mercoledì 30 maggio 2012

Su Abitare la cecità di Dante Maffia


recensione di Vincenzo D'Alessio
La casa,  scelta dal poeta Dante Maffia per ambientarvi la sua raccolta di  versi,  è  in una “posizione magnifica”, tanto in alto che il vento trasporta “risonanze sconfortanti / e insinuava brutte reminiscenze” (pag. 31). Un cubo di cemento disposto in città, dove “una marea d’abitudini buffe, / un indaffarato via vai di gente”  si alterna al “silenzio, chiuso / nel buio di significati inesplosi” (pag. 31). I versi contenuti in questa raccolta si posizionano in punti cardinali che guidano il lettore da Nord a Sud, e viceversa, in un viaggio senza tempo dove le metafore, le anafore, l’enjambment, l’onomatopea (lo scrocchiare, pag. 43), il racconto, reggono la parola come  travi di quella casa per svelare le ragnatele, i tarli, la polvere che la memoria ha disseminato.
 “Tu non ricordi la casa di questa / mia sera. Ed io non so chi va e chi resta” (E. Montale, La casa dei doganieri) Come  nei versi del Nobel Montale, così nei versi di Maffia i ricordi abitano “la cecità”, la dimenticanza involontaria, predestinata dal perturbante alla familiarità del passato, per non soffocare il presente in quel “ dolore molto particolare / che nasce dai ricordi” (pag. 46). Tutto il passato sembra morto quando il quotidiano ci addenta come “Una muta di cani / (che) sopraggiunge abbaiando / nella piazza del mercato” (pag. 11). L’Io poetico sceglie involontarie presenze amiche, anche negli oggetti ritrovati in soffitta, per narrare quanto dura possa essere la cecità di quei luoghi della memoria, di quei lunghi istanti di vita, che appaiono e scompaiono come nelle vecchie foto dagherrotipo o come nella pellicola del film di Federico Fellini Amarcord.
Il Nostro però cerca il dialogo con il lettore e lo fa lasciando agli oggetti, come la rivista di moda “Marie Claire”, a B. Bardot; nelle lacche da grammofono con il simbolo del cane targate “La Voce del Padrone”; alla Barbie; alla poesia olfattiva come nei poeti futuristi: “una chewing-gum (…) / ma non puzza”. E ancora: “Oppure c’è una ragione occulta / che delinea il superfluo e ne fa aromi / per purificare le ragioni del diluvio annunciato” (pag. 45), il compito di far cadere dagli occhi le squame di quella cecità che cela il percorso verso “l’infanzia accucciata”. Non è nostalgia, non è rimozione, ma volontario ritrovarsi con un mondo oggi lontanissimo “motivi trapassati”, di appena mezzo secolo fa. La seconda parte del nostro Novecento, quello del “non chiederci la parola “ di Eugenio Montale, ripreso nell’esclamazione di Maffia: “Povero Montale ! Credeva che le parole / avessero la filigrana come quella / della carta moneta” (pag. 42.) Oggi divenuta pura realtà.
La chiave per aprire la porta della casa dove abita, in penombra, “ma era così bello vederlo felice” (pag. 27); “non farlo sconfinare nella gioia” (pag. 29); “in totale allegria” (pag. 38); “mette allegria” (pag. 40); “La felicità arrivò come un tuono” (pag. 43); è la magmatica ricerca di un approdo al lunghissimo viaggio nella memoria dove il poeta, trasporta il lettore, indicandogli la valenza della parola e il fondamento della realtà: “Qui il passato non è dimenticanza, / ma docile danza d’un domani / che esiste ma non s’avvererà” (pag. 45).
Così prendono forma, di rimando, tutti i richiami al passato come gli scrosci della pioggia, goccia dopo goccia, sulle tegole della casa abitata: “Il Pollino”, montagna nell’Appennino calabro lucano; “il senale”, conosciuto anche come “mantisino” o grembiule; il “Ciuto”,  che sarebbe nel dialetto calabrese “lo scemo del paese”; la città di Sapri, nel Cilento, con la sua spigolatrice ricordata nella poesia di Segantini; le famiglie contadine colme di figli e di abitudini oggi “barbare” ma allora consuete di fare i propri bisogni nell’orinale e il lavarsi nell’unica acqua messa scaldare sopra al fuoco dell’antica cucina in muratura; le città di  Napoli, Barletta, il servizio militare affiancato al “Deserto dei tartari” di Dino Buzzatti; insomma tutta la magnificenza di quella “meridianità” che Franco Cassano delinea nel suo ottimo lavoro critico: Il pensiero meridiano (2010).
La raccolta è divisa in sette sezioni. Il numero sette compare ancora nella poesia Promiscuità (pag. 37),  a simboleggiare la cifra apotropaica scelta dal Nostro per sviluppare un poema nella raccolta e affidare a questa cifra un significato nascosto. Un viaggio nella nostra storia. Un ritorno, ai paesi che  appartengono all’anima;  alle case che non tutti vedono, che “avevano i muri scalcinati / sui quali si potevano leggere / ancora le scritte delle campagne elettorali” (pag. 35).

martedì 29 maggio 2012

Le parole della poesia a Como

 

 

 

OLTRE LO SPAZIO E IL TEMPO.

LE PAROLE DELLA POESIA

 

 


Sabato 9 giugno 2012, ore 21,

presso la Casa della poesia di Como

via Rovelli, 4


Quattro autori de “LA COLLANA” 

(STAMPA 2009, VARESE) 
presentano i loro nuovi libri. 

Quattro diverse poetiche che si confrontano su cosa significa oggi fare poesia: 


MARIO FRESA


LAURA GARAVAGLIA


MARIO SANTAGOSTINI


MARY BARBARA TOLUSSO





Relatore MAURIZIO CUCCHI




lunedì 28 maggio 2012

RASSEGNA DI POESIA LA VOCE DEI LUOGHI ALICE NELLA CITTA' CASTELLEONE (CR) MAGGIO/ GIUGNO 2012

IN COLLABORAZIONE CON CIRCOLO POETICO CORRENTI  

Giovedì 31 maggio 2012 – ore 21,15
Puccio Chiesa
POSTUMI

Postumi reading video-poetico tratto dall’omonimo libro, a cura della SEMIOLABILE CINEMATOGRAFICA (Puccio Chiesa, Roberto Moroni).


Molti sono gli enigmi che incantano i versi. Molti i luoghi del tempo che si spostano e vivono in un altrove costante, senza contatto corporeo
.

(Dalla prefazione a Postumi di Alberto Mori, Zona Editrice, 2012)
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Giovedì 7 giugno 2012 – ore 21,15
Christian Sinicco
CITTA’ ESPLOSA. APOCALISSE DI LUOGHI E SPAZI
Presentazione a cura di Marpa Crisciani

In collaborazione con il Circolo Poetico Correnti

Città esplosa. Apocalissi di luoghi e spazi è una riflessione accompagnata dalla lettura di testi poetici e racconti del poeta Christian Sinicco e dello scrittore, nonché psicologo, Marpa Crisciani. La letteratura è proposta attraverso la visione di luoghi e spazi possibili, alcuni nelle quali la civiltà si è eclissata, oppure percorsi da altre forme di vita, alcune pensanti e senzienti, oppure visioni di luoghi vissuti da flora e fauna sopravvissuta a eventi catastrofici; infine narrazioni del percorso di un genere umano, che potrebbe terminare da un momento all’altro per una sorta di distopia che ha invaso la psicologia degli individui o nuovi inizi, oltre una società tecnologica e governata assieme alle macchine, oppure orientata dal liguaggio di umani, viaggiatori del tempo e dello spazio.

Christian Sinicco
, nato a Trieste nel 1975, poeta, si occupa di letteratura su metabolgia <http://metabolgia.wordpress.com/> e mare del poema <http://christiansinicco.wordpress.com/> , dove ospita testi, saggi, interviste e riflessioni sulla poesia contemporanea.E’ stato caporedattore di Fucine Mute Webmagazine <http://www.fucinemute.it/> . E’ stato molto attivo nella diffusione della poesia sul collective multimedia blog di Absolute Poetry <http://www.absolutepoetry.org/> .Ha collaborato con Village, il blog di Libri Scheiwiller.Collabora con la rivista di esplorazione, Argo <http://www.argonline.it/> .Nel 1999 fonda, insieme ad altri poeti, l’Associazione “Gli Ammutinati”. Attualmente collabora con l’Associazione Nadir Pro <http://nadirpro.wordpress.com/> .Nel 2005 pubblica “passando per New York <http://www.lietocolle.info/catalog/product_info.php/products_id/278> ” (LietoColle) con prefazione di Cristina Benussi.E’ l’attuale segretario artistico di Trieste Poesia – www.triestepoesia.org <http://www.triestepoesia.org/> ,come performer collabora con i Baby Gelido, fondendo parola, musica e teatro, muovendo gli automi della poesia sulla scena.

Marpa Crisciani, è uno psicologo di indirizzo Clinico, specializzato in Riabilitazione Neuropsicologica e in ambito di consulenza Psicologica e Relazionale maturate presso il Presidio Sanitario San Camillo di Torino, il Centro di Terapia Familiare di Largo Volontari del Sangue a Milano e l’European Institute of Systemic-relational Therapies di Milano.
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Giovedì 14 giugno 2012 – ore 21,15
Italo Testa
LA DIVISIONE DELLA GIOIA

Il reading di Italo Testa, a partire dalla raccolta La divisione della gioia (Transeuropa, 2011, 2 ed.), mette in scena un road movie poetico che scorre tra sfondi naturali e paesaggi post-industriali, tra Marghera e l’hinterland milanese, sullo sfondo musicale dalle ritmiche cupe dei Joy Division. In occasione della lettura sarà presentato ancheI camminatori, un video in cui fotografia, musica industriale e poesia mettono in figura un’indagine dei luoghi.

Italo Testa, poeta e saggista, è ricercatore in Filosofia all’Università di Parma. Ha pubblicato il poema La divisione della gioia (Transeuropa, 2010), la silloge Luce d’ailanto (Marcos y Marcos, 2010), l’e-book Non ero io (gammm.org, 2010), il concept Canti ostili (Lietocolle, 2007), la raccolta Biometrie (Manni, 2005).

Presentazione a cura di Alberto Mori
La serata è in collaborazione con il Circolo Poetico Correnti
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Giovedì 21 giugno 2012 – ore 21,15
Alberto Mori
PROCEDURE
Viaggio nei Non Luoghi della poesia
attraverso reading performance videoproiezioni
Presentazione  a cura di Franco Gallo





Versi plastici, distesi in vibranti chiaroscuri, volti alla rivalutazione, riappropriazione e restituzione della forma concreta alla verbalità data nella ricerca dell’aderente parola/corpo. Attraverso l’oggetto urbano, che non è solo l’oggetto consumistico, ma l’oggetto in quanto struttura d’ingranaggi locomotori dell’agire umano, e le modalità linguistiche decostruite, per così dire underground, l’artista anela ad approfondire e spazializzare le relazioni tra la parola/conoscenza, la parola/etica, la parola/vita. Sicché la trasfigurazione estetica si esplica nell’attenzione del poeta verso il mondo per “consumarlo”, fruirlo, percorrerlo in “spostamenti”, “movimenti”, pause, silenzi.Per questa via muoversi tra i versi è come attraversare la strada, più che essere on the road, di notte, di giorno, d’estate, d’inverno, cogliere la subitanea vista dal treno o dall’immobile panchina di un parco in un approccio live. I suoi versi non piangono, non biasimano, non irridono, non esaltano… constatano con umana accoglienza la singolare aura del tempo.Osservarli, oltre che leggerli, significa superare il rapporto frontale, consequenziale, in una deambulazione tra azioni, cadenze, percezioni, soste. (Maria Grazia Martina)



Alberto Mori <http://www.albertomoripoeta.com/> , poeta performer e artista, sperimenta una personale attività di ricerca nella poesia, utilizzando di volta in volta altre forme d’arte e di comunicazione: dalla poesia sonora e visiva, alla performance, dall’installazione al video ed alla fotografia. La produzione video e performativa è consultabile on line sulla pagina YouTube e Vimeo dell’autore e nell’archivio multimediale dell’ Associazione Careof / Organization for Contemporary Art di Milano. E’ tra i membri fondatori del Circolo Poetico Correnti che dal 1995,opera nella riflessione, incontro, divulgazione della poesia.Negli ultimi anni più volte finalista del premio di poesia “ L.Montano” della rivista Anterem di Verona.Dal 1986 ha all’attivo numerose pubblicazioni, tra più recenti:Iperpoesie(1997),Percezione (2000) per Multimedia Edizioni.Cellule (2001),Raccordanze (2004) per Cierre Grafica.Urbanità (2001),Non luoghi A Procedere (2003),Utópos (2005),Bar(2006),Distribuzione (2008), Performate (2011) per Scrittura Creativa Edizioni.Suonetti (2006) per Alla Pasticceria del Pesce.Il libro di te ovunque (2007) per LietoColle.Raccolta (2008), Fashion (2009),Objects (2010) Financial (2011) Piano (2012) per Fara Editore. Nel 2001 Iperpoesie (Save AS Editorial) e nel 2006 Utópos (Peccata Minuta) sono stati tradotti in Spagna.

domenica 27 maggio 2012

News da Adele Desideri

Amici
vi segnalo alcuni eventi
 
*Recensione di Adele Desideri a Daniela Marcheschi, Si nasce perché L'anima, Poesie e Poemetti 1995-2003, ZonaFranca, Lucca, 2009, pubblicata ne Il Quotidiano della Calabria, rubrica Idee e società, 10 gennaio 2012, pag. 51. In allegato
 
*Recensione di Adele Desideri a Aldo Bonomi, Eugenio Borgna, Elogio della depressione, Einaudi, 2011, pubblicata ne Il Quotidiano della Calabria, rubrica Idee e società, 17 febbraio 2012, pag. 59. In allegato
 
*Recensione di Adele Desideri a Beppe Sebaste, Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne, Laterza, (2008) 2011 pubblicata in  http://narrabilando.blogspot.it/2012/05/su-panchine-come-uscire-dal-mondo-senza.html , 16 maggio 2012
 
*Rassegna Tramontinversi, a cura di Giancarlo Micheli, dettagli in allegato
Lieta con voi
 



Daniela Marcheschi, Si nasce perché L'anima, Poesie e Poemetti 1995-2003, ZonaFranca, Lucca, 2009, pag. 36

La raccolta di poesie Si nasce perché l’anima è un pregiato “oggetto” da collezione: stampata in copie numerate - provvista di una deliziosa copertina creata con un rude, ma elegante cartoncino dipinto a mano - colpisce per la vibratile liricità, per la generosa bellezza dei testi.
L’autrice, Daniela Marcheschi, è una studiosa d’ampio respiro: insigne critica della scrittura italiana e scandinava, ha ricevuto il premio Rockefeller Award per la Letteratura (1996), e il Tolkningspris dall’Accademia di Svezia (2006). È presidente dell’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Lorenzini (Collodi) e Membro del Comitato Scientifico e di redazione della rivista Kamen’.
In Si nasce perché l’anima Marcheschi mostra, con austera levità, vie meditative che attingono dalle antiche fonti orientali, greche, bibliche, e dalla ratio dei filosofi classici e moderni.
Gli enigmi della reincarnazione indo-buddista, Kronos - il dio figlicida e divoratore, gli eroi omerici, l’angustiata Medea, Giona il profeta, Talete, Galileo, Newton e altre figure della cultura mondiale compaiono, in questo libro, quali paradigmi di un racconto sulle origini dell’universo. Origini rintracciabili nella “Musa”, sorgente - vis primigenia, prepotente e misteriosa - di ogni letteratura: “I poeti penetrano la vita, ma/ sono come donne dal grembo grande/ e puntuto/ che, rotte le acque, cercano aiuto/ per partorire.// La musa sapiente/ che tanto in quel ventre giacque/ zampilla allora dal corpo/ e dalla mente turbati,/ però limpidi luminosi/ come la nuvola leggera delle api/ in sciami infidi.//”.
Il “farsi”dello Spirito in un linguaggio che nel suono nobilita il significato - la parola poetica - è, per Marcheschi, anche l’escaton umbratile a cui tutto tende: il fine ultimo, che risente dei dubbi, delle sollecitazioni dell’esistenzialismo di Sartre, di Heidegger. Riluce di essenza divina, eppure è velato - e rivelato - dalle perplessità ontologiche, dalle fragilità etiche dell’uomo: “È tale la luce/ che a volte pasce il fuoco/ e il fuoco a sua volta la governa./ (…)/ È i raggi solari/ la notte, ovvero/ una specie di sangue/ immesso per tutti gli universi.// Anche la mente/ la cerca, ne è pervasa,/ la emana con lingua netta/ - e paziente -/”.
Nell’armonia del verso che manifesta e cela, che intuisce senza categorizzare, si annida, quindi, il senso intimo, plurimo della realtà: “Allora niente/ sarà eguale/ e bisognerà anzi imparare/ un nuovo alfabeto,/ avere un occhio fresco e potente/ per scorgere quelle presenze/ per ridisegnare l’affresco.//”.
Ed ecco che mito e logos, natura e uomo, vita e morte, corpo e anima - come ogni altra antitesi - confliggono, sì, ma acquisiscono, nel confliggere, una specifica ragione d’essere: “Si nasce perché l’anima/ forse non esiste,/ perché il corpo forse non resiste/ a pensarsi da solo://”.
Con un ritmo quieto e melanconico, con una gentilezza d’accenti propria di pochi, Marcheschi illustra un incisivo, salutare itinerario di mappe metafisiche, di confini immaginifici, di sentieri affettivi: “C’è una grammatica del viaggio/ ed io la seguo./ Un inizio e una meta certa -/ (…)/ Mi muove così l’arditezza/ in tutto ciò che vivo e scrivo -/ m’insegna così la mitezza/ verso il mio destino.//”.
Si nasce: perché?
Comunque, si nasce da una donna: “Ma io sono femmina,/ so che cosa significa/ avvertire ogni mese,/ portare una luna intera/ dentro di sé.//”.
Forse è quella la luna, quella la luce riflessa che è necessario sia riaccesa, per “disegnare” una nuova umanità, per ritrovare, infine, un po’ di requie, un po’ d’amore. 

Adele Desideri


pubblicata ne Il Quotidiano della Calabria, rubrica Idee e società, 10 gennaio 2012, pag. 51



 
Aldo Bonomi, Eugenio Borgna, Elogio della depressione, Einaudi, 2011, pag. 137, euro 10

Gli autori del saggio, originale e davvero interessante, Elogio della depressione sono due studiosi di rara sensibilità e consolidata esperienza: Eugenio Borgna, psichiatra e docente universitario, e Aldo Bonomi - sociologo - che si autodefinisce “«medico della mutua» delle comunità locali in preda alle passioni tristi dello spaesamento”.
A prima vista, le discipline della psichiatria e della sociologia possono apparire molto, troppo diverse tra loro; tanto da sembrare per lo meno enigmatica l’idea di connetterle in un volume monografico.
Ma, dopo un’attenta e gradevole lettura, si comprende che le materie in questione possiedono, in realtà, parecchi punti di intersezione: simili nei presupposti teorici e nei metodi, recuperano entrambe, infatti, un linguaggio di natura analogico-simbolica, prediligono lo sguardo fenomenologico ed ermeneutico, respirano nell’identico orizzonte contestuale, tendono verso i medesimi fini.
Proprio partendo dalla depressione, intesa più come indole soggettiva che non come malattia, Borgna e Bonomi analizzano, così, la persona e la società, mentre dialogano, in questo libro, con raffinata generosità, scioltezza d’intuito, paziente competenza.
La depressione - tratto peculiare delle “anime ferite dal dolore” - si manifesta in tre forme: esistenziale, motivata o reattiva, psicotica. La seconda e la terza indicano sofferenze “estreme”, terribili; tutte e tre scaturiscono, però, da una malinconia che spesso diventa anche sorgente creativa. Quella stessa malinconia a cui si riferisce nello Zibaldone Giacomo Leopardi e che per Romano Guardini “è il prezzo della nascita dell’eterno nell’uomo”. Tant’è che, annota lo psichiatra Kurt Schneider, “ci dovremmo preoccupare non di essere stati depressi una volta in vita, ma di non esserlo stati mai”.
Certamente, scrive Bonomi, l’attuale tessuto sociale è causa di infelicità, di insoddisfazione, di rancore: “Le nostre metropoli, (…) luoghi ipermoderni caratterizzati da un massimo di innovazione e da un massimo di mediocrità, sono la nostra Sarajevo quotidiana”.
Una Sarajevo nella quale il “capitalismo personale” - “sintesi (…) di individualismo radicale e controllo capillare” - e la tecnologia dell’informazione - che riduce il corpo a un’arida “macchina per comunicare” - generano “biografie lavorative sempre più erratiche”, fratturano le relazioni interpersonali, ledono il senso del futuro e contribuiscono a diffondere un sentire comune insicuro, fragile sul piano culturale e morale.
L’uomo postmoderno, quindi, per Bonomi, è colpito dalla depressione, essenzialmente perché conduce un insano stile di vita.
L’orfano del fordismo è stato licenziato, o è in cassa integrazione:  “non più integrato e protetto nel super io sociale della classe o della comunità”, è solo, disilluso, disperato.
Lo stressato dal lavoro - operaio o manager - mal subisce l’incessante competitività, il “sovraccarico nervoso” dei ritmi professionali, la mobilità, il pendolarismo.
E il cognitario è soffocato “in un intreccio di corpo e macchina in cui gli schermi dei computer divengono spesso l’unico frame di relazione con il mondo e gli altri”.
Lo stressato e il cognitario sono prigionieri di una “nuda vita”: obbligati a reprimere ogni risonanza emotiva, sia propria che altrui. Alla “nuda vita” si contrappone, poi, la “vita nuda”, dei “miserabili”, degli “invisibili”, delle “anime morte”, dei sempre più numerosi disoccupati, che negli stenti faticano, o muoiono.
In un’epoca così devastata, o meglio, così deprivata, anche la famiglia è teatro di incomunicabilità, di incertezze, di violenze.
Ma c’è, una speranza? E dov’è?
La speranza è nelle comunità di destino e di cura, affermano i coautori. Comunità nelle quali la solidarietà, il volontariato, la “cura civica” sono impegni d’amore, attimi che solo gli occhi del cuore sanno cogliere, e che, invece, i “freddi sguardi della raison cartesiana” nemmeno sfiorano. Comunità nelle quali la povertà induce all’attenzione, il dolore e la gioia all’ascolto, il dubbio educa alla bellezza del mistero.
Non bisogna stupirsi, allora, che san Paolo sia percepito, da Borgna e Bonomi, vicino a Massimo Cacciari, giacché l’apostolo annuncia, nella prima lettera ai Corinzi, che la debolezza è la nostra forza, e il filosofo sostiene che il “fare politica oggi significa dire all’altro che non è solo”.
In Italia, in questo senso, abbiamo avuto grandi maestri, “capaci di accendere nel cuore tracce di speranza”: fra i tanti, Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Enrico Berlinguer.
Contro la razionalità ossessiva e insonne, che fagocita e svilisce le attese,  desertifica i giorni e gli affetti, Bonomi e Borgna non esitano, perciò, a bisbigliare: “depressi di tutto il mondo, unitevi”!.
E mostrate alle anime stordite dalla “nuda vita”, alle anime afflitte della “vita nuda”, altre possibili forme di conoscenza, di esistenza.
Quando incontrate chi vorrebbe “il matto consegnato ai servizi, il clandestino alla questura, il barbone ai dormitori pubblici, i rom all’espulsione e tutti i dannati della terra a un conservatorismo compassionevole e securitario”, depressi di tutto il mondo, sorridete.
Con dolcezza, con ironia, con dignità. Finalmente, sorridete!

Adele Desideri

Pubblicata ne Il Quotidiano della Calabria, rubrica Idee e società, 17 febbraio 2012, pag. 59. Dopo il 17 maggio 2012



tramontinversirassegna di poesia a viva voce

Quando:
Dal 15 Giugno al 21 Settembre, ogni Venerdì sera alle 21

Dove:
Presso lo stabilimento balneare Bagno Sauro (Terrazza della Repubblica, 9 Viareggio)

Come:
In ciascun appuntamento della rassegna, un poeta presenterà una sua opera, edita o inedita, attraverso la lettura di una selezione di testi. A seguire, dialogo con il pubblico

Calendario:

15 GIUGNO
Canti d’Apocalisse e d’estasi (Campanotto, 2008)
Angelo Tonelli

22 GIUGNO
inediti
Giuseppe Panella

29 GIUGNO
Settanta volte sete - Siebzig Mal Durst (ETS, Pisa 2006)
Dieter Schlesak

6 LUGLIO
Il libro dell’oppio (Puntoacapo, Novi Ligure 2012)
Caterina Davinio

13 LUGLIO
Il pudore dei gelsomini (Raffaelli, Rimini 2010)
Adele Desideri

20 LUGLIO
Durata del mezzogiorno (Carabba, Chieti 2011)
Antonio Melillo

27 LUGLIO
Abitare l’attesa (La Vita Felice, Milano 2011)
Francesco Macciò

3 AGOSTO
About poetry
Barbara Serdakowski

10 AGOSTO
La quarta glaciazione (Campanotto, Udine 2012)
Giancarlo Micheli

17 AGOSTO
Chi non muore (Campanotto, Udine 2012)
Stefano Busellato

24 AGOSTO
Alchimie d’amore (Campanotto, Udine 2005)
Maria Grazia Maramotti

31 AGOSTO
Romanzo sospeso (inedito)
Gianluca Cupisti

7 SETTEMBRE
L’emozione dell’aria (CFR, Sondrio 2012)
Lucetta Frisa

14 SETTEMBRE
Vagabondages (EuropenDumpLink, Praha 2007)
Elda Torres

21 SETTEMBRE
Poemetto gastronomico e altri nutrimenti (Jaca Book, Milano 2012)
Tomaso Kemeny

Perché:
“Soltanto la perdita di una comunità politica esclude l’individuo dalla umanità” scrisse Hanna Arendt in Le origini del totalitarismo.  Nell’epoca attuale, che pare aver condotto ai loro estremi effetti i fenomeni che l’autrice di Vita activa e de La banalità del male avvertì quali tendenze o prodromi, la poesia, giacché parola che vuole lasciarsi intendere al di fuori e al di là di ogni criterio ideologico (l’ideologia della finanza globale, della società dello spettacolo, delle nuove dominazioni di vecchi o decrepiti imperialismi), è la realtà che ancora può dar vita a luoghi di autentica democrazia e libertà, che ancora può offrire cittadinanza a tutti coloro che non hanno desistito dal proposito di “cambiare la vita” e “trasformare il mondo”.

giovedì 24 maggio 2012

Anche i moli hanno un'anima (di pietra): poesie inedite di Serena Zugna



In tanto amore che ho


quello atteso e mai giunto


rende amaro il sole


che bevo con te


Dobbiamo essere più forti


delle assenze


e delle ferite


Amore


per godere di noi




***




Risalita all’ultimo


grande anello del vortice


posso credere nella vastità del cielo


che ho intorno


– da laggiù


miraggio in dissolvenza –


e così tenere eterno e saldo


il mio girare


sull’orlo dell’abisso


da dove la mia eco


chiama




***




Il molo si protende


Nel mare della sera


Vuoto e solo


Sta


Forte


Dell’anima sua


Di pietra












Trieste




L’amore è cresciuto


nel lungo esilio


da una parte di me


la mia parte di te


Ti ho cercata specchiata


in mari altrui


per non provare


così tanto dolore


che si acuiva e si stupiva


notando riflessi non tuoi


nelle mie nuove emozioni












Empatia


Cerco il senso


del mio soffrire


cerco un perché


che dia sollievo


Lo cerco in frasi altrui


in altrui pensieri


autorevoli per fama


o per fortuna


Ma se semplici parole


sfiorano con leggerezza


le piaghe dell’animo


leggére per non far male


perché conoscono


leggére


sotto queste carezze


risposte non servono più


non ha più senso il chiedere




***






Ho dato voce udibile


alla rabbia del cuore


ed il passato


è diventato peso che si può portare


Ho restituito pesanti valigie


non mie


a proprietari ignari che


stupiti


se le son trovate all’uscio


E nell’angolo di casa rimasto vuoto


ho posto rami


di mandorlo in fiore




***




Di me è rimasto il corpo


svuotato


strappatami l’anima


all’anima


E se questo è esser vivi


donatemi – vi prego dei –


una morte quïeta










Specchio traditore


Lo specchio del mio passato


è andato in frantumi


Non posso più specchiarvi


ore felici di giorni inventati


gocce d’amore


parole abbracci calore


Lo specchio traditore


ha frantumato il lieto fine


e i frammenti affilati


mi sezionano l’anima














Notte mancata


Sola sto fra inutili lenzuola


potremmo essere assieme a non dire parola


ma Orgoglio


decise l’assenza










Serena Zugna nasce a Trieste, si trasferisce a 6 anni Milano per motivi di lavoro del padre, ma mantiene per decenni con la città natale una frequentazione assidua, e da sempre un sentimento di amore e di nostalgia. Inizia a scrivere poesie da adolescente. Diploma di maturità scientifica e qualche anno di lavoro come impiegata, poi diploma di Educatore Professionale e lavoro con persone disabili adulte e con pazienti psichiatrici: persone con grosse difficoltà, delle quali apprezzare il loro essere sé stesse, vere, presentarsi senza filtri nel bene e nel male, con le loro fragilità, i loro sentimenti e stati d’animo. Pochi anni fa smette di lavorare ed ora si dedica a tutte le altre faccende interessanti della vita: dalla scrittura al bricolage, dalla fotografia al volontariato, all’assistere agli eventi vari che offre Milano: praticamente un’ “onnivora curiosa”. Nel corso del tempo il significato da lei dato al fare poesia si amplia, ed assume la valenza di una voce con cui comunicare con gli altri, perciò toglie le sue poesie dal cassetto ed inizia a partecipare a readings di poesia, con l’interesse di ascoltare e di far sentire la propria voce per contribuire al dialogo. Nel 2010 vince (ex-aequo) il concorso Fara Pubblica con noi con la raccolta “Cose da dire”.





mercoledì 23 maggio 2012

Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade

di Bruno Bartoletti

Ora sono troppo stanco per ricominciare. Ho sentito strani presentimenti e so che presto dovrò scendere. La vita è ricordarsi di un risveglio, sentire l’aria pungente, sedersi accanto a una giovane donna. E andare nell’alba, controluce.
Ho sfogliato migliaia di libri e iniziato centinaia di progetti. Solo progetti e nessuno mai giunto a compimento. Una vita di rinunce la mia, e qualche volta di perdite. Chissà, se avessi percorso l’altra strada, quella indicata da Robert Lee Frost… o se la giovane Helen fosse arrivata puntuale in ufficio e non fosse stata licenziata…
Ho sempre preferito Guicciardini, l’uomo del particolare, l’uomo del dubbio e delle eccezioni. E così mi sono perso. A forza di studiare i particolari, il mio cavallo non vide mai la sua realizzazione.  Me lo disse anche M.me Jeuland, un giorno, quando la incontrai ad Aix en Provence per quel dottorato di ricerca che non ebbi mai tempo di terminare, e sono ancora lì ad aspettare.
E ancora guardo il treno passare con i ragazzi vocianti, così come lo vedeva Pier Vittorio Tondelli nel suo Viaggio a Grasse, e mi accorgo terribilmente di non essere più su quel treno. Non mi appartiene più.
Così mi piace ritrovarmi anch’io in bilico: «Sono rimasto più di quarant’anni  / alla finestra / e sono ancora incerto». Roberto Amato che scrive questi versi non ci dà risposte, solo avverte il bisogno di testimoniare una storia mai scritta chiusa in una pagina bianca. È anche questa una risposta alle ragioni della propria esistenza. Luciano Ladolfi, nel recensire La letteratura in pericolo di Tzvetan Todorov, metteva in evidenza come il successo non dovesse essere posto come «valore assoluto», perché non avrebbe potuto procurare «la soddisfazione più profonda». Da esso non sarebbe potuta dipendere la nostra felicità e avremmo concluso come Gabriele D’Annunzio nel Notturno, in «una disposizione di interiore ripiegamento che sovente approda alla cupa malinconia di un fallimentare bilancio dell’esistenza».

Così ho chiuso. Ho chiuso con i concorsi, i premi di poesia, gli incontri. Mi sono rimasti soltanto alcuni sporadici interventi nelle scuole, faccio parte di alcune giurie, scrivo quando posso e sempre di meno, ma leggo, leggo e studio. Forse la causa è questa, la lettura mette a confronto, implica un rapporto tra autore e lettore, un aggancio, è un dialogo e nel dialogo ci si configura, si parla, si comunica. E si scopre, soprattutto si scopre l’altra verità, ciò che non si conosce, perché «discovrendo solo il nulla s’accresce». Jules Bernard scrisse: «Quando penso a tutti i libri che ancora mi restano da leggere, ho la certezza di essere ancora felice». Io invece no, questo pensiero mi genera tristezza, per non dire angoscia, il pensiero di quanti libri mi restano da leggere mi getta in uno stato di frustrazione. Così passo in rassegna nel mio studio tutte le collane, le enciclopedie, i saggi, i romanzi, i libri di poesia. Quanti libri ho letto e quanti da leggere! Ne avrò il tempo? E quando potrò scrivere? Ho qualche raccolta di versi, alcuni romanzi incompiuti, qualche racconto, alcuni saggi che, forse, mai vedranno la luce. Anzi non la vedranno, ne sono certo. Ma solo quando scrivo sento in qualche modo di appartenermi. Sono un semplice operatore di parole, ed è già tanto. Sono davvero pochi quelli che hanno osato definirsi poeti. Josif Brodskij fu uno di questi.  Processato fu condannato come parassita della società da un tribunale sovietico. Tom Harrison sulla sua carta di identità aveva fatto scrivere «poeta». Ne conosco pochi altri, sorpresi in qualche rara intervista, ma Edoardo Sanguineti era stato chiarissimo nell’affermare che la qualifica di “poeta” viene data dal pubblico, mai dal soggetto,  perché per definirsi poeta è necessario avere una buona dose di coraggio e di presunzione. Piene di buon senso e leggere sono le parole di Fabio Pusterla: «Io non so se qualcuno possa dire di sé con certezza e a cuor leggero: “Sono un poeta”.  … poi a uno vengono in mente le grandi figure poetiche, e sì, si vergogna un po’, avverte tutto il peso della sua inadeguatezza». E questa è un’ultima certezza che in un certo senso mi libera da un peso perché «la poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro», come diceva Franco Fortini che concludeva: «ma scrivi».

«Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione», affermava Paolo VI rivolgendosi agli artisti nella chiusura del Concilio Vaticano II. E aggiungeva: «La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione». Con questa ultima certezza vado ripassando le parole di Antonia Pozzi: «E vivo della poesia, come le vene vivono del sangue».
È questa la conquista della mia Verità. Bellezza e Verità, scriveva Emily Dickinson, sono le strutture portanti della poesia. Non c’è Bellezza senza Verità e non c’è Verità senza Bellezza.. È il grande salto, la conquista del senso che si dà alla vita, in una scala di valori che mette al primo posto la famiglia, poi il lavoro, gli amici e solo all’ultimo posto il successo. Alessandro Carrera, dovendo organizzare nel 1979 una tavola rotonda su canzone e poesia, pensò di invitare Antonio Porta. La risposta di quest’ultimo era stata brusca: «No, guardi, non faccio più di queste cose, ho un figlio da tirar grande». E poi ha senso fare questi incontri, o, come si dice oggi con un termine che va molto di moda, hanno senso questi reading? Trenta persone (e sarebbe già un successo) tutti ad ascoltare, tutti poeti, se l’oggetto è la poesia, o quasi tutti poeti. Anche questo è curioso. Gli incontri di poesia sono gli unici incontri in cui relatori e pubblico si assomigliano o addirittura si identificano. Il poeta racconta e parla a se stesso, al suo alter ego, ad altri poeti. Ma i poeti non mancano, ciò che manca è il pubblico: «Il problema non è comporre poesie, il problema è trovare qualcuno che le ascolti», scriveva Jarrel Randel in Il pipistrello poeta.

L’esistenza non è una infinita certezza, tanto meno lo è la scienza. Il dubbio è ciò che muove le cose, la ricerca è una spinta verso la verità, e la verità è sempre in divenire. Questa è la spinta che muove la scienza, perché la scienza è ricerca e la ricerca parte da ipotesi che vanno controllate. Bisogna sempre diffidare da chi crede di avere la verità in tasca. Il mito di Ulisse si fa carne, diventa attivo, è ancora vivo. È il mito di cui parla Erich Fromm. È la mia storia. Ed è una amara saggezza leggere i versi che donai un giorno ai ragazzi.

Quando ero giovane avevo ali forti e instancabili
ma non conoscevo le montagne.
Quando fui vecchio conobbi le montagne
ma le ali stanche non tennero più dietro alla visione.

Tutto il senso della vita pare raccogliersi qui, in questa disperata e amara ricerca di un bene troppo lontano per raggiungerlo e troppo vicino per riconoscerlo.

Eppure sapevo che, nel sottolineare le perdite, le cose mancate, i pensieri non detti, si realizzava un compito educativo di grande importanza. Intuivo che bisognava servirsi della letteratura e dei libri, di ogni libro, come strumento di formazione. Perché «ogni libro letto è profitto» scriveva Cristina Campo. Perché i libri servono, aiutano a crescere, sono strumenti di confronto e non solo: ci rendono migliori, più allegri e più liberi, secondo Corrado Augias, e a volte possono salvare la nostra libertà e la vita stessa. Nel libro c’è tutta la storia dell’umanità e la nostra storia. C’è la Storia Infinita dell’uomo e della nostra vita, e non è un caso che il giovane Bastiano Baldassarre Bucci, inseguito dai compagni, si rifugi in una biblioteca in La Storia Infinita di Michael Ende.
Quanti insegnamenti, quanti principi si possono raccogliere dai libri! I libri diventano allora strumenti di formazione e contrastano apertamente con i modelli di oggi. Ormai la parola è morta, è vuota, è diventata slogan e lo slogan, diceva Alberto Moravia, non è altro che la morte della parola. In maniera più forte il poeta inglese Wystan Hugh Auden: «Quando le parole perdono significato, la forza fisica prende il sopravvento».
Quale difficile compito spetta allora alla scuola, agli educatori, ai docenti! Eppure nei libri c’è tutta la nostra storia, ci sono i nostri valori. Anche nelle favole. Raccontare le favole ai bambini è un atto dovuto. Eppure, trovandomi tra ragazzini di scuola media, mi sono accorto che pochi, pochissimi conoscono le favole. Pochi, pochissimi sono gli adulti che le raccontano. Eppure ricordo ancora la figura di quel principe sempre triste che avrebbe sorriso soltanto se avesse indossato la camicia dell’uomo più felice del mondo, ma quell’uomo felice era talmente povero da non avere nemmeno la camicia addosso. Bell’insegnamento per il mondo di oggi dove tutto si misura in termini di successo e di ricchezza. E Diogene forse non amava di più il sole, la luce, invece della ricchezza e del successo preferendo vivere nella sua botte? Chissà se Miguel Hernàndez, il poeta spagnolo morto in carcere nel 1942 a soli 31 anni, ricordasse il mito di Diogene quando rispondeva a Pablo Neruda di preferire, tra le tante cose possibili, «pascolare un branco di pecore».

La vera felicità è dentro, è nelle piccole cose. L’abbiamo imparato dai nostri padri, dai classici della letteratura, dalla filosofia, studiando. L’abbiamo imparato e troppo presto dimenticato. Perché tutto il senso che si deve dare all’esistenza è là, nel dubbio, nella paura di intraprendere viaggi troppo rischiosi, nella barca di cui parla Luzi, o in quella di Edgar Lee Masters ferma nel porto, ma con il desiderio mai sopito di inoltrarsi nel mare aperto e nello stesso tempo di temerlo questo mare con le sue insidie:

E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio –
è una barca che anela al mare eppure lo teme.

E Mario Luzi:

I pontili deserti scavalcano le ondate,
anche il lupo di mare si fa cupo.
Che fai? Aggiungo olio alla lucerna,
tengo desta la stanza in cui mi trovo
all’oscuro di te e dei tuoi cari.

La brigata dispersa si raccoglie,
si conta dopo queste mareggiate.
Tu dove sei? Ti spero in qualche porto.
L’uomo del faro esce con la barca,
scruta, perlustra, va verso l’aperto.
Il tempo e il mare hanno di queste pause.

Proprio così, ogni tanto c’è qualche pausa, cerchiamo allora di apprezzarne il valore prima che le energie lascino che le nostre ali stanche si abbandonino lungo i fianchi come remi pesanti, come capita all’albatros prigioniero dei pescatori, cantato da Baudelaire:

Spesso, per divertirsi, gli uomini dell’equipaggio, prendono degli albatri, vasti uccelli marini, che seguono, indolenti compagni di viaggio, la nave scivolante sugli abissi amari.

Ma quell’albatros maestoso in volo solca però i mari e i cieli. Lasciamo che anche il nostro spirito prenda il volo, perché non ci capiti di doverci ritrovare un giorno a dire:

Come è triste la storia del bruco che guardando la farfalla disse:
«Lassù io non ci arriverò mai!»

Così,  per non ritrovarci un giorno a dire con amarezza di non aver osato o tentato nuovi percorsi, cerchiamo, anche rischiando, come capitò alla povera formica caduta dal filo d’erba più alto che aveva il giardino, di vedere le stelle:

La hormiga medio muerta La formica mezza morta
Dice muye tristemente: Le risponde tristemente:
«Yo he visto las estrellas.» «Ho visto le stelle.»

Così nella vita. Ci vuole sempre un po’ di entusiasmo e la riscoperta di quei valori che stanno nell’Essere e non nell’Avere, per ricordare un libro famoso di Erich Fromm che sarebbe bene andare a riprendere. È il messaggio che ci lascia il giurista in una famosa novella di Čechov, dopo aver esclamato: «Tutto è nullo, fragile, illusorio e ingannevole come il miraggio». O ancora sarà più desiderabile la storia di Gustav Aschenbach che arriva alla morte dopo aver apprezzato la forza diabolica del sogno e della bellezza come unica forma di esaltazione, di semplicità e di grandezza? Così mi ritrovo a chiedermi con queste parole di Majakovskij:

Se accendono
le stelle,
vuol dire forse che a qualcuno servono,
che è indispensabile
che ogni sera
sopra i tetti
risplenda almeno una stella?

Allora si capisce come tutto diventi più semplice, come tra le crepe della memoria ci siano cose e affetti da riscoprire e come ogni istante si riempia del senso vero di questo cammino.

Così la luce si spegne, il dubbio diventa l’attesa verso qualcosa che dovrà accadere, la vita si raccoglie nel suo punto estremo. È tutto scritto. È nella lunga lettera che il prigioniero teneva in mano e con la quale giustificava la scelta di rompere il patto che aveva fatto con gli amici decidendo di uscire dalla cella, dove per scommessa era stato rinchiuso, cinque minuti prima della data fissata, perdendo così i due milioni che gli erano stati promessi. È in questa lunga lettera che conclude il racconto La scommessa di Anton Čechov  e che apre un’altra e più profonda pagina di riflessione sui veri valori della vita.

Quante volte mi sono perso dietro quelle parole! Dietro l’urlo c’è sempre il vuoto. Anche l’Arte è vissuta in questo estremo duello. L’artista si sdoppia e grida di terrore prima di essere vinto, secondo Baudelaire, o si rifugia nella fuga, nel deserto di Harar come Rimbaud. William Wilson uccide il suo doppio, l’arte si azzera all’occhio dello spettatore. Nel Don Chisciotte di Orson Wells, il film al quale il regista inglese lavorò per 15 anni senza riuscire a finirlo, Don Chisciotte avanza, colpisce e taglia finché arriva a scoprire il vuoto dietro lo schermo, il nulla. Dietro lo schermo dove scorrono le immagini, c’è il vuoto. Così capita al giovane studente oggetto dell’analisi di Giorgio Agamben in L’uomo senza contenuto: di fronte al quadro, frutto del lavoro di dieci anni del suo maestro, vede solo righe senza senso. È Il capolavoro sconosciuto, mirabilmente descritto da Honoré De Balzac. È il libro bianco di cui parla Roberto Amato, il libro su cui vorremmo scrivere la nostra storia.

Anche l’Arte dunque, all’occhio dello spettatore, si sbriciola. Eppure, nonostante tutto, si continua a scrivere.
La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

Così anche noi, con l’amarezza di non poter cambiare, ma con la consapevolezza di lottare. E quando verrà il momento, con la stessa onestà intellettuale di uomini liberi, troveremo le parole giuste per dire, per ascoltare e ascoltarci.
Nicolas Bouvier, il poeta, il grande viaggiatore che a sette anni già si divorava tutta l’opera di Jules Verne, di R.I. Stevenson e di Jack London, il poeta a cui piace e canta la lentezza, ci lascia alcune perle di grande saggezza. La poesia che chiude la raccolta dell’unica opera pubblicata si intitola Stagione morta, è stata scritta il 25 ottobre 1997, qualche mese prima della sua morte, a Ginevra, quando già gli era stato diagnosticato un cancro al polmone in fase avanzata. Nell’ultima strofa, quasi a fior di labbra, ci parla del viaggio al quale si preparava, con la lucidità del poeta che allontana da sé il dolore. Nulla si può aggiungere, nulla c’è da spiegare. La poesia è soprattutto ascolto e silenzio.

È ormai in un altrove diverso
che non svela il proprio nome
in altri soffi e altre pianure
che dovrai
più leggero di bolle di cardo
sparire in silenzio
ritrovando il vento delle strade.