domenica 26 aprile 2015






Plinio Perilli sul Catullo di Mario Fresa










Nella trasmissione televisiva "Poeti e Poesia" in onda su Sky 897, 

Plinio Perilli recensisce Catullo vestito di nuovo di Mario Fresa


















sabato 25 aprile 2015

Irpini

di Michelangelo DAlessio (14 anni il 30 aprile; auguri e complimenti!)



IRPINI

Foglie che si accartocciano

al vento dell’indifferenza

attaccati ad un albero

distrutto dalla sua terra

malata e avvelenata

dall’acqua immobile,

ragazzi con le valigie di cartone

bagnate dalle lacrime delle madri

che perdono i figli per colpa

del veleno nato dalla parte

ombrosa del fiore dai petali

di metallo,

Irpini.



Aprile, 2015

venerdì 24 aprile 2015

L’ora della luce


In alcuni di questi testi compare il termine luce perché la luce è un elemento ricorrente nei miei testi. Indica la tensione verso una pienezza che non arriva mai al compimento, pur essendo l’essenza di un desiderio che porta dentro sé l’animo umano. Il desiderio di vita e di felicità.  La luce la ritrovo nelle varie sfumature come variazioni sul tema. 


Ritorno dove il silenzio è di casa

Ritorno dove il silenzio è di casa
e il cielo gioca con la terra e con l’acqua
e tutto lascia passare
senza contare il numero dei giorni.
Ritorno dove lo spazio è ampiamente libero
e si sentono qua e là canti d’uccelli isolati
nel silenzio sovrano della valle
mentre a poco a poco 
il cielo si riempie d’azzurro intenso
e tutto va a dormire e si attende
sempre qualcosa che sta per arrivare
e non si riesce a dare un nome
che valga per sempre senza mai cambiare.


E mi bagno in questa luce

E mi bagno in questa luce
limpida e scendo nel lavacro
e cammino senza direzione
se non nell'ascolto di una trasparenza
mi conduce priva di ombre
che attraverso con voce che implora
una calma serena di desiderio.


E io giro e rigiro

E io giro e rigiro
per le strade di questo mondo
ripercorro quelle già conosciute
e ancora non le conosco tutte
le strade che ad ogni ora della luce
ho visto e mi sono fermato
ad ascoltarle ascoltando il mio cuore
ed ho visto quello che non sono
e quello che sono stato in un attimo:
correre, chiedendo senza parole
con spirito libero a chi trovavo 
la stessa verità che in fondo portiamo
ma non ancora siamo arrivati 
a vedere il sepolcro vuoto e dire: si.


Tira vento sul rivellino

Tira vento sul rivellino
in faccia al sole che muore
mentre abbacina l'azzurro intenso 
del lago che non smette di pulsare
come il cuore di chi cerca 
l'eterno nel tempo e sa 
che non gli é dato per sempre
se non nel provvisorio istante.


Abbiamo il tempo di sorvolare

Abbiamo il tempo di sorvolare
ed incontrare ad ogni stagione
profumi e ricordi del vivere nostro
e il riserbo di non contaminare 
tappeti su cui poggiare i piedi 
usciti da lavacri nuovi e inchinarci 
come in una liturgia nell'intimo 
di fronte alla presenza nel silenzio 
che non vediamo e ci accompagna.


Mi fermo ad ascoltare  il sole

Mi fermo ad ascoltare  il sole
che lento senza rumore 
in un angolo vedo scendere
e i dialoghi invisibili degli uccelli sparsi
vicini e lontani tra gli alberi e le canne
a lanciare messaggi senz’altro d’amore
o forse di lamento come chi ci sta per lasciare
mentre mi chiedo ma cosa comprendo
di tutto quello che vedo ed ascolto
in un ordine di sinfonia che appena mi appaga
perché niente è dato per sempre
ma di rimando in rimando
una voce mi chiama ad andare oltre.


E mi lascio invitare dalla luce

E mi lascio invitare dalla luce
che con dolcezza m'incoraggia
ad entrare e mi dice di abbandonarmi
ed io alzo lo sguardo intorno
e i miei occhi brillano di gioia.
Senza parlare mi ascolta 
sento di essere accolto nello spazio
libero ed avvolgente dell'intimo
e senza fine il tempo si ferma
nel movimento senza domande.


L'ora della luce

L'ora della luce
non smette di battere 
anche nel tempi del buio 
in cui il cuore pago
non smette di desiderare
quel filo che filtra
nelle fessure rimaste
trascurate dall'abbondanza
di grazia che non vediamo.




Nota bio-bibliografica

Daniele Donegà nato a Canda (Rovigo) nel 1960. Si laurea in Filosofia all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna con una tesi in semiotica sulla poetica di Camillo Sbarbaro. Nel 1992 viene ordinato sacerdote e fa parte del presbiterio della diocesi di Adria-Rovigo. Nel 2010 discute la tesi di dottorato in teologia con il professore José Noriega dal titolo: L’intenzionalità erotica e l’azione del corpo in Maurice Merleau-Ponty presso la Facoltà del Laterano e nell’aprile del 2011 pubblica la tesi presso la casa editrice Cantagalli di Siena. Attualmente è arciprete di Melara (RO) e consulente etico al Consultorio familiare diocesano di Rovigo. 
Ha al suo attivo 6 pubblicazioni di poesia e diverse plaquette stampate presso tipografie locali che distribuisce ad amici ed estimatori. Nell’agosto del 2014 gli è stato assegnato il Primo Premio del Concorso di poesia “Cala Petralana”, a Palau in Sardegna, per la poesia inedita Il canto delle cicale. 



martedì 21 aprile 2015

Emozioni in marcia in Libromondo

recensione di Giuseppe Alessandro pubblicata in Libromondo Newsletter n. 8/2015 (aprile), p. 14

v. scheda del libro Emozioni in marcia



Ti porteranno via



di Maurizio Maraldi



TI PORTERANNO VIA

Ti porteranno via…
come animali.

No! No! Nessuna pietà…

Ti porteranno lontano…
forse in Germania.

No! No! Nessuna pietà…

Col treno…
chiusi in sudici vagoni.

No! No! Nessuna pietà…

Sul petto una stella…
nel cuore tanta paura.

No! No! Nessuna pietà…

Il pianto di un bambino
il suono di una sirena.
Poi il silenzio…
E fumo…… tanto fumo
che si alza verso il cielo.

No! No! Nessuna pietà…




Maurizio Maraldi è nato a Cesena il 1 febbraio 1956. Ha sempre vissuto in Romagna: dalla nascita fino all’età di 22 anni ha abitato a Capocolle di Bertinoro (Mont Spàché) (FC) attualmente risiede a Forlimpopoli (FC). Scrive per diletto fin da bambino, usa un linguaggio semplice, ma carico di emozioni. Ha partecipato a molte manifestazioni culturali, conseguendo vari riconoscimenti e segnalazioni. 
Le sue opere sono presenti in diverse antologie a livello internazionale. Ha pubblicato due raccolte di poesie Poesie per tutti (prima raccolta) e Poesie per tutti (seconda raccolta) edite dalla Tipografia Passatore di Forlimpopoli e con la prefazione di Luciano Foglietta.


lunedì 20 aprile 2015

Per non dimenticare


Grazie Alessandro per avermi condiviso la poesia di Roberto, poesia commovente e di una delicatezza d'animo che solo gli angeli possono suggerire se il cuore ascolta... Grazie alla sensibilità di Roberto!
Un caro saluto a tutti!
Luigina Bigon - Padova





Per conoscenza ti invio una foto del Gruppo poeti Ucai (Unione Cattolica Artisti Italiani) di Padova: da sx Massimiliana Bettiol, pittrice; Stefano Valentini, poeta e critico letterario, vicedirettore Ucai; Rosanna Perozzo, poeta; Raffaella Bettiol, poeta e già referente del gruppo; mons. prof. Giuseppe Magrin, poeta (Presidente internazionale dell'Unione Apostolica del Clero diocesano); mons. prof. Claudio Bellinati, nostro consulente ecclesiastico dell'Ucai; Luigina Bigon, poeta e fondatrice del Gruppo poeti; Maria luisa Ottogalli, poeta; Laura Sesler critica d'arte Ucai.

Condivido tre poesie per non dimenticare, e una in ricorrenza della festa di Sant'Antonio, per l'appunto del 13 giugno.



L’INCENSO DI AUSCHWITZ
per non dimenticare

Ero solo un bambino
non dovevo morire,
non volevo morire.
Guardavo altri bambini
scheletriti, io risucchiato
non avevo più parole,
solo sguardi denutriti.
Dov’era mia madre,
dov’era!? Straziata,
sparita dentro una strada
buia. Mio padre…
mio padre insultato,
preso a calci, fucilato.
Io non avevo più lacrime,
non avevo più cuore,
ero inzuppato d’orrore,
la mani fredde il viso
unto d’innocenza,
abbandonato nel covo
della morte. Ero solo
un bambino che voleva
cambiare il mondo…
Sono diventato incenso
per gridare al mondo
non lasciarti perire.

Ero solo un bambino
non volevo morire,

non dovevo morire!

26 gennaio 2014




GLI ORTI DELL’OLOCAUSTO
Auschwitz



Angeli e demoni ad Auschwitz.
Dalle oscene ciminiere sale il rosso
delle ceneri, si consuma nell’aria
va ovunque sui campi sulle strade,
sulle case di campagna a profanare
gli orti dell’olocausto. Un silenzio
gravido come un mantello nero
chiude ogni bocca, spegne ogni mente

mentre giovani vecchi madri e bambini
muoiono nei forni crematoi.

Qui nei campi di sterminio
ci tengono alla pulizia:
niente cappelli lunghi per i pidocchi,
niente vesti: ci devono lavare
disinfettare… Nella misera nudità
nascondiamo con le mani
il pudore dissacrato,
ma crediamo ancora. Il respiro
ci addormenta lentamente, persi
per sempre in un lager senza fine.








25 Aprile 1945, i non sepolti

Alito di morte lungo il percorso
di campagna, pali della luce
ruote carri cigolanti l’andare
lento dei bovi. Strappavo fiori
lungo i fianchi della strada:
erano margherite, steli viola
e gialli ad improvvisare tombe
a porre una croce senza nome
sulla terra segnata dalla morte;
un segno di pietà, una preghiera
per i tanti non sepolti.
Le ombre degli alberi sfrondavano
la polvere, il sole giaceva nei fossi.
Bossoli spari e schegge di bombe,
il cuore sotto un ombrello nero.

18 giugno 2006


Avevo 9 anni, provavo un dolore profondo per le tante persone uccise nel conflitto bellico, nemici compresi: per me erano tutti padri fratelli mariti zii cugini amici… Una grande pietà per tutti. Uno dei giorni prima del 25 aprile, mentre rientravo da scuola camminando sullo sterrato di campagna, sentii d'improvviso l'impulso di dar loro una qualche sepoltura creando tombe simboliche con steli di margherite, fiori viola, bianchi e gialli che raccoglievo lungo il ciglio erboso della strada. In lontananza una donna vide la scena e si mise ad inseguirmi come una furia devastando a pedate ogni traccia di sepolcro, gridandomi insulti e puntandomi contro un minaccioso ombrello nero, pronta a colpirmi. Sentii fin dal profondo che quella donna imbestialita raffigurava il male, la morte, senza compassione per nessuno… Ho cercato tante volte di esprimere la sacralità del momento, ma soltanto oggi sono scaturite le parole che hanno dato vita al 'ricordo'. 



OGNI TREDICI GIUGNO

Sono lontani quei giorni
quando mio padre ci portava
tutti al Santo a prenderci
benedizioni e medagliette
per tutto l’anno, e molti
bambini portavano il saio
per voto. Ed io sapevo
chi era Antonio, il santo
dei miracoli che parlava
ai pesci e portava gli uomini
al perdono. Anche la regina
Rom faceva il suo ingresso
in un crespo di gonne
e colori per festeggiarlo.
Mi perdevo nel mistero
del sacro, non avevo parole
solo fiumi d’intenso sentire.
Lo pensavo, il Santo, intento
a darci il latte delle sue preghiere
a farci tutti buoni. Affondavo
nello stupore delle immagini
dipinte sui muri, mi figuravo
nelle sculture pregne d’eternità
a suscitarmi un qualche timore.

Quel luogo mi prese per mano
lungo tutto l’asfalto della vita
e ancora vi ritorno a tuffarmi
nella folla delle anime, nel ristoro
di pura bellezza che dagli altari
scende a lievitare la parola di Dio.


21 gennaio 2014

Per Guido




Ci siamo incontrati poche volte
Fra di noi poche parole raccolte
Ti è mancato il fiato, ma mai il sorriso
Ricordo quel tuo viso giulivo
Infantile come le fiabe che regalavi
Non ti sei mai arreso
E mi dicevi di non arrendermi mai
«Gli dèi chiamano presto
Coloro che amano» e tu hai tanto amato
Guido, non ti sei risparmiato
Non hai dato respiro al dolore
Hai disseminato tanto amore
E insegni che la vita non vale
Per la sua lunghezza
Ma per quanto sa essere dono
Ora avrei voluto incontrarti di più,
cercarti una volta ancora
ma so che di lassù
tu mi sorridi con pazienza
e mi rassicuri sulla tua presenza.

dal Vescovo di Rimini Francesco Lambiasi



Ringrazio di cuore il mio Vescovo per le empatiche e luminose parole che esprime su Orme intangibili. Ricambio con grande gioia, affetto e stima gli auguri pasquali.
Alessandro


venerdì 17 aprile 2015

Un tema su Ungaretti e due poesie


di Thuy Lan Ritondale IIIB

Tema

“La poesia riafferma sempre, è la sua missione, l’integrità, l’autonomia, la dignità della persona umana.”

“Non conosco sognare poetico che non sia fondato sulla mia esperienza diretta.”

Partendo da queste affermazioni di Giuseppe Ungaretti presenta questo poeta facendo riferimento a quanto letto e visto in classe, soffermandoti sugli aspetti che ti hanno maggiormente provocato.

La poesia, come dice Ungaretti, riafferma sempre l’integrità, l’autonomia, la dignità della persona umana. Essa rappresenta il poeta che la scrive e la elabora, pur facendola rimanere essenziale nella sua completezza. Tanti componimenti lirici si basano sulle esperienze di chi le crea. Ungaretti ha scritto varie poesie, molte delle quali al fronte.
In un clima drammatico e cupo, dove regna sovrana e incontrastata la morte, un uomo appunta i suoi pensieri sulle carte delle pallottole.
Ha la necessità di esprimere ciò che ha intorno, le sue emozioni, la speranza di una fine a tutto il dolore che la guerra ha portato… Il suo nome è Giuseppe Ungaretti.
Egli parte per il fronte con ideali patriottici, pensando di liberare l’Italia dalla guerra. In quel periodo il giovane soldato sprofonda in una crisi interiore, avendo realizzato cosa voglia dire combattere. Inizia così a scrivere poesie, cercando di spiegare il senso degli avvenimenti che accadono intorno a lui.
Descrive “la notte violentata”, “il compagno massacrato”, “la mattina”…
Brevemente.
Pochissimi verbi, solo parole.
Ungaretti colpisce per la profondità e semplicità che ha nel comporre frammenti lirici.
Per me lui è “l’uomo della speranza”. Egli è un esempio per ognuno di noi.
Oltre alle sofferenze patite in guerra, il celebre poeta nella sua vita privata ha perso un figlio. A quest’ultimo è stata dedicata una poesia dal padre.
Nei componimenti lirici di Ungaretti quello che mi ha sempre affascinato è stato l’equilibrio.
Il poeta riesce ad amalgamare felicità e sofferenza armoniosamente, creando una pace tra due sentimenti in netto contrasto tra loro, che vorrebbero annullarsi a vicenda.
È questa contraddizione che ci induce a porci domande.
Nella poesia Soldati, la parola “soldati” compare solo nel titolo. L’immagine delle foglie d’autunno sui rami è qualcosa di piacevole e malinconico che rispecchia, secondo il poeta, la situazione al fronte.
I soldati vivono nell’incertezza.
Non sanno chi di loro cadrà prima e chi dopo, ma sperano nella fine del conflitto.
Per me è stato meraviglioso affrontare il tema della guerra in poesia perché mi ha permesso di riflettere sull’istinto peggiore dell’uomo in maniera del tutto diversa.
I componimenti lirici di Ungaretti mi hanno fatto comprendere ancor di più che quando l’uomo tende, anche inconsciamente, al male, a ciò che non lo fa vivere bene e che non lo rende felice, cerca di evadere dalla realtà che ha creato intorno a sé.
L’uomo, se tende al male, non è perché vuole così, ma perché usa la sua libertà come un’arma, senza però accorgersene.
Un mondo dove ognuno vuole dominare sull’altro, credendo di agire per il bene di tutti, non è un mondo.
Il nostro, se è un mondo, lo dobbiamo a coloro che non usano la loro libertà per imporsi sugli altri e che la usano, invece, per insegnare ad altri a farne buon uso.
Proprio come quel soldato che scriveva parole d’amore sulle carte delle pallottole.
Illuminato d’Immenso.


***

Qui sotto due poesie inserite nell'antologia Come farfalle diventeremo immensità 2. Per ricordare Katia Zattoni (a cura di Guido Passini, che ricordo con grandissimo affetto)


Su un letto di ospedale 
(a Guido)

Su un letto di ospedale c’è un mio amico.

Non è un malato.
È un combattente.

Su un letto di ospedale c’è un mio amico.

È un poeta.

Il suo respiro,
il suo cuore,
i suoi occhi,
tutto di lui è vivo.

Eppure un affanno lo tormenta,
causato da una guerra che solo lui conosce.

Su un letto di ospedale c’è un mio amico.

Lui, il comandante dell’esercito,
è su un letto di ospedale.

E noi, suoi soldati,
ad osservare e a pregare dietro 
ad una porta,
in attesa,
per lui, 
di un futuro di guarigione
che finalmente gli spalanchi
un infinito orizzonte di
pace e libertà.



Tramonto di cristallo 

Ti raccolgo in frantumi
stasera
tra fiamme di vetro
sul davanzale della mia finestra.

Caduto a precipizio
in pezzi sparsi ed aguzzi,
giaci sul pavimento
come dipinto su cocci di cristallo.

E mentre cerco di ricomporti,
lascio fuori
come da uno specchio 
il tuo doppio,
integro
per sempre,
immortale,
che scende verso valle 
nella crudeltà dei vetri opachi.


Su Assolo per mia madre di Maria Pina Ciancio

Edizioni L’Arca Felicecollana «Coincidenze». Fuori testo, un dipinto di Giuseppe PedotaMaternità (acrilico su carta, 2008).


recensione di Teresa Armenti



Alla poesia di Maria Pina Ciancio bisogna avvicinarsi in punta di piedi, accarezzare delicatamente la copertina, accostare l’orecchio agli spazi vuoti delle pagine e porsi in ascolto. Allora, cullati da un melanconico sottofondo musicale, ci si trova immersi nel paesaggio lucano, tra il profumo dell’erba spettinata dal vento nell’aria concava di luce e i campi di grano. Dalla “terra di luce ed ombra, infeconda e fertile” la parola prende forma tra singulti, sospiri e briciole di vita. Si staglia, netta, la figura della madre, con la sua gonna larga, lo sguardo increspato, i capelli raccolti in un velo di lacca e la fronte aperta al sole, mentre aiuta la figlia, mano nella mano, a guadare il fiume e a percorrere sentieri irti. E alla madre, salita al cielo il 4 gennaio 2012 all’età di 72 anni, è dedicata l’intera raccolta di versi misti a prosa, fatta di sguardi fugaci, di silenzi, di sorrisi, di soste e di riprese. Il ritmo cambia tono quando i ricordi dell’infanzia cedono il passo alla grammatica dolorosa della sofferenza. Subentra la paura, il disorientamento, la lotta contro il male, che sembra debellato, ma dopo anni si ripresenta, esplodendo in tutta la sua crudezza, senza via di scampo. Ai luminosi orizzonti si contrappone un buio fermo tra le bianche pareti di impotenza, mentre il tempo non passa mai. I versi diventano preghiera, invocazione, attesa. E si spera fino all’ultimo.

Il pianto dell’anima irrora le pagine e contagia anche il lettore, ma viene subito asciugato dallo spettacolo dei gerani fioriti in giardino senza preavviso. La “corrispondenza d’amorosi sensi” del Foscolo si avverte in modo tangibile. La presenza invisibile della madre accompagna la figlia di giorno, di notte e quando attraversa la valle del Sinni, che brucia spalancata a mani aperte dentro una ferita di ghiaccio.

Il florilegio della Ciancio, pubblicato nel mese di settembre 2014, in 199 esemplari di carta pregiata numerati a mano, dall’Arca Fenice di Salerno, con grafiche di Giuseppe Pedota, suscita profonde ed intense emozioni, sviluppando una forte empatia; è “evocativo e vocativo”, come ha sottolineato Lucio Zinna nella prefazione; da assolo si trasforma in dialogo, che cerca un amoroso contatto con l’assenza, come ha evidenziato Mario Fresa nella sua testimonianza critica.

È la nenia che la figlia sussurra con tenerezza alla madre, mentre varca la soglia.

Orme intangibili : brevità e ampiezza

recensione di Teresa Armenti





Davanti al testo poetico di Alessandro Ramberti Orme intangibili si rimane sorpresi per la brevità dello scritto e l’ampiezza del contenuto, che si dilata a ventaglio prendendo diverse direzioni, anche quelle cinesi. 

Il florilegio si presta a varie interpretazioni. Può essere considerato un trattato filosofico-teologico, con tanto di note che invitano ad un’ulteriore riflessione, oppure un poemetto epico che ricalca, in una forma metrica ben curata, le orme degli antichi cantori, con tanto di prologo, epilogo e congedo. 
Può essere definito anche il canto del salterio o la poesia della meditazione quotidiana, come ha ben sottolineato Vincenzo D’Alessio nella prefazione. Ogni parola, infatti, va letta più volte, meditata, per immergersi in essa.
Ogni verso va approfondito leggendo passi biblici e libri di teologi, come quello di Alselm Grün Scoprire la ricchezza della vita.
Il lettore viene interpellato a più riprese dall’autore con interrogativi sul suo cammino, sui suoi talenti, sulla strada da seguire.
Sembra di trovarsi in un convivio letterario a cui partecipano scrittori di varie epoche e provenienti da diversi luoghi: da Matteo Ricci, George Herbert a Fabrice Hadjadi, convertito al cattolicesimo; da Santa Teresa di Lisieux all’arcivescovo filippino Luis Antonio Tagle; da Kant a Camus a Massimo Recalcati. A turno, ci sono vari interventi che disegnano le sorprese dello spirito.
C’è, poi, la voce fuori campo di Papa Francesco che, con il suo libro Nel cuore di ogni padre, accompagna i passi incerti dell’uomo verso il sentiero erboso che porta al luminoso monte della grazia.
L’autore traccia le linee della problematica esistenziale, avverte la corrispondenza esistente tra il mondo e l’uomo, i conflitti tra la realtà esterna e l’interiore, coglie il senso del sacro nella rete di rapporti instabili e di messaggi spesso schizofrenici. Egli percorre e fa percorrere un cammino mistico, un cammino che fa fare esperienza di Dio, rintracciabile nel fondo della nostra anima, la sonda dello spirito, il canale di energia relazionale, inconscio serbatoio del vissuto. Ci invita a lasciarci portare dalle impronte, così profonde sul terreno umido, così invisibili se consumate sulla roccia, per incontrare, come i discepoli di Emmaus, il Risorto e diventare messaggeri di speranza.
Orme intangibili è un testo che guida il lettore a scoprire il suo mistero personale, a coltivare un cuore capace di ascolto, che conservi l’inquietudine del desiderare. È un testo che ci cambia dal profondo, ci trasforma e ci invita alla conversione, lasciando via libera all’azione purificatrice dello Spirito, che farà di noi i viandanti del respiro, la parte della terra più animata.

La gioia delle Orme

recensione di Angela Caccia


La tristezza ha un suo linguaggio, ma ci sono tante forme di tristezza alle quali il linguaggio si modula, amplificando o minimizzando il suo volume e, quindi, il suo porgersi. La gioia no, la gioia è sempre un dirompere che, a volte, precede la felicità e l’insito senso di gratitudine che la desta: la prima, la gioia, pare sia più duratura, una musica in sottofondo che pregna ad ogni nota; la seconda è la vampata di un fuscello. Nel libro di Ramberti si tocca subito la gioia. Sentimento che si percepisce solido, consolidato da una radicale speranza/possibilità che, di volta in volta, perde – e avrà perso - molte battaglie, ma non ha dubbi sull’esito della guerra

Perché questo contendere e lottare
questa inquietudine continua questa
volontà di procedere ed agire
senza potere nulla conservare?

(Fiducia è sempre ascolto)

Io posso valutare se fermarmi
i fare avanti indietro sulla soglia:
il paradiso è un varco da scoprire
né il male che mi insidia può annullarmi:

(il seme dà il raccolto)


Gioa che contagia. E dolcemente strattona il lettore a lasciarsi azzurrare da un mare di piccole e appassionate onde: «bisogna essere capaci di ammirazioni impetuose e accogliere in cuore molte cose con amore: altrimenti non si è adatti a fare i filosofi. Occhi grigi e freddi non sanno il valore delle cose; spiriti grigi e freddi non sanno il peso delle cose» (Nietzsche F., Frammenti postumi, 1884).

Ramberti: nel poeta il filosofo, e viceversa. Il suo pensiero – denso e impegnativo, ma non per questo meno fluido e fruibile – “rassicura” la fede del lettore sulle ragioni di un credo, il suo, che non disdegna gli scatti dell’emozione – tangibilissimi in questa silloge –, ma che conosce bene il chiaroscuro di un angolo di deserto o la fredda cima di un monte dove il Vento parla, e parla a chi sa ascoltarlo.


Tra un verso e l’altro, brevi e apparenti digressioni tra parentesi, – un fastidio a primo acchito, come se il cammino intrapreso dal primo rigo, all’improvviso, si biforcasse – si svelano chicche, a volte chiavi di lettura di quanto segue o precede; altre, indicano la particolare tonalità di colore che il poeta ha voluto imprimere al verso: ecco, allora, che l’occhio le insegue


In cosa o in chi vediamo la bellezza
dove ce ne sentiamo più colpiti
come la distinguiamo dall’amore
o dalla verità o dalla fortezza?

(Cospira con l’azione.)


Hai forse una risposta che sia avulsa
dal crescere nel flusso della vita?
Il corpo ha una memoria spirituale
oltre la realtà che si compulsa?


È un canto e una lode, questo libro, vi è riflesso il senso della vita e una vita che aderisce – come può come sa, conscia della troppa umanità – a quel senso che non ha nulla di astratto, e si esplicita e si materizza in volti incontri relazioni, così come l’umiltà è adesione alla terra e al terroso.

Sotto i piedi dei viandanti diventa,
l’erba che si continua a calpestare,
un sentiero: ciascuno col suo ritmo
gli ha dato intensità, una nota attenta

(sublime chirurgia)

magari attanagliata da un dolore
Inficiata da un male inestirpabile
pppressa dall’ingiusto o sollevata
dalla beata grazia, dall’amore.


Mirabili quegli innesti, brevi prose e citazioni che accompagnano i versi. Tra le due voci, versi e prose, – al di là dei canoni poetici pienamente rispettati, anche se spicca una musicalità che fa da padrona in ogni pagina –, non c’è quella che insegue regge o rafforza l’altra: si percepisce un’unica consonanza, come se il movimento creativo dell’autore, abbia cercato - faticato - e trovato al suo interno il giusto timbro che accomuna il sentire umano, il punto di fuga dove l’io si trova in piena simmetria col tu, ormai lontano da babelici linguaggi. Sarà stato sfiancante il lavoro. Lodevole, per il lettore, il non percepire il benché minimo senso di quella fatica: un’inflessione della gioia. Come se il nostro, fin dal primo verso, conosca bene il monito di Rilke e lo abbia fatto suo: «Solo ponete attenzione a quello che sorge in voi e ponetelo sopra a tutto.»

Un libro di Fede con l’iniziale maiuscola che parla dalla pienezza di un cuore. Fede terrena, conscia della sua coriacea fragilità che spinge all’umana instabilità fino al tradimento, ma altrettanto conscia che la fede è vera proprio perché “sa ritornare” e ri-nascere dall’alto

Il piombo dello stagno assorbe i lividi
bagliori delle stelle e quelli impliciti
delle foglie – la pelle si è squamata

i sentimenti aprono gli anelli:
bisogna uscire fuori dal sepolcro
per nascere di nuovo ma dall’alto.


Chi vola non imprime tracce a terra.

25 aprile a Forlì con cerimonia di premiazione del Concorso “Come farfalle diventeremo immensità” per ricordare Katia Zattoni e Guido Passini

Carissimi,

ci avviciniamo finalmente all'importante appuntamento del 25 aprile 2015, momento nel quale si svolgerà la premiazione del Concorso poetico  curato da Guido Come farfalle diventeremo immensità 2, e di cui vi allego qui sotto il programma.

Ricordo, pertanto, che la premiazione del vincitore Davide Rocco Colacrai da parte di Cristina Lega si svolgerà nel corso della mattinata di sabato 25 aprile 2015 in piazza Saffi, subito dopo la cerimonia istituzionale delle ore 9.30; mentre nel corso del pomeriggio al Parco Urbano “Franco Agosto” si svolgerà un momento dedicato al Concorso, alle ore 16.00, con l'esibizione performativo-musicale de La Minima Parte e lettura di brani selezionati tratti dall'antologia pubblicata. Al termine di questo momento sarà consegnato a tutti i partecipanti l'attestato di merito, pertanto vi invito ad essere presenti.

Infine, sia nel corso della mattinata che nel corso del pomeriggio sarà in distribuzione l'antologia, presso uno spazio dedicato a Fara Editore, e ognuno di voi potrà ritirare le copie prenotate.



Allego il programma del 25 aprile 2015.

Ci vediamo sabato prossimo!

Un saluto di stima a tutti voi,

Jennifer Ruffilli

Comune di Forlì
Unità Eventi Istituzionali
p.zza Saffi,8
47121 Forlì
tel: 0543/712449






giovedì 16 aprile 2015

Due articoli di Vincenzo D'Alessio

Dentro la Notizia del 1-15 aprile 2015 pubblica un articolo sulla Giornata Mondiale della Poesia all'Istituto “Pironti” di Montoro


Solofra Oggi del marzo 2015 un empatico resoconto della kermesse a Sant'Andrea di Conza


a Luigi Cavaliere


di Vincenzo D’Alessio (nella foto a destra, a sinistra Luigi Cavaliere)



Scopro l’orizzonte

negli occhi dell’uomo che

al mattino si piega sotto

l’incudine del sole

la rabbia della pioggia

gli umori della terra

è un arco ricurvo, saetta

nelle mani energia

di vita, nei solchi

delle stagioni il mito.



Gennaio, 2015

lunedì 13 aprile 2015

Francesco Macciò su Stelle a Merzò di Adele Desideri

Adele Desideri,  Stelle a Merzò, postfazione di Paolo Lagazzi, nota critica di Tomaso Kemeny, Bergamo, Moretti & Vitali, 2013

recensione di Francesco Macciò

Stelle a Merzò si offre al lettore come una sorta di diario d’amore in versi. Un diario scandito da precise localizzazioni topografiche, che recano i nomi di Merzò e di altri paesini e luoghi dell’entroterra ligure di Levante (con dislocazioni anche nel capoluogo lombardo), e da indicazioni cronologiche, che contrassegnano appunto i giorni di una vicenda amorosa che nasce e si consuma nell’arco di una stagione estiva. La linea della scansione spaziotemporale sulla quale si colloca la successione dei testi puntella le costruzioni e i crolli di una vicenda amorosa appesa, come scrive Paolo Lagazzi nella postfazione, al “brivido dell’evanescenza”. Il resoconto scritto però, affidato anch’esso all’evanescenza della memoria (“Ti racconto, se posso, quel che ricordo”), è declinato in un linguaggio poetico tutt’altro che rarefatto ma denso e materico; l’impianto comunicativo si distacca dalla misura della referenzialità, pur sempre necessaria alla dimensione del racconto, e attinge a forme più complesse di mediazione sintattica e a scelte lessicali connotate da valenze allusive, come ad esempio in questi versi, dove il taglio marcato dell’enjambement – “lisa/ stoffa” – e la quasi rima, rima al mezzo – cartapEStA : scommESsA – innescata dalla disposizione chiastica dei sintagmi in clausola, scandiscono il motivo del consumarsi delle cose e della loro fragilità nell’inconsistenza del ricordo: “Ci raduniamo qui/ in attesa di una donna che/ con il filo – con l’ago – riannodi/ gli orli slabbrati, rammendi la lisa/ stoffa e sui capelli ponga fiori/ di cartapesta – segnali/ di una memoria mancata,/ di una fallita scommessa.
Alla linearità delle coordinate spaziotemporali che caratterizza il libro, si oppone in qualche misura un altro movimento, che fa ruotare aggrovigliandoli i nuclei persistenti della storia d’amore sfumandone al contempo i riflessi nelle pieghe della memoria. Di tale costruzione, di tale modalità percettiva si fa lascito una scrittura tesa, vibrante, che prende forma a troppo breve distanza dalla realtà che l’ha originata perché possano esserne riassorbiti in toni più riposati i segni e le conseguenze. Ed ecco, allora, emergere, in tutta la sua totalizzante e pervasiva presenza, l’Io che incrocia le esperienze di vita e poesia in un delirio amoroso capace di attrarre a sé le cose e di dare un senso altro alla realtà che circonda la persona amata: “Sono la tua stanza, legnaia/ – lettiga in un canto della cucina,/ rubata alla gelosa cagna.// Sono cancellata dipinta di fresco,/ sciacqua-piatti/ bocconcino di carne alla griglia,/ borsa, cianfrusaglia, scarpa”, fino a porsi di fronte ad essa con incrollabile fierezza e solidità, come termine di attrazione e insieme di resa: “Io posso/ il tuo seme disperdere,/ e il sigillo applicare/ alla perduta estate.//...// Aspetto/ la tua insipiente lungimiranza,/ la settembrina resa”.  L’aspetto però che più di ogni altro conferisce potenza e originalità al timbro della voce di Adele Desideri è il ricorso in numerose poesie a un linguaggio biblico e rituale. Che si innesta sulla trama narrativa e avvolge la spirale amorosa sia per alcuni significativi accenni (“...Tra i fiumi dell’Eden/ ogni creatura era perfetta”) sia soprattutto per enucleare, imprimendoli nella carne, i segni premonitori di un fallimento: “questo silenzio che nel cavo delle mani/ disegna stigmate così poco divine/ – il cerchio perfetto in cui l’amore fallisce”. Sono evocazioni del sacro che incontriamo fin dalla poesia incipitaria, volta quasi a “religare” gli amanti con il “sancire” la loro reciproca fides, ma capace nel contempo di creare un vertiginoso capovolgimento del divino nell’umano; come se l’individuazione della figura maschile, oggetto d’amore e di deragliamento amoroso (“Sei uno, tre e due”), si ponesse già in una dimensione “altra”, sovrapponendosi alla precarietà delle cose e conferendo ad esse un senso, una destinazione: “Sei uno, tre e due./ Come cometa attrai/ e conduci alla grotta sotto il monte,/ dove vive Colui che segna l’inizio, la fine,/ il ricongiungimento di terra,/ cielo, colpa, perdono”. E valga, almeno, ancora l’esempio, tra i tanti che si potrebbero addurre, di una poesia collocata verso la fine del libro, la poesia 5 settembre, Airola, dove un’allusiva rassegna di azioni di vita quotidiana, nelle quali la figura femminile si situa come intermediaria tra la Terra e il Cielo, viene ribaltata in una successione di immagini neotestamentarie, in cui si rapprende la forza dell’Eros scomponendosi nei suoi elementi, che contrappongono, alla pienezza della gioia, sofferenza, spine, chiodi, sanguinanti ferite.
L’altro meccanismo, che combinandosi con queste accensioni liriche scritturali risolve in linguaggio poetico gli assetti narrativi della silloge, è dato dal dispositivo ad alta frequenza della rima in clausola, cui ho già sommariamente accennato. In 2 settembre, Milano, ad esempio, sullo sfondo della consunzione della vicenda amorosa, altrove correlata all’occultamento delle stelle a Merzò e qui a una loro disorientante rotazione, la conclusiva rima baciata (follia : mania) scandisce una circolarità che non dà tregua a chi è ancora avvolto nelle spire di un amore potente e “corrosivo”, e istituisce una iunctura tra i due termini, “follia” e “mania”, che insistono su una stessa area semantica e, nei loro consistenti, archetipici echi letterari, si rinforzano vicendevolmente e sembrano scorrere l’uno nell’altro: “...le stelle a Merzò,/ quando, all’imbrunire, girano su se stesse/ e consegnano alla luna/ l’universo di nuovo spezzato/ della mia mente – questa follia,/ questa corrosiva, insensata mania”.

sabato 11 aprile 2015

Tributo alla poesia che non muore. Reading poetico a Palermo sabato 18 aprile

Sabato 18 aprile 2015 a partire dalle ore 17:30 si terrà a Palermo presso La Libreria Spazio Cultura (Libreria Macaione) il reading poetico dal titolo “Grandi e dimenticati: la poesia che non muore” organizzato dalla Rivista di letteratura “Euterpe” in collaborazione con i blog di Luigi Pio Carmina ed Emanuele Marcuccio e la rivista “Postillare”.
Al reading interverranno i poeti:  Anna Maria Bonfiglio, Maria Bufalo, Luigi Pio Carmina, Pierangela Castagnetta, Francesco Paolo Catanzaro, Rosa Maria Chiarello, Palma Civello, Pietro Cosentino, Francesco Ferrante, Emanuele Insinna, Raffaella La Ferla, Francesca Luzzio, Claudia Magliozzo, Emanuele Marcuccio, Emilia Merenda, Pietro Mistretta, Giuseppe Pappalardo, Guglielmo Peralta, Michela Rinaudo La Mattina, Lorenzo Spurio che daranno lettura ai loro componimenti ispirati o dedicati a poeti ed artisti nazionali e internazionali, molti dei quali di nicchia e ingiustamente dimenticati dalla critica ufficiale. 
L’ingresso è aperto al pubblico e la S.V. è invitata a partecipare.
Info: rivistaeuterpe@gmail.com 


mercoledì 8 aprile 2015

Mario Fresa, un'estrema dinamica visiva



Mario Fresa




Recensione di Marisa Papa Ruggiero



Cosa ha inteso fare Mario Fresa con il suo ultimo libro di poesie, così inconsueto e spiazzante rispetto ai suoi precedenti, è una domanda che sulle prime  si affaccia nella mente di più di un lettore.  Mario Fresa ha schizzato delle stilizzazioni, delle annotazioni, assecondando una dinamica visiva estemporanea, senza filtri emotivi o correttivi di sorta prelevati dalla casualità quotidiana nel suo svolgersi al pari di certe istantanee fotografiche e le ha appuntate, scrupolosamente, una per una con degli spilli su piatte superfici di carta lasciando però i pezzi sparsi del puzzle sul tavolo come in attesa di una possibile componibilità … ma, a differenza di certi rebus  che solleticano le nostre cellule grigie inducendole a giungere a soluzione, in questo Stupore quieto la possibilità di decifrare il senso della maggior parte di siffatti “quadri d’ambiente” ci è sistematicamente, inesorabilmente precluso. 
E ci chiediamo che cosa mai si rappresenta all’interno di questo “teatro” in cui indoviniamo intrecciarsi innumerevoli fili riconducibili ad altrettanti garbugli di eventi i cui nessi ci appaiono del tutto o in parte stravolti nello scorrimento di snodi esistenziali nevralgici che solitamente sfuggono alla nostra ordinaria attenzione; eppure, proprio all’interno di quegli scarti minimali, anonimi, riusciamo a percepire che si stanno consumando fondamentali rivolgimenti del destino, imprevedibili svolte fatali dai contorni inquietanti, come ad esempio, le agghiaccianti esperienze del crimine, vissute talvolta da qualcuno dei personaggi, o quelle altrettanto laceranti, patite da altri in istituti per malattie mentali: «qual è la forza che ci spinge a uscire, a colpire?» (p. 72), o ancora, a p. 33: «… Ma chi può togliere, da lì, quelle figure nere, / quegli eccitati inganni?» (ma non udiamo nessuna voce, è solo la risonanza interiore di una coscienza che fa eco sulla pagina e ci stringe alla gola), oppure, semplicemente, vediamo profilarsi sequenze di eventi del tutto insignificanti, destinati, di lì a breve ad essere dimenticati, o rimossi. «Nell’angolo accecante di questa dura luce di titanio / perfino i nostri nomi sono finiti, adesso, nella rete / di un biancume formicolante, nel fragile / attrito di un ricordo.» (p. 42).
 Fresa ci mostra, con veloci scatti allusivi, con irresistibili “passaggi dribblati” nel ritmo dalla narrazione, una molteplice varietà di microeventi disegnati con tratti sgomenti o ironici, partecipi o in qualche caso persino burleschi, che si intersecano o si contrappongono da risultare replicabili all’infinito, se non addirittura intercambiabili: «… avevo conosciuto, in un istante, la coincidenza della gioia con l’improvviso scricchiolio di quelle cose che finiscono ed esplodono, e che insieme ti risucchiano tutte in uno strano buio, fiammante e sconosciuto …» (p. 49).
Ma più in generale, la telecamera interiore di Mario, con la sua lente impietosa, intende metterci sotto gli occhi la perdita di senso del reale nel suo complesso, la cruda degradazione etica, culturale, antropologica della nostra attuale società, sempre più massificata, la cui situazione appare così compromessa che non si può che osservarla costernati. Ed è di tutto ciò che vuol renderci partecipi l’Autore convocandoci in questo libro, nel quale, forse, ci sentiamo costretti, almeno in parte, a riconoscerci: egli vuol farci condividere il proprio sgomento nel constatare l’incredibile ottusità degli eventi, l’assoluta inesplicabilità del male: «Ma chi mi salverà, pensavo, quasi piangendo; / chi mai mi salverà da queste mani / che hanno smesso di capire, da queste mani che si fanno più fragili / e più esperte, più dolci e più cattive?», (p. 70).
Direi che la peculiarità di questa scrittura, nonché il suo pregio maggiore a mio avviso, consista nell’aver affrontato la materia narrata da due differenti modalità di sguardo: quella attinente a uno scavo in profondità fino a toccare frammenti di bruciante tragicità dell’essere, e l’altra, parimenti consapevole, esposta ad una stupefatta, annichilita lontananza di sguardo, raggiungendo, nell’alternanza armonica di registri diversi: poesia e prosa narrativa, una ammirevole sintesi stilistica.
Al lettore, la constatazione di non poter leggere in modo univoco la realtà esistente, al tempo stesso tragica e paradossale, implacabile e astrusa. Potrà, invece, leggere tra le righe non solo la condivisione di un dolore comune ma, come in filigrana, un invito alla riflessione, quasi una sottile sfida a scavalcare le linee di contenimento imposteci dalle convenzioni, dalla superficialità, dalla falsa coscienza e scegliere di andare oltre, tutti insieme, sempre oltre le barriere di una stagnante rassegnazione, andare oltre un quieto stupore.

Marisa Papa Ruggiero





Mario Fresa
Uno stupore quieto
Prefazione di Maurizio Cucchi
Edizioni Stampa 2009, Varese, 2013
pp. 80, € 10









sabato 4 aprile 2015

Il bando della XXVI edizione del Premio di Poesia "Città di Porto Recanati"

CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA

“Città di Porto Recanati”
XXVI edizione – 2015


Art. 1 – Il Poeta invierà una sola poesia a tema libero.
L’organizzazione tuttavia consiglia di trattare tematiche sulla disabilità, sulla solitudine degli anziani, sui “nuovi poveri”, sugli extracomunitari, sugli eventi climatici, ecc., affinché si rifletta sulla condizione esistenziale dell’uomo, ideazione che portò all’istituzione del Premio «Città di Porto Recanati» più di 25 anni fa. Comunque sia, il tema vuole essere solo indicativo. La poesia inviata, che non dovrà superare i 35 versi, potrà anche essere stata edita, ma non vincitrice del primo premio in altri concorsi. L’originale riporti: Nome e Cognome dell’autore, indirizzo e indicazione della eventuale e-mail e la dichiarazione: «Dichiaro di essere l’autore dell’opera inviata al concorso».
Art. 2 – La Giuria è costituita da esponenti del panorama letterario e culturale e sarà composta da:
Lorenzo Spurio (scrittore e critico letterario) – Presidente di Giuria
Susanna Polimanti (scrittrice e recensore) – Componente
Lella De Marchi (poetessa e scrittrice) – Componente
Elvio Angeletti (poeta) – Componente
La medesima stilerà una graduatoria dei tre poeti vincitori dei premi in denaro e dei sette “segnalati dalla Giuria”. La Giuria, a suo insindacabile giudizio, deciderà di premiare quei poeti che, con l’impegno culturale e la propria testimonianza di vita, hanno contribuito a superare una condizione esistenziale difficile, o rendendola fonte di ispirazione.
Art. 3 – I Premi in denaro sono: 1° Classificato € 500,00 (cinquecento/00) e Pergamena; 2° Classificato € 300,00 (trecento/00) e Pergamena; 3° Classificato € 200,00 (duecento/00) e Pergamena. Dal 4° al 10° classificato verrà assegnata una targa “segnalato dalla Giuria”. Inoltre la stessa Giuria identificherà delle opere di disabili che, se non entreranno nella classifica comune, verrà riconosciuto un premio di incoraggiamento con attestato.
Art. 4 – La poesia dovrà essere spedita per posta ordinaria entro il 25 luglio 2015 (farà fede il timbro postale di partenza) in cinque copie, al seguente indirizzo: Prof. Renato Pigliacampo c/o Concorso Internazionale di Poesia «Città di Porto Recanati», XXVI Edizione 2015 – Casella Postale n. 61 – 62017 Porto Recanati (MC). Solo la “copia originale” dovrà riportare i dati dell’autore e la dichiarazione “Sono l’autore della poesia (indicare il titolo)”. E’ possibile inviare la poesia per e-mail a: pigliacampo@cheapnet.it La quota di partecipazione di € 20,00 (venti/00) è utilizzata per far fronte al monte-premi e alle spese organizzazione e potrà essere versata sul conto corrente postale numero: 29 68 76 21 intestato a Renato Pigliacampo c/o Casisma, o con altra modalità a scelta del partecipante.
Informazioni:
La premiazione avverrà a Porto Recanati. I Vincitori saranno contattati per email, per cellulare o/e telefono e anche con lettera inviata all’indicazione domiciliare.
I Vincitori avranno comunicazione scritta del giorno, dell’ora e del luogo della Cerimonia di premiazione.
In occasione della premiazione si terrà un Recital durante il quale verranno lette le opere vincenti. Del Recital verrà prodotto un video che sarà trasmesso su YouTube ed un DVD (inviato a chi ne farà richiesta).
L’evento culturale sarà pubblicizzato sui quotidiani “Il Resto Del Carlino”, “Corriere Adriatico” e sulle Riviste specializzate e i siti di poesia; e su Radio Erre. Sarà anche realizzata una pagina nel sito www.ilsalottodegliartisti.com
Per ulteriori informazioni:
Parte letteraria:
Lorenzo Spurio (Presidente di Giuria) – lorenzo.spurio@alice.it
Parte logistico-organizzativa:
Marco Pigliacampo: marampo75@gmail.com