inEdition editrice, Bologna 2008, pp. 48, € 7
recensione di Sandra Di Vito
In una veste foscolianamente ridotta al minimo numerico di 18 componimenti è uscito Attese, preludio poetico di Francesco Piluso, giovane autore di Cosenza. Opera in limine tra passato, presente e futuro, tra memoria e sogno, lettura e scrittura, tra il buio dell'abisso e le promesse della luce, sembra già preannunciare, quasi un rito iniziatico, la stagione poetica che verrà. In questa esile ouverture traspare la sensibilità poetica e nello stesso tempo critica dell'autore, che pur consapevolmente sedotto dalla divina parola poetica, non cede fino in fondo al suo fascino, frenando l'impulso – che invece ottunde molta poesia contemporanea – all'autocompiacimento gratuito che porta spesso a pubblicare senza rigore e misura fiumi di parole traboccanti dall'anima in piena: «Intanto volutamente cedo/[so che non dovrei]/ al fascino della parola/ – è forse di Satana quella dell'uomo.»
Dovrebbe il poeta sciogliere le ambiguità del logos, ricondurlo al gioco linguistico primitivo «per ascoltare nei silenzi l'anima».
Come un ierofante in cerca del deus absconditus («Cerco Dio/ in una voce che non ha/ parole») il poeta ha raccolto qui i “vocalizzi” che la “mano sinistra” non è riuscita a cancellare.
Scavare abissi, selezionare, «scartare quelle parole che – come scrive Simone Weil – velano il modello», attendere la luce, piuttosto che cercarla narcisisticamente, diventa, quindi, un imperativo etico e poetico ineludibile, le vere armi di chi non la gloria poetica cerca, ma la luce.
La prima sezione del libro intitolata Aprile annuncia, anche foneticamente (con la prevalenza della sibilante), il tema dell'attesa, che dà il titolo al libro: «Cosa ci resta da pensare adesso/ che il sogno si è spento». Gettando un ponte tra scrittura e lettura la scelta del mese di aprile sembra contenere un'allusione al verso di Eliot: april is the cruellest month, l'incipit de La terra desolata; allusione per antitesi, perché qui aprile non è il mese della sepoltura dei morti, ma dell'attesa: «Continua a sperare e presto sarà luce». Nella seconda sezione del libro (intitolata Un titolo, una poesia) la poesia sembra officiata come un vero e proprio rito iniziatico, prima che il celebrante spicchi il volo nell'attesa dell'infinito: «nell'attesa che un colpo d'ali, un/ fremito di vento o un battito del cuore/ m'inizi finalmente al volo». Nella terza sezione Memoria (tre poesie dedicate al nonno), prevale il tema della separazione e dell'addio.
Aspettazione e adempimento si toccano nel sentimento della realtà che trionfa sui colori della scrittura (bianco e nero), sul tempo della memoria (la sera), e sull'attesa del sogno delle precedenti sezioni, nella suite finale del libro Presenza, dedicata a una presenza salvifica, non a caso femminile, principio di realtà per eccellenza: «Osmosi di vitalità,/ ami il giorno per la sua luce/ e la notte per la sua pace».
L'ultima sezione del libro lo suggella in un crescendo di vitalità, parola-chiave che dà il titolo alla prima lirica della sezione, in un'esplosione di colori, nel silenzio dell'anima, quando una parola di lei è una carezza dell'anima e il sorriso salva.
Hai nella gioia e nel colore del mondo
carpito il segreto dei giorni.
da ATTESE di Francesco Piluso
spesso
ne rubo ai libri.
Pensiero in aprile
Cosa ci resta da pensare adesso
che l’ultimo sogno si è spento,
in polveri di libri e frammenti
di stelle ed altro, altro ancora.
Forse – se dubitare è lecito –
sopravvive soltanto un alito
di vento, così leggero da baciare
l’erba, così da accarezzare
la superficie dell’acqua,
mentre un sibilo mette
i brividi ai passi.
Continua a sperare e presto sarà luce.
Senso e misura
Nell’impudenza di Babele,
nell’oltraggio del volo d’Icaro,
nel viaggio senza fine di Odisseo,
nella iniqua discesa di Orfeo,
nel gesto incauto di Eva,
nell’estremo sacrificio di Abele
il senso e la misura dell’uomo.
Attesa
Non ti riconosci
nei miei occhi esitanti
ma cerchi ancora,
lontano dall’arrenderti,
di indugiare
nell’attesa ch’io ti riconosca...
Si é spenta nei tuoi occhi neri
la luce.
Luce
Come uomo incapace
di credere, mi assolvo
− ora che rivedo la luce −
per aver mancato alla promessa...
il voto fatto sull’orlo dell’abisso.
Prismi
Oltre l’orizzonte
dopo un lungo giorno d’estate
gocce di rugiada esplodono
appena oltre la pioggia
e il sole ne illumina ogni singolo prisma
nella tonalità dell’azzurro pastello del cielo.
Cuore
Ad ogni battito
ferma e riprende.
Vita che riluce
e fugge, tempo
che arde di sé
e svanisce.
Se parla Dio
Cerco il linguaggio di Dio
nella purezza di una voce
che non ha parole,
nel candore di un
vagito puerile,
nella disperata umanità
di un urlo livido di dolore,
nel frastuono dei silenzi d’anima.
Intanto volutamente cedo
[so che non dovrei]
al fascino della parola
− è forse di Satana quella dell’uomo −
ambigua e seducente
oscuro potere ed
infinita risorsa,
[so che dovrei]
smembrarla per guarirla,
sedurla affinché più
non seduca, ricondurre
a significante significato,
come i nomoteti dare i nomi
alle cose ed alle cose i nomi.
Cerco Dio
in una voce che non ha
parole.
1,2,3 e poi?
E poi ... seguiterò nel gioco fatuo
di aggiungere ad ogni numero
un numero nuovo, nell’inutile attesa
dell’infinito, o smetterò
di affidarmi alla logica matematica
per ascoltare nei silenzi l’anima,
nell’attesa che un colpo d’ali, un
fremito di vento o un battito del cuore
m’inizi finalmente al volo.
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