domenica 4 gennaio 2009

Su Il cancellatore e altre poesie casuali

Edizioni La Fenice, 2008

nota di lettura di AR

Con questa raccolta Gabriele Quartero ha vinto il Premio Senigallia di Poesia Spiaggia di Velluto 2008 e in effetti si tratta di un’opera che rivela un poeta dallo stile già tornito ed efficace. I versi si muovono nel fluido di questi nostri giorni gravidi di domande che invocano implicite risposte, e così la voce di Quartero sa che rischia sempre di non poter emerger da quel silenzio rumoroso che ci ottunde (magma artificioso di relazioni labili, media omologanti e tecnologia potenzialmente alienante sul quale il Nostro getta uno sguardo fra lo scettico e l’autoironico): «Da notare come certi vocaboli / finiscano puntualmente / a capo. // Rasentano magari il non detto, / per puro sadismo in insinuazione. // (…) viviamo in stanze silenziose / strappati al terreno di parole.» (cf. Poesia del nulla di fatto, p. 14); «di noi non possiamo sapere / neppure quello che si veder / e a volte il silenzio è più / cognizione che mistero.» (cf. Dell’oscurità di certi passaggi, p. 19); «premendo i tasti del cellulare / ho formato uno scheletro di melodia. / Mi fa ricordare di essere nato / in un mondo pieno di cultura.» (cf. p. 35); «Le parole precise hanno già stampato / un senso tanto preciso che ormai / è cosa loro. Le si usa? Niente affatto: / compaiono per gentile concessione.» (cf. p. 46); «… Dove / ogni nome va a finire? Lo si riesce // una volta per tutte a separare, a raggiungere / di là dal suo contorno? No, direi. Non so.» (cf. Chiamarsi, pp. 50-51); «della storia, noi siamo / quello che non riusciamo a dire.» (cf. Note per un romanzo incompiuto, pp. 69-70); «Certe parole potrebbero / essere anche meglio di così / ma in genere non si va / per il sottile: le sappiamo / vuote, così scorticate, // già pronte alla bugia, al presagio.» (cf. Certe parole, p. 74).
Nella Prefazione Giancarlo Sissa scrive: “La perizia tecnica considerevole di Quartero, il suo verso nitido, preciso, acuto appunto, e spesso raggelato sono lo strumento ideale – e raffinato – per mettere in scena sulla pagina rappresentazioni minime e minimali di un approccio al reale caratterizzato da un totale e fermissimo disincanto. (…) Eppure, l’evidente sensibilità – e quasi ossessiva – per categorie eminentemente autobiografiche (e morali) quali la verità, la menzogna (…) non possono non indicare un certo potere residuale – sia pur negativo – attribuibile all’uso del linguaggio (…) (pp. 7 e 9).
Sottoscriviamo e raccomandiamo la lettura di questo libro che provoca il lettore a un “ascolto” partecipativo e sa attirare anche quello “casuale”.


Poesia del nulla di fatto

Da notare come certi vocaboli
finiscano puntualmente
a capo.

Rasentano magari il non detto,
puro sadismo dell’insinuazione.

Non è chiaro a questo punto
chi rivesta il ruolo di carnefice
e chi di vittima. In un silenzio

mai così greve, mai così minaccioso…

Insomma nessuna differenza
tra vittima e carnefice, tutto è il doppio
di tutto, del resto noi ormai

viviamo in stanze silenziose
strappati al terreno di parole.


Dell’oscurità di certi passaggi

Riferendosi anche a luoghi malsani
sopiti ma non rimossi,
la trasparenza della carta fa leggere
di là da essa ciò che seguirà:
di noi non possiamo sapere
neppure quello che si vede
e a volte il silenzio è più
cognizione che mistero.

Le labbra si asciugano
nel tentativo di tornare sopra
alla realtà delle righe,
scoppiettando,

a volte un vento di fricative,
– minime detonazioni –
teatro stilizzato
di quel che sta di là dalla finestra.



Chiamarsi

A giorni l’urgenza è così scoperta
in ogni nome vivo, il suo sangue

denso ci risale in una variante
meno comune dell’invecchiare

come in genere lo si intende:
ticchettio d’orologio, seduzione

di poca sostanza, una miseria.

Si passa allentati, e il fondo
di ogni convinzione ci colma

non si riesce a fare silenzio intorno:

non riesco a giorni a lasciare fuori
a chiamarmi per tramite di nomi

presenti, inseparabili dall’apparenza. Dove
ogni nome va a finire? Lo si riesce

una volta per tutte a separare, a raggiungere
di là dal suo contorno? No, direi. Non so.

È tutto così scontato, basta un niente
per andare oltre, a essere abbastanza ostinati.

Nulla rimane, una volta indietro.



***


Forse non desidero nulla –
la chiave nella serratura
in uno scatto
distante, fuori piove.

La polvere non è mai
una motivazione, non vi sono
ragioni nello stillicidio;
corpi soltanto.

Intanto
premendo i tasti del cellulare
ho formato uno scheletro di melodia.
Mi fa ricordare di essere nato
in un mondo pieno di cultura.

Oh, la purezza delle forme che
nei nostri appartamenti
misteriosamente introduciamo!
Essa vi ha già vissuto.

Due volte è il peso di tutto,
ho solo creduto di essere vivo.


***


Ora si ha bisogno
di espressioni più che banali
per non gettare tutto il peso
su definizioni di vocabolario.

Le parole precise hanno già stampato
un senso tanto preciso che ormai
è cosa loro. Le si usa? Niente affatto:
compaiono per gentile concessione.

Basterebbero indicazioni, pochi segnali
per far capire
la direzione.
Meglio non dire più.



Note per un romanzo incompiuto

Un titolo programmatico
spesso nasconde l’incertezza
dell’autore, il suo sottrarsi
all’orrore che ogni incognita
con sé reca:

ecco allora s’aggirano
per stanze disabitate
figure di second’ordine:
cosa vogliono non si sa,
rimuovono particolari
essenziali, ogni cosa
dopo è fuori posto:

dire con sicurezza,
essere certi di –
ma ogni giorno di più
il risultato si nega, l’autore
dovrebbe (forse) ribellarsi
una volta prossimo al finale;

ma ormai sappiamo l’esigenza
della storia, noi siamo
quello che non riusciamo a dire.


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