla”. Per tutta la vita il poeta ha allontanato da sé la morte, "sbranandola" con la poesia. Ma alla fine, in quell’esilio privilegiato e pericoloso in cui la poesia l’ha costretto, con dolori e speranze, il suo ghepardo non ha avuto più lo slancio. E il poeta si è perso, ha ceduto. Ma non si è mai lamentato dei dolori. Perché, ha scritto ancora, il canto poetico è “una parola che intercetta la bellezza e il dolore del mondo per bruciarli e riconvertirli in profumo”. (Le citazioni sono tratte dall’articolo Io è l’altro, che Beno Fignon ha pubblicato su il nuovo giornale, di Piacenza, l’8 febbraio 2008).
La fede è forza. Per quanto possa in qualche momento essere oppressa dal dubbio, poi si ravviva e rincuora. Nel libro Il sole insiste, mentre ripercorre un itinerario dettato dalle parole degli evangelisti Giovanni e Luca, ricreando visioni profetiche, rapportate al nostro inquieto presente, trova consolazione e trasporto. Ma con i piedi per terra e i pensieri rivolti all’ineffabile; l’uomo del nostro quotidiano in rapporto con l’annuncio di una vita felice, superiore. Senza alcuna pretesa di insegnare alcunché. Solo la gioia di amare. Perché l’amore risolve, salva. Dimmi ti amo, oppure lo dico io, e mi passa il male. In questa raccolta, ha scritto: “paradossalmente/ non nella vita abbondante/ ma in quella carente/ la morte sarà ingombrante”. Per lui non può essere stata ingombrante, nonostante tutto, perché la sua vita non era proprio carente, tutt’altro. Ottavio Rossani
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