foto copertina concessa dall'editore
LA PRIMA PAROLA, RITA PACILIO, DI FELICE EDIZIONI,
2025
Dove la luce diventa voce...
La prima parola di Rita
Pacilio è un poemetto che sorprende per la sua capacità di restituire al
linguaggio la dignità di un’origine. In queste pagine, ogni verso sembra
nascere da un ascolto paziente, come se la poetessa si ponesse davanti al mondo
con l’atteggiamento di chi attende una rivelazione. La parola non è qui
semplice strumento espressivo, ma gesto inaugurale, quasi sacramentale: un seme
che custodisce l’intera storia dell’uomo. Il libro procede con un passo
meditativo, attraversando memoria familiare, natura, dolore e resurrezione
interiore. Le figure della madre, del padre, della nonna, così come gli alberi,
il vento e la luce, diventano segni attraverso cui filtrano interrogativi
antichi: che cosa significa nascere? Che cosa rimane quando il tempo si incrina?
E soprattutto: dove si nasconde Dio nelle fratture del quotidiano? Pacilio
affronta queste domande senza retorica, con un linguaggio che alterna umiltà e
ardore, concretezza e simbolo. Alcune immagini - le ginocchia della nonna, le
foglie che resistono nella tempesta, la voce che ritorna come eco -hanno la
limpidezza delle parabole evangeliche. È come se la poetessa cercasse, dietro
la fragilità del vivere, la più semplice delle beatitudini: la possibilità di
restare umani nella prova. Non c’è moralismo né sentimentalismo; c’è piuttosto
una fede implicita, che avanza come una corrente sotterranea. La croce, le
campane, la domenica, la benedizione: tutti elementi che non interrompono il
flusso poetico, ma lo illuminano dall’interno. La poesia diventa così un luogo
di riconciliazione, un modo di «abitare l’albero» - per usare un’immagine del
testo - e di vedere il mondo dall’alto, con occhi trasparenti.
La prima parola è un libro che
chiede lentezza. È una lunga invocazione che restituisce al lettore il senso della
gratitudine e della presenza. Nel suo gesto finale - quasi un ritorno al
silenzio - Pacilio sembra suggerire che la vera origine del linguaggio sia la
preghiera: non quella proclamata, ma quella che sorge quando l’anima, ferita e
salvata, riesce finalmente a dire: «sono viva».

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