martedì 31 marzo 2015

Su L'assenza di Annalisa Ciampalini


L'assenza

Giuliano Ladolfi Editore 2014

nota di lettura di AR


“Lo spazio scarseggia, / le mie stanze / precipitano in trascurabili macerie.” (Nelle strade di tutti, p. 13)

Già questa “architettonica” terzina ci dona il profumo di questa raccolta divisa in tre sezioni “Presenza trascurabile”, “La scelta dei momenti” e “Trasformare”: c'è una tensione che a partire da una fase malinconica (spesso inevitabile per i creativi) diventa decisiva e si apre a nuovi orizzonti.

Dalla prima sezione “ricaviamo” una autoanalisi quasi algida, dolorosamente controllata eppure ribollente sottotraccia, della situazione di abbandono riecheggiata nel titolo stesso del libro: 
“I tuoi silenzi /diventano perenni, / le varie tonalità collassano / in una sola. / Povertà di vita, il tuo volto tende all'astratto.” (p. 15)
“Tenere lo sguardo fermo / chiodo alla parete a puntare / architravi svaniti nell'intonaco.” (p. 17)
“Poi ripartirò, / e sarò ancora io, cascante e rigida, / ma con meno gradini davanti. / Prevedo di passare così / il mio tempo, / fino all'ora in cui / sarò chiamata a restituire il mio nome, / a deporre, / indistinti, / amore e simulazione.” (Organizzazione del tempo futuro, p. 18)

Nella seconda sezione lo spaesamento “insensato” spinge a una implicita richiesta di aiuto, a porre domande esistenziali, ad iniziare un cammino che ci allontani da quel fondo di sabbie mobili in cui può capitare di impaniarsi:
“I punti di ritrovo / perdono senso / minuto dopo minuto. / Nessuno viene interrogato sul perché.” (La casa di mille anni fa, p. 25)
“Qualcuno mi dica se / l'aurora che visitava l'Olimpo / può ancora sorprendere un uomo / in una strada del mondo / o se il precedere del mattino / ovunque si accucci / muore senza gemere nel suo sangue.” (Da condividere, p. 26)
“Così / ho allungato i miei tentacoli, / conquistato un nuovo punto dello spazio.” (Orizzonti di mare, p. 32)

La terza sezione è una prospettiva di rinascita che riposiziona e scardina:
“Si parla di inavvertibili neutrini / di muoni sfuggenti, leggerissimi pioni / e ci inondano in sciami tranquilli. / (…) / Ed eccoti qui, / persona o sequenza d'atomi; / vivo e intatto, / vittorioso sulla tua tragica assenza. / Ancora mi è dato di vederti / in questa luce piegata.” (Lezione di fisica, p. 35)
“Adesso il nostro incontro / è un gomitolo di materia ignota / confuso fra i punti del prato. / (…) / le mie orme non screziano il suolo.” (p. 40)
“Nel buio / la montagna avvicina la luna: / per contenerla / il cielo allarga i margini.” (p. 42, ultimi versi della raccolta).

I versi di Annalisa Ciampalini si evidenziano per la loro fluidità aritmica, perché il respiro è breve oppure si allunga, ansioso o tendenzialmente atarassico, ma le sillabe, le immagini, le emozioni si offrono al lettore nella loro semplice e tremenda verità… il lavoro del poeta è proprio questo: donare una bellezza sobria, essenziale, intensa, eufonica e far riverberare nel nostro cuore e nella nostra mente quelle domande che sono gli ingredienti indispensabili di ogni vita. 

lunedì 30 marzo 2015

Colomba Di Pasquale: segnalazione d'onore al Premio “SANTA MARIA IN CASTELLO” – CITTA' DI VECCHIANO 2015

La informiamo che il Suo volume di poesie dal titolo: 
IL MIO DELTA E DINTORNI, dopo attenta valutazione da parte della Giuria, ha conseguito il seguente riconoscimento: Sezione A: “Poesia edita in Volume”: SEGNALAZIONE D'ONORE.
Il riconoscimento Le sarà consegnato Sabato, 23 maggio 2015, durante la cerimonia di premiazione che avrà inizio alle ore 15.30, presso la 
Pievania di S. Alessandro, 
Via S. Alessandro, 5 (vicino al Comune), in Vecchiano (Pisa). Complimenti e cordiali saluti,
Il PRESIDENTE 
Prof. Salvatore Tibaldi

P.S. Per ulteriori informazioni, e visionare l'invito – che apparirà tra qualche giorno – si rimanda al sito del Premio: www.premiovecchiano.it

giovedì 26 marzo 2015

Su gli occhi, la voce di Brunella Bruschi

recensione di Vincenzo D'Alessio

Caro lettore che avrai tra le mani la raccolta poetica di Brunella Bruschi che reca il titolo: gli occhi, la voce (FaraEditore 2015), il tuo compito non sarà lieve nel contenere durante la lettura l’amore, l’empatia e il calore, che la matura poetica trasmette. Non sarà facile raggiungere dal verso: “tu mi dicevi di lasciar perdere la poesia” (pag. 15), al verso: “solo il mito ci spetta, voce senza parole” (pag. 134) gli occhi e la voce della poeta scomparsa ai primi giorni di marzo di quest’anno.
Gli occhi che desiderano la luce per sempre. La voce che desidera trasmettere la forza della nostra anima agli uomini, alla Natura che ci circondano. Una disperata corsa prima della fine, uno scritto che duri più del sasso che ricorda il nome ai visitatori dei cimiteri. Noi cerchiamo di sopravvivere alle fauci dolorose della Morte. Noi affidiamo alla Poesia la nostra vera identità di uomini soli, diversi, profeti.
Il pentagramma che forma la raccolta ha cinque note sulle righe: “gli occhi, la voce”, “mai dei miei giorni”, “segreta”, “l’assolo del cielo” e “quando ”. Negli spazi le quattro stagioni della vita. La più cara resta l’infanzia: dolorosa, arsa dal desiderio di luce, mai completata: “consegnai il compito con disagio / con la coscienza di aver copiato / non c’era la mamma / ma una zia senza amore / una casa elegante ma senza occhi / nemmeno la voce amica di una chitarra / mi risparmiava il silenzio / che sottrae allegria e gioco / persino il piacere di appartenere a una scuola” (pag. 37).
Partiamo da questa profondità condivisa, lettore, perché le infanzie formano le note più alte del vivere insieme, della Civiltà di un popolo, della fragranza dei doni dell’esistenza. Bruschi conosceva già il male che l’attanagliava, conosceva il dolore delle flebo della lunga cura, l’irriverenza del dolore che ci rende formiche claudicanti. Non si è mai arresa: “(…) la musica sempre incompiuta / come il silenzio cum tucte le sue fioriture / che non si arrende e resta inconsolabile…” (pag. 82). Lei oggi è viva e musicale nei versi di questa incompiuta raccolta perché spetta a noi, a coloro che leggeranno dopo di noi, completare l’armonia che la governa.
Potrei, seguimi!, riprendere come in un mosaico policromo tutte le minuscole tessere della poetica: moltissime similitudini, diversi ossimori, l’enjambement ricorrente per dare vigore al verso, assonanze diffuse, qualche timida rima, il corpo versatile delle composizioni quasi uno spartito di vivaldiana memoria, non da Requiem: “(…) mi plasma questa musica di visivo silenzio / mi estendo negli arpeggi, nei vocalizzi, / che ascoltano il cuore” (pag. 66).
Emergono gli occhi come fonte del volto; la voce come suono dell’anima; il racconto come voto di fiamma per la Memoria; l’immaginazione come essenza, esistenza, speranza, musica; la profondità dell’abisso, la fonte della nostra e della sua esistenza come sangue che defluisce e non torna nel suo alveo; il tempo svuotato della sua corsa come: “(…) in questo orizzonte / in cui pietà, compassione, rettitudine / non sono una cosa sola / la paura vedere il mistero che affiora / il segno che non si è avvezzi / a veder trasparire” ( pag. 119).
Pentametro eolico questo di Brunella Bruschi dove il ricorrente occhi-voce accompagna te, caro lettore, lungo la sua armonica esistenza nel Secolo appena trascorso. La Storia si affaccia, attraverso i versi, nei nomi e nelle opere musicali: Maria Callas (1923-1977) e la Tosca di Giacomo Puccini (pag. 61); Vermeer (XVII secolo) e la Ragazza al virginale (pag. 63) e Pablo Picasso (1881-1963) (pag. 76) e le opere pittoriche di entrambi lasciate in dote all’Umanità. Gli spunti di attualità sono tanti e saranno i testimoni futuri per chi si accosterà alla disamina critica della raccolta.
A noi, oggi, spetta raccogliere tutta la forza creativa che promana da questo libro di carta, da questo testo poetico, affinché divenga parte di noi e ci renda più forti nel viaggio intrapreso. Gli occhi della Ragazza al virginale, riprodotta sulla copertina della presente raccolta, invocano l’ascolto in una sequenza musicale appena soffusa nel candore delle labbra socchiuse.
Mi permetto di prendere in prestito le parole dalla prefazione a questa raccolta redatta da Alessandro Ramberti: “Il poeta (la poeta, ndr) ha antenne profetiche, è voce messa in tensione mobile, inquieta e perlustrante da quella nota insondabile, da quella luce abbagliante eppure spesso a noi stessi, che segretamente la alimentiamo, invisibile”(pag. 10).


martedì 24 marzo 2015

CASTIGAT RIDENDO MORES?...






Dicono giovanissimi – e finti giovani – critici letterari che la poesia è tale se esprime uno stile così originale da non riflettere, nemmeno lontanamente, quello di un poeta doc. Il che lo trovo giusto, ma solo in linea di massima: dove sbaglio se affermo che siamo COMUNQUE il risultato di ciò che abbiamo letto e amato? Che quanto resta addosso viene filtrato e mesciato con l'io – più o meno – colto e, infine, impastato ad un vissuto che, vivaddio, non è mai in fotocopia?
Ciò premesso, mi capita di leggere versi talmente incomprensibili – ma fedeli ai dettami dei critici di cui sopra, tant'è che il limite tra originalità e stramberia è molto labile – che di questi non mi rimane neanche un vago sapore. Il limite – mi dico – è solo mio, mi attrezzo a colmarlo ed è allora che mi impicco da sola:


Leggo versi
m’annoio e leggo versi

tra un se e un ma
molte volte omessi
oceani da fiumi di parole

e poi
l’esca dell’autore:
stramberie,
dal latte di gallina
al sesso d’angeli
né manca l’oscenità
di circostanza a mo’
di linguaggio innovativo

… abboccherà
il raffinato critico lettore?

Lui
che coglie Majakovskij
redivivo o reconditi
proustiani in pure
stravaganze
scrive in tale critichese
che l’Arno si prosciuga
pur di non lavarlo.

E vedo la poesia
che corre
con la ciambella ai fianchi
a tuffarsi nel bianco
di pagine circostanti.


C'è qualcosa di diabolico in tutto ciò, e alludo all’accezione etimologica da cui deriva l’aggettivo: diavolo, da diàballo, colui che separa. Si è infatti disposti a (s)vendere “la fatica di essere sé stessi” per un piatto di lenticchie che gli irreprensibili critici sapranno offrire (ma anche queste – le lenticchie – dovranno, quantomeno, risultare altrettanto originali: raccolte ad una ad una, da un primigenio quanto singolare albero).

Su La vita restante di Rosa Elisa Giangoia



De Ferrari, Genova, 2014

Recensione di Franco Casadei


Non ho mai conosciuto di persona Rosa Elisa Giangoia, ma solo attraverso due sue pubblicazioni di Fara Editore:  Appunti di poesiaSequenza di dolore. Ciò che da subito mi rimase impresso fu la profondità dei temi da lei affrontati e la chiarezza del suo scrivere, la fruibilità per ogni tipologia di lettore. Studiosa e scrittrice di cultura smisurata, ha saputo mantenere la semplicità di chi sa insegnare e ritengo che la comunità letteraria le debba essere debitrice di questo suo spendersi infaticabile e senza vanità e pretese.
La vita restante, recente silloge poetica edita da De Ferrari, conferma la personalità umana e letteraria di questa raffinata autrice. Un poemetto occupa un terzo del libro. Le restanti 30 poesie sono suddivise in sette brevi sezioni
Il poemetto, L’emigrante, descrive la storia tormentata di un giovane che espatria da Genova a New York ove giunge il 13 aprile 1903, “trascinando sfasciati bagagli di pena” in cerca di fortuna. Il primo impatto lo incoraggia nelle sue speranze giovanili. Si trovò “in un immenso ordito ancora scarso di trama / … un mondo verde d’erba sognata / … Si sentiva la vita pulsare oltre l’orizzonte”. Ma gradualmente, pur liberatosi dall’indigenza con il suo lavoro di taxista, si accorge che “la vita schiaffeggia l’anima” e che “sotto i suoi piedi/ le pietre risuonavano di solitudine” e che la cementificazione della città “uccideva a poco a poco il mare”. E così “nelle pieghe del tempo / si riaprirono le ferite della nostalgia”. E decide di tornare alla sua terra d’origine “per riannodare le memorie della vita”. “Capì che era partito solo per tornare, / che aveva dovuto perdersi nell’ignoto/ per potersi un giorno ritrovare”.
Nella sezione A Mino ritroviamo il tono elegiaco di Sequenza di dolore, libro dedicato al marito scomparso: “Per questo sei stato: / perché io ti potessi ricordare/ ora che appartieni alle profondità/ delle memorie mute”. “Ma tutto si ricomporrà / nell’armonia della perfezione”.
Bellissimi i quadri descritti nella sezione In viaggio. Ritrovo le suggestioni provate allorché ci si ritrova in Grecia “nell’abisso dell’incanto / degli ulivi di Delfi” o immersi nella pietra levigata delle Meteore. Oppure navigando sul Volga, dove “la prua/ fende la verginità dell’ignoto” e “A terra / la vita quotidiana / è scritta sul viso / a quelli che incontri” visi che portano ancora scritto decenni di terrore e di asservimento al potere della menzogna. E ancora “lo sfolgorio barocco / dell’oro dell’altare” di Santiago di Compostela.
Nella più corposa delle sezioni, Vita, scopriamo la posizione dell’autrice di fronte al dramma della vita, con una chiara opzione aperta alla speranza. E qui troviamo alcuni fra i versi più intensi del libro:
- “Vorrei sapere dirigere / la barca della mia vita/ ad infilare la cruna dell’eternità. / … costruire i gradini / della mia scala a Dio”.
- “Non sappiamo quel che resterà/ quando con uno strappo lacerante / … ognuno di noi ridisegnerà se stesso / … fino al compiersi dell’ultima attesa / nell’inghirlandarsi del pensiero /  con l’intreccio di ricercate tenerezze / … Io cercherò un orto appartato/ dove fioriscano fiori inaspettati / perché so che lì mi attendi”.
- “Occorre fidarsi, / fidarsi che la felicità esiste”.

La sezione Femminile chiude il libro con un inaspettato testo, una danza d’amore di uno sciame di fuchi attorno a L’ape regina, “chiusa nel brillio della sua giovinezza / … Dietro di lei la piccola schiera brulicò / come una manciata di grano / … s’accese la lotta. / L’ultimo giovane guerriero, / rilucente come un dio, / raggiunse la regina / tremante e l’afferrò. / Lei s’abbandonò smarrita. / … Ed era fra i due una sola dolcezza”.
La vita restante si conclude con questa straordinaria poesia che avvalora ancora di più questo viaggio dell’autrice che si affida alla speranza che la meta non sia la fine del cammino, ma l’inizio di una vita che, trasfigurata, continua. E questa festosa danza d’amore dell’ape con il suo amato – che fa di due “una sola dolcezza” – intenerisce il cuore e dà coraggio all’anima, di noi lettori e anche di noi uomini travagliati viandanti nel tormentato viaggio dell’esistenza.
Rosa Elisa Giangoia ancora una volta, senza censurare nulla della fatica del vivere, ci apre il cuore ad apprezzare la vita, anche nei suoi aspetti misteriosi e apparentemente senza senso.

giovedì 19 marzo 2015

Padre


illustrazione di Terry Donnelly

PADRE


Quasi vorrei
tu fossi presente
in quegli attimi stolti
restii a sognare.
Zigrinate stoffe,
mi abbandono al tepore
di un tenace ricordo
e tu sorridi.
A volar su nei cieli,
a cavallo del tempo,
sovrasti il mio cuor.
Gocciole sparse
di sudore e di pianto
avversano
il sano principio
del corretto avanzar
del volo composto
di stormi anelanti
mete più ariose.
Giusto tu sei
come sempre sei stato,
ventagli d’amore
ti allargano il cuore,
tu sai chi ti vuole,
chi ha bisogno di te.
E scorrazzi e fomenti
momenti migliori,
desideri veramente
toccare le stelle
e una la sfiori
perché è la tua vita,
che palpita all’unisono
con la tua tempra.
La tua pelle ha assorbito
la luce delle stelle
quando attingevi dal mondo
sorsi di blanda poesia
e intanto elargivi
il tuo cuore pietoso.
Han germogliato
carrette zeppe di gigli
e fiori, i più odorosi
… un fitto giardino d’amore
l’impronta che hai lasciato.





NEL TUO RICORDO 

Avresti voluto per me 
un tappeto di petali di rose. 
Avresti voluto per me 
serenità, sicurezze 
e nuovi incentivi. 

Tu mi hai dato tanto di più. 
Mi hai dato quella fermezza 
che sento addosso 
come una carezza. 

Nel tuo ricordo 
prego e proseguo. 
Quando arriverò 
fammi un sorriso, 
saprò così di essere 
in paradiso. 

Sempre vivida nella mia mente 
la tua profonda umanità. 
Sapevi cogliere 
ogni sfumatura di verità. 

I valori, che eran parte di te, 
suggello della tua sublimazione. 

Giornata Mondiale della Poesia a Montoro (AV)

di Vincenzo D'Alessio & G.C.F.Guarini



La comunità di Montoro ha da poco raggiunto la sua nuova identità di unico territorio municipale, prima diviso in Superiore e Inferiore, questa sfida viene retta dal sindaco dr. Mario Bianchino il quale, nella giornata di ieri ha voluto celebrare con i giovani studenti della Classe 3° D dell’Istituto Comprensivo Statale “Michele Pironti”, la Giornata Mondiale della Poesia.
L’evento è stato anticipato di qualche giorno per consentire alle famiglie di partecipare alla visita che Papa Francesco effettuerà alla vicina Napoli e alla Basilica Pontificia di Pompei.
L’organizzazione della celebrazione è stata affidata al Gruppo Culturale “F. Guarini” con il supporto della Casa Editrice “Fara” di Rimini diretta da Alessandro Ramberti e dal “Centro di Documentazione della Poesia del Sud” diretto da Paolo Saggese, i quali hanno fatto pervenire agli studenti libri in omaggio e l’augurio di divenire ottimi meridionalisti.
Il poeta celebrato quest’anno è stato Rocco SCOTELLARO per la sua vicinanza al mondo contadino, così caro alla comunità montorese, in vista anche della futura visita alla Città di Matera promossa capitale della Cultura Europea per il 2019.
I giovanissimi studenti si sono prodigati nella ricerca della vita e delle opere del giovane poeta lucano, recitando le sue belle poesie e dialogando tra loro sui valori trasmessi e sull’attualità della ripresa delle attività agropastorali, tra queste l’antica coltura della “cipolla ramata”: tipico prodotto dell’area montorese da decenni.
Al termine della cerimonia, che ha visto la partecipazione della Dirigente Scolastica dr. Alessandra Tarantino, è stata consegnata la Medaglia del Centenario di Solofra Città al sindaco Bianchino con un attestato di riconoscenza per l’opera svolta in favore della scuola. I libri offerti dalla Casa Editrice Fara sono stati distribuiti agli studenti dalla Dirigente scolastica e a fare gli onori di casa l’insegnate di lettere Bernarda Montone.
La luce della poesia brilla con la sua bellezza negli occhi e nel cuore delle nuove generazioni, nonostante i difficili momenti sociali e politici che li circondano.

venerdì 13 marzo 2015

Su Meteo Tempi

nota di lettura di Lucia Zanotti (per Cremona Produce, Bimestrale d’Attualità e Cultura Gennaio/Febbraio 2015)

Alberto Mori è un noto poeta cremasco, performer e artista, moderno, innovativo, che passa con sicurezza attraverso diverse forme espressive, dalla poesia sonora e visiva, all’installazione, al video, alla fotografia. La sua curiosità lo porta infatti a sperimentare vie nuove e nuovi linguaggi nel mondo poetico. Sicuramente non siamo di fronte ad un poeta di facile ed immediata presa. Meteo tempi ha una sua apparente durezza linguistica che però sotto la scorza metallica della parola, rimanda ad una trepida e acutissima rappresentazione della realtà. La raccolta è divisa nelle sezioni: Segni, Annunci, Stagioni, Zone, Visioni, Venti & Dei. Si respira spazio-tempo e Mori sa sublimare una realtà a tratti triviale e sfregiata, ma anche con un senso di bellezza e di commossa partecipazione. C’è lo sguardo lucido, ma anche appassionato del poeta che adotta un linguaggio crudo, diretto, sincero, moderno ma estremamente sonoro, visibile e pittorico come la realtà suggerisce. Ovunque c’è armonia,musicalità e sapienza nell’uso della parola quasi oggetto, quasi un Duchamp del verso.

giovedì 12 marzo 2015

Gli “Artigiani” salveranno il Sud d’ITALIA.


Caro Michele LUONGO, tra pochi giorni compirai gli anni, nelle tue poesie e nei tuoi scritti hai cantato le forze buone del nostro Sud, gli artigiani, come te che sei uno degli artigiani della parola. Hai ragione: il lavoro manca perché è scomparso l’artigianato, quello vero !, fatto di piccoli/grandi uomini, nei nostri piccoli/grandi comuni irpini, come ci ricorda il “Giovane Favoloso” nei versi del Sabato del Villaggio: “(…) Poi quando intorno è spenta ogni altra face, / e tutto l’altro tace, / odi il martel picchiare, odi la sega / del legnaiuol, che veglia / nella chiusa bottega alla lucerna, / e s’affretta, e s’adopra / di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.”




Ho scelto un casaro: l’attività che dai Sanniti ai giorni nostri ha sostenuto l’economia pastorale, agricola e boschiva. La mozzarella di Bufala fatta ancora con le semplici regole del “buono” offerto prima a chi le produce poi a quanti acquistano il prodotto. Certo questa mozzarella , con gli altri prodotti ricavati dal buon latte, non sarà presente all’EXPO di Milano, ma ci alimenta e ci sostiene ogni giorno, saporitamente. Confido che quando torni da Trento e verrai a trovarci consumeremo insieme questa buona mozzarella artigianale della Nostra Terra.



Vincenzo il casaro plasma
mille forme nelle mani
sorride serio sulla secchia
fumante di latte al mattino
imbraccia un bastone
come un re antico.
Il sole greco di Paestum
sorride.


Un abbraccio fraterno, a te e Antonella. Marzo, 2015.



Vincenzo D’alessio