lunedì 4 luglio 2022

“qualcosa di buono è rimasto”

Giuseppe Carlo Airaghi, La somma imperfetta delle parti, Ladolfi 2021, Prefazione di Giuliano Ladolfi

recensione di AR

Come abbastanza spesso amo fare, inizio il mio viaggio in queste pagine di poesia, a ritroso: “… Ho il fondato sospetto / che al ragazzo che sono stato / non sarebbe piaciuto l’adulto che sono” (p. 122). Così si chiude questo intenso inventario di incontri, eventi, sensazioni, riflessioni. A p. 111 troviamo questa dichiarazione: “Lasciare passare tutto sottotraccia / evitare attriti che inneschino incendi / nella consueta meditazione irrisolta / tra le verità che sono in grado di recitare / e quelle che non posso pronunciare”. Qualche pagina prima (alla 106) troviamo questi versi dai rimandi paolini: “Se non confidassimo cocciuti / in ciò che ci ostiniamo a definire amore / saremmo campane senza suono”. Come anche questi tratti da Quinto frammento (p. 91): “… finché perdurerà il rimorso / ci tormenterà il peccato”. Mentre un esplicito riferimento al testo sacro lo troviamo ne La notte di San Lorenzo (p. 83): “È inutile che precipitino stelle, / nessuno davvero crede / alla realizzazione dei desideri. // La notte è spietata e ottusa / come certi passi della bibbia, / imbarazzanti persino per i preti”. Ed evidenti echi del Qohèlet li abbiamo ne Le nuvole (p. 81): “Le nuvole non sono meno vane / di noi che le guardiamo disfarsi. / Solo più veloci e discrete come / l’odore di questi fiori sfiniti / recisi nei vasi.”

Il canzoniere è scandito da struggenti immagini sapienziali: “Lo sgombro piazzale ha il respiro / delle notte spalancate sul cielo / e i lampioni si mangiano le stelle” (Insonnia, p. 76); “Certo non sarà semplice nominare / (…) / tutto lo sforzo profuso per approdare / a questo bordo precario del tempo” (La persecuzione della memoria, p. 65); “I ragazzi confidano nell’assoluto / senza la coscienza di una fede, / abiurano il futuro e passato, / credono eterno il presente” (I ragazzi, p. 60); “Smussare il filo tagliente dell’arma, / rendere opaca la superficie, / gli avvenimenti indefiniti, / i personaggi interscambiabili / con la solita scusa dell’universalità” (Promemoria #2, p. 59); “La somma imperfetta delle parti / porta a un totale che non basta” (dalla poesia eponima, p. 54); “A noi incapaci di eroismi / non rimane che scavare nei torti dei morti / per dissotterrare le parole spolpate, definitive” (25 Aprile, p. 49); “Persuaso che omettere e tacere / siano lo stesso accidente o destino / visto venire di fronte / o allontanarsi di spalle” (Precauzioni ed avvertenze, p. 43); “L’ultimo scompartimento del treno / è luogo riservato agli ultimi, / (…) / in bilico tra la sopravvivenza, la rivolta / e la normalità anormale / di uomini dal destino segnato / e uomini senza neppure un destino / a cui affidare il peso del corpo nel viaggio” (L’ultimo scompartimento, p. 22).

C’è un‘acuta capacità in Giuseppe Carlo di calarsi nel dettaglio, nell’anima delle cose (come ricorda Ladolfi nella sua empatica prefazione citando Simone Weil). Eccone qualche esempio: “I marciapiedi di viale Rembrandt / non conoscono la sotterranea pazienza del seme, / il suo desiderio di acque, / l‘ostinata ambizione di fronde e di frutti” (Viale Rembrandt, pp. 17-18); “Colpisce le viscere, / prima ancora che la ragione, / lo strillo animale dell‘ambulanza” (Lo strillo dell’ambulanza, p. 19). Così come c’è una carica spirituale, ovvero un rapporto con la realtà in cui ci troviamo sempre in cerca, desiderosi di risposte che sappiamo che sappiamo non potranno mai essere esaustive, perché noi stessi siamo domande in cammino (“Il poema del cammino” è la sezione conclusiva del libro di Airaghi), e dal cammino otteniamo risposte in fieri, passo dopo passo. E questo alimenta la nostra curiosità, è lo spazio della libertà che ci consente di “errare” ma, se siamo consapevoli de labirinto in cui gli eventi e le scelte ci hanno immerso, se  riusciamo a godere degli squarci di bellezza  che illuminano anche i percorsi più bui, accidentati e faticosi, se riconosciamo la nostra preziosa piccolezza… saremo allora in grado di apprezzare anche l’unicità degli altri, di percepire un mistero che avvolge gli incontri, un aura che profuma di gratuità i nostri gesti di attenzione ed empatia e alimenta quel trasporto disinteressato e decentrato che può essere un altro nome dell’amore (cfr. Il nido delle rondini, p. 21: “Il nido delle rondini stava / sotto il colmo del tetto, dirimpetto / alla mia finestra di ragazzo. / (…) / ‘I vicini hanno ucciso la primavera’ / scrissi sopra un quaderno a righe. // (…) / non ho mai perdonato / fino ad oggi, che ho veduto / giovani rondini costruire un nuovo nido / (…) / Ora che ricordato / posso finalmente perdonare.”

PS Il titolo di questa recensione è tratto da Le canzoni stonate, p. 63.

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