venerdì 2 dicembre 2011

Su Dentro il diulvio di Narda Fattori

puntoacapo Editrice, 2001



recensione di Marcello Tosi

Dentro il diluvio, ovvero il diario di una ricercata via poetica via alla sopravvivenza, oltre i relitti di una sensibilità franta e disseccata (“Non si può mappare il disagio / fonte inaridata o inquinata che sia / non ci sono coordinate certe / mancano punti fermi troppo interrogativi”).
Sono nuove Cronache disadorne che trovano la propria appartata guida (“Io so solo scrivere versi e starmene da parte”) in autori di riferimento, quelli che cita in apertura, che vanno da Eschilo e Aristotele, agli Essays di Francis Bacon, al Curato di Bernanos.
La raffinata sensibilità della poetessa di Gatteo, continua a muovere, dagli esordi di Se amor parla (1995), nel solco di un paradigma espressivo essenzialmente lirico, di un’armonia cercata tra la dimensione intima del guardare nella memoria e nel ricordo (“Ci resta una stanchezza di parole / aride nel solco che più non si concimò”), e la necessità di ampliare lo sguardo attorno a sé (“Sono andata a cercarmi col rovello / su molte rive e col fardello / dei libri tornavo al focolare / di scarsa brace e di cenere scura”).
Una sensibilità liricamente raffinata, sempre volta, oltre l’amata dimensione intima (“Un altro giorno ancora stemperato / nella pazienza di brezze attese”), alla necessità di ampliare lo sguardo al moto drammatico dei nostri tempi in cui “I padri si scavano rughe fonde per i figli / e i figli si fanno d’I-Pod e messaggini”.
“Dentro il grande enigma vibra il precipizio / e tremo e mi confondo con la pellegrina / nuvola chiara lassù in alto(…). “A tutti sia dato proteggere un frutto / un futuro”.
“Credo – dice – che la parola stessa poesia chiami ad un impegno personale di ricerca della propria storia chiusa nelle pieghe delle proprie esperienze e del proprio dna. Chi tradisce questo primo impegno è muto a sé stesso e agli altri; chiuso in un guscio di pensieri elabora concrezioni, magari belline, e penso a stalattiti e stalagmiti, e forse anche quella è verità, una verità sotterranea che elude la relazione e si riversa tutta nella visione.”
“Ci manca un canto comune un coro / un Ade dove rimanere ad ascoltare / il flautato canto di Orfeo / che tuttavia fece pietra di Euridice”.
“Ma è una visione – aggiunge – senza profezia, immota, di cose senza voce, di lune trascoloranti. La poesia si costruisce sempre attorno ad una relazione, io e io, io e noi, io e voi, io e il mondo, e la bellezza, l’amore, il dolore.”
“Se sapessi qualcosa della bellezza / impasterei questa mia carne come creta (…) Non so seminare i fiori / ma coltivo sinfonie (…)”, la chiusa ideale di questo mondo poetico.

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