giovedì 27 agosto 2015

Il luminoso abbraccio della Croce




Castelsaraceno, in provincia di Potenza, è una comunità antichissima che cela nel suo grembo riti greci, pagani e cristiani. Il rito delle stagioni riverbera nell’appuntamento naturalistico della ndenna (leggi: antenna): taglio del faggio più grande nel cuore del bosco da parte degli anziani della comunità, trasporto e innalzamento nel centro cittadino, dove avranno luogo i festeggiamenti intorno al “totem” (in altri luoghi campani: festa del Maio, dei Gigli, del carro del Grano).
Memore delle sue radici lucane, il fervido scrittore e filosofo Vincenzo Capodiferro ha incluso nella sua produzione libraria il volume Golgota (Cavinato Editore e-book, 2015) che reca nel sottotitolo: “meditazioni sulla passione di anonima devota”, corredato dall’epigrafe: “A Teresa Armenti: noi vediamo una croce invisibile che svetta / sul poggio Castelveglio e lenisce i nostri tormenti. / È la croce che Teresa voleva porci a guida della retta / via. E vediamo una nobile via crucis / che sale sul monte diretta. / È la nostra via lucis. / Questo è il nostro Calvario, / che ci addita al cielo vario, / dall’altro lato c’è il cimitero: / è l’altro mondo, quello vero! / Da lì sempre, i tuoi genitori, / o Teresa, rivolgono a te i cuori.” (pag. 1).
Il Nostro, attualmente professore di Lettere e filosofia nei licei della provincia di Varese, ha presentato la sua ultima fatica nella Sala Consiliare di Castelsaraceno, gremita di compaesani, parenti e dei suoi primi insegnanti. Il sindaco, dr. Rocco Rossano, ha presentato all’uditorio l’illustre emigrato, seguito dalla professoressa Teresa Armenti e dalla presidente della Pro Loco Carmela De Mare. Le giovani laureande in Filosofia presso l’Università degli Studi di Salerno hanno letto brani e intessuto un fitto dialogo con l’Autore ed il pubblico.
Il sogno di Teresa Armenti di vedere innalzata sulla cima della montagna, che svetta sul centro storico di Castelsaraceno, non accettata nel 2004, una croce luminosa è oggi divenuto l’invito rivolto dallo scrittore all’intera comunità d’origine affinché venga tradotto finalmente in realtà. La spinta non è solo devozionale, quanto fortemente attuale contro le violenze, le persecuzioni e l’egoismo sociale imperante agli inizi di questo nuovo secolo.    
Capodiferro ha tradotto in parola il fuoco mistico che lega le pure radici cristiane della sua comunità al simbolo millenario del riscatto dalla morte: la Croce di Cristo.
La ripresa filosofica di questo profondo atto d’amore è da ricercarsi sempre nell’epigrafe: “(…) L’amore e la morte sono talmente uniti nella passione / del Salvatore che non è possibile avere nel cuore uno senza l’altro” (pag. 1). Il Nostro è alla continua ricerca di testi antichi; alla scoperta di pensatori che l’hanno preceduto; alla diffusione del pensiero cristiano che si riscopra in una Chiesa protetta dall’immagine di “Santa Maria della Purità”. La copertina del tomo, che conta più di cento pagine ricche di citazioni, commenti, riflessioni, riprende la tela di un pittore anonimo del XVI secolo riproducente la Crocifissione, contenuta nella chiesa madre Santo Spirito di Castelsaraceno.
Alla presentazione non ha voluto mancare la Casa Editrice Fara di Rimini, da anni vicina alle comunità cristiane presenti in Italia e nel Mondo, recando in dono le sue pubblicazioni che hanno dato vita in precedenza alla nascente biblioteca della Pro Loco, diffuse tra gli intervenuti alla presentazione, facente parte del “Salotto Letterario” organizzato dalla Pro Loco di Castelsaraceno.
Le professoresse Teresa Armenti e Ida Iannella, che hanno accompagnato l’Autore negli anni della scuola dell’obbligo, hanno raccolto con gioia il ritorno del loro alunno divenuto un collega capace di trasfondere la ricchezza delle sue radici lucane nella realtà letteraria nazionale.

Le nuvole che sono: Simone Zanin

Se da lontano ancora giungessero i rintocchi aerei delle campane dei borghi che erano sparsi in questa valle che passa tra due meridiani, se si potessero ancora sentire le grida dei bimbi e i richiami delle donne, se ancora scorresse acqua in questo letto di pietre e ciottoli e non solo vento che inaridisce e trasporta suoni inumani. Se le case non fossero mute e le strade immobili. Se ancora ci fossero parole. Parole, sì, parole. Saprei che l'attesa è finita e non sono solo in questo percorso, che il destino si sta compiendo e siamo fianco a fianco di fronte al nemico.
E invece si accavallano solo gli echi lontani nel tempo e nello spazio delle campane a morte, i battiti che presero a riverberare secoli fa e ancora non si spengono nel vento che spazza questa valle nera e arida. Che non ha alberi, né case, né rifugi. Questo impluvio che non ha forma e ha solo una residua consistenza liquida. Ed è un enorme abbraccio infido. Un ininterrotto inseguirsi di bande riarse, dove l'unica pioggia è un piscio acido e sterile che dissecca la terra, attraverso il vetro di questo treno che trafigge l'ultima valle, tra le colline attorno ai luoghi delle battaglie, che mi porta verso un confine ignoto e che affolla i miei sogni ogni notte. Un confine rosso, di sangue e cadaveri in mezzo a moltitudini che si illudono di dimenticare danzando, nelle notti alterate.

Un confine di parole disperse.
Di attimi.
Di occasioni mancate.

Simone Zanin

(da Nuova Vandea, Edizioni Officine Ultranovecento, 2013)


lunedì 24 agosto 2015

Un serrato gioco di specchi sprigiona l'energia delle parole: su Orme intangibili

recensione di Guido Benzi


Da qualche tempo, oltre ad un certo generale ritorno della poesia, si assiste anche al fenomeno non meno interpellante dell’uso della poesia all’interno della riflessione teologica, come attestano – ad esempio – le raccolte del biblista e teologo gesuita Jean-Pierre Sonnet (Il canto del viaggio, Qiqajon 2009; La scorciatoia divina, Ancora 2013). È in questa linea che si colloca il breve, ma significativo poema di Alessandro Ramberti Orme intangibili (Fara editore, 2015).

Raccontami di te, del tuo cammino,
di ciò che opprime il cuore o lo dilata
del senso che ti sembra incomprensibile
della felicità legata al vivere.


Se l’esistenza umana è un cammino, una inesausta ricerca di senso, Orme intangibili racconta al lettore di questo pellegrinaggio non solo attraverso la voce poetica narrante, ma anche con l’intreccio non banale di ulteriori voci: citazioni di autori, ideogrammi cinesi, raffigurazioni a tratteggio che puntualmente accompagnano senza appesantire il dialogo interiore. Sì un dialogo, non un monologo: la scelta di una particolare metrica (quartine di endecasillabi, intercalate da versetti unici posti tra parentesi e legati in rima) esprime proprio questa duplicità in cui il soggetto dà corpo al suo pensiero e contemporaneamente ne considera il contrario, in un serrato gioco di specchi in cui si riflette una forma ed il suo opposto.

Ho detto poche cose e ciò che ho fatto
può essere riassunto in un vocabolo
che esprima la tensione dell’arciere
il cui bersaglio è interno ed inesatto.

(C’è un’utopia che sana.)

Nell’intimo Agostino trova pace
facendosi obbediente alle Scritture
io mi risulto trasparentemente
mancante in molti sensi e pervicace

(la confessione è piana)


Ma la forma non soffoca il pensiero, anzi gli dà forza, lo struttura, ne mostra le mille sfaccettature, rendendolo appunto, poetico. Si avverte, nei versi di Ramberti tutto il dibattito degli ultimi duecento anni, tra scienza e fede, tra le ragioni della mente e del cuore, tra la rappresentazione oggettiva della realtà e le sue interpretazioni fenomenologiche. Si viene così trasportati ad assistere a quel solitario dialogo che è in ogni credente, ed anche in ogni non credente, tra le ragioni della fede e quelle della sua negazione, tra le ragioni della speranza e quelle del nichilismo. Un dialogo al quale tutti possono partecipare senza censure e senza pregiudizi.

Il vero e il falso sembrano reali
solo per realizzare gli algoritmi
dei mondi digitali. I sentimenti
si perdono e non scavano i fondali 

(le superfici brillano)

per correnti feconde. I palcoscenici
hanno tavole deserte. Lo spirito
del tempo sembra un nano inconsapevole…
Si ascoltano messaggi schizofrenici


Va sottolineato come l’esito di questa ricerca non sia il relativismo dolciastro ed eclettico di tanta letteratura contemporanea. Il discorso poetico di Ramberti, che rimane all’interno di un raffinato lirismo, nutre il suo vigore più che attraverso la pedante ripresentazione di concetti e teorie, con la forza delle singole parole e con l’energia che sprigiona dal loro accostamento (probabilmente qui si vede la sua non comune conoscenza della lingua e della letteratura cinese e dell’oriente estremo) per cui vicino ad un lessico esistenziale ed affettivo, vengono senza timore accostati termini desunti dal linguaggio tecnico e scientifico:

Il pensiero è memoria dei neuroni
attivi nel cervello o porta in sé
la traccia sorprendente dello spirito
di una destinazione oltre gli eoni?


Si coglie nell’opera di Ramberti la promessa di lavori più ampi e ancor più maturi, una sorta di moderne Confessioni sulla inesausta ed inesauribile ricerca di senso che di nuovo sfondi la nebbia del dubbio con il coraggio e la forza delle domande importanti.

venerdì 21 agosto 2015

Appunti su Oltre il margine di Sergio Pasquandrea

di Caterina Camporesi


L’opera, vincitrice del concorso Faraexcelsior V, è corredata da alcuni disegni dell’autore, fra i quali due autoritratti presenti in apertura e chiusura  del libro.
Intrigante il titolo Oltre il margine che   può anche suggerire il superamento del limite e  l’apertura al possibile.
I testi conducono il  lettore  nella quotidianità ripetitiva e insofferente per  offrirgli, tuttavia,  bagliori di spaesamento e di bellezza: … la poesia / non chiede svolgimento o evoluzione / è un attimo immobile la poesia/ e i labbri  della ferita rifiutano di accostarsi.
L’ironia fa capolino tra  spazi di versi serrati e tesi: quante vite occorrono per farne una?
Il sentiero di un quotidiano che paralizza il dinamismo della ricerca di altro invoca la scheggia di luce  per sconfiggere la paralisi e continuare  ancora il cammino.
La quotidianità in questo libro entra in punta di piedi in modo soffice e rispettoso, come i volti, i gesti e il mondo interiore di tanti giovani che hanno il privilegio di avere un insegnante tanto accorto e empatico:  In fondo lo sanno anche loro / è sempre o troppo presto o troppo tardi / c’è sempre un passo in più o in meno / una parola che non si fa in tempo a dire.
Il primo e unico capello bianco, dopo la sorpresa, porta  all’accettazione del tempo che passa e la presa di coscienza si integra nell’accettazione di entrare in una nuova fase della vita.
Il lapsus “essere felce” anziché “essere felice” nel testo Enigmista dell’Es conduce  il poeta a interessanti riflessioni circa la condizione umana.
Un libro,  questo di Pasquandrea, che  si caratterizza per profondità, cultura, esperienza e umanità, la cui lettura è consigliata a quanti vogliono avvicinarsi a una poesia che si caratterizza nel segno del vero.   

giovedì 20 agosto 2015

Le nuvole che sono: Gabriele Via


Lo stupore forse ha un profumo.
Non lo sappiamo. Se parliamo di oblio,
ognuno ha subito in mente qualcosa,

che se andassimo a verificare
sarebbe differente in tutto per ciascuno.
Eppure per tutti questo è l'oblio.

Ogni volta che sentiamo il nome
dell'oblio ci ricordiamo qualcosa,
chiaro e profondo che in silenzio attende
l'intimo gesto di una nostra risposta.

Così è il cielo, sovrastante, inattingibile;
così sono le nubi, verità senza nome,
motrici di una ricerca di senso.
Come fumo devoto per l'incenso.

Gabriele Via

21 luglio 2015

(inedito)



lunedì 17 agosto 2015

La traccia esigibile dell'anima: su Orme intangibili

recensione di Elena Varriale

Esiste un punto d’incontro tra ragione e fede? Come e dove la logica razionale, matematica e scientifica abbraccia la teologia, fino a fondersi in un’unica illuminante verità? Può la parola avvicinarsi e tentare di spiegare l’intangibile? Qual è la traccia esigibile dell’anima? Sono queste le inquietudini o le domande esistenziali sottintese all’ultima silloge Orme intangibili del poeta Alessandro Ramberti.

Un libro complesso che proprio nell’originalità della forma (le quartine in rima sono sempre chiuse da un verso tra parentesi e da una parola conclusiva scritta in cinese che sintetizza il pensiero poetico, nonché citazioni finali di altri autorevoli autori che creano dialoghi e confronti) consente al poeta di esprimere tutti i dubbi, le illuminazioni ed il contatto necessario con altre culture e riflessioni. Il messaggio è chiaro: Babele non disperde, ma avvicina.
Orme intangibili è un libro sulla fede che non asserisce e non regala certezze, indica solo una strada, quella delle tracce del divino per ritrovare la gioia del vivere. Vengono a sostegno del Nostro le parole di Vittorio Messori: “Solo un Dio che si propone con segni, indizi, tracce, impronte e che non si impone, apparendo sfolgorante nella Sua gloria, può instaurare con le Sue creature un rapporto libero e non una dipendenza necessaria.”

La fede, dunque, non è una dipendenza, ma la consapevolezza raggiunta nel cammino della vita. E non a caso la silloge di Ramberti inizia con una premessa (p. 13): “Esistere è la forma continuata / dell’essere nel mondo temporale” per finire con “ricorda che se cerchi la tua strada / è necessario prima che ti perda.”

È la vita, l’esserci, l’ombra intangibile per eccellenza, la misura di tutte le cose e di tutti i pensieri. Ma il poeta sa che la vita oscilla sempre come pendolo tra bene e male, tra incanto ed incubo, tra dubbio e verità, tra il perdersi ed il ritrovarsi. Ed è per questo motivo che nel prologo del poemetto, Ramberti spiega quale sia il “lume” che ci rende effettivamente vivi: “il veleno del male nei ventricoli / rallenta la sua corsa quando ami”.

L’amore è quindi la strada da percorrere, quello che: “porta l’anima all’inizio / l’abbraccio cuore-spirito è tatuato / nelle membra che l’hanno sostenuta” (p. 37). L’amore, “la carica potente di perdono / che sfolgora inchiodata sulla croce / sul Golgota che ha smesso di tremare” (p. 14), l’esempio del dono offerto con il sacrificio della carne, la traccia, l’orma che rende vera e possibile l’anima.

Dare più che ricevere, aprirsi e non chiudersi all’altro: è questa la vera gioia del vivere, l’orma lasciata nel presente che apre le porte all’eternità: “Ritrova il lato semplice e giocoso / la meraviglia dentro il quotidiano / la scheggia di diamante fra i tuoi cocci / il lampo dello spunto ardimentoso” (p. 36).

Semplicità e coraggio, solidarietà e perdono: sinonimi di una scelta di vita che unisce e spiega il libero incontro dell’amore con l’anima. Un cammino o percorso in cui, come spiega Ramberti, “Puoi verificare / la trama che disegna il tuo tragitto / il fatto che sei più di quel che accade: / se sbagli direzione puoi cambiare” (p. 39).

Ci sono libri che lasciano dentro una densa scia di pensieri ed emozioni e la lettura di 
Orme intangibili è senza dubbio un arricchimento per l’anima e la ragione. È un percorso di fede fatto di dubbi, ombre, ferite, schiarite e luci. Un percorso difficile e faticoso, in cui come ha spiegato il premio nobel per la pace Dag Hammarskjöld: “Solo la consapevolezza raggiunta nell'inseguire la struggente luce interiore ci permette di comprendere cosa sia la fede.”

Oltre il margine di Sergio Pasquandrea

recensione di Angela Caccia pubblicata su Il Ciottolo
Opera vincitrice del Concorso Faraexcelsior V Edizione

Fin dalle prime liriche mi era frullata un’idea sul loro sapore, idea che continuavo a rigettare, pensavo riflettesse la paranoia di alcuni poeti cattolici: il voler intravedere, a tutti i costi, stratificazioni di cristianesimo. Infatti, così non è, ma riaffiora un tema che prepotentemente lo richiama, un’assenza/presenza racchiuso in un che di malinconico, a tratti nostalgico: l’infinito. Aria fritta la mia – si dirà –, è nostalgia che affligge la stragrande quantità di poeti e artisti. Ma qui – obietto io – ha come colorazioni –splendide caleidoscopiche - tutte sue, perché pare – pare… – che nemmeno lo si cerchi quell'infinito, eppure… di lui qualcosa accade. Varrà bene una metafora su questa poesia e il suo autore per inquadrarlo al meglio: un aquilone, vive con pienezza il pezzo di cielo assegnatogli, fin troppo consapevole del suo guinzaglio.

È poesia che si srotola tutta su un gioco sottile, estremamente elegante, a tratti ironico in altri drammatico. Non c’è lirica, non un distico, che non nasca da un ampio o minuscolo pezzo di realtà, per lo più quotidiana – la più difficile, quella fatta di piccole cose che, se incastonate nell’arco della giornata, ti restituiscono un senso di pienezza, quasi un premio di cui ti stupisci: non hai fatto nulla di epocale e, forse, è proprio in ciò il tuo atto eroico: nell’averlo fronteggiato ed essere uscito indenne da quel quotidiano e la sua morsa.

Macchie

“Non vanno via” dice “rognose
sono ostili ai detergenti
e il trattamento rovina i tessuti.
Dovrò farle il sovrapprezzo.”
“Ma è sicuro che per forza? In fondo
il colore non è dirimente
e nemmeno la posizione rafforza
l’ipotesi”. E poi non dico:
quale sarebbe stata la traiettoria
quale la tangente alla pelle nuda
in uno di quei grigi compatti del crepuscolo
quando sei così prossimo alla rivelazione?
“Dia retta: vuole mica che non sappia
riconoscere il sangue?”. Non voglio:
ma lo stesso rifiuto di accettare
la perdita meglio pensare
che i fonemi guariscano le cesure
possano sempre suturarsi
che basti una sinalefe
o dell’acqua ossigenata.


Il vuoto

Lori in giardino con la bicicletta
traccia spirali d’acqua sul selciato:
il suo gioco è la scia
che subito svanisce
è la ripetizione del miracolo.
Il mio è in questi segni
scesi a macchiare il vuoto
a violare il silenzio.

Dal verso – e non so come faccia – cadono allusioni mediate implicite sommerse, quasi uno dei suoi carismatici chiaroscuri che lasciano a chi li vede – in chi lo legge- il compito di trovare i colori di cui, comunque, con un tratto, lascia tracce. Così ti ritrovi a vagolare con lui, l’autore, e frugare tra le cose … un oltre – il margine, termine che completa i titolo, Sergio lo conosce bene, è suo è nostro, ciò che veramente affascina e ci tira dentro la sua poesia, è solo un modo -un fare poetico- così particolare di raggiungere, in qualche modo, quell’oltre.

Il linguaggio di una disarmante semplicità –prerogativa dei grandi che Raffaele Lacapria ha magistralmente sintetizzato nella sua teoria dell’anatra- acquista piano il timbro di una voce che il lettore riconosce subito perché intima, così familiare: ogni lirica pare abbia la stessa intestazione e un solo destinatario: caro me... Ma in quel “me” il Nostro riflette una strabiliante campionatura di questa umanità. La potrei tranquillamente definire una silloge terapeutica nella misura in cui rende solidali col resto del mondo e, con lo stesso, ti rappacifica.

Liriche – da leggere tutte e, poi, rileggere – che si presentano come piccole grandi e soffuse rivelazioni. In una, È questo l’esilio (pag. 20), mi pare di intravedere, nell’ultimo verso, la definizione di infinito:

(Ciò che possiedo è ciò che più mi manca
ciò che ho intravisto premere la stoffa
senza poter mai completare il gesto).

Eppure a me sembra che, in qualche modo, quel gesto Sergio lo completi: così calato in una sorta di mistero caldaico, qualcosa di lui migra da un sé, che gli sta stretto, verso un Tutto, qui ruba i suoi spunti, li impasta con la sapienza che lo connota e ci rende più ricchi di una grande poesia.


Il mio Delta e dintorni di Colomba Di Pasquale finalista al Premio Scriviamo Insieme!










Premio Letterario Nazionale 
Scriviamo Insieme Quinta Edizione 
Indetto e organizzato da Associazione Culturale Scriviamo Insieme




SEZIONE E – RACCOLTA DI POESIE EDITA 

MAURO MONTACCHIESI di Roma con “Làbrys-Opus Hybridum de Labyrinthismo” Aletti Editore 

CARLO DI BIAGIO di Roma con “Roma, poesie in posa” Casa Editrice Kimerik 

MARINA PIERANUNZI de MARINIS di Pescara con “Fili invisibili” Il mio libro 

PIERANGELA FLERI di Erice Casa Santa (Trapani) con “Parole mute” Edizioni L’Oltre 

GIOVANNI BOTTARO di Molino Del Pallone (Bologna) con “Riflessioni minime” Prometheus 

RITA MUSCARDIN di Savona con “La memoria del mare” Bacchetta Editore 

COLOMBA DI PASQUALE di Recanati con Il mio Delta e dintorni Fara Editore 

VIOLETTA TRACLO’ di Travesio (Pordenone) con “Le rondini con te” Campanotto Editore FRANCESCO 

FEDERICO di Bagheria (Palermo) con “Le ali d’argilla” Edizioni Helicon 

GIOVANNI MINIO di Roma con “Andirivieni” D’Orazio Editore

giovedì 13 agosto 2015

Le nuvole che sono: Alessandra Racca



Gea

Come sono i tuoi fondali?
E dove si incontrano le correnti del tuo mare?
Quanti satelliti hai?
E quando si compiono le tue eclissi? (eclissi totali?)
Di cosa si alimenta il tuo sole?
Dove sono i tuoi ghiacci?
Lo sai che ho un giacimento nascosto d'oro bianco? (nemmeno io ho ancora scoperto dov'è)
Lo senti il lavorio degli insetti nei prati?
Hai una foresta di querce?
Il tuo clima è abbastanza mite per i pini marittimi?
Ho una magnolia gigante, sai?
Potrei sapere dove vive il tuo animale più raro?
Ti va di ascoltare il mio silenzio?
Credo di aver visto uno stormo di gru cenerine riempire il tuo cielo - migravano, vero?
Ascolta, le rondini lanciano gridi altissimi dentro i miei tramonti (diventano un po' matte la sera)
Il tuo mondo ha grandi città?
Posso venire per un'estate intera sulla tua spiaggia di sassi bianchi?
Ti piacciono i miei scogli?
Scogli rossi.
Ci tuffiamo da qui?

Alessandra Racca

(da L'amore non si cura con la citrosodina, Neo Edizioni, 2013)








martedì 11 agosto 2015

Poesia: questo andare oltre l'immagine

recensione di Bonifacio Vincenzi

dal Blog Il sogno di Orez
v. anche Il ciottolo



Sguardi, odori, canti, immagini, fantasie, stupori, pensieri e quella voce silenziosa che sboccia nel biancore della pagina per farsi parola che rimane,  che va oltre  i vincoli dell’appartenenza, pronta ad accendersi ad ogni carezza di nuovi sguardi, nuovi mondi, nuovi destini. Specchi, specchi e ancora specchi perché la vita della poesia è questo andare oltre l’immagine, è questo ritrovarsi nella casa dei poeti dove la persistenza del tempo si dilata perché da loro, come canta Emily Dickinson, “sempre/ è fatto di tanti adesso,/ non è un diverso tempo/ salvo per la sua infinità/ e per l’estensione della sua casa.”

La casa di Angela Caccia, in questa bellissima raccolta di poesia, Il tocco abarico del dubbio (Fara Editore), “è svegliarsi/ tra le coperte del mattino/ le più calde// fuori/ un pigolio di pioggia/ il balbettio cadenzato/ nella pozza// i rami gocciolanti/ già carichi di notte/ pesanti d’acqua// il silenzio dei passeri/ l’umore mesto delle foglie/ s’acquatta la lumaca/ la terra che allatta/ goccia a goccia.// Dietro le palpebre/ in riflesso/il mio cosmo// il posto delle cose/ odori e rumori di casa/l’angolo del pianto/ sulle pareti profili dinamici/ statici pendono i ricordi// alle nebbie del fuori/ un piacere asciutto/ come una chiarezza/ in un perimetro di tempo/ ho coltivato un campo a spaglio/… pare buona la sementa.” (La casa)
 
Percezioni sensibili di rara bellezza, il cuore colmo; in un attimo milioni di istanti rivivono nella somma di tutti i sentimenti e nella forza generatrice della poesia.

Niente è più impressionante, nella poesia di Angela Caccia, di questa sorpresa di fronte al silenzio che parla, per cercare di colmare il vuoto infinito di tutte le età che le appartengono.

Attorno a noi, l’invisibile. Ma il nostro sguardo cerca nelle parole quella vita che è passata, quella vita che riguarda tutti noi, diversa, ma nell’essenza, così uguale, così piena del nostro essere altrove.

Dentro e fuori. In quanto lettori possiamo muoverci all’interno della sua casa, avvicinarci magari all’angolo del pianto dove il dolore sospeso senza forma assilla il rimorso dei vivi.

O, invece, riempire la finestra per vedere scorrere le quattro stagioni: pioggia, pioggia e ancora pioggia, l’ammasso di venti, le notti d’estate, le albe, i tramonti, il suono silenzioso della neve…

Dentro e fuori mentre negli strati del tempo il dubbio è uno strano piacere per nascondere inquietudini e paure e andare avanti, con la propria vita, quella scomparsa e quella ancora viva.

Alla fine ciò che Angela Caccia chiede a sé stessa, a coloro che le vogliono bene, ai suoi lettori è di restare insieme al di là dei dubbi, al di là delle certezze che nessuno potrà dare mai a nessuno, perché insieme …nell’ultimo spicciolo di notte/saremo noi l’aurora/ gli occhi puntati ad est/ e il fiato corto.

lunedì 10 agosto 2015

Versi di conoscenza

recensione di Giorgio Casali

Sergio Pasquandrea 
(Fara Editore, 2015)

Ricordi? Faticavi a capire
come potessi non provare nulla
di fronte allo splendore dorato
di una modella nuda. Io ti spiegavo
che sotto la matita un capezzolo
o un sasso si equivalgono
che il mondo è una foresta
di forme da decifrare.

Un libro sulla conoscenza questo di Sergio Pasquandrea, vincitore della quinta edizione del premio Faraexcelsior, poeta che indaga, che “guarda di profilo” la pelle alla ricerca di una “sagoma precisa” o “anche solo una forma riconoscibile”, siano osservazioni colte prima del suono della campanella o tentativi di ricomprendere il linguaggio, di “fermare la fuga della sintassi”.
E certo il motivo – non tanto la forma – ricorda Montale, sguardo d’occasioni che “non chiede svolgimento o evoluzione” ma, da un punto fermo, ritrova “l’attimo immobile della poesia”; almeno ciò che a chi scrive interessa.

Tutto potrei accettare
ma non questo affacciarsi sulla soglia
soltanto per saperla invalicabile
questa distanza che separa i petti
e rende così inutile l’abbraccio.

Impresa faticosa, a tratti violenta, “Le ossa urtano i muri / per eccesso di visione” che non pretende risposte, ma epifanie quotidiane, affilamento dei margini.
È la sezione numericamente minore, “Intermezzo”, che non a caso occupa una posizione centrale, quella da innalzare a sintesi e compendio di questa riuscita raccolta. Tre poesie in cui, come in modo definitivo, si arriva a conclusione, alla “linea indifferente / Dall’oggetto alla palpebra”, alle “identiche traiettorie”, insieme presupposto e risultato.
Il margine è davvero un limite che tradisce il titolo stesso del libro, oltre il quale non si può andare? Pare di sì. Così come pare che, al limite, l’unica possibilità sia regredire, togliere qualcosa, limando internamente il desiderio – e la parola – fino al ritorno primordiale, “all’eternità minerale”.

Quel che volevo scrivere
era: “essere felice”.
È uscito fuori invece: “essere felce”.
Il lapsus mi denuncia un desiderio
inconscio di regressione pre-umana.
Resta adesso da prevedere il prossimo
scarto. La “elle”, forse?
Dopo il bolo ed il chilo
tornare parte del tutto sostanza
vivificante. In fondo
non sarebbe nemmeno tanto male.

Continuare a scrivere, allora, per parlare d’altro, evitare quelle traiettorie acquisite e salvarsi dall’inutilità del tutto, dal senso terribile che è “la pagina vuota”, unico sbocco possibile, secondo l’autore, su ogni margine semantico.

Vincitori Premio Agostino Venanzio Reali 2015

14º Premio Nazionale di Poesia 


La Giuria del Premio Nazionale di Poesia “Agostino Venanzio Reali”, organizzato dall’omonima Associazione Culturale, composta da Bruno Bartoletti (Presidente), Roberta Bertozzi, Narda Fattori, Sonia Gardini, Gianfranco Lauretano, Maria Lenti, Anna Maria Tamburini, comunica i risultati del premio.

Sono risultati vincitori:

Sezione A – Poesia Adulti (Premi: € 1000,00 – 500,00 – 250,00, pergamena con giudizio critico):

1º Premio GUERRAZZI CORRADO di Casciago (Varese) con la lirica L’Appennino.
2º Premio COLONNA VALENTINA di Baldissero Torinese (Torino) con la lirica I viali di Torino.
3º Premio RAMBERTI ALESSANDRO di Rimini con la lirica Sulla strada verso Damasco.

Premio speciale della Giuria (pergamena):
BREGOLI FABRIZIO di Cornate d’Adda (Monza Brianza)), con la lirica Sapere di te
FEDELI IVAN di Ornago (Monza Brianza), con la lirica Palazzi. Agenzie delle entrate. 3
FLORIS RAFFAELE di Pontecurone (Alessandria), con la lirica Dentro le viole
MARELLI PIERO di Verano (Monza Brianza) con la lirica Anna di tutte le Russie I
MORETTO LUCIANA di Oderzo (Treviso), con la lirica Il beneficio
SPINA ROSANNA di Venturina Terme (Livorno), con la lirica La penna, la matita, un foglio bianco

Sezione B – Poesia Giovani (Premi: € 300,00 – 200,00 – 100,00, pergamena con giudizio critico):
1º Premio PARADISI ANNA di Rimini, con la lirica Ho guardato la nostra bambina.
2º Premio BIZZARRI GIANMARCO di Cattolica (Rimini) con la lirica L’albero dei tulipani.
3º Premio BRAVI GIULIA di Verucchio (Rimini) con la lirica Umana impotenza.

Premio speciale della Giuria:
PASINI SARA, di Borghi (Forlì Cesena), con la lirica Cicoria.

Sezione C – Poesia Giovanissimi (Premi: Buoni libro di € 100 o 150 alle scuole partecipanti e pergamena per un totale di € 1000):
La giuria, considerato il lavoro svolto dalle scuole attraverso i vari laboratori di poesia, ritiene di assegnare dei buoni libro alle classi che, a suo giudizio, si sono maggiormente attivati per sensibilizzare gli alunni al lavoro poetico e all’uso del linguaggio, come si evidenzia dai numerosi testi inviati. All’interno dei vari gruppi o classi, è stato difficile individuare l’alunno che emergesse sugli altri, perciò si è pensato di assegnare una pergamena e un buono libro all’intera scuola o gruppo di lavoro.
Hanno partecipato le seguenti scuole: Scuola Primaria “Favini” di Coriano con quattro classi (€ 300); “De Amicis” di Gatteo con una classe (€ 100); “Ada Negri” di Muggiò (MB) con due classi (€ 150); “Santa Maria Goretti” di Roma con una classe (€ 100); “Ferrari” di Rimini con una classe (€ 100); “Giovanni Pascoli” di Sogliano al Rubicone con una classe (€ 100); “Ivo Oliveti” di Borghi con due classi (€ 150). Hanno partecipato individualmente (e non attraverso la scuola di appartenenza) n. due alunni: Venturi Ilaria di Cesena, Tamburini Luca di Cesenatico), ai quali saranno consegnati menzioni di merito.

La premiazione si terrà domenica 20 settembre 2015, alle ore 11.00, dopo le relazioni su Agostino Venanzio Reali prevista per le ore 9.30, tenuta da Elena Buia.
Il verbale, il programma e le poesie premiate sono pubblicate sul sito Web del comune: www.comune.sogliano.fc.it


Su C'è l'impossibile di Michele Mariano Iannicelli


recensione di Vincenzo D'Alessio


La kermesse voluta dalla Casa Editrice Fara di Rimini, diretta dal poeta Alessandro Ramberti, svoltasi nella cittadina di Sant’Andrea di Conza(AV) in Alta Irpinia dal 6 all’8 marzo di quest’anno, ha congiunto il destino di molti di noi facendoci conoscere le diverse posizioni raggiunte nel difficile mestiere di scrivere.  Il resoconto di questo tripode acceso, nelle folate di vento e di neve di quei giorni, è racchiuso nell’ottimo  volume: Il luogo della parola -  FaraEditore, giugno 2015.
Oltre le presenze spirituali, come quella dell’Arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi, Nusco, Conza e Bisaccia, monsignor Pasquale Cascio e di San Michele Arcangelo, protettore del popolo Longobardo che ha fatto crescere questi luoghi, ci è stato fatto dono di una raccolta postuma di poesie del professore Michele Mariano Iannicelli da parte del curatore: Donato Luigi Cassese, che reca il titolo: C’è l’impossibile (Delta3, Edizioni, settembre 2014), che si avvale della presentazione del critico letterario Paolo Saggese.
La raccolta è articolata in due sezioni: la prima ha come sottotitolo “Quel mondo a tutti ignoto. Poesie della scuola”, la seconda sezione: “Mentre il mio cuore fa salti di carta. Poesie”. Nella prima parte sono raccolte, in versi brevi, i profili di alunni, colleghi, amici e persone conosciute in ambito scolastico. La seconda parte invece è il vero testamento spirituale, più che una poetica, di un uomo che attraverso lo specchio della propria esperienza ha visto sfilare l’intera umanità: amata, conosciuta o solo immaginata in quell’ovale.
La dimensione del cortile, delle mura cieche, degli amori, degli umori; i profumi, i colori, le emozioni, i dolori che hanno accompagnato questo sistematico viaggio in una fantastica macchina del tempo, svelano “i salti di carta” scritti su fogli di quaderno, sul cartoncino del libro di matematica, nell’acqua del tempo, ispirandosi al pensiero filosofico  di origine ellenica “pànta rei” tutto scorre,  dalla nascita al fine vita.  La filosofia non abbandona i versi di questa raccolta, neanche nei profili umani compresi nella prima sezione.
Ianniccelli è un poeta completo poiché non offre soluzioni nei versi, né cerca con la poesia di placare la sete perenne che l’uomo ha della conoscenza del suo divenire: l’alfabeto “matematico” del pensiero si rivela nei versi della poesia eponima a pag. 69: “C’è l’impossibile / Sulle quattro pareti / Sotto gli stracci penzolanti / (…) È come una maledizione / Rimanere abbarbicati al masso / Caldo come il ventre / Sempre rimpianto / (…) Nel cerchio dei muri a strapiombo / Sulla mia solitudine.”
Pensiero che domina anche nei versi della poesia a pag. 102 Poesia sul cartoncino del libro di matematica dedicata all’unico figlio: “(…) È la tua vita, figlio, in questo momento / Che promana dalla mia / Non so come, in questo momento né mai / E siccome non so, sei solo / Come me.”
Dirompente, come l’acqua della sorgente del Sambuco nel paesino natale, il pensiero di Nietzsche (versi a pag. 67) emerge dal chiuso ambito di questi luoghi per raggiungere il palpito di un firmamento di solitudine che appartiene all’umanità intera.
La conoscenza della poeta russa Elena Andreevna Švarc (pag. 59) e del drammaturgo inglese Harold Pinter (pag. 61) mostrano del Nostro la spinta all’innovazione, alla ricerca continua e costante attraverso il senso alto della Poesia di una risposta a quello che resterà per lui (e per noi) il dramma dell’esistenza: “Rimango inconcluso” (pag. 109).
L’immortalità che conosce la Natura nel suo costante divenire; il potere politico clericale  che uccide inesorabilmente sogni e speranze in tutto il Pianeta; rendono questa raccolta universale, partendo dal gesto personale della scrittura per collegarsi a quanti hanno preceduto il Nostro nel cammino poetico. Il pensiero si svela nella poesia L’immortalità del Sambuco ( pag. 103) nei versi che seguono: “(…) Nudi / Tutto incompleto per poter dire che ci sarà / sempre un dopo / Per negare la fine / Con l’immortalità del Sambuco ricolma del / flusso eterno della sorgente / si ripetono gli abbracci e le esultanze  e i pianti / si vive e si rivive in questo luogo sperduto del mondo.”