Padre Emanuele Rimoli menzionato quale giurato del concorso Rapida.mente nel n. 33 (ottobre 2015) della prestigiosa newsletter San Bonaventura,
grazie a Elisabetta Lo Iacono
lunedì 30 novembre 2015
Lettera di Maria Liana Celli su Muove il dove di Caterina Camporesi
Soffermandoci sulla tua poesia più recente dalla quale hai ricavato un delizioso volumetto giusto anche nella forma nella quale si presenta, Muove il dove, e regalandole doverosa attenzione che attiene a una sua collocazione endemica più che ad un’analisi che ne chiarisca il suo scaturire, ho raggrumato alcune considerazioni intorno alla sua tematica mai disgiunta, dall’aspetto formale.
Al processo di rarefazione della parola – come da più parti si è convenuto – trovo corrisponda una selezione dei contenuti stessi, volta a restituire i pilastri emozionali e dunque comunicativi del vivere, nella loro più concentrata essenza: amore, vita, morte.Bando alle accezioni intermedie che tornirebbero e/o sfumerebbero ma anche sottrarrebbero potenza espressiva a questa urgenza comunicativa basica, senza orpelli, prioritaria e sovrana.
Dunque: alla rarefazione delle parole, spesso alternata ad un silenzio altrettanto espressivo e comunicativo, si accompagna la distillazione dei contenuti, “versati” goccia a goccia nella loro essenza di pregiata sedimentazione. La sottrazione per arrivare all’anima senza scorciatoie, rivendica un tributo da pagare: l’approccio frontale, mai di lato, spesso sanguinoso, sempre sofferto.
E tu, Caterina, che hai coraggio e sai come affrontare la vita di petto, hai voluto, consapevolmente, pagare questo tributo.
Poi, alleggerita degli intenti che ti avevano animata, ti sei concessa momenti di temporanea pacificazione (sbaglio?). E nel prefiggerti nuovi traguardi e nell’assecondare quell’istinto primordiale che ruggisce dentro di te e che va soddisfatto, ti prefiguri nuovi orizzonti, stabilisci altre mete, vivi nuove vite.
Dissento, se pur non da esperta, sull’inaridimento della vena poetica quando la materia sia stata trattata a lungo ed esaurientemente e quindi sfibrata nelle sue peculiarità espressive.
Credo che la fonte poetica sia inesauribile per chi sappia cogliere gli inesauribili moti dell’anima e dell’esistenza: e se i nostri assunti fondamentali siano stati già ampiamente manifestati, altri se ne riproporranno, indefinitamente.
Per questo il poeta non muore mai e continua, in una sorta di eterna giovinezza, ad innalzarsi a nuovi propositi e ad irradiare nuove poetiche.
“La meta? Il proprio andare”.
A te, Caterina.
domenica 29 novembre 2015
Due inediti di Roberto Borghesi per “Il verso della trama”
letti da Roberto Borghesi durante la presentazione
de I poeti e la crisi
Il verso della trama
De de decidere
Non balbettare più.
Non tenere più
la testa fra le mani
e aspettare il treno
che ti porti
alla giusta stazione.
Usare la ragione
per sgomitolare
le trame che le mille esplosioni
tessono di spine il cuore.
Le mani dei poeti sono in crisi
coperte dal sangue dell’orrore.
Meglio tacere,
gettare la penna?
Ma il poeta è un testimone
e non può temere il buio
Il verso della trama
De de decidere
Non balbettare più.
Non tenere più
la testa fra le mani
e aspettare il treno
che ti porti
alla giusta stazione.
Usare la ragione
per sgomitolare
le trame che le mille esplosioni
tessono di spine il cuore.
Le mani dei poeti sono in crisi
coperte dal sangue dell’orrore.
Meglio tacere,
gettare la penna?
Ma il poeta è un testimone
e non può temere il buio
è suo dovere anche
parlare di una rosa
in questo mondo di sangue e di terrore.
La crisi
Ti guardo negli occhi
hai deciso di chiuderli
ma non è ora per sempre.
È necessario cercare nel buio
parole decise
per ritrovarci
parole sofferte
per rinnovarci.
Ti guardo negli occhi
si specchiano nelle pupille
dentro alle lacrime
che questo mondo fa esplodere.
Decido e chiudo gli occhi
per ritrovarti in un nuovo silenzio
dopo le bombe e le sirene
per abbracciare il tuo passo che viene
incontro oltre la paura.
Apriamo gli occhi e li splanchiamo
come bambini decisi a non mollare
il filo dell’arcobaleno che sorvola
i fili spinati un giorno abbandonati.
parlare di una rosa
in questo mondo di sangue e di terrore.
La crisi
Ti guardo negli occhi
hai deciso di chiuderli
ma non è ora per sempre.
È necessario cercare nel buio
parole decise
per ritrovarci
parole sofferte
per rinnovarci.
Ti guardo negli occhi
si specchiano nelle pupille
dentro alle lacrime
che questo mondo fa esplodere.
Decido e chiudo gli occhi
per ritrovarti in un nuovo silenzio
dopo le bombe e le sirene
per abbracciare il tuo passo che viene
incontro oltre la paura.
Apriamo gli occhi e li splanchiamo
come bambini decisi a non mollare
il filo dell’arcobaleno che sorvola
i fili spinati un giorno abbandonati.
Intralci ed intervalli all'Università Federico II di Napoli 4 dic con Elena Varriale
venerdì 27 novembre 2015
“In Poche Parole”: la raccolta Il mio Delta di Colomba Di Pasquale III classificata!
La giuria (composta da Davide Nota, Daniele De Angelis, Alessio Alessandrini, Ivana Palma e Amalia Maria Bruni) decreta i finalisti del Premio di Poesia In Poche Parole dedicato in questa edizione al poeta Checco Bonelli.
I vincitori assoluti delle sezioni sono stati decretati durante la cerimonia di premiazione di sabato 28 novembre 2015 alle ore 21 al Centro Polifunzionale di Roccafluvione. Colomba Di Pasquale si è classificata III nella sezione Poesia Edita:
da sinistra il sindaco di Roccafluvione, il prof. D'Isidoro,
il sindaco di Venarotta e Colomba Di Pasquale
|
Sezione Poesia Edita: Finalisti
- Il bianco delle vele di Franco Casadei
- Il mio delta e dintorni di Colomba Di Pasquale
- Riflessioni minime di Giovanni Bottaro
- Amor che d'amor si nutre di Fulvia Marconi
- Il mio delta e dintorni di Colomba Di Pasquale
- Riflessioni minime di Giovanni Bottaro
- Amor che d'amor si nutre di Fulvia Marconi
Poesia Inedita: Finalisti
- Confronto Privato di Mauro Barbetti
- Donna del solco di Fulvia Marconi
- Vento d'inverno di Anonimo
- Ritagli di Paolo Borsoni
- Quante volte di Patrizia Oddi
- Il rumore delle nuvole di Nunzio Buono
- Le mie radici di Franco Fiorini
Poeta dialettale Piceno: Finalisti
- La festa de lu paese di Emidio Ferretti
- Lu cillittu di Francesco Servili
- La festa de lu paese di Emidio Ferretti
- Lu cillittu di Francesco Servili
La giuria assegnerà anche il Premio speciale "Parole di Marche" in cui verrà premiato un poeta residente nella Regione Marche che abbia ottenuto particolari apprezzamenti dalla giuria e dagli enti organizzatori.
L'organizzazione:
Comune di Venarotta
Comune di Roccafluvione
Acli Arte e Spettacolo
Comune di Venarotta
Comune di Roccafluvione
Acli Arte e Spettacolo
mercoledì 25 novembre 2015
La via dell'arcobaleno all'Università per Stranieri, Perugia 3 dicembre 2015
Gladys Basagoitia Dazza presenta
la sua nuova luminosa raccolta
in Sala Goldoni – Università per Stranieri
Perugia
Giovedì 3 dicembre 2015 – ore 18.30
ingresso libero
Canti Digitali a Milano 1° dicembre 2015
Martedì 1 Dicembre alle ore 18:30
Via Tadino 20 – Milano
di Alberto Mori
Introduzione a cura del filosofo Franco Gallo
In copertina: Links di Alberto Mori (2015) |
«Si entra nel testo redatto in puro stile linguistico “informatichese” percorrendo cantieri verbo visuali davvero sorprendenti: Action And Products, Phone & Sounds, Web Light, Lost in Google, Techno Vision, Set Spot Location, Digital Embodies, in ciascuno dei quali si sperimenta lo spazio-azione-produzione, il suono-fono, la luce oltre il lumen, oltre lo splendor, oltre l’antropocentrismo, a favore di un sostantivante artificio finalizzato all’ottimizzazione-trasformazione finale in una ipotesi di “incorporazioni digitali” a presagire un improbabile, ma non impossibile, completo scambio simbiotico: “Nel rovescio vuoto identitario / spazio apre / >esserci< / Così sei salva con nome” [Digital Embodies].» (Maria Grazia Martina)
«In questi Canti Digitali Alberto Mori riesce a combinare, sintetizzandoli nel suo linguaggio originale, parole apparentemente inaccostabili, in primis quelle del titolo, poi ripreso nei quattro bellissimi versi che fanno da viatico a tutta la raccolta.» (Silvia Dal Negro)
«(…) l’opera mostra la complessità critica del rapporto tra poesia, libro, recitazione e media, con una cifra stilistica matura per la precedente esperienza dell’autore, ma non per questo al sicuro dall’inquietante e inebriante potenza della macchina semiotica del web.» (Franco Gallo)
Alberto Mori (Crema 1962), poeta performer e artista, sperimenta una personale attività di ricerca nella poesia, utilizzando in interazione altre forme d’arte e di comunicazione. Dal 1986 ha all’attivo numerose pubblicazioni. Nel 2001 Iperpoesie (Save AS Editorial) e nel 2006 Utópos (Peccata Minuta) sono stati tradotti in Spagna. Per Fara Editore ha pubblicato: Raccolta (2008) Fashion (2009) Objects(2010), Financial (2011), Piano (2012) ed Esecuzioni(2013), Meteo Tempi (2014). La produzione video e performativa è consultabile nell’archivio multimediale dell’Associazione Careof / Organization for Contemporary Art di Milano.Dal 2003 partecipa a Festival di Poesia e Performing Arts fra i quali: V Settimana della Lingua Italiana nel Mondo (Lisbona, 2005), Biennale di Verona (2005 e 2007), IX Art Action International Performance Art Festival (Monza, 2011), Bologna in Lettere (2013 e 2014). Negli ultimi anni è stato più volte fi nalista al premio di poesia “L. Montano” della rivista «Anterem» di Verona.Website: www.albertomoripoeta.com
Alberto Mori, Canti Digitali
€ 12,50 pp. 152 (Nefesh 19)
ISBN 978 97441 63 2
www.faraeditore.it/nefesh/cantidigitali.html
€ 12,50 pp. 152 (Nefesh 19)
ISBN 978 97441 63 2
www.faraeditore.it/nefesh/cantidigitali.html
martedì 24 novembre 2015
Poesia protesa alla rivelazione dell'esistenza
su Muove il dove di Caterina Camporesi
Raffaelli Editore 2015
La nuova raccolta della poeta Caterina Camporesi, data alle stampe presso l’editore Raffaelli di Rimini, ad ottobre di quest’anno, reca il titolo Muove il dove: cinquanta pagine di puri corpi poetici brevi che invitano il lettore all’esigenza della ricerca.
L’esergo apposto alla raccolta è un aforisma del filosofo Ludwig Wittgenstein, scomparso agli inizi degli anni Ciquanta del Novecento, che recita: “Impossibile scrivere in maniera / più vera di quanto si è veri”. Il fondatore della logica e della filosofia del linguaggio ha prestato alla Nostra la penna per scrivere i versi di questa raccolta.
“(…) Muove il dove nell’altrove” (pag.50) questi versi eponimi indicano la direzione che la musicalità essenziale dei componimenti, riservano al lettore. Il verbo muove ha come soggetto “il dove”: non è la realtà che ci circonda ma il giardino del Mistero che attrae lo sguardo della poeta, anche il nostro, invitato dai bagliori dei fuochi oltre il deserto dell’esistenza: “sprigiona folgoranti lampi / il buio a lungo sigillato/ strinando arcaici ieri / dona al domani sentieri” (pag. 23).
Il mito “dell’altrove”, il monte sacro ai poeti, dove la sferza del dolore materiale non ha più il potere di incupire lo sguardo, di martoriare la carne, di imprimere lutti; la forza rigeneratrice continua che: “apre al mistero / la porta del cielo / sprigiona scintille / sulla terra” (pag. 27) La grandezza di questa raccolta sta nella scelta delle parole che formano i versi, simili ai dolmen che i sacerdoti preistorici ponevano nelle sterminate aree della Francia per indicare il percorso da seguire nelle cerimonie sacre.
Muoversi, è l’invito della poeta Camporesi, che corrisponde alla ricerca costante, instancabile, di quel verbum che è divenuta carne nei Vangeli, che ha sfamato sulla riva del mare di Genezareth migliaia di affamati. Lo indicano i versi a pag. 22: “(…) ormeggiano parole / (…) traslocano da bocca a bocca / impazienti d’impastarsi”. Bisogna avere un cuore robusto per seguire il cammino che la Nostra ci invita a seguire attraverso la parola e non è facile accogliere l’invito quando il reale ci stringe “(…) nella paradossale congerie dei tempi” (pag. 25).
Quando mai, se non nel tempo dei Miti, ci sono state epoche di pace per l’Umanità?
La Poesia vera è farina che lievita da migliaia di anni; i sentimenti ne formano il lievito; la ragione l’acqua per l’impasto. Camporesi ha fatto sua questa lezione nel corso del suo percorso poetico, si affida in tutte le composizioni a soggetti legati alla logica: particelle pronominali, diverse volte lo sguardo, altre volte la ragione, la parola, l’incontro, il buio, il suono, il canto. Siamo di fronte agli effetti di una causa data dal muoversi della parola, la ricerca per raggiungere il fare (“poiesis”) che si sublima come un instancabilmente vulcano dell’altrove per risalire nella corsa del tempo presente degli umani: “da abissi di corpomente / si risolleva il pensiero / come luce di fuoco risale / per avvampare il tutto” (pag. 57).
Torna alla mente la forza motrice del pianeta che si affaccia attraverso i vulcani: distrugge, riduce gli spazi e dalla distruzione lentamente riaffiora la vita nei piccoli arbusti tra le rocce ignee. Nei versi di questa raccolta si colgono rime alternate, assonanze, parole costruite per l’esigenza poetica (es: presentepassatofuturo (pag. 25), emozionivoce (pag. 45), corpomente (pag. 57), similitudini e sovente il se modale accanto all’uso dei verbi al gerundio (il modo dell’indefinito).
La raccolta è un cammino proteso alla rivelazione dell’esistenza: “esserci è parola / che all’azione spinge / silenzio” (pag. 71). Compare la lezione filosofica del XVII secolo: Cogito ergo sum (Cartesio), trascritta poeticamente in versi moderni: Loquor, ergo sum. L’invito è all’azione poetica scelta come rivelazione in mezzo agli uomini. Il fare rimane ad indicare il cammino per chi legge ora e per chi leggerà in futuro, quando il silenzio spegnerà la fiammella umana del poeta ma non il calore della sua poetica: quel calore vero resterà sempre nella memoria: “azione collettiva”.
Concludo affiancando i versi di Caterina Camporesi alla voce inestinguibile del poeta Giuseppe Ungaretti riprendendo i versi della poesia Sentimenti del tempo (scritta nel 1931): “(…) La lontananza aperta alla misura, / Ogni mio palpito, come usa il cuore, / Ma ora l’ascolto, / T’affretta, tempo, a pormi sulle labbra / Le tue labbra ultime.”
recensione di Vincenzo D'Alessio
La nuova raccolta della poeta Caterina Camporesi, data alle stampe presso l’editore Raffaelli di Rimini, ad ottobre di quest’anno, reca il titolo Muove il dove: cinquanta pagine di puri corpi poetici brevi che invitano il lettore all’esigenza della ricerca.
L’esergo apposto alla raccolta è un aforisma del filosofo Ludwig Wittgenstein, scomparso agli inizi degli anni Ciquanta del Novecento, che recita: “Impossibile scrivere in maniera / più vera di quanto si è veri”. Il fondatore della logica e della filosofia del linguaggio ha prestato alla Nostra la penna per scrivere i versi di questa raccolta.
“(…) Muove il dove nell’altrove” (pag.50) questi versi eponimi indicano la direzione che la musicalità essenziale dei componimenti, riservano al lettore. Il verbo muove ha come soggetto “il dove”: non è la realtà che ci circonda ma il giardino del Mistero che attrae lo sguardo della poeta, anche il nostro, invitato dai bagliori dei fuochi oltre il deserto dell’esistenza: “sprigiona folgoranti lampi / il buio a lungo sigillato/ strinando arcaici ieri / dona al domani sentieri” (pag. 23).
Il mito “dell’altrove”, il monte sacro ai poeti, dove la sferza del dolore materiale non ha più il potere di incupire lo sguardo, di martoriare la carne, di imprimere lutti; la forza rigeneratrice continua che: “apre al mistero / la porta del cielo / sprigiona scintille / sulla terra” (pag. 27) La grandezza di questa raccolta sta nella scelta delle parole che formano i versi, simili ai dolmen che i sacerdoti preistorici ponevano nelle sterminate aree della Francia per indicare il percorso da seguire nelle cerimonie sacre.
Muoversi, è l’invito della poeta Camporesi, che corrisponde alla ricerca costante, instancabile, di quel verbum che è divenuta carne nei Vangeli, che ha sfamato sulla riva del mare di Genezareth migliaia di affamati. Lo indicano i versi a pag. 22: “(…) ormeggiano parole / (…) traslocano da bocca a bocca / impazienti d’impastarsi”. Bisogna avere un cuore robusto per seguire il cammino che la Nostra ci invita a seguire attraverso la parola e non è facile accogliere l’invito quando il reale ci stringe “(…) nella paradossale congerie dei tempi” (pag. 25).
Quando mai, se non nel tempo dei Miti, ci sono state epoche di pace per l’Umanità?
La Poesia vera è farina che lievita da migliaia di anni; i sentimenti ne formano il lievito; la ragione l’acqua per l’impasto. Camporesi ha fatto sua questa lezione nel corso del suo percorso poetico, si affida in tutte le composizioni a soggetti legati alla logica: particelle pronominali, diverse volte lo sguardo, altre volte la ragione, la parola, l’incontro, il buio, il suono, il canto. Siamo di fronte agli effetti di una causa data dal muoversi della parola, la ricerca per raggiungere il fare (“poiesis”) che si sublima come un instancabilmente vulcano dell’altrove per risalire nella corsa del tempo presente degli umani: “da abissi di corpomente / si risolleva il pensiero / come luce di fuoco risale / per avvampare il tutto” (pag. 57).
Torna alla mente la forza motrice del pianeta che si affaccia attraverso i vulcani: distrugge, riduce gli spazi e dalla distruzione lentamente riaffiora la vita nei piccoli arbusti tra le rocce ignee. Nei versi di questa raccolta si colgono rime alternate, assonanze, parole costruite per l’esigenza poetica (es: presentepassatofuturo (pag. 25), emozionivoce (pag. 45), corpomente (pag. 57), similitudini e sovente il se modale accanto all’uso dei verbi al gerundio (il modo dell’indefinito).
La raccolta è un cammino proteso alla rivelazione dell’esistenza: “esserci è parola / che all’azione spinge / silenzio” (pag. 71). Compare la lezione filosofica del XVII secolo: Cogito ergo sum (Cartesio), trascritta poeticamente in versi moderni: Loquor, ergo sum. L’invito è all’azione poetica scelta come rivelazione in mezzo agli uomini. Il fare rimane ad indicare il cammino per chi legge ora e per chi leggerà in futuro, quando il silenzio spegnerà la fiammella umana del poeta ma non il calore della sua poetica: quel calore vero resterà sempre nella memoria: “azione collettiva”.
Concludo affiancando i versi di Caterina Camporesi alla voce inestinguibile del poeta Giuseppe Ungaretti riprendendo i versi della poesia Sentimenti del tempo (scritta nel 1931): “(…) La lontananza aperta alla misura, / Ogni mio palpito, come usa il cuore, / Ma ora l’ascolto, / T’affretta, tempo, a pormi sulle labbra / Le tue labbra ultime.”
Montoro, 24 novembre 2015
sabato 21 novembre 2015
Soli a sollevare il richiamo
Lunedì 23 novembre saranno trentacinque anni dal terremoto del 23 novembre 1980 vorrei farne memoria attraverso il tuo sito a quanti potranno leggerne il messaggio: la pagina con la Pietà di Michelangelo appartiene al volume collettaneo curato dal chiarissimo monsignore Michele Ricciardelli Il Minuto più lungo della vita ( 1990), in occasione del primo decennale della tragedia - la seconda è la poesia che appartiene alla raccolta La solitudine dell' iceberg (inclusa nell'Antologia collettanea: Creare Mondi, FaraEditore 2011) a dimostrazione che la nostra Irpinia, come gran parte della regione Campania, convive da millenni con i fenomeni naturali che, simili ad un aratro, scavano solchi spesso incolmabili tra passato, presente e futuro lasciando una lunga scia di morti che continuano a chiedere ai vivi Giustizia - mi è cara la Libertà di dirtelo - con affetto, tuoi Vincenzo e famiglia
Noi siamo la terra
che grida dalle sue radici
tormento infaticabile
cemento calato nelle viti.
Siamo soli a sollevare nel vento
il richiamo al falco pellegrino,
Siamo soli a chiedere perdono
alla memoria ferita.
venerdì 20 novembre 2015
Nel dettaglio si rivela l'assoluto: sulla nuova raccolta di Griselda Doka
Fara editore 2015
pp. 95, € 9,00
recensione di Gianni Mazzei
Il filosofo dice Pascal (riprendendo
l’esperienza metodologica di Socrate) pone solo domande.
Quali? Le grandi domande che riguardano l’inizio e la fine, l’universo, la giustizia, la bellezza, l’amore.
E il poeta può fare domande? Il poeta è anch’egli filosofo: vive di meraviglia (lo sostiene Aristotele nella metafisica, Pascoli nella poetica del fanciullino e tanti altri) come il filosofo: la poesia circoscrive, però, queste domande, partendo dal singolare per giungere all’universale.
Quali? Le grandi domande che riguardano l’inizio e la fine, l’universo, la giustizia, la bellezza, l’amore.
E il poeta può fare domande? Il poeta è anch’egli filosofo: vive di meraviglia (lo sostiene Aristotele nella metafisica, Pascoli nella poetica del fanciullino e tanti altri) come il filosofo: la poesia circoscrive, però, queste domande, partendo dal singolare per giungere all’universale.
Sono le stesse domande, ma è
lo stupore del quotidiano, della semplicità, anche quando parla dell’universo e
del divino: ama il dettaglio il poeta, in cui si rivela l’assoluto.
Perciò sono brevi, le sue domande..
Ma perché “solo”? Ha fretta il poeta, ha il pudore di chiedere o, molto accortamente, nella domanda è già insita la risposta?
Brevi quanto, però, e chi le pone tali domande?
Perciò sono brevi, le sue domande..
Ma perché “solo”? Ha fretta il poeta, ha il pudore di chiedere o, molto accortamente, nella domanda è già insita la risposta?
Brevi quanto, però, e chi le pone tali domande?
Nella filosofia è l’uomo, inteso
come umanità anche se poi, evolvendosi la società, può il filosofo rivolgersi
ad una classe sociale: Marx e il proletariato, per esempio.
La poesia pone soggetti specifici, singoli o collettivi (gli Achei nell’epica omerica).
Qui chi pone le domande, brevi?
Forse la donna ritratta in copertina e quel ramo, non si sa se spezzato o che da esso rinasce e fiorisce?
E brevi, quanto? Forse il numero delle poesie, trentadue, il senso del rispetto (perciò uno in meno) della compiutezza simbolica degli anni e della missione del Cristo, il numero dei denti che triturano il quotidiano e le albe o, aperti, indicano un sorriso chiaro e definitivo?
O gli anni della protagonista?
Le domande sono “esiliate”. Da chi, perché, da quando, da quale patria, definitivamente o si sta tornando?
Le domande stanno per l’uomo, singolo o collettivo, esiliato o è esiliato il linguaggio e la possibilità di comunicare, dialogare e, nel mutuo dire e pensare, trovare una soluzione?
Di quale esilio parla la poetessa?
Quello di Israele, e quindi di un popolo di cui lei fa parte, quello Albanese, che vaga per anni, in un modo irregolare nel percorso, prima di giungere alla terra promessa?
“Iddio piegò il popolo nel deserto”, dice Pasolini, nel film Teorema, il popolo dalla dure cervice.
O è forse il mondo occidentale? E che fa in esilio?
La poesia pone soggetti specifici, singoli o collettivi (gli Achei nell’epica omerica).
Qui chi pone le domande, brevi?
Forse la donna ritratta in copertina e quel ramo, non si sa se spezzato o che da esso rinasce e fiorisce?
E brevi, quanto? Forse il numero delle poesie, trentadue, il senso del rispetto (perciò uno in meno) della compiutezza simbolica degli anni e della missione del Cristo, il numero dei denti che triturano il quotidiano e le albe o, aperti, indicano un sorriso chiaro e definitivo?
O gli anni della protagonista?
Le domande sono “esiliate”. Da chi, perché, da quando, da quale patria, definitivamente o si sta tornando?
Le domande stanno per l’uomo, singolo o collettivo, esiliato o è esiliato il linguaggio e la possibilità di comunicare, dialogare e, nel mutuo dire e pensare, trovare una soluzione?
Di quale esilio parla la poetessa?
Quello di Israele, e quindi di un popolo di cui lei fa parte, quello Albanese, che vaga per anni, in un modo irregolare nel percorso, prima di giungere alla terra promessa?
“Iddio piegò il popolo nel deserto”, dice Pasolini, nel film Teorema, il popolo dalla dure cervice.
O è forse il mondo occidentale? E che fa in esilio?
Si stanca di Mosè e delle
leggi, adora il vitello d’oro, e rimpiange i poponi della schiavitù in Egitto.
Ha voglia questo esilio di uscire dalla precarietà per ritornare redento?
È l’esilio, forse, conseguenza dell’egoismo, del figliol prodigo che vuole ritornare alla casa del padre, confrontando la sua miseria attuale tra i porci e le ghiande che non può mangiare e la ricchezza di ciò che ha lasciato?
O è una scelta, un’inevitabile scelta, se si vuole essere poeti?
“Siamo radicati nell’esilio” dice Cioran.
Questo avviene, in chi legge questa silloge di Griselda Doka, fermandosi alla copertina, al titolo.
Ha voglia questo esilio di uscire dalla precarietà per ritornare redento?
È l’esilio, forse, conseguenza dell’egoismo, del figliol prodigo che vuole ritornare alla casa del padre, confrontando la sua miseria attuale tra i porci e le ghiande che non può mangiare e la ricchezza di ciò che ha lasciato?
O è una scelta, un’inevitabile scelta, se si vuole essere poeti?
“Siamo radicati nell’esilio” dice Cioran.
Questo avviene, in chi legge questa silloge di Griselda Doka, fermandosi alla copertina, al titolo.
Ora entriamo nella casa, nel linguaggio e vediamo di trovare le risposte ai vari quesiti che vengono alla mente e al cuore del lettore.
A dare un senso ai titoli, già ci si può fare un’idea: è un cammino, un andare (Tu non conosci i miei passi; Non posso immaginare un cammino), che avviene, ancora non sappiamo se singolo o collettivo o entrambi.
È un viaggio che si paga a caro prezzo, che porta disagio e odora di morte e di perdita: pure c’è una speranza, un seme nascosto che nascerà.
Perché colei che viaggia, non sappiamo se spinta dalla necessità o volutamente per curiosità o per dare senso, ama i propri sogni, sente l’ebbrezza, gode della luce ferma e incantata dell’autunno e sa, con certezza nel cuore, che ritornerà ad essere amata.
Il nulla del foglio bianco
chiama irresistibile lei che è stata curata da frammenti di sogni e già conosce la
funzione curativa dell’alloro, l’arte (v. poesia numero XXVI):
XXVI
A lungo sono stata nutrita
di teneri frantumi di sogni
e con foglie di alloro
ho curato le mie lacerazioni
ci sono mille ombre che mi sfuggono
sotto le stelle di autunno
e si stendono
nella fierezza della tua fronte
sensuale e fugace
come questi appunti
intrisi nella nostalgia del poco
Sorge allora l’infanzia
corale e di lei nelle prime dieci poesie, nelle quali la donna, madre e anche
patria, si narra nella dolcezza della parola parlata, quasi omerica, in quel
ripetere versi, per dare forza e incisività, da rinviare a futura memoria: qui
c’è il destino dell’Albania (il volo dell’aquila congelato, gli ultimi rapsodi
della poesia numero III), qui la tragedia della conquista italiana e la seconda
guerra mondiale (la figlia del partigiano, poesia numero II) e qui anche il
senso della poesia e storia stessa (le brevi domande esiliate che danno il
titolo all’opera) e il lamento funebre (il tuo corpo, il tuo corpo, poesia IX)
che lo è anche per l’inanità del verso a volte dinnanzi alle miserie, affanni
della vita stessa e non solo del singolo (la poesia sconquassa più che redimere
e consolare; consola solo creando nuova prospettiva sul mondo, che però costa
disagio, esilio, sangue).
Parla al plurale e al singolare la poetessa, in una luce a volte crepuscolare e scomoda, altre volte che profuma di arcobaleno e quindi di speranza, dopo la tempesta appena acquietata, in un bilancio del dare e dell’avere per capire il disagio e dare un senso alla poesia che non è lingua dell’Eden, ma è matrigna, lingua dell’esilio e che comunque rivendica la sua identità e il suo orgoglio se proprio il paradiso perduto va stretto (poesia V):
Parla al plurale e al singolare la poetessa, in una luce a volte crepuscolare e scomoda, altre volte che profuma di arcobaleno e quindi di speranza, dopo la tempesta appena acquietata, in un bilancio del dare e dell’avere per capire il disagio e dare un senso alla poesia che non è lingua dell’Eden, ma è matrigna, lingua dell’esilio e che comunque rivendica la sua identità e il suo orgoglio se proprio il paradiso perduto va stretto (poesia V):
V
Non sappiamo se il disagio
viene
da ciò che fu dato
o da ciò che fu tolto
donna che partorisci il dolore
non imprecare
le colpe sono sempre orfane
e si nutrono di sorelle ermafrodite
sparse sul giardino dei perché
qualcuno origlia
un altro minaccia
nella lingua matrigna
ci va stretto il Paradiso
Già in queste poesie si vede la maturità, sia nel condurre contenuti di ampia
portata storica, raggrumati nella donna, sia di musicalità e di immagini
nuovissime e si resta meravigliati come mai un’opera prima e di una poetessa
così giovane possa dare frutti così squisiti: scomoda luce gettata al crepuscolo; navigano la mia lingua solo brevi domande
esiliate; profumo di arcobaleno; il vento sfuma gli scogli; ci va stretto il
Paradiso; la gioia del sacrilegio a primavera; lamento fiorito; arzilli
polpacci; riccioli delle mimose, i tuoi occhi … due gigli perenni; l’essenziale è
un velo di cenere – sono immagini di grande efficacia, nuovissime, delicate e di
grande ritmo musicale a cui non manca nemmeno un richiamo alla “quotidiana cura” di Heidegger, ripreso da Sgalambro e Battiato.
Improvvisa, la XI poesia, una sterzata, una rivelazione dolorosa forse, una consapevolezza matura, un cambio di registro: la rivendicazione di sé, del proprio essere, che fa intuire qualcosa di estremo nel percorso della poetessa (forse anche personale):
Improvvisa, la XI poesia, una sterzata, una rivelazione dolorosa forse, una consapevolezza matura, un cambio di registro: la rivendicazione di sé, del proprio essere, che fa intuire qualcosa di estremo nel percorso della poetessa (forse anche personale):
XI
Mi insegue mi calma mi terrorizza mi prende
mi stringe mi trascina
eppur mi soprende il mondo offuscato
che si manifesta a tratti sotto i doppi occhiali
la metafora mi sfratta e divento mendicante
bisognosa d’amore
quotidiana supplica rivolta al cielo
(oh quei tenebrosi soli dei tuoi occhi)
un cenno e l’anima generosa si scuote
come le tasche dalle monete superflue
dentro qualcosa ancora mi soffoca
raffermo là sotto rimane il vero
La metafora si sposa alla vita, definendola, amandola, scuotendola, con la
stessa efficacia di Ibico (ma ancora non è amore) o di coraggio che dà al cuore
Archiloco.
L’infanzia collettiva finisce, si presenta l’adolescenza, nelle sue contraddizioni, ma anche con l'entusiasmo di crescere, protetta dal monte Tomor, prima di diventare, riaffermandolo con orgoglio, donna e poetessa, fata / dal latte incantato, nell’ultima ampia poesia, n. XXXII.
In questo secondo nucleo (fino a XX) c’è la scoperta dell’amore, fatto di dolore (l’amaro spinaio; il tallone ferito), per poter cogliere, a differenza dell’inattingibilità della mela di Saffo, in alto sul ramo, l’ultimo graspo / in cima alla vigna (poesia XIV).
E si vede, perciò, sia il pragmatismo, il sapersi muovere nel disagio della vita e anche l’originalità nel trattare, con variante nuova, topoi della lirica classica.
In questo secondo momento (si potrebbe parlare della poesia della Doka come di un trittico, quasi in atteggiamento hegeliano di tesi, antitesi e sintesi) ci sono le figure dei genitori, madre e padre, da cui, con sofferto affetto, lei si distacca per iniziare un suo percorso.
E, volutamente in margine, per dirne la dolcezza della memoria e della lontananza, il monte della sua Berat e la nonna: l’infanzia si profana non per orgoglio o disprezzo, ma per crescere, chiedendo perdono: il mandorlo fiorito, calpestato che doveva profumare la tomba della nonna.
Ora, lei, l’Albania, la poesia sono cresciute e sono sole ad affrontare il viaggio, interiore non come Ulisse, ma come altre eroine, e il viaggio in altra terra: come donna, come Albania, come poesia, sa di abitare il paradosso e la logica traditrice (poesia XXX) di Ulisse, dell’uomo, della parola, dell’Occidente, dello sradicamento e invece loro sono canto, silenzio, sono madre e sanno che La grandezza eclissa i sogni e le conquiste (poesia XXI) e che “La libertà di scegliere non si intrappola” (poesia XXXII) e che spesso la verità dell’uomo è violenza se “eroicamente” uccide la bellezza del quotidiano e le vite normali, perché forse considerate insignificanti, il gatto e il gelso.
L’infanzia collettiva finisce, si presenta l’adolescenza, nelle sue contraddizioni, ma anche con l'entusiasmo di crescere, protetta dal monte Tomor, prima di diventare, riaffermandolo con orgoglio, donna e poetessa, fata / dal latte incantato, nell’ultima ampia poesia, n. XXXII.
In questo secondo nucleo (fino a XX) c’è la scoperta dell’amore, fatto di dolore (l’amaro spinaio; il tallone ferito), per poter cogliere, a differenza dell’inattingibilità della mela di Saffo, in alto sul ramo, l’ultimo graspo / in cima alla vigna (poesia XIV).
E si vede, perciò, sia il pragmatismo, il sapersi muovere nel disagio della vita e anche l’originalità nel trattare, con variante nuova, topoi della lirica classica.
In questo secondo momento (si potrebbe parlare della poesia della Doka come di un trittico, quasi in atteggiamento hegeliano di tesi, antitesi e sintesi) ci sono le figure dei genitori, madre e padre, da cui, con sofferto affetto, lei si distacca per iniziare un suo percorso.
E, volutamente in margine, per dirne la dolcezza della memoria e della lontananza, il monte della sua Berat e la nonna: l’infanzia si profana non per orgoglio o disprezzo, ma per crescere, chiedendo perdono: il mandorlo fiorito, calpestato che doveva profumare la tomba della nonna.
Ora, lei, l’Albania, la poesia sono cresciute e sono sole ad affrontare il viaggio, interiore non come Ulisse, ma come altre eroine, e il viaggio in altra terra: come donna, come Albania, come poesia, sa di abitare il paradosso e la logica traditrice (poesia XXX) di Ulisse, dell’uomo, della parola, dell’Occidente, dello sradicamento e invece loro sono canto, silenzio, sono madre e sanno che La grandezza eclissa i sogni e le conquiste (poesia XXI) e che “La libertà di scegliere non si intrappola” (poesia XXXII) e che spesso la verità dell’uomo è violenza se “eroicamente” uccide la bellezza del quotidiano e le vite normali, perché forse considerate insignificanti, il gatto e il gelso.
Altre ardite immagini sono presenti in questa ultima sezione (… il corvo / che
becca i garofani / sulla mia finestra; … l’istante / sa di muschio; ecc.) e c’è l’identificazione
fisica e morale della poetessa: gelosa fino alla follia delle mie ferite, rami
secchi impigliati nei capelli ( come appare in copertina), la mia frangetta,
gli occhiali, mia carne timida e coraggiosa, vorace di ferite e verità ecc.
Una curiosa annotazione per ultimo: la seduzione (e sensualità) del corpo è affidata (oltre che ai capelli, al seno e agli occhi) ai polpacci, elemento di grande eleganza femminile, ma che indica anche la danza, il camminare, l’andare: arzilli polpacci; annuso il mio polpaccio.
Il viaggio è momentaneamente terminato: lei ha imparato a conoscere il senso nascosto / di ogni pietra gettata a caso (poesia XXIX), a volte si è persa subendo parole senza se e senza ma, ha saputo alla goccia accostare altre gocce, per rendere più leggero il peso dei perché abortiti, per diventare l’inquietudine della collina, tramite (come la poesia), tra la pesantezza, gli umori ma anche i germi e i frutti della terra, del tempo e il cielo, fatto di grandi utopie e dell’anelito dell’assoluto.
Una curiosa annotazione per ultimo: la seduzione (e sensualità) del corpo è affidata (oltre che ai capelli, al seno e agli occhi) ai polpacci, elemento di grande eleganza femminile, ma che indica anche la danza, il camminare, l’andare: arzilli polpacci; annuso il mio polpaccio.
Il viaggio è momentaneamente terminato: lei ha imparato a conoscere il senso nascosto / di ogni pietra gettata a caso (poesia XXIX), a volte si è persa subendo parole senza se e senza ma, ha saputo alla goccia accostare altre gocce, per rendere più leggero il peso dei perché abortiti, per diventare l’inquietudine della collina, tramite (come la poesia), tra la pesantezza, gli umori ma anche i germi e i frutti della terra, del tempo e il cielo, fatto di grandi utopie e dell’anelito dell’assoluto.
Trebisacce, li 18.nov.2015
giovedì 19 novembre 2015
Ladro di sabbia e Il tocco abarico del dubbio su ArteInsieme.net
Inventami
come se fossi una nuova costellazione
per guidare rotte di miraggi.
Baciami
come se fossi l’anguria succosa
che la tua bocca riarsa disseta.
Accendimi
come se fossi l’ultimo fiammifero
in mezzo ad un bosco innevato.
Stringimi
come se fossi la calda coperta
che il tuo inverno eterno avviluppa.
E legami
come se fossi viva
perché non tramonti il tuo sogno
con il primo raggio di ragione.
Com’è strana, Signore, la morte
in quell’austera dignità che
s’annoda al corpo…
una fiamma gelida lo sbiadisce
mentre il sangue resta tiepido
dei tanti sogni interrotti
gli occhi serrati
guarderanno finalmente
in fondo al pozzo
forse un riflesso
come il baluginio
di una finestra al tramonto
e indicherai nell’Alto la Via.
Le nostre parole, tutte,
rimarranno alla soglia
– servissero a costringere, a legare
l’aria ai polmoni! … – le poche
saranno un sottovoce perché
il fondale muto non si sconvolga.
Ma se muore un poeta, Signore,
concedigli che il silenzio più ottuso
si faccia canto di una vita
alla vita che non muore e
si sposta altrove
è stato l’ultimo suo verso
ancora gli scintilla sulla bocca.
|
martedì 17 novembre 2015
Vincitori del concorso Rapida.mente 2015
Ecco i vincitori (ci complimentiamo vivamente con loro) della prima edizione del concorso Rapida.mente per la sezione Poesia (v. anche la sezione Racconto) selezionati dai giurati a cui va in nostro più sentito grazie. Vai all'antologia.
I
- IPSE
II
- RISORGIMENTO
III
– RESISTENZA
Gabriella Bianchi è nata e vive a Perugia. Ha pubblicato sei volumi di poesie: L’etrusca prigioniera 1984, Canzoniere 1990, Giardino d’inverno 2005, Cartoline da Itaca 2005, Il paradiso degli esuli 2009, Il cielo di Itaca 2011. È presente in varie antologie nazionali. Ha vinto alcuni primi premi. La sua silloge Il sogno breve è inserita nell’antologia Faraexcelsior 2013. Hanno parlato della sua poesia: Mario Luzi, Valerio Magrelli, Davide Rondoni, Maurizio Cucchi, Vincenzo D’Alessio (“L’intensità dell’esperienza vissuta trapela in ogni verso, segue una musicalità antica come il canto di Orfeo per Euridice.”). La raccolta Quaderno di frontiera ha vinto il concorso Faraexcelsior 2014. Ha vinto anche la scorsa edizione del concorso Pubblica con noi con la silloge Correnti atlantiche inserita in Emozioni in marcia (Fara 2015).
A PIETRO
1°
classificato
QUINTERIA – Articolazione coniugale
di Alberto Trentin (Breda di Piave, TV)
[AlbertoTrentin nasce nel 1979 a Treviso, dove tuttora risiede e lavora. È sposato. Ha
studiato filosofia (a Venezia e Firenze, laureandosi ed addottorandosi su
Giordano Bruno) e pedagogia a Firenze; studia psicologia e oltre a dedicarsi
alla poesia scrive saltuariamente di letteratura.]
I
- IPSE
E mentre l’amore arriva
a passi lenti, a pentimenti,
dalla mente goccia il caso
la raccomandazione,
s’imbrinano le cose
sempre meno conosciute.
Stanche.
Come i tuoi, sui miei
occhi. I tuoi che sono chiari.
Mentre con le dita schiocchi l’aria
si smuovono sui fili delle attese
le vesti stese dopo la cresima
dopo la rivoluzione nelle chiese;
qualcosa intromette nell’anima
un amo preso al fabbro. Un amore.
Troppo spesso. Arreso.
II
- RISORGIMENTO
E nella acribia che gela l’alba
e più non ci desta
posso ancora dire onesta
questa scelta mia di te?
Tu che non traguardi mai
l’uno dell’altro approfondire
e piuttosto ti fai squama
a chiudere schiudere all’aria
l’oratoria di chi chiama
te per nome, quel nome che mai
rima il mio dire col tuo ricordare.
III
– RESISTENZA
Ogni sbieco d’occhi attesta un poco
che ci siamo sfamiliarizzati. Procede
con l’aria di paese la buona educazione
che fa di ogni parola molesta un gioco
d’abito, di chiesa, di studio, di fede.
In tutto questo tu opponi l’amore:
al mattino che mette in questione
lo mostri come salda certezza disposta
a farsi da parte per comune stupore
che manca di senso e sempre ci sposta.
Giudizi
L’amore
gioca con i versi. Artifici che tengono in piedi il discorso senza cadere nel
vuoto. È, stilisticamente, un camminare sul filo; c’è il pericolo di cadere dal
verso ad ogni istante, così preso e denso in una trama di ricerca linguistica
che vuole fuggire dall’ovvio e dal già detto. E in questo c’è anche il voler
riscattare, con grande intento ironico, la quotidiana banalità della vita.
(Cesare Davide Cavoni)
In questo poemetto per frammenti si articola un
dramma coniugale, che è al tempo stesso un dramma del riconoscimento tra due
coscienze e un dramma del tempo e del mutamento dell'esistenza. I sedici
frammenti sono attraversati, come in una via crucis, dai vari stadi in cui le
esistenze possono perdersi e ritrovarsi: l'angoscia, il dolore, la passione, il
perdono e la gioia. La parola aspira ad un potere evocativo e, forse,
salvifico. (Francesco Filia)
Il lettore si trova di
fronte ad un lungo e complesso forbito monologo sulla vita coniugale, fatta di
amori, di silenzi e di attese, di dubbi e timori, di luci ed ombre. Le
difficoltà, le incrinature, i pentimenti e i ripensamenti intorpidiscono, con
il passare degli anni, il ménage quotidiano. È un tema, quello della vita
familiare, più che mai attuale; è il cuore pulsante del Sinodo, che in ogni
famiglia vede sempre una luce, per quanto fioca nel buio del mondo. (TeresaArmenti)
Secondi classificati ex aequo
ALFABETO PER SORDI
di
Vincenzo D’Alessio (Montoro, AV)
[Vincenzo D’Alessio è nato a Solofra
nel 1950. Laureato in Lettere all’Università di Salerno è stato l’ideatore del
Premio Città di Solofra, nonché il fondatore del Gruppo Culturale “Francesco
Guarini” e dell’omonima casa editrice. Ha pubblicato diversi saggi di
archeologia, di storia e diverse raccolte poetiche, la più recente è La valigia del meridionale ed altri viaggi (Fara 2012). Nel 2014 vince con Il passo verde la
pubblicazione in Opere scelte
(Fara). La tristezza del tempo è inserita in Emozioni in marcia (Fara 2015).]
O Signore respira, respira!
Il muschio è il vestito delle pietre
Pianto è l’acqua alla sorgente
Sorriso sono le foglie dei faggeti
Lingua le parole del silenzio,
L’uomo non c’è!
§§§.1
L’urlo della ruota sul metallo
acceca l’odio nell’afa
masticata dalle cicale
nel sangue violento delle more,
nonna dove sei? i coltelli
sibilano controvento, il maiale
ignora la sua fine, il cortile
lento scompare nel tuo sorriso,
sull’uscio della terra rovina
il canto della nostra vita ,
più del tormento è l’invito
al sonno.
§§§.2
Signore, posso chiederti dove
comincia il cielo dei poveri?
l’acqua del loro pianto è
polvere nel fuoco delle armi
il sangue dei figli è rosa
del deserto, puoi sentire
per amore della tua carne
queste grida?
§§§.3
a E. Marangelo
Portami più spesso a cantare
nel giardino dove ridono i passeri
tra i limoni e il verde profumato degli aranci.
Conducimi per mano alle parole
così forti, cucite nell’abito sonoro
che indossi quando recitiamo
i canti di Saffo, le ali del sole.
Piccole foglie nel viale dormono
nella terra nuda dei miracoli
abbracciate alle orme che lasciamo.
Memorie recitiamo di altri padri
che specchiarono nel pozzo il loro
viso, sorridono mentre guidi
il coro delle forme sul tuo palco.
Giudizio
C’è tanta
amarezza in questi versi, che riflettono la condizione dell’uomo di oggi –
umanità sfatta senza suono – I giovani, che crollano dentro sogni vuoti, sono
prigionieri delle nuove tecnologie e non riescono più a dialogare con la
natura. L’autore trova conforto nei ricordi di un mondo contadino ormai
scomparso. Scopre l’orizzonte negli occhi dell’uomo che, come un arco ricurvo,
sprigiona nelle mani energia di vita. Si specchia nelle acque di un lago
adagiandosi su ali infinite e lasciando i suoi interrogativi appesi al cielo. È
una scrittura piena di emozioni e trepida di immagini, che invitano ad una
attenta riflessione sulla nostra società. (Teresa Armenti)
L’ISTINTO ALTROVE
di Michela Zanarella (Roma)
[Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980, è cresciuta a
Campo San Martino (PD), dal 2007 vive e lavora a Roma. Ha iniziato a scrivere
poesie nel 2004 e da allora ha pubblicato vari libri: Credo (2006), Risvegli (2008), Vita, infinito, paradisi (2009), Sensualità (2011), Meditazioni al femminile (2012),
L’estetica dell’oltre (2013), "Le identità del cielo"
(2013). Per la narrativa ha pubblicato il libro di racconti Convivendo
con le nuvole (2009) e la biografia della cantautrice Linda d Nuova
identità. Il segreto (2015). Molte sue poesie figurano in antologie a
tiratura nazionale. La sua poesia è tradotta in inglese, francese, arabo,
spagnolo, rumeno, serbo e giapponese.]
COME VOLANO I GABBIANI
E basta un attimo
per chiedere alle onde
un po' di sale
per abbracciare il mare.
Intorno a me l'immenso
che sbadiglia,
le vele che pretendono
di sparire nel vento,
il senso del silenzio
che rimane tra gli scogli.
Io, che scelgo la sabbia
per nascondere i segreti
della profondità
e che faccio finta
di non ricordare come volano
i gabbiani,
mi fermo a riempire gli occhi
della libertà della corrente
e mi perdo a capire
quella parte di cielo
che ha la pelle dell'alba.
Fuggo nello sguardo
di una conchiglia
e mi assento dal respiro
del tempo,
con le mani che sorridono
alle distanze.
AL PROFUMO DEL SOLE
C'è un bagliore
che resta in attesa
nelle ore più alte
del cielo,
un vociare scarno
di lune congiunte
come un silenzio
smarrito nel sonno.
S'apre a sbadiglio
sul mondo
l'alba a digiuno
d'ampiezza.
E simile al canto
di una radice
che brilla in zolla
pare il mattino
che chiama l'azzurro
al profumo del sole.
RACCONTAMI
Raccontami
come cambia direzione il
vento
e di come si consola l’erba
del bianco della neve.
Io so del gergo della
terra
che hai calpestato,
di quei passi
che hai riempito di
sudore
tra i rovi di montagna.
Non sono stata capace
di gridare a cuore aperto
quanto manca la tua voce
al mio respiro.
Raccontami
quale meta spetta
al nostro tempo
e quale ragione
sta nella mia sete
di silenzio.
Giudizio
La
silloge si presenta compatta, con un ritmo lento e accogliente che accompagna
il lettore verso una sorta di contemplazione discreta, ma acuta che sappiamo la
poesia sia capace di donare. In questi versi non troviamo grandi misteri da
interpretare. Essi sono volutamente costruiti intorno ad un universo saldo,
fatto di silenzi trasparenti: Io, che
scelgo la sabbia/per nascondere i segreti/della profondità. Si tratta di
una poesia, appunto, scritta d’istinto, che vorrebbe cogliere lo scarto del
nostro tempo, ed ecco che si aprono meravigliose atmosfere campestri, vissute a
fondo dal poeta che li innalza in un tripudio aromatico di brezza e di albe. Il
tormento della parola si compie in questi spazi, ed in essi ritrova la voce che
turba, provoca, incanta e ci invita a collocarsi perennemente in quell’altrove così appassionatamente
raccontato. (Griselda Doka)
L’occhio al papavero
di Gabriella Colletti (Trecate, NO)
[Gabriella Colletti è nata a Milano e vive a Trecate
(Novara), insegna materie letterarie in un istituto superiore di Novara. Nel
1998 pubblica il saggio Piccola guida al
Broletto di Novara (Millenia, Novara); nel 2004 pubblica la raccolta di
poesie Cento poesie del cuore (Nuove
Scritture, Milano); nel 2014 pubblica il romanzo La nostalgia dei girasoli (Manni, San Cesario di Lecce). Suoi saggi
e articoli di critica d’arte e letteraria sono apparsi su varie riviste.]
Poiesis
Tra l’immondizia fiutano la speranza
gatti.
Si comincia un alacre lavorìo
si ricompone il puzzle degli scarti
feriali, per un bottino da discount.
S’ode nella notte il fatale squarcio nel sacco.
Miagolare ostinato come di pianto perverso
lampeggiare d’occhi e zanne.
Melanconico tripudio il rovistare
di zampette acuminate
Albero
nudo (Carmel, California)
Unico ospite nell’isola dei venti
è come fantasma la scorza nel grigio d’acqua e aria.
Muta presenza di quel che fu soggiornare.
Giocano foche tra candidi flutti
stridono uccelli marini, rapiti dal prodigio,
dalla baia sospinge lontano lo sguardo il poeta
monocorde ritorna la risacca,
serena prigione di astri silenti, specchio dell’albero
nudo
La quindicesima ora
Si srotola nell’aria il minuetto di Chronos
si stempera nella foschia un pallido disco
smuove il silenzio di piombo fruscio di palme.
Incombe sulla scogliera
la piccola chiesa bianca
colomba ferita tra i flutti
contro la roccia nera
Parossismo
Deragliano i ricordi sui
binari
della memoria. Dilaga la
piena
dei fantasmi. Un correre
di fauno
indiavolato sulla sabbia
rovente, inutile fuga.
Sete universale di
deserti,
tediosa goccia di
rubinetto,
spasmodico ritmo di
zanzare
nelle giunture secche
dell’angoscia.
Cresce il parossismo dell’attesa.
Giudizi
È arrivato, forse, il giorno del poeta… Difficile da
credersi, ma in ogni caso sembra sia giunto il momento della buona poesia.
Quella scaturita dalle profonde fratture e le vertigini della realtà. Si tratta
sostanzialmente di una silloge percorsa da guizzi di fierezza, vissuta in uno
spazio ferito dove noi cogliamo solo gli echi apocalittici. Il gesto si compie in extremis, nel vuoto di un linguaggio
contemporaneo che sembra ormai prosciugato. Ma il poeta ha visto e sa che tutto possa finire; districandosi in
quel disordine elegante, egli fa
risorgere sentimenti nuovi, compiendo ancora il miracolo della parola: il poeta è il santo della pesca / miracolosa
/ Si getta nel vuoto una colomba, / cuore di porcellana nella cenere.
(Griselda Doka)
L'occhio del poeta che cerca di farsi tutt'uno con
la natura che si offre al suo sguardo. Ma la natura può essere detta solo
attraverso la memoria che la trasfigura in qualcosa d'altro, in un filo che
cerca di dare una direzione alla vita, fosse anche “una protesi” che si posa
sul cielo a cui il dire ambisce. (Francesco Filia)
LUNARIO DI
PROVINCIA
di Gabriella Bianchi (Perugia)
Gabriella Bianchi è nata e vive a Perugia. Ha pubblicato sei volumi di poesie: L’etrusca prigioniera 1984, Canzoniere 1990, Giardino d’inverno 2005, Cartoline da Itaca 2005, Il paradiso degli esuli 2009, Il cielo di Itaca 2011. È presente in varie antologie nazionali. Ha vinto alcuni primi premi. La sua silloge Il sogno breve è inserita nell’antologia Faraexcelsior 2013. Hanno parlato della sua poesia: Mario Luzi, Valerio Magrelli, Davide Rondoni, Maurizio Cucchi, Vincenzo D’Alessio (“L’intensità dell’esperienza vissuta trapela in ogni verso, segue una musicalità antica come il canto di Orfeo per Euridice.”). La raccolta Quaderno di frontiera ha vinto il concorso Faraexcelsior 2014. Ha vinto anche la scorsa edizione del concorso Pubblica con noi con la silloge Correnti atlantiche inserita in Emozioni in marcia (Fara 2015).
A PIETRO
Chissà a cosa pensavi
mentre il tuo giorno si accorciava
e la luce si faceva lama sottile
e vedevi le Parche nell’ombra
con le forbici in mano
e la tua mente si apriva in rami
come il delta del Po
che vedemmo nella luce di settembre
salendo sugli argini
e lungo i cortei dei pioppi
chissà qual è stato l’ultimo tuo pensiero
l’ultimo barlume
io l’avrei voluto per me
insieme al tuo ultimo respiro
per farne un talismano contro il male
contro il mondo feroce
dove resto inutile comparsa
che ha perduto il filo
di ogni discorso.
ANDAR VIA
Verrà una primavera
che mi porterà con sé
nella casa delle morgane.
Sarà una primavera inquieta
avara di germogli
e senza tenerezze,
simile a me
selvatica e scalpitante.
In punta di piedi traverserò il mare
fin
dove ha inizio il mondo
e scenderò nel paese dei Cimmeri
dove tu mi prenderai per mano
e mi racconterai dall’inizio
la nostra storia.
San Damiano
Lodato sia tu, mio Signore,
per l’azzurro terso del cielo
che è del
colore dell’anima,
e sia lodato per le nubi a fiocchi
in lana d’agnello
e per l’arco iridato che collega
la terra al
cielo.
Lodato sia tu per sorella Chiara
che vestì un saio d’ortica,
per le mandorle accese dei suoi occhi
trasfigurati
nella preghiera che sfiorava il cielo
salendo come un canto di allodole
al mattino.
Lodato sia tu per il silenzio sacro
delle cime innevate,
dei chiostri dove regna il sigillo
delle voci,
delle solitudini scivolate a terra
come pelli di serpente nella muta.
Lodato sia tu per il sorriso
del santo giullare Francesco
che sposò sorella povertà
e per il magnificat delle sue braccia aperte
nella lode a te, Signore.
Giudizio
Uno
stile originale, mai preda di una retorica fine a sé stessa, ed un racconto che
tesse la vita insieme ai versi, originali e con punte di elevata suggestione ed
efficacia. Efficace anche il titolo che sembra smorzare la consueta
magnificenza verbale dei poeti ma che in realtà nasconde, come in un forziere,
esperienze e parole preziose. (Cesare Davide Cavoni)
A RITROSO
di Marco Mastromauro (Novara)
[Marco
Mastromauro è
nato a Verbania il 12.7.1957. Vive a Novara, lavora a Vercelli. Ha pubblicato
poesie sulla rivista «Alla Bottega» e, dal 1995 al 1999, ha collaborato al
trimestrale di cultura e arte «Contro Corrente». È autore delle raccolte di
poesie: Anime confinate (Milano Libri 1992), Cuba (Ibiskos 1995),
Memorie da un pianeta (Contro Corrente 1997), Eros, Trinidad e altre
poesie"(Oppure 2000), Fraintendimenti (ebook, Prospero editore
2013). Sue liriche sono presenti in alcune antologie come Siamo
tutti un po' matti (Fara 2014).]
RICORDI
Mi
ricordi che lei
aveva oltrepassato le risaie
sotto
il suo ombrello nero
flagellato
dal temporale.
Mi
ricordi che il fuoco sul granoturco
si
era spento in rivoli di fumo
attorno
al suo cammino.
Nella
tua voce risalgono,
della
sconosciuta,
il
grido, l’eco, il passo sul trifoglio
allagati:
risuonano i fiumi in rotta,
i
richiami trafelati.
DAVANTI ALLE MAGNIFICHE ONDE
Davanti alle magnifiche
onde
ai bordi di schiuma
alle nuvole screziate
che
si dissolvono in un
bianco chiarore,
davanti a questo esilio
di corpi e di
attraversamenti,
davanti a lei che
distesa soffia in alto
l’anima minuta, da sé l’allontana,
dalla memoria dei
giorni,
dalla vergogna della
pena,
scorrono fluorescenti
abbandoni e
ovunque tace l’ignoto,
mare imponente,
prezioso,
che oscilla nello
sguardo indecifrato.
LA SPOSA
La sposa ha la mano
aperta
e sul viso un maggio
assolato,
si protende in aria,
all’insù,
il corpo sottile
(malfermi i piedi minuti
incagliati tra il
porfido del sagrato).
Un cerchio è il futuro
di ieri,
un balenio convulso le
risa sbigottite,
la stretta improvvisa,
le lame affilate,
le sepolture, i livori,
i colpi,
i tonfi fraterni,
familiari, cupi, palpitanti,
desolati.
Ora la sposa è risoluta
straordinariamente in
superficie
lancia strali luminosi
dalle memorie
accatastate, rovine di
sequele ammutolite.
“Madonna mia” dammi un
corpo
che scorra cristallino
di lui la guancia
arrossata
le squame del fianco
il sapore oscuro
finalmente un po’ del suo
languore.
A RITROSO
Migrata fino all’incrocio
indenne tra allarmi e
clacson
sul marciapiede in
qualche parte di questa città
ora sta contando a
ritroso
meno sette partendo da
cento
perché più in là s’apre
un vicolo secondario
il bacio al buio e il
tepore
dove fluiva il suo
piede aggraziato
e nessun accadimento.
Perché così l’esperto
in guarigione
l’ha interrogata l’altro
ieri (o forse non ancora)
scrutando sconnessioni
escogitando profezie
per il coro trepidante
lungo le gradinate i
giorni in processione
fino al prossimo
incepparsi del movimento
quando finalmente il
mostro delatore
possente s’alzerà.
Giudizi
La capacità di raccontare storie attraverso la poesia con
grande profondità e con uno stile che mantiene intatto lo slancio poetico anche
laddove la prosa si avvicina nel ritmo. Una raccolta che sfugge dalla consueta
retorica della nuova poesia evitando termini desueti, privilegiando invece il
piano ritmo del racconto in cui i le cose e le persone vengono rinominate e
riportate in vita dallo sguardo della poesia. (Cesare Davide Cavoni)
Una
narrazione compatta e continua, dove ogni testo sembra la naturale prosecuzione
del suo precendente in un concatenarsi di storie e parole. Una raccolta
coerente, all'interno della quale ogni capitolo racconta di un singolo
accadimento, ma nell'insieme è costruita come un preciso meccansimo
sincronizzato dove ciascun ingranaggio, primario o secondario, svolge un ruolo
fondamentale nella sua funzione. (Gianluca Brogna)
Il dolore dello psicopompo
di Giulio Maffi (Buti, PI)
Giulio Maffii ha diretto la collana di poesia contemporanea per le Edizioni Il Foglio
e svolge opera di traduzione poetica. È redattore della rivista Carteggi Letterari. Ha all’attivo diverse pubblicazioni tra cui L’umiltà del poco (2010 Akkuaria) e L’odore amaro delle felci (2012 Ed.della Meridiana) con cui ha
vinto il premio Sandro Penna per l’inedito, e Agli zigomi delle finestre (2013 E.P.C). Nella sua produzione c’è
anche la raccolta di racconti La caduta
del tempo (2008 Il Foglio). Suoi
lavori sono stati tradotti in spagnolo, inglese e romeno. Nel 2013 è uscito per
Marco Saya Edizioni il saggio breve Le mucche non leggono Montale, una
corrosiva visione del mondo poetico. Nel 2014 dopo aver vinto il Premio
Castelfiorentino con Arische rasse –
Novella di guerra. Ha pubblicato sempre per Marco Saya Edizioni Misinabì sua ultima opera poetica. Sempre nel
2014 un suo saggio “L’Io cantore e
narrante dagli aedi ai poeti domenicali: orazion picciola sulla parabola
dell’epos” è stato pubblicato da Bonanno
Editore nel volume Con gli occhi di
Giano. Narrazioni e unità delle scienza umane, a cura dell’antropologo
Paolo Chiozzi, di cui Maffii è stato allievo e collaboratore.
Fammi dormire di un sonno tutto
come se potessi morire tutto
non così di morte a rate
di memorie e pentimenti
Questa cloaca questa chiatta
queste semplici scarpe disossate
Ed ognuno mi porge monete
chiasmi lucide non appartenenze
che più volte li han dispersi
in coda sulle scale
nel grappolo dei vivi
attaccati alla propria terra
Non posso rifiutare la notte
ma solo gli astri
e il calcolo delle mani
Ci sono porte che dite
senza ritorno
ma ogni ritorno presuppone
un inizio una partenza
un saluto con le labbra
quindi accompagno
le memorie fratte
i superlativi del respiro
Ancora le unghie crescono
le conficcate in questo corpo
tra l’osceno e il dimenticato
Non posso abbeverarvi
con il sangue e nutrirvi
senza sostanza e darvi parola
o verbo dissolcato e imploso
cenere e polvere nella suola
come se potessi morire tutto
non così di morte a rate
di memorie e pentimenti
Questa cloaca questa chiatta
queste semplici scarpe disossate
Ed ognuno mi porge monete
chiasmi lucide non appartenenze
che più volte li han dispersi
in coda sulle scale
nel grappolo dei vivi
attaccati alla propria terra
Non posso rifiutare la notte
ma solo gli astri
e il calcolo delle mani
Ci sono porte che dite
senza ritorno
ma ogni ritorno presuppone
un inizio una partenza
un saluto con le labbra
quindi accompagno
le memorie fratte
i superlativi del respiro
Ancora le unghie crescono
le conficcate in questo corpo
tra l’osceno e il dimenticato
Non posso abbeverarvi
con il sangue e nutrirvi
senza sostanza e darvi parola
o verbo dissolcato e imploso
cenere e polvere nella suola
Ho conosciuto l’attimo
l’istante prima della putrefazione
Quante volte avrei voluto
almeno desiderato
presentarti dio
o qualcuno in sua vece
non soltanto la somma il conto
il canto della verginità della morte
il manico della frusta
Ogni giorno ripeto la tua
la mia condanna
l’istante prima della putrefazione
Quante volte avrei voluto
almeno desiderato
presentarti dio
o qualcuno in sua vece
non soltanto la somma il conto
il canto della verginità della morte
il manico della frusta
Ogni giorno ripeto la tua
la mia condanna
Giudizi
Una meditatio
mortis, la morte colta nel momento del trapasso, più che la morte è il
morire che angoscia, la parola si concentra su questa soglia sacra e da lì
estrae un senso allo stesso stare al mondo, per giungere a ciò che si oppone al
morire: lo spasimo dell'amore che desidera di essere oltre l'orizzonte inaggirabile
della fine. (Francesco Filia)
Epico
come un poemetto, la silloge sembra snocciolare parola dopo parola, frase dopo
frase, l'epopea singolare e unica di una sola voce; ma subito l'ingannosi
svela, perché le affermazioni, le dichiarazioni, le riflessioni non sono che lo
specchio profondo di buona parte dell'umanità. L'autore stesso si fa strumento
di mediazione e propone, con un utilizzo
accurato delle metafore, una una catarsi individuale e collettiva attraverso
il suono dolente dei suoi versi. (Gianluca Brogna)
Memorie brevi
di Puccio Chiesa (Castelleone, CR)
[Puccio Chiesa è nato a Crema nel 1976. Ha pubblicato le raccolte
di poesia Vertigini (Libroitaliano 1998) Sopra le righe
(Maremmi Editori 2006) Postumi (Zona Editore 2012). Il romanzo Sonnambuli
(Il Foglio Letterario 2009) e il racconto Honda Dodò, Caffè e
Ammazzacaffè (Fara Editore 2010). Membro della LIPS (lega italiana
poetry slam), nel 2003 fonda con il videomaker Roberto Moroni la Semiolabile Cinematografica che produce video nei quali il linguaggio poetico si fonde
con quello della videoarte e della cinematografia sperimentale. Hanno vinto le edizioni 2009 e 2012 del concorso
internazionale di videopoesia “La parola immaginata” con le opere tempo
sepolto e Bromazepam. Il lavoro della Semiolabile Cinematografica è
documentato anche nel volume Italian Performance Art a cura di
Nicola Frangione, Roberto Rossini, Giovanni Fontana (Sagep Editori 2015).]
poesia orale
ANIMALI
Dove
vanno
questi
animali di montagna?
Dove
batte questo solco,
questo
fuoco che si torce?
Voci
e lame già piegate,
son
giornate disossate,
sono
gli occhi tuoi roventi
che
mi infili nelle ossa.
Sono
qualche lupo in giro
che
lo sbrani, che ti sbrana.
Dove
vanno
questi
cuori macellati
a
cercare il colpo in canna?
Esche
e uncini già smontati,
la
montagna si fa ostile,
taglia
gole e le parole e le mie mani ,
come
cani da riporto.
Non
mi scordo
il
greve greto del torrente,
le
ispidi apparenze della felce tormentata,
delle
bacche che l’estate
vide
in fiamme.
Anche
l’ultimo tornante
sta
sospeso
sulla nebbia
che
lo morde.
Salgo
piano
nel
silenzio
sopra
i larici strozzati.
Se
rimane qualche spettro
la
sua ombra è già nel fango,
sulla
lingua ormai mozzata
la
paura
riconquista
la
sua notte.
Barcollando
stringo
il cielo
e
le sue stelle.
BLU
Nell'etere
scomposto
in
onde radio,
nell'etere
scolpito
serpeggia
fiero
il
veleno del giorno.
Graffia
ferisce
l'orchestra
orticata dal vento,
trattiene
un
nome impossibile.
Ho
sentito
indiani
gridare in cortile,
gremire
l'asfalto imbiancato,
crollare
sul
selciato
le
luci blu
di
una festa agonizzante.
Deserto
di asfalto
che
attraversa i marciapiedi
tempesta
di poche parole
che
affiorano dai tombini,
tempesta
di opachi
colori
incrostati.
Smalti
dilaniano il cielo,
il
vento incarnato sacrifica
ad
ogni respiro.
Il
blu che ho sentito
trafitto
di stelle,
il
blu che ho ferito
mordendo
la pelle,
il
sangue che è uscito
dà
forma alla notte,
riempie
le pagine
di
nuovo tormento.
LA RICREAZIONE DELLA SCUOLA
Se
i buchi neri
non
esplodono alla luce
della
perifrastica attiva,
la
scienza esatta
distratta
da
cattivi maestri...
milioni
di cellule
a
lezione di Patafisica.
Domani
non voglio pensare
ai
dolori del giovane Werter,
putrefatti
cipressi foscoliani
tengono
in ostaggio
la
sera dipinta di viola,
la
testa di Dino Campana.
Domani
non voglio morire
nella
noia manzoniana
sciacquando
i panni in Arno,
nella
sera fiesolana,
nella
notte dei cristalli,
nella
sbornia dannunziana.
Il
tema qui in oggetto,
il
saggio breve,
la
repubblica di Weimar,
ma
le scuole di pensiero
sprofondano
ad ogni riga.
Manifesti
espressioni
dadaisti
alla
radice
Giudizio
Una
poetica che descrive le radici profonde del sentire, che racconta con versi
tersi e calibrati il rapporto segreto tra stati d'animo, sensazioni e
sentimenti. Nella scrittura spesso gli aggettivi e i sostantivi diventano
strumenti sintattici che rafforzano la tensione lirica fra osservazione e
riflessione; i toni si fanno aspri e ruvidi e implementano la tensione
narrativa presente in ogni singolo testo. (Gianluca Brogna)
3^ classificata
LA MADRE – IL PADRE E IO
di
Claudia Piccinno (Castel Maggiore, BO)
[Claudia Piccinno, laureata
in Lingue e Letterature Straniere, solo dal 2011 inizia a partecipare ai
concorsi letterari e ad ottenere numerosi riconoscimenti. Presente in circa
cinquanta raccolte antologiche, già membro di giuria in, sei premi letterari a
carattere nazionale e internazionale. Ha al suo attivo le seguenti
pubblicazioni: La sfinge e il
pierrot, Aletti Editore, 2011; Potando l’euforbia in Transiti Diversi, Rupe Mutevole
Edizioni 2012; silloge Il soffitto, cortometraggi d’altrove, La
Lettera Scarlatta Edizioni 2013; versione tradotta in inglese Il soffitto, cortometraggi d’altrove, La
Lettera Scarlatta Edizioni 2014; in serbo Tabahnha, ed. Majdah 2014.]
Gli occhi delle spose bambine
Gli
occhi neri
delle
spose bambine
son
schegge d’ebano
per
le vecchie comari.
Cantan
quegli occhi
il
gioco perduto,
la
nostalgia
dell’infanzia
innocente.
Parlano
quegli occhi
di
stupri subiti
e
narrano tristi
di
vecchi mariti.
Piangono
gli occhi
delle
spose bambine
da
una fessura
concessa
al vestito.
Un’altra
di loro
nel
sangue è perita,
ora
è una bambola
senza
vita.
Crocefissa di spalle
Volute circolari nelle
calunnie altrui
la misero di spalle su
una croce.
Morì così,
lapidata dalle menzogne,
vilipesa dalle comari
della sua scorta.
Fiera il suo sguardo
rivolse all’Eterno,
per tutte le streghe
finite al rogo,
per tutte le martiri
della mediocrità altrui.
Negò il suo sorriso a chi
la additò,
indossando il burka della
sottomissione.
Se ne andò così… crocefissa di spalle.
Per una scala obliqua
Per una scala obliqua
ho attraversato il mondo
sfiorando l'erba in terra
puntando a un desiderio.
Nuvole spumeggianti
confondono il sentire
e a piedi nudi inciampo
nei limiti dell' uomo.
Ma saldo é il mio sospetto
e il dubbio mi sostiene
che nulla é sempre vero
di quanto ci perviene.
Raddrizzerò la scala
e sola capirò
come aspirare i venti
senza ruotare l'asta.
ho attraversato il mondo
sfiorando l'erba in terra
puntando a un desiderio.
Nuvole spumeggianti
confondono il sentire
e a piedi nudi inciampo
nei limiti dell' uomo.
Ma saldo é il mio sospetto
e il dubbio mi sostiene
che nulla é sempre vero
di quanto ci perviene.
Raddrizzerò la scala
e sola capirò
come aspirare i venti
senza ruotare l'asta.
Giudizio
In questi versi è
rappresentato l’universo femminile con i suoi drammi, i suoi sogni, le sue
aspirazioni, i suoi desideri di tenerezza, il suo dolore. Dalle spose bambine
alle vittime di ingiustizie e di atavici pregiudizi; da chi è irretito da false
promesse a chi protegge tutti i clandestini dall’inganno e dal dolo. Varie e
diverse queste presenze, ma tutte alla ricerca del senso della vita; alcune
scoprono nella preghiera il vero antidoto all'altrui indifferenza. L’autrice, esitante
e guardinga, nell’incedere randagio, solca i mari della memoria, nel
riconoscere le sue ansie nei passi stanchi delle madri. (Teresa Armenti)
4^ classificato
FATTISPECIE
di Nicola Lorenzetto (Vedelago, TV)
[Nato a Castelfranco
Veneto nel 1980, Nicola Lorenzetto vive nella pianura veneta tra Padova e Treviso. Ha conseguito
una maturità classica e una laurea in biologia. Si appassiona di arte, di India
e di mare. Attualmente ha un lavoro fisso nell’ambito della cosmetica. Suoi
testi e poesie sono stati pubblicati da Fara e da LiminaMentis.]
Carezzevole luna che cadi
nel pozzo e non se ne accorge nessuno.
Il recinto di casa ti
protegge, a notte fonda un gatto fa le fusa mentre dorme nel mio giardino e sei
proprio tu
qui nel buio nascosto
nei fiumi sommersi
negli amori andati
rimani tu, luna.
E così ci siamo ritrovati
nella stratosfera. Da qui la terra è piena di rughe, placida. L’amore è un moto
fisico che attrae inesorabile venti opposti. Generiamo fulmini, pura energia,
uragani. Dalla terra non possono capire e ci dicono: basta. Ma noi non siamo
mai esistiti, per questo ritorneremo sempre. Siamo l’attrazione incontrollabile,
siamo la lotta che genera la vita. Il nostro abbraccio avvolge le pianure, le
grandi montagne, i fiumi fino al mare.
Potevo essere satellite
oppure stella oppure
Giove
divenire
pianeta visibile da qui
atmosfera di ghiaccio
luce cordiale
là tutto solo
il fuoco si spegne
stella a metà.
Giudizio
La silloge si presenta
come un tentativo disperato di trascrivere i gesti di un quotidiano caotico e
banale, del quale è intrisa la nostra esistenza. La scrittura si confonde tra
ricordi di ieri e la scarna lucidità di oggi. Nella fattispecie, si tratta di uno sguardo innamorato che
paradossalmente si rivela un punto fermo, assiduo riferimento di ingenuo
sognare per poter sfuggire a quello scalpore fatto di mera logica di tornaconti
economici e effimeri piaceri della società del consumo. Si può morire di
pigrizia del pensiero e non rendersi assolutamente conto delle opportunità
della vita, così come la verità ci può attraversare di colpo e non essere
capaci di cogliere le sue sfumature: Carezzevole
luna che cadi nel pozzo e non se ne accorge nessuno. Oltretutto, rischiamo
di dimenticare che l’amore può, compiendosi all’infinito
per accendere lampi e bagliori che solo i sensi addestrati del poeta possono
cogliere: Dalla terra non possono capire
e ci dicono: basta. Ma noi non siamo mai esistiti, per questo ritorneremo
sempre. (Griselda Doka)
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