venerdì 12 ottobre 2007

Gli uragani di cui si compone il cervello (Gianmaria Giannetti)


Fra i poeti presenti in questo blog, credo che quello più avvicinabile, per visionarietà e un certo sperimentalismo (soprattutto nella scelta di una versificazione molto libera e nell'implicita ironia sullo stesso farsi della poesia, e sull'uso convenzionale delle metafore e di altre figure retoriche), il poeta, si diceva, che mi pare più in sintonia con lo stile di Gianamaria Giannetti (la cui foto riprodotta a lato si trova nel sito blanc de ta nuque) sia Valerio Grutt (cosa mi dicono gli interessati?).
Il timbro di Giannetti ha risvolti ombrosi e dolorosi eppure appare anche disposto a una giocosità performativa, teatrale, benché di fondo malinconica come (per me) sono sempre state le esibizioni dei clown e dei mimi: “Ho una testa vuota dove metto / i pensieri cattivi.”; “Io sono il ponte tra me e me. Ho cento / gambe, trecento cervelli, un solo chiodo / che non arrugginisce mai, invisibile e pesante.”



Non entro.
Lascio entrare gli spiriti immortali.
Alle porte ci sono due cavalli e un punto equidistante
fra il cavallo bianco e il cavallo bianco come tra me e
me stesso.

***

Io sono un Re triste, vedo passare il tempo
senza smettere di essere un Re triste.
Io sono un Re triste, riempio il tempo
di bianco, tanto bianco, riempio il dove
di rosa, tanto rosa, riempio il da dove vengo
di giallo, tanto giallo.

***

Non entro. Non entro, lascio entrare
cento occhi, cento occhi rossi. Sto fuori e disegno
un quadrato bianco, non entro io sto per scomparire.

***

Ho una testa reale.
Ho una testa irreale.
Ho duecento teste.
Ho una testa vuota dove metto
i pensieri cattivi.
La testa è immobile su un comodino
di cemento.

***

Io sono il ponte tra me e me. Ho cento
gambe, trecento cervelli, un solo chiodo
che non arrugginisce mai, invisibile e pesante.

***

Fare delle piccole cose, spostare il baule,
tagliare la cipolla, accendere il gas,
guardare dalla finestra.
Fare delle piccole cose, aspettare che il soldato
rientri dalla guerra, contare le domande
a cui non si può rispondere.

***

Io conto solo le linee di sangue che colano
dai miei occhi ciechi. Io sono un cieco
che apre le finestre sull’altro mondo e vede
le cose a scatti, in frantumi, in fantasmi
e si chiede cos’è la visione, perché ci sono le
domande.

***

Non sono una farfalla.
Ho una scatola cranica, un cranio.
Ho occhi rossi pesanti.
Mangio il pane, il pane.
Nella stanza della mia mente ho cibo colorato.
Non sono il destino.
Il destino non si trova in una scatola.
Ho una casa.
Dormo in una scatola, con i bambini buoni
e i bambini cattivi.

***

Trovo alberi sottoterra ed elefanti.
Io vorrei essere un elefante con un solo pensiero
vivere in un punto luminoso, tra una stella bianca
e una stella nera.

***

Non mi seguire.
Non ci sono più, io no (chiudo gli occhi)
mosca laggiù, strega bianca, non mi
dire nulla, non voglio sapere nulla, in pace
voglio morire.



Gianmaria Giannetti è nato a Milano nel 1974. Ivi ha studiato filosofia estetica. Il suo metodo ricerca l’ignoto, l’errrore e la contemporaneità. Usa deliberatamente sia la pittura che la poesia, la fotografia o l’istallazione. Ha curato con Nicola Monti, in collaborazione con la Galleria Pio Monti di Roma (Flash Art Fair di Milano) serate di poesia sperimentale. Ha pubblicato tre raccolte di poesie, Escatologia di (una piuma) (Edizioni il Filo, Roma), La storia di Vera Blu (primi appunti) (Fara Editore, Rimini), Appunti di un terrestre (Giulio Perrone Editore, Roma). Vive e lavoro tra Bari e Finale Ligure.

1 commento:

Anonimo ha detto...

posso dire di aver visualizzato direttamente con l'inconscio le immagini opposte di questi versi.

una riflessione: forse a far sì che "ci siano le domande" è la nostra innata tensione a cercare un equilibrio, un "punto luminoso" e dialettico...

Marco