venerdì 27 aprile 2012

La fine dell'Opera / Vincenzo Di Maro


Vi mostrerò la sua veste e le membra coperte di sangue / E l'ombra grigia che sta sulle sue labbra”. Con questa citazione di T. S. Eliot, tratta da La morte di Narciso si apre la raccolta di Vincenzo Di Maro La fine dell'Opera. E già in poche righe troviamo elementi che messi in relazione possono generare tanti orizzonti. Voglio mostrarvi il procedere della corretta suggestione. Veste, vestigia dunque corpo. Veste e membra dunque sudario. Veste e membra coperte di sangue, crudeltà. Crudeltà mi manda ad Artaud. La morte di Narciso al Teatro e il suo doppio: “Il pubblico, anche se ritiene vero ciò che è falso, ha il senso del vero e risponde sempre quando glielo si presenta. Oggi però non è più sulla scena che dobbiamo cercare il vero, ma per istrada […]. Se la folla si è abituata ad andare a teatro ciò è accaduto perché ci hanno troppo spesso ripetuto che era teatro, cioè menzogna e illusione”. Geniale intuizione. Come le cose viste in televisione, smettono e sono la televisione. E il libro di Di Maro si apre con Antefatto una prosa poetica di altissimo potere immaginifico. Non a caso, il padrino che s'è scelto per questo duello è Mister T. S. Eliot. Questo è il primo verso: “Un'antica palude in mezzo al bosco”. E anche qui, oh apriti tabellina delle possibilità! Palude...Edgar Allan Poe, The fall of the house of Usher:Durante un giorno triste, cupo, senza suono, verso il finire dell'anno, un giorno in cui le nubi pendevano opprimentemente basse nei cieli, io avevo attraversato solo, a cavallo, un tratto di regione singolarmente desolato, finché' ero venuto a trovarmi, mentre già' si addensavano le ombre della sera, in prossimità' della malinconica Casa degli Usher. […] Frenai il mio cavallo sull'orlo scosceso di un oscuro e livido lago artificiale che si stendeva con la sua levigata e lucida superficie in prossimità' dell'abitazione, e affissi lo sguardo, con un brivido pero' che mi scosse ancor piu' di prima, sulle immagini rimodellate e deformate dei grigi giunchi, degli spettrali tronchi d'albero, delle finestre aperte come vuote occhiaie”.
Ho scelto di riportare molto di questo passaggio, non certo per la palude, ma perché molti di quelli che scrivono o spiegano a scuola questo racconto non sanno che Usher in armeno significa Memoria. E la caduta della casa Usher infatti è un racconto sulla Memoria. Ma torniamo all'Antefatto. La città che descrive Di Maro ha questa pozzanghera sul fondo che il Comune tenta continuamente di coprire, asciugare, senza riuscire mai ad evitare che l'acqua riaffiori, proprio come la memoria, un pozzo che non puoi far tacere neanche gettandoci pietre. Inoltre la città ha una linea d'ombra. Infatti è sovrastata da una rupe “che ricopre a mezzo la città, e impedisce alla pioggia di cadervi: non una goccia giunge alla metà più ombrosa”. Assurdo, ma è così. C'è questa rupe che fa da spalla, stampella gobba, e lascia mezza città in ombra. E sopra questa parte sempre asciutta e grigia, si erge il Teatro dell'Opera con una facciata colma di fregi e stucchi, esattamente come la Casa degli Usher. Citando: “L'ultimo spettacolo, qualche decennio fa. Butterfly, pare di ricordare”. Ed ecco che suona il campanello, e come fa Bruno Vespa, io faccio entrare Nietzsche, Zarathustra e il povero funambolo. D'altronde quale nome da donna fu mai più funambolico di Madame Buttefly che già vola via a pronunciarlo? “Quando Zarathustra giunse alla vicina città che è presso le foreste, trovò gran popolo raccolto sul mercato: poiché era corsa voce che vi si sarebbe veduto un funambolo. […] Allorché Zarathustra ebbe parlato così, uno del popolo gridò: «Abbiamo ora udito abbastanza del funambolo; fate che adesso lo vediamo!». E tutto il popolo rise di Zarathustra. Ma il funambolo che credette la parola rivolta a lui, si accinse all'opera sua. Ma allora accadde qualcosa, che fece ammutolire ogni bocca, irrigidire ogni sguardo. Nel frattempo il saltimbanco aveva infatti cominciato il suo lavoro: era uscito da una porticina e camminava su la corda tesa fra le due torri, così che rimaneva sospeso sopra il mercato e la folla. Quando fu appunto a metà del suo cammino, la piccola porta si aperse ancora una volta, e saltò fuori un garzone screziato, somigliante a un pagliaccio, che seguì con passi rapidi il primo. «Avanti, zoppo, gridò la sua terribile voce, avanti poltrone, paltoniere, faccia smunta! Bada ch'io non ti carezzi con le mie calcagna!». E ora dall'opera di Vincenzo Di Maro: “ L'ultimo spettacolo, qualche decennio fa. Butterfly, pare di ricordare. Memorabile il numero di una gloria locale: soprano sul finale di carriera. Vera virtuosa, celebrata ovunque. A casa per l'addio alle scene. Diede un urlo inumano, giusto a metà atto. ( metà atto, metà cammino del funambolo, ma cos'è la metà? Forse la linea d'ombra della città?) Inaudito. Raccapriccio tra il pubblico. Un'offesa. Un orrore. Un'enormità prima delle parole. ( il vuoto del funambolo). E non solo, entrambi faranno la stessa fine, verranno trasportati nel bosco fuori città, abbandonati vivi, semivivi, mezzimorti, fantasmi di una Memoria che non ha più motivo di esistere.

Sebastiano Adernò


LA FINE DELL'OPERA
Vincenzo Di Maro
Lietocolle - Collana Erato
2011, 72 pgg, €13, 00

Guido Passini a Forlì 12 mag


 Il futuro che mi appartieneGuido Passini è nato a Bologna nel 1978. Ammalato di fibrosi cistica scopre una grande passione per la poesia e cura per Fara nel 2008 Senza Fiato e nel 2010 Senza fiato 2. In ricordo di te. È membro dell’Associazione Poliedrica di Forlì dal 2008. Sue poesie compaiono nell’antologia Sentieri edita da Lulù.com per il blog ParolArte nel 2009, nello stesso anno pubblica con Fara la sua prima raccolta autonoma, Io, Lei e la Romagna. È inserito nell’antologia I poeti romagnoli d’oggi e Federico Fellini (Il Ponte Vecchio 2009), ne Il segreto delle fragole 2010 (LietoColle), ne La poesia, il sacro, il sublime, in Salvezza e impegno (entrambi Fara 2010) e ne Il valore del tempo nella scrittura (Fara 2011).

giovedì 26 aprile 2012

Peppino Iuliano: il poeta dall’anima contadina

di Vincenzo D'Alessio

Lunedì 30 aprile, alle 17,30, a Nusco, nel Palazzo di Città, sarà presentata al pubblico la monografia curata dal professore Paolo Saggese, dal titolo: Giuseppe Iuliano. Testimone di poesia e libertà. Un munus amicitiae per i suoi sessant’anni, edizione Delta3, 2011. Il libro ha visto la luce in occasione del compimento dei sessant’anni del poeta.

A presentarlo al pubblico saranno i seguenti relatori: Giuseppe Liuccio, poeta; Alessandro di Napoli, poeta; Aldo de Francesco, giornalista; Mario Trufelli, giornalista e il chiarissimo professore Francesco D’Episcopo delle Università di Napoli e Campobasso. Schiera nutrita di estimatori della poetica di Iuliano.

Giuseppe Iuliano è un poeta irpino che, oggi, si affianca ai nomi eccellenti della generazione che ha vissuto il proprio impegno tra la ripresa dopo la Seconda Guerra Mondiale e la frattura del terremoto del 23 novembre 1980. Voce di un coro composto da grandi Autori e critici letterari: Dante della Terza, Ugo Piscopo, Antonio La Penna, Pasquale Martiniello, Salvatore Salvatore, Domenico Cipriano, Franca Molinaro, Antonietta Gnerre, Emilia Dente, e tanti altri.

La prima raccolta poetica, Malinconia della terra, vede la luce nel 1976. Seguono altre quattordici raccolte comprese nell’arco dell’ultimo ventennio del XX secolo. Nel volume che sarà presentato il prossimo 30 aprile, una nota di particolare ascendenza con i forti contenuti “irpini” dei versi del Nostro, è quella del grande giornalista Franco Scandone. Quest’ultimo, nell’analizzare la raccolta di Iuliano Una misura di sale (1983), scrive testualmente (cfr. I “giambi contadini” di Giuseppe Iuliano, nel quotidiano “Il Mattino”, del 24 maggio 1985): “Trasale una logica esistenziale, nel soffio di un’inquietudine rappresa, di un pathos che non è il lamento anonimo di un coro negli squarci improvvisi di questi giambi contadini: Una croce in pietra / è il segno distintivo / il blasone antico / il nome di paese / il tuo confine.” (pag. 33 del libro)

Il verso giambico di Iuliano è il risultato di quel pathos antico che pervade le anime che abitano la terra irpina, il Sud: martellato dai demoni sotterranei e violentato dai demoni politici di superficie. Contro queste forze esogene ed endogene si schierano i versi delle raccolte poetiche del nuscano Peppino. Però il vero gioiello della produzione letteraria del Nostro è senza dubbio il volume: La civiltà contadina in Iprinia (Nusco, 1982), realizzato a ridosso del dramma del terremoto del 23 novembre 1980, quando ognuno di noi, testimone, si è sentito mancare la terra sotto i piedi.

Il volume, ricco di foto antiche, nasce dalla consapevolezza che il dramma generato dal terremoto, forza incontrollabile che ritorna a martoriare inaspettata le nostre realtà urbane, avrebbe cancellato per sempre quelle radici contadine, cantate nei suoi versi, per staccare le nuove generazioni da una terra vista come nemica e arida di speranze. Per Peppino Iuliano non è così. La terra irpina, e per metafora quella dell’intero azzurro pianeta che abitiamo, resta la Mater Matuta, la Demetra, che vede ritornate la propria figlia nei germogli di ogni Primavera. Allo stesso modo, il poeta nuscano, vede le generazioni della propria realtà scomparire nel ventre nebbioso delle regioni del Nord della penisola e rivendica il diritto di testimone di quelle tradizioni, scomparse troppo in fretta, che hanno affaticato, ma anche sfamato, generazioni di uomini.

Il volume è un complesso atto d’amore per la propria terra e per le giovani generazioni, alla luce delle false promesse che l’ideologia industriale andava seminando sulle colline dell’Alta Irpinia e che fallivano, anno dopo anno, con la chiusura delle fabbriche fondate dal Nord. La vera forza era nella capacità imprenditoriale irpina, massacrata dai politici, per fare spazio alle idee che provenivano dall’esterno e non nascevano dalla coscienza di un popolo che Pietro Paolo Parzanese definiva “i vecchi padri come rocce immote, / offersser petto a libertà devoti.” (L’Irpinia).

Sarà un buon giorno, questo 30 aprile, per incontrare una limpida voce poetica della verde Irpinia.

giovedì 19 aprile 2012

Su La forza delle parole: per/le rime

FaraEditore, 2012

recensione di Vincenzo D'Alessio

Un’altra Antologia è scaturita dal concorso Pubblica con noi, quella dell'edizione 2012: iniziativa che ogni anno accoglie e valorizza ottime voci della Letteratura Italiana contemporanea. Una delle iniziative, della modesta Casa Editrice Fara, completamente gratuita. Nessun obbligo di acquisto di copie. 

Anche questa Antologia è curata, con la semplicità che la rende unica, dallo stesso editore Alessandro Ramberti: in copertina appare il lastricato di un’antica strada d’Età Romana, che si perde nel verde del paesaggio collinare e reca il titolo La forza delle parole: un cammino iniziato tempo fa, che è divenuto Storia. La Giuria del concorso è composta da autori affermati o emergenti e da alcuni vincitori di concorsi Fara. I premiati appaiono quasi sempre nuovi, giovani e meno giovani, tutti virtuosi.

A cosa servono i concorsi letterari e le rispettive Antologie, specialmente, oggi, in tempi tanto tristi e calamitosi? C’è una guerra mondiale non dichiarata nelle sedi diplomatiche ma realmente in atto, un conflitto tra poveri e meno poveri, sovrastati dall’interesse economico. Tutte le nazioni pretendono un brandello di qualche continente meno fortunato per assicurarsi un futuro. Tutte le nazioni hanno sete di risorse naturali. Ma la nazione più potente di tutte, la Natura, che risposta dà alle richieste degli esseri umani? Le parole conservano, in questo ambito, la loro innocente forza (vedi: Stefano Martello, a pag. 191 di questa Antologia).

E non siamo solo noi uomini, come esseri viventi, a vivere su questa azzurra sfera. C’è una infinità di specie animali e vegetali. Un’infinità di forze e fenomeni naturali che gli uomini non conoscono e dei quali sono spesso vittime i più deboli. Forze che vengono accelerate proprio dall’uso che gli esseri umani fanno di quelle indispensabili risorse.

La forza delle parole non conta più. Hanno più forza le immagini che giungono da ogni forma di video. Le immagini ingigantiscono i sogni nella mente degli uomini, che prima sognavano attraverso le parole, il racconto; oggi non riescono più a sostenere il peso di quella grandezza. L’immagine è più forte della parola, ma è più vuota: un ologramma riesumato dei valori inesistenti, legato al profitto economico di pochi individui, senza nessuno scrupolo.

Le Perle di Rime (per/le rime), contenute all’interno di questa Antologia, sono scritte dal poeta Claudio Roncarati, maturato accanto a poeti e scrittori dell’appena concluso Novecento: Dante, Carducci, Ungaretti, Quasimodo, Collodi, Pasternack. Un’armonia di ottonari, carica di profonda satira, che affrontano la realtà delle vicende umane che quotidianamente affrontiamo e il sogno che un popolo possa risorgere dalla forza delle parole che sono messe in versi:

(…) il socialismo come in un cantiere
lo montavano pezzo sopra pezzo
con la pazienza di quelle mani d’oro
che sapevano aggiustare i motori.
Anche mio padre c’era tra di loro.
(pag. 130)

Le rime sono una vera mappa geopoetica (K. White), per il Nostro che lavora al fianco degli operai aiutandoli a trovare la strada della resilienza di fronte al lavoro disumano nelle catene di montaggio,oppure da esiliati sulle torri delle gru, o nelle tristi parole coniate, per tempo, da “esodati”:

(…) gli agenti di polizia penitenziaria
provengono dal sud povero d’Italia
che garantisce corpi alle divise
e i pomodori per l’inscatolatura
(pag. 121)

Si riesce a cogliere, nelle Rime come ricordi (RIME/mbranze), le belle immagini della nostra penisola che nell’ossimoro dolore-viaggio: Bella come una tragedia, rivela l’identità ignorata del Sud povero e innocente verso un Nord ricco ed ignorante:

Nel piatto padano
dove la nebbia anche in Marzo
inghiotte l’azzurro del cielo
annusa l’aria per strada
nostalgico un siciliano
ne pagherebbe di soldi
per un libeccio che porti
l’odore del pescespada
venduto a tranci nei porti.
(pag. 128)

Rime con metafore stridenti, vere fino al digrignare dei denti nel dolore, ingoiato quotidianamente nell’allontanamento dai luoghi natali, ricchi di energie e poveri di risorse. Rime affidate all’enjambement per correre veloci nella mente del lettore da un capo all’altro di un tempo che impietoso scorre e trascina miriadi di esistenze. Versi completi di tutti gli elementi catartici e funzionali per una poesia che media il pensiero del Novecento e si affaccia alle esigenze del XXI secolo:

Povero umanista
in questi momenti bui

(…)

pensi alle scelte fatte
triste ti penti.
(pag. 137)

Vengono in soccorso, di questi versi attuali di Roncarati, quelli di un altro poeta dell’Ottocento, Gabriele Rossetti (Il tempo, ovvero Dio e l’uomo, a cura di Mario Fresa, Rocco Carrabba, Editore, 2012) sulle innaturali scelte degli uomini, di ogni secolo, di non dare ascolto alla forza delle parole, dettate dagli uomini giusti, i poeti:

(…) Qui udranno nell’alma
Segreto linguaggio,
Ché ’l cener d’un saggio
Mai muto non è  (pag. 99)


Le rime che percorrono, nero su bianco, le pagine di questa nuova Antologia sono uno stimolo sincero, un porto sicuro, una luce nel buio, per quanti ancora credono che “le parole” – versatili, ironiche, icastiche – segnino l’inizio del riscatto che il poeta Roncarati ci dona, senza chiedere ricompense, per intraprendere la strada tra nuove esigenze e meno giovani esperienze.

mercoledì 18 aprile 2012

La neve nel bicchiere di Francesco Accattoli nella classifica di Cerquiglini



Libri Di/Versi n. 8: la classifica di Enrico Cerquiglini

[Partecipa all'iniziativa Libri Di/Versi e manda la tua classifica a redazione@poesia2punto0.com seguendo le modalità di invio che puoi leggere qui. Se invece vuoi adottare un poeta, vieni a dirci chi e perché su Poesia Condivisa.]


Alfredo Sorani
In attesa della contrazione
Edizioni della Meridiana, 2009
Fabiano Alborghetti
Registro dei fragili
Casagrande, 2009
Francesco Accattoli
La neve nel bicchiere
Fara Editore, 2011
Alberto Mario Moriconi
La trilogia tragicomica
Pironti, 2011
Luca Ariano
Contratto a termine
Farepoesia, 2010
Federico Scaramuccia
Come una lacrima
D’If, 2011
Massimo Viganò
Tra(s)duzioni
Edizioni della Meridiana, 2010
Flavio Santi
Ragazzo X
Atelier, 2004
Angelo Ferrante
Dentro la vita
Moretti & Vitali, 2007
Francesco Marotta
Impronte sull’acqua
Le voci della Luna, 2008

Dentro la vita troviamo il mistero della morte che non si disvela metafisicamente ma incombe su ogni nato e che si materializza in mille modi e situazioni, quasi a rimarcare la bellezza della natura ancora più preziosa perché non eterna in senso assoluto e, non da tutti, afferrabile nel breve istante del vivere umano. Un istante che si vorrebbe fermare e riproporre e che trova una sua dimensione nella pagina scritta che ne ritarda la morte e il definitivo svanire.
La poesia, che emerge dai versi di Ferrante, può farsi arma per interagire col presente stato delle cose e, memore del “sentire” iniziale, ricondurre l’uomo alla sua vera limitata essenza.
L’io lirico che percorre questa raccolta non può, per sua natura, non diventare “civile”, non alzare e abbassare lo sguardo sull’agire umano, sugli abbagli/inganni collettivi e individuali. La poesia, quando è figlia del suo tempo, travalica le divisioni e diventa respiro di una moltitudine, probabilmente minoranza, ma minoranza viva e cosciente: “Penso alle cose, alle più diverse, che non meritiamo perché non le amiamo. Penso alle stelle, ai fiori, al mare”.

Sono nato a Montefalco (PG) nel 1962, vivo a Gualdo Cattaneo (PG). Sono tra gli organizzatori del Premio Nazionale di Poesia “Sandro Penna”. In poesia ho pubblicato in poesia: Le correnti della landa, Roma, Gabrieli, 1982; Vendette azteche, Udine, Campanotto, 1994, Ballate B.I.T., Perugia, Grafiche 84, 1997 e Tra nebbia e fango, Udine, Campanotto, 2006, Fine attività (damnatio memoriae), 2008. Altre pubblicazioni: Pier Paolo Pasolini – Uccellacci e uccellini (Dalla sceneggiatura alla realizzazione cinematografica), Udine, Campanotto, 1996 (saggistica) – La voce dolce di resa, Ascoli Piceno, Stamperia dell’Arancio, 2000 (antologia), Vicino alle nubi sulla montagna crollata, (antologia curata insieme a Luca Ariano), Udine, Campanotto, 2008.
Curo il blog letterario “Tra nebbia e fango” e collaboro a “Il fiore del deserto”.

lunedì 16 aprile 2012

domenica 15 aprile 2012

nasce Levania








  Nasce «Levania»




Una nuova rivista nasce oggi a Napoli, e in Campania: un semestrale agile, che accoglie esempi di quanto si va scrivendo in Italia e in altri Paesi, senza trascurare la buona poesia che c’è in aree e in ambienti sfavoriti dall’assenza dell’editoria maggiore, e anche di quella media. In ossequio alla migliore tradizione novecentesca, che ha visto farsi sempre più intensi il confronto e l’interferenza tra linguaggi diversi, presentiamo, inoltre, il lavoro di artisti, scelti di preferenza tra quelli impegnati nella ricerca della comune origine segnica di figure e parole, e tra quelli che hanno avvertito l’esigenza di includere la parola, se non il testo poetico, nelle immagini che producono. Nella convinzione, infine, che pensare la poesia costituisca un’attività critica ed una forma di resistenza all’insensatezza, la redazione sarà attenta alle intersezioni della poesia con le discipline scientifiche e con la filosofia, presentando, dal prossimo numero, contributi teorici e saggistici. La rivista si chiama Levania in omaggio a Sergio Solmi, che così intitolò, negli anni ’50, un’esile raccolta ispirata a un librino del Seicento, il Somnium, seu Opus de astronomia lunari, opera oscuramente utopica di Johannes Kepler.


Direttore responsabile:

Eugenio Lucrezi

      

Comitato di redazione:

Marco De Gemmis, Mario Fresa, Bruno Galluccio, Eugenio Lucrezi, Paola Nasti, Marisa Papa Ruggiero, Ugo Piscopo
Direzione e redazione: vico Latilla 18, 80134 Napoli
levaniapoesia@gmail.com

Edizioni La Città del Sole, Napoli
www.lacittadelsole.net
info@lacittadelsole.net

La rivista sarà presentata venerdì 20 aprile alle ore 17.30, presso la Libreria Guida a Port'Alba, Napoli. Saranno presenti, con l'Editore Sergio Manes, i redattori Marco De Gemmis, Mario Fresa, Bruno Galluccio, Eugenio Lucrezi, Paola Nasti, Marisa Papa Ruggiero, Ugo Piscopo. Letture a cura di Lucia Stefanelli.



sabato 14 aprile 2012

Su In luogo dei punti di Sebastiano Adernò

collana poetica itinerante n. 14, Thauma edizioni, Pesaro, 2012

Sebastiano Adernò ha una voce e uno stile potenti e riconoscibili. Questa nuova raccolta ce ne offre bellissimi esempi. Se a volte qualche poesia rischia di essere un po’ troppo legata all’attualità e alla storia con un tono da impegno civile e indignato (es. Io soldato, Guernica, Luglio nero del 1995, Migranti…) più giornalistico che poetico strictu sensu; se in qualche caso qualche limatura avrebbe giovato alla compatezza di un messaggio e di una visione senz’altro autentici e veri (cfr. Antefatto, Utopia. L’Atelier sul mare…); troviamo in queste pagine numerose perle che ci confermano la maestria del Nostro. Consideriamo la poesia che apre il libro che riproduco integralmente:

La situazione

Sono un albero

sono anni
i miei rami sono andati
il frutto pende oltre
fuori
qualcuno se ne accorto.

Pochi versi intensi, visivi, sobriamente ricchi di sensi, che sono anche un vero e proprio autoritratto. C’è anche in questo Luogo una sotteranea ricerca di una situazione trascendente: al posto dei punti fermi il poeta si pone spesso delle domande (magari indirette) che sono poi con il loro stile, timbro e   colore, lo specchio del nostro più profondo domandare: “Resta memoria dei Padri / che deposero uova / nel golfo evanescente dell’inganno? // Sapevano che anche l’acqua / ha nella Legge / l’ossatura della Fede?” (Osserva come parlano); “Allah dorme / sotto la pancia del tramonto.” (Vedova); “Cosa seminare / sul solco lasciato / dalla ruota di una carriola / colma di scapole?” (Israele, 1947); “E ammiriamo / cosa può dunque un corpo. / E come nonostante i chiodi / si sotiene la Sua voce.” (Gerusalemme anno zero); “Ci sono primavere corte / quanto il manico / di una mezzaluna.” (Teheran, 1979); “Poiché andare / è una curva gettata / alle spalle del tempo” (Utopia. L’Atelier sul mare); e gli esempi potrebbero continuare a lungo. Come si vede c’è una forza che innerva la poetica di Adernò capace di innescare cascate di sensazioni, emozioni, anche in modo crudo e spiazzante che sa scuoterci e ridare alla poesia quella verità che è così necessaria oggi. Quando il poeta sa coagularla in versi che si ricordano per la bellezza del ritmo e la vividezza coinvolgente delle immagini, non possiamo che essergliene profondamente grati: “e le nostre dita intinte nel tuorlo / per misurare la febbre di cellule / che non si ricordano come si muore” (ivi).

In attesa di giudizio: la voce in Angye Gaona che si accosta a Leopardi




Da quando io ed Angye Gaona siamo entrati in contatto e abbiamo intavolato questo nostro dialogo epistolare ho scoperto una nuova sensazione, una strana situazione mentale dovuta a una particolare situazione fisica. Vi chiederete cosa centra Leopardi: beh, devo fare un passo indietro per arrivarci. Angye è bloccata in Colombia, nel suo paese, tornando dal tour venezuelano di presentazione del suo ultimo libro di poesie gli hanno accollato due capi d'accusa, a lei che si batte per la libertà di molti scomparsi e incarcerati (artisti, studenti, giornalisti, politici) perchè le loro idee politiche non combaciano con quelle del governo. La prima accusa è quella di RIVOLUZIONE A MANO ARMATA, di appoggiare a tutti gli effetti le FARC; la seconda, più subdola, di narcotraffico. La grande anomalia (non pensiamo che esista soltanto l'anomalia italiana) sta nel fatto che l'attuale presidente colombiano ricorda sotto molti aspetti il nostro precedente Premier. Giornalista stimato, appartenente a una delle più potenti famiglie di Bogotà, nipote del presidente Montejo, cugino del vicepresidente Francisco Santos, proprietario e direttore del quotidiano El Tiempo, insomma uno che conosce il mondo della comunicazione, che sa come usare a proprio vantaggio i mezzi di comunicazione, poteri dire uno che sa come farsi burattinare dal potere. L'anomalia si espande se consideriamo che con questi due capi d'accusa, Angye non potrebbe lasciare la Colombia (anche se in realtà lei vuole restare per dare il suo aiuto a queste persone). Se per un qualunque motivo, ed è forse (penso io) proprio quello che il governo vorrebbe per togliersi di mezzo una voce scomoda, dovesse valicare il confine o chiedere l'estradizione, quelle due accuse farebbero automaticamente scattare il mandato d'arresto internazionale, perchè per una strana anomalia di pensiero (conseguenza forse voluta dalle politiche di alcuni governi) negli Stati Uniti e nell'Unione Europea le FARC sono considerate un gruppo terroristico, indi per cui Angye diverrebbe terrorista ricercata internazionale e come se non bastasse anche narcotrafficante. Trovo allo stesso tempo interessante scoprire che le FARC, ad eccezione di Colombia e Perù, non sia considerata un organizzazione terroristica dai governi sudamericani, e che nemmeno l'ONU la inserisce nella lista dei terroristi. Altrettanto interessante è il prendere atto di quanto governi e associazioni si siano dati da fare (alcuni diplomaticamente, altri imbracciando le armi) per liberare Ingrid Betancourt e Clara Rojas, e quanto invece non facciano nulla per aiutare chi, come Angye, si preoccupa dei più deboli. Vedo dunque questi atteggiamenti come una tempesta, una tempesta di parole, di interpretazioni a doppio senso, dove non si considera terrorista un governo che opprime, reprime, e fa sparire chi non lo appoggia, ma si considera terrorista chi lotta per la libertà di pensiero, o chi scrive di libertà come Angye. La mia nuova e strana sesazione è dunque quella di chi dall'altro capo del globo si trova a scrivere in qualità di poeta libero (pur oppresso da tutte le problematiche da noi esistenti) a chi invece vive in qualità di poeta e giornalista incarcerato, perchè sarà pur vero che Angye vive attualmente in semi-libertà vigilata, ma è altrettanto vero che qualcuno ha tracciato un confine intorno a lei che combacia con quello colombiano. Delimitare confini oltre i quali la poesia non dovrebbe andare, questo sta facendo il governo colombiano, proprio perchè la poesia parla della vita, discute della verità e si interroga su di essa, proprio perchè la poesia, anche quella apparentemente più semplice, è sempre scomoda per qualcuno. E così ieri sera Angye mi ha scritto; l'argomento: Nacimiento volatil, il suo primo libro di poesie, che sto traducendo. Molte di queste sue poesie parlano di libertà, danno voce a chi desidera la libertà; e mi ha spiegato il significato di questo titolo, dicendomi essere la prima volta che lo fa, e descrivendosi molto felice di farlo, rallegrata, per qualcuno che sta dall'altra parte del mondo. Angye descrive il suo verso "Nacimiento volátil del inmenso horizontal" (estratto dalla poesia che trovere in seguito), da me tradotto in "nascita volatile dell'immenso orizzontale", come il momento di calma che segue una catastrofica agitazione, che non è la morte, ma uno stato, pur prossimo ad essa, della materia, delle forme, dei sensi, delle relazioni sociali, delle aspettative vitali. Si tratta di una calma volatile, non permamente, né definitiva, insomma: un momento, qualcosa di istantaneo. Per questo, come ormai avrete capito, ho pensato alla quiete dopo la tempesta. Anche se quella di Angye è molto diversa da quella di cui ci parla Leopardi, ho voluto accostare i due testi, il primo dedicandolo a chi legge questo mio intervento, il secondo dedicato ad Anye Gaona.


Il corpo si fa nuvola

(tratta da "Nacimiento volatil, di Angye Gaona - traduz.Andrea Garbin)

Condurre a brace l’ora puntuale
l’insonne rovistare

fondere i segni

fino a che ascendano come aria calda

e creare aree di bassa pressione sopra
schiumosi bordi recettori dell’universo

sollecitare il picco reale
solidificato per le alte pressioni del freddo

che in enormi bolle cancellano i dolori

scaldare il corpo
fino a che si alleggerisca
e si unisca al campo
dove i plessi divorano la fame
dove l’errore è acuto assolo di violino
Fluttua il corpo chiaro fuoco
si espande fino all’ultima atmosfera
riceve la Tangente
viva madre del caos

movimentomatrice

uragani nell’Atlantico
tifoni nell’estremo oriente
cicloni nell’Indiano

crollo dei tetti tiranni
nascita volatile dell’immenso orizzontale.


XXIV - LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA

(di G.Leopardi - per Angye Gaona)

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo a' suoi studi intende?
O torna all'opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.

O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E' diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D'alcun dolor: beata
Se te d'ogni dolor morte risana.

giovedì 12 aprile 2012

Su Io, Lei e la Romagna di Guido Passini

recensione di Morena Fanti pubblicata in www.arteinsieme.net
  Letteratura  »  Io, Lei e la Romagna, di Guido Passini, edito da Fara e recensito da Morena Fanti 12/04/2012
Io, Lei e la Romagna
Guido Passini
Fara editore, 2009
€ 12,00 pp. 122


In questo suo ultimo lavoro GuidoPassini si racconta in modo totale e ci mostra come un artista vero non possa prescindere dal suo essere uomo e perciò entità divisibile in tante parti diverse e non scindibili, che tutte insieme formano la persona.
Il libro è diviso in tre parti, come indica il titolo. La prima parte, “Io”, è ciò che Passini vede di stesso, trasformato e unito dalla coabitazione forzata con una malattia che lo opprime ma che certamente lo ha spinto a diventare così vero e intenso come lo conosciamo attraverso le sue parole e le sue azioni. Passini descrive così, il suo Intimo percorso: “Tento disperatamente di resistere, / ho bisogno di credere in me stesso: / il passato è una piccola gemma, / il presente è solo un rametto gracile, / il futuro è una chioma vigorosa”.
Una visione di forza che, anche se guidata, se costretta, è un esempio che ci illumina la strada.
La seconda parte, “Lei”, non è dedicata, come potrebbe sembrare, a una lei”, cioè a un amore, ma alla malattia che abita dentro Guido Passini e che, in certi momenti, è lui, “La mia forza sta nella malattia, nella sua volontà”. (Spirito libero), anche se Passini le fa capire chiaramente che non riuscirà mai a prevaricare su di lui:
“Continuerai a inseguirmi, portandomi / per mano, credi nella tua costanza. / C’è una novità che forse / ti sfugge: lotterò fino alla fine / e, stanne certa, non sarai tu a vincere”. (Lugubre malattia)
La terza parte, “La Romagna”, è una sezione importante di questo libro, la parte che differenzia e crea una zona di passaggio, di cambiamento. Passini in Romagna ha trovato l’Amore e la donna che ha sposato. Le poesie racchiuse in questa porzione del libro sono poesie d’amore e ci regalano una nuova visione dell’artista, completando così il quadro e offrendoci una panoramica totale, che comprende la parte scura, quella dolorosa che mozza il fiato, e quella chiara, forte e bella, delicata, che compensa e modifica il pensiero scuro, mitigandolo e aprendosi ad un più ampio respiro.

Sei tu

È l’amore che mi mantiene in piedi,
quando sono stremato, combattuto,
sono le tue carezze che rilassano
la mente quando il silenzio è d’obbligo.
Sono i tuoi baci che mi scaldano
quando il gelo tenta di catturarmi,
sono le tue parole che mi riparano
dalla pioggia di sale che mi sovrasta.
Sei tu la parte migliore di me.

Morena Fanti


Apro il libro di Luca Pizzolitto





Apro il libro di Luca Pizzolitto e penso: queste poesie sono molto diverse dalle mie. D'altronde io sono l'unico poeta che conosco, o meglio, io sono l'unico poeta di cui mi è accessibile conoscere modi e maniere di scrivere. Allora quale altro metro potrei utilizzare se non valutare i motivi che spingono un' altra persona a scrivere e pubblicare poesia?


Apro il libro di Luca e penso al mio amico Vanni, anarchico militante, che ogni tanto mi ripete che i poeti dovrebbero essere tutti uccisi, così come gli altri artisti. Ci penso perché Vanni credo apprezzerebbe le poesie de La terra dei cani. Le apprezzerebbe in quanto sincera espressione di una resistenza sociale e umana, non di classe ma dell'individuo. Le apprezzerebbe perché sono sobrie, e si presentano mostrando la faccia libera da ogni inganno. Non sono travestite da nulla. Non vogliono entrare di straforo al ballo della Poesia. Non gli interessa la pagella dei piccoli e grandi del web che la disoccupazione ha eletto a critici.

Guardo il libro di Luca, e penso che ci ha messo tre settimane ad arrivare da Torino a Siracusa. E che la busta era tutta strappata. Tenendo presente il titolo immagino esista davvero una Terra dei cani, dove Luca è l'estraneo, l'ospite consentito. I cani lo tengono con loro perché ha dimostrato di essere all'altezza dei loro valori umani. Ed è già abbastanza sintomatico che si chiamino valori umani, quando la lealtà, la fedeltà, la capacità di darsi mutuo soccorso vivono in maniera più pura ed istintiva negli animali.


Dunque ringrazio Luca per il suo dono.


LA TERRA DEI CANI

Thauma edizioni, 2012

Collana poetica itinerante -Piemonte

108 pgg, 10€


Sebastiano Adernò

mercoledì 11 aprile 2012

Una poesia inedita di Luca Ariano




La signora Angela…

«Me ne ha fatte di ogni quèll òmm!»

E dopo oltre mezzo secolo di lavoro,

ha ancora i migliori salumi della valle:

ultima bottega d’un borgo spopolato.

Accanto a mura millenarie crescono ortiche

e piscialetto – buoni in tempi di guerra e magra –

tra case senza più voci, ormai tutte

in un ricovero un tempo monastero.

Teresa e Fiulìn, come turisti della domenica,

spaesati in stagioni troppo repentine;

dicono che il compagno Giorgio, lasciato

dalla murusa, abbia perso dieci chili.

Dopo la spesa al supermercato – malignano –

si ferma alla rotonda da una biondina.

Bruciano strade come alla fine di Ilio

«Tucc làder» ma in un angolo perduto

cascano glicini a profumare la strada.

Don Paolo Pataro, Poesia

Assoc. Cult. “Vivere Insieme” Castelsaraceno (PZ), 2012

recensione di Vincenzo D'Alessio

A cura dell’Associazione Culturale “Vivere Insieme” di Castelsaraceno (PZ), ha visto la luce a gennaio 2012 la raccolta di versi Poesia, di don Paolo Pataro, sacerdote della piccola comunità “castellana”, che ha voluto fare dono ai suoi filiali dei versi dal timbro classico, con una rima molto musicale, con il richiamo ai luoghi natali e a quelli della sua nuova realtà quotidiana.

Rotonda, in provincia di Potenza, è la città natale del Nostro. I sentimenti della gioventù, le presenze paterne e materne, le amicizie affiorano come rimembranze; così come il dolore per le persone che ha conosciuto e che sono scomparse prematuramente dall’esistere. C’è in tutte le composizioni un senso profondo di inquietudine che diviene tutt’uno con la superba Natura che lo circonda e domina nel ciclo delle stagioni:

(…)
 

E ondeggia innanzi a me,

fra un pianger triste di campane

la visione delle mie passate cose,

languide e tristi come smorte rose

di primavere, pallide, ormai lontane.
(pag. 19)



La poesia diviene per il Nostro il punto di incontro tra il reale e l’immaginario collettivo. Concilia l’uomo e il sacerdote nella sua missione. Reca sollievo alle avversità che impone l’esistenza. Il verso si fa più forte e vero quando canta, senza impedimenti, il paesaggio e la sua Storia:

Occhieggia di sul monte

Castelsaraceno verso il piano,

come guerrier forzuto da la tempra antica,

e la bianca nuda roccia di Castel Veglia che a

mano a mano tra fronzuti rami appare,

quale vergine pudica.
(pag. 37)

Bene ha scritto nella prefazione la poetessa Teresa Armenti, anche lei originaria di Castelsaraceno, a proposito della raccolta: “Da ogni verso pulsano le segrete vibrazioni dell’anima, che testimoniano il travaglio interiore di chi non vuole scrutare il suo cuore, perché ne teme l’abisso e il baratro profondo” (pag. 11).

La Poesia resta una grande sfida tra l’Io interiore e il palpito dell’Uomo verso la Creazione: Poiesis, l’enigma del fare nelle mani del Creatore.

martedì 10 aprile 2012

Maria Di Lorenzo: La luce e il grido

FaraEditore, 2012

recensione di Vincenzo D'Alessio

Alla scrittrice e giornalista Maria Di Lorenzo si deve l’unanime riconoscenza per aver messo al mondo questo libriccino dall’emblematico titolo La luce e il grido, quasi ottanta pagine di memorie, significati e significanti, tratti dall’incontro con il poeta Elio Fiore (1935-2002).
Quando i poeti nascono intorno a loro c’è un’aura che poche persone riescono a scorgere. Quando il poeta scompare c’è una folla di parole che lo accompagnano in una processione aurorale che stilla nel firmamento della Letteratura degli umani la nascita di un’altra stella: la cui luce durerà nei secoli a venire anche se essa è esplosa in un fragore multicolore in quel milionesimo di tempo insondabile della galassia.
Il poeta nasce dal dolore dell’infanzia: è successo a molti. Per Elio Fiore, come rivela l’intervista realizzata da Maria Di Lorenzo, accade nell’ottobre 1943, a Roma, nella Giudecca, quando i nazisti rastrellano più di duemila ebrei e le loro tracce scompariranno nel fumo dei campi di concentramento sparsi in Europa. Il Nostro poeta è un ragazzo di otto anni: scopre in quell’evento, incredulo, l’inverosimile verità che l’uomo è lupo verso l’altro uomo. Il dramma si fissa in quel “grido” soffocato in un anima piccola, che crescendo imparerà a soffrire senza parlare.
Nasce il racconto, la testimonianza, la memoria. Per essere vere, queste forze, hanno bisogno di energia. L’energia per Elio Fiore è la Poesia: “È poeta colui che vede la vita con occhio diverso dagli altri ed è possessore di una verità che deve trasmettere ai suoi fratelli uomini” (pag. 21). Queste sono le parole dette dal Nostro nell’incontro con l’autrice di questo prezioso volumetto. Non c’è negatività nelle parole del Nostro, continua a chiamare fratelli quegli uomini che hanno sfondato, con i calci dei fucili, le porte di quei bambini come lui: “I bambini sono assetati d’affetto, i bambini amano la poesia: il mio rapporto con loro è molto bello, è spontaneo, forse perché sono rimasto un bambino, dentro non sono cresciuto: e quindi sono uguale a loro” (pag. 25).
A quanti poeti cosiddetti “maggiori” potremmo far somigliare, Elio Fiore, di quest’ultima rivelazione? La letteratura mondiale n’è piena. Come accade da troppi secoli, nessuno ascolta il bambino nascosto nelle spoglie dell’adulto, è troppo difficile, è fuori dal comune ordine del vivere insieme. Eppure c’è chi ascolta, chi coglie nei versi la sete di affetto dell’uomo “sempre solo” perché sconfitto dall’inizio dal peso grande della violenza degli uomini. C’è negli occhi del poeta una luce che pochi scorgono e che il grande poeta Alfonso Gatto chiamò: “La forza degli occhi”.
Questa tessera musiva, fuori dalla logica dei “Poeti laureati”, rivela la grande storia di un'altra voce, nel coro del XX secolo, che speriamo verrà inserita nelle prossime Antologie redatte ad uso scolastico, accanto ai nomi dei suoi migliori amici: Giuseppe Ungaretti, Carlo Levi, Ornella Sobrero, Carlo Bernari, Mario Luzi, Camillo Sbarbaro e altri ancora. Scrive la Di Lorenzo: “alla presentazione della sua prima raccolta Dialoghi per non morire, nel 1964, Giuseppe Ungaretti così si espresse sulla poesia di Fiore: «Se poesia è bruciare di passione per la poesia, se è vocazione ansiosa, tormentosa a svelare nella parola l’inesprimibile, nessuno è più poeta di Fiore»” (pag. 30); e non si sbagliava!
Grazie alla cura e all’Amore che Maria Di Lorenzo ha voluto profondere in questo lavoro possiamo vedere brillare la fiamma del poeta Fiore in tutta la sua grandezza, in tutta la sua umiltà, che lo ha accompagnato in ogni passo della sua sudata esistenza:

(…)

Eterna era stata l’attesa

mentre la terra mi divorava:

la polvere mista ad acqua

apriva i miei occhi, il cielo

e le stelle trasformavano la mia preghiera,

e il corpo perfetto dell’universo

spirava nella carne bruciata.

(dalla raccolta In purissimo azzurro)

lunedì 2 aprile 2012

Carla De Angelis vince il Premio Albero Andronico


Con la raccolta A dieci minuti da Urano, Carla De Angelis si classifica prima fra le opere di poesia! La premiazione ha avuto luogo  in Roma il 30 marzo 2012  nella Protomoteca del Campidoglio. Complimenti vivissimi e ad maiora!


From: alberoandronico <mailto:alberoandronicopremiazione@gmail.com>
Sent: Sunday, April 01, 2012 12:20 PM
To: De Angelis Carla
Subject: Re: Premiazione

Salve!
Ci è dispiacuto non vederla venerdì!
È arrivata seconda assoluta su 350 volumi in concorso tra opere di narrativa e di poesia.
Il suo libro è risultato il migliore tra quelli di poesia!!
La coppa da lei conseguita è presso la nostra Associazione. Appena possibile la consegneremo.
Complimenti ancora... che seguono il lungo applauso a lei tributato dalla Sala Protomoteca.
A presto
Alberoandronico

www.alberoandronico.net

domenica 1 aprile 2012

Mario Fresa, uno stupore quieto



Mario Fresa
Uno stupore quieto
La collana, n. 27
a cura di Maurizio Cucchi

Stampa 2009, Varese
 
 
«Un carattere molto evidente nella poesia di Mario Fresa - e piuttosto raro in genere nei suoi coetanei - è nel suo attento e lucido collegarsi agli esempi migliori di una tradizione poetica (secondonovecentesca), in fin dei conti, per fortuna, non così remota - segnata e resa vitale da una forte inquietudine interna e  soprattutto (moderatamente) sperimentale. A mio parere,  in tempi in cui domina una certa indifferenza verso possibili, nuove soluzioni formali, in tempi in cui prevale un certo quieto qualunquismo stilistico, la sua voce risulta decisamente in controtendenza attiva. Mario Fresa tende a oscillare, nella complessa composizione del suo testo, tra un verso lungo - che riconduce appunto ad alcuni degli esiti piú notevoli della nostra (ma non solo) poesia anni Sessanta/Settanta - e l'uso più netto e libero della prosa poetica. Ed è questo il modo più utile per consentirgli  di realizzare i suoi percorsi narrativi, all'interno dei quali Fresa riesce a collocare una serie davvero ricca e notevole di personaggi in azione, che si tratti di veri e propri interlocutori del protagonista narrante, o di fuggevoli comparse, pur sempre caratterizzate da una forte dose di coloritura, anche ironica. Infatti proprio l'ironia è un altro dei tratti forti, quasi regolarmente presenti, di questa poesia. Potremmo anzi dire che ne costituisce quasi una sorta di fluido interno, di vivo umore reattivo, sempre capace di darle freschezza antiretorica, di dare movimenti sorprendenti alla pagina».   


Dall'introduzione di Maurizio Cucchi
 
 
 
 
 
La collana –
A cura di Maurizio Cucchi

titoli pubblicati:

1 Giancarlo Majorino Le trascurate
2 Mauro Maconi La materia dell’amore
3 Mario Benedetti Il parco del Triglav
4 Mario Santagostini a c. I poeti di vent’anni
5 Alberto Caramella Il soggetto è il mare
6 Gregorio Scalise La perfezione delle formule
7 Nicola Vitale La forma innocente
8 Michele Miniello Forestieri
9 Michelangelo Zizzi La casa cantoniera
10 Andrea Ponso La casa
11 Carlo Valtorta La luna di Greco
12 Gabriella Garofalo Di altre stelle polari
13 Giovanni Gardella La cura delle barche
14 Biancamaria Frabotta I nuovi climi
15 Massimo Dagnino Presente continuo
16 Giorgio Prestinoni Antologia d’acqua
17 Pietro Berra Notizie sulla famiglia
18 Matteo Zattoni L’estraneo bilanciato
19 Vivian Lamarque La gentilèssa
20 Gianni D’Elia Nella colonia marina
21 Rosita Copioli Animali e stelle
22 Francesco Osti Itinerari
23 Paolo Rabissi I contorni delle cose
24 Massimo Gallo Memoria liquida
25 Mauro Maconi L'indifferenza del tempo
26 Mario Santagostini Uscire di città
27 Mario Fresa
Uno stupore quieto