venerdì 20 aprile 2007

Il palazzo vuoto e Interrail


Freschi di stampa due volumi diversamente impegnati:

La acuta e propositiva analisi di Alberto Rossini ci indica, ne Il Palazzo vuoto, una strada possibile per dare un senso al fare politica oggi, al nostro ruolo di cittadini, alle istituzioni nazionali e sovranazionali in un punto della storia umana in cui la transizione verso nuove forme di regolazione del potere è quanto mai incerta e suscettibile di pericolose (antidemocratiche ed economicistiche) derive. La situazione viene analizzata con occhio acuto e chirurgico, ma lasciando spazio ad un sano ottimismo che sa valorizzare la persona e prospetta una prassi delle relazioni (non solo fra individui, ma anche fra questi e le organizzazioni che ne regolano di fatto la vita) che sia rispettosa e solidaristica: «… bisogna partire dai punti qualificanti della nostra vita, dalle esperienze concrete, indispensabili per poter individuare le azioni da intraprendere formulando proposte effettivamente praticabili volte a modificare uno stato di cose che non ci piace e non ci rende felici.»

Alberto Rossini è nato a Roma nel ’58. È sposato e padre di due figli. Si è laureato in filosofia a Bologna (ha curato per Fara, Dio. Prima parte dell'Etica). Ha lavorato nella formazione professionale come responsabile di corsi ed attività di ricerca. È stato segretario sindacale e poi direttore della Confcommercio di Rimini; vicepresidente di Itinera (centro internazionale di studi turistici) e componente della Camera di Commercio di Rimini. Attualmente è Assessore nella Giunta della Provincia di Rimini. Ha pubblicato vari saggi sul turismo e il commercio, tra cui Rimini ed il Turismo, edito da Franco Angeli nel 2003 e La metamorfosi di Rimini pubblicato da Guaraldi nel 2006.



Interrail, la silloge opera prima di Stefano Sanchini, come dice Davide Nota, profana: «… il tempio delle banalità di massa con lo scandalo della poesia. […] Si inizia con il tema del viaggio, dai tunnel dell’oblio alla luce della realtà. Stefano Sanchini, con la sensibilità e l’innocenza di un novello poeta popolare, attraversa e scava le città della nuova Europa, tra i detriti di un’umanità ridotta a cumulo di merci e i bollettini di guerra dal fronte orientale. A interrompere l’inferno cieco della storia contemporanea è il riemergere del paesaggio naturale, tanto caro al poeta, tra paesini disabitati, cani randagi e l’antica vegetazione del mondo. Qui, nella visione epifanica del passato sopravvissuto, il presente storico è sconfitto, inglobato in quell’eterno ritorno di saggezza popolare e di gioia di essere al mondo. Perché “l’infinito è il tempo di chi viaggia”. E perché “il mondo nel suo vagare ritorna”.»



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