Fabio Scotto
"Il denso delle cose, antologia poetica"
Poetessa brasiliana docente all'Università di Lecce e trasferitasi in Italia a Perugia da oltre un ventennio, Vera Lúcia de Oliveira è autrice molto apprezzata sia in patria, dove ha ricevuto nel 2005 il Premio di Poesia dell'Accademia Brasiliana di Lettere, e anche da noi (la sua raccolta Verrà l'anno, 2005, è infatti stata finalista al Premio Pasolini), oltre che traduttrice-curatrice di poeti molto importanti del panorama linguistico lusitano odierno (basti pensare a Nuno Júdice e a Lêdo Ivo). Questo equilibrato e denso volume antologico ora apparso, consente di cogliere la peculiarità dei suo dettato e degli snodi, nel senso della compattezza e dello sviluppo di una poetica il cui tratto dominante pare appunto la densità del breve che mira all'essenziale tramite micro-diegesi per lo piú al passato, quasi a volere sempre situare la materia poetica a distanza per meglio descriverla-viverla-recuperarla. Una poesia, quella di Vera, che scandaglia le zone in ombra del mondo con un nitore e un'efficace economia di mezzi che spogliano la poesia di ogni orpello per farla coincidere con le cose nel loro valore di presenza attraverso il lavoro della memoria e una commossa osservazione del reale. La frammentarietà della misura assunta ben corrisponde al lucido desiderio di dar conto di una condizione di lacerazione che in essa dolorosamente coglie anche il senso della propria infinità: «sono in tanti pezzi / da essere quasi infinita» (Pezzi, p. 17), Pezzi non a caso essendo anche il titolo di un suo libro dei 1992. Vi è poi una scelta tematica che ha un nesso profondo con le istanze fondamentali dell’esistenza, la vita e la morte, il dolore e la perdita, l'attenzione al dettaglio che spesso risulta essenziale e illumina le altre zone d'ombra espandendo il punto di vista. Ne è strumento principe una metaforizzazione a tratti visionaria a rinforzare l'elemento magico di taluni accenti, come in alcuni dei componimenti a nostro avviso più riusciti quali Strada commerciale, L'indicibile, Il figlio, Di casupole, Uccelli convulsi, nei quali il tempo di soffrire, che sceglie la vita come luogo della parola («le parole tutte che dirò / prima di morire», Le parole tutte, p. 45), in un dialogo con Dio, con le opere e le sciagure degli uomini, accompagna i cani lungo le pietre, attraverso «casupole» d'infanzia nel volo di «uccelli convulsi» nel buio, con un'attenzione toccante ai legami parentali profondi (l'esser madre, padre, figlio) e un dialogo con l’arte dove il corpo si scopre il vero tramite tra la realtà e l'esperienza sensibile delle cose che un pensiero lirico meditativo e mai greve avvince con ostinazione alla ricerca del senso: «pensava che le cose dentro i libri / erano più v¬re che fuori / che le cose nei libri e le persone / erano al posto giusto e se stonavano / era solo per poi ritornare al posto / esatto in cui dovevano stare», Le cose, p. 103).
Un interessante saggio di auto-poetica in Appendice dal titolo Fra due gea-grafie fornisce con sincerità e profondità d'analisi preziosi elementi di conoscenza ulteriori, in particolare sul bilinguismo poetico e sull'esperienza dell'auto-traduzione.
(Fabio Scotto, "Il denso delle cose, antologia poetica", Il Segnale, periodico di ricerca letteraria, anno XXVII, N.81, Milano, ottobre 2008, pp. 58-59.)
Mia Lecomte
"Il denso delle cose"
Questa antologia poetica abbraccia vent'anni della produzione bilingue, italiano e portoghese, della poetessa brasiliana Vera Lúcia de Oliveira, che da tempo vive e lavora in Italia. Scriveva la studiosa lusofona Luciana Stegagno Picchio nella prefazione al primo libro pubblicato nel nostro paese da de Oliveira, Geografie d'ombra, che «il bilingue ha due cuori». Nel senso che il bilinguismo da un lato complica certamente il dialogo interiore, ma allo stesso tempo amplifica la capacità espressiva. Il poeta bilingue è infatti qualcuno che ha la possibilità di rivivere, con la seconda lingua, la partecipazione sensoriale della prima nominazione del mondo. E per questo gode e soffre del privilegio di riscoprire e ritrovare, rinnovandoli, tutti i propri suoni esistenziali, di risaggiare la consistenza fisica e musicale delle cose come parole. Di penetrare, prima e poi di nuovo, tutto «il denso delle cose»: «io sto sempre danzando nella mia carne/ sto sempre sentendo una musica che la mia anima/ sa che esiste malgrado la dissonanza/ della mia vita». A chiusura della carrellata di testi poetici, tutti nitidi, contraddistinti, sia in italiano che in portoghese, da una struttura armonica perfetta, completa il bel libro di de Oliveira un suo saggio dal titolo «Fra due geo-grafie», una sorta di autoanalisi poetica che affronta con competenza e chiarezza tutte le questioni inerenti il cammino letterario translingue.
(Mia Lecomte, "Il denso delle cose", Le Monde Diplomatique, n.12, anno XV, dicembre 2008, supplemento mensile a Il manifesto, p. 22)
mercoledì 7 gennaio 2009
Due recensioni a Vera Lucia De Oliveira
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