leggendo le Poesie Ritrovate di Antonio D’Alessio
di Emilia Dente
È una esperienza meravigliosa il canto roco e dolce di Antonio.
È l’inabissarsi profondo nel Sé personale e nel Sé collettivo dell’essere che, ancorato al sogno dell’orizzonte, tenta faticosamente di alzarsi in volo.
Nelle spigolose pieghe dei versi fluidi si riflette il Poeta e nel prisma ombrato delle parole si delinea la sagoma del “Guerriero / (che) è sempre pronto a combattere / Questa guerra quotidiana”, fermamente consapevole che “si muore senz’anima /… / nello spirito di chi / non inizia a combattere/ con sé…” Antonio questa guerra interiore non esita ad affrontarla e, pur non negando mai il timore, l’amarezza e la fatica del cammino, assetato di verità, attraversa sé stesso, in uno sforzo introspettivo che lo induce a scavare, scrutare, osservare, leggere, comprendere, esternare sul retro di una pagina sgualcita le proprie emozioni e infine disvelare le radici dell’essere per poter gemmare novellamente nei vicoli della scrittura poetica. Luminoso ed evanescente un verso sostiene sottilmente la trama di questa seconda raccolta poetica, un sussurro lirico che diviene principio e termine ultimo dell’esistenza autentica e dell’autentico cammino “… sei lì che reclami la mia assenza: / dove credi che sia; / nel concepimento della mia presenza”… il concepimento della presenza… folgorante ed immensa l’architettura concettuale e semantica del pensiero, potentemente audace il respiro infinito che racchiude, ancestrale bisogno di vita e conoscenza dell’essere a cui non basta “essere creato”, ma che anela a “crearsi”, a generare il Sé misterioso che si agita nella carne e nella mente, l’Io oscuro e vero che smania nelle strette vesti che forzatamente indossa – “non aspetto altro che svestirmi…” rivelava il Poeta all’inizio del cammino lirico… – nella “consapevolezza dell’incompletezza”, nel disincanto e nella incongruenza dei “pezzi di pasol / che non hanno incastri / perché non sono sempre gli stessi”, Antonio combatte la sua guerra interiore, la lotta che, per lui “s’evolve da una vita” e segna, nelle righe di un foglio riflesso, le linee tortuose che si aggrovigliano intorno all’esistenza.
Ha il volto della Verità, la poesia di Antonio, e nel coraggio degli occhi azzurro-mare sempre limpidi e sempre aperti affondano le radici del tramonto dove la speranza di continuità è un pasto quotidiano e il Poeta, con i pugni stretti, scrive la Vita.
con affetto, nel giorno del tuo compleanno
Emilia
lunedì 27 febbraio 2012
Il Dante di Sannelli colpisce a Mantova!
articolo di Corrado Giamboni pubblicato sulla Gazzetta di Mantova del 26-2-12
ringraziamo di cuore Corrado per aver reso possibile l'incontro e anche per le belle foto più sotto
scheda della Comedìa
ringraziamo di cuore Corrado per aver reso possibile l'incontro e anche per le belle foto più sotto
scheda della Comedìa
venerdì 24 febbraio 2012
Foto Poesia a teatro 22-2-12
alcune foto della serata In ricordo di Andrea Zanzotto nell'ambito del ciclo Il profumo della pagina poetica a cura di Franco Pollini, Foyer del Teatro Bonci, Cesena 19-24 febbraio 2012
da sx Ardea Montebelli, Stefano Bianchi, Caterina Camporesi |
Andrea Parato |
Su Piano di Alberto Mori
recensione di Marcelllo Tosi
v. scheda del libro
Discorso compiuto dis-correndo nello spazio della pagina, sullo spazio, a cui si aggiunge una nuova dimensione verticale e orizzontale, quella della poesia quadro-dimensionale di Mori, che “ad intersezione del raggio, spazia carne prensiva appianante”, diventa proseguimento dimensionale nel tempo.
Uno spaziare che è costruzione della superficie, disporre tessere infermate, tracciare losanghe che si perdono sul pavimento, nuovi “paesaggi poetici”, che appaiono quasi ghirriani nell’intersecarsi delle linee optometriche ordinate “a disporre sollievo terreste alle tangenziali”. Segni impressi sulla tavola / lastra, “al punto sovrastante / conosciuto nel tratto / soltanto nell’ottica del perdimento”. L’infinita motezza di un movimento oscillatorio, come un pendolo “lavoro al tempo / ricompone saggezza deposta”.
Discorso sulla voce, sentita non più come l’eco della manzoniana discesa di una provvidenza che “atterra e suscita” (come nel “rovesciamento miracolo”, evocato dall’autore, del San Marco del Tintoretto), ma vive come ciò che “atterra e scorre / impronunciato / aderito al vocale radente”. Non sono più le montaliane cose oscure, ma “la chiarità dell’ora intaglia l’ombra fresca” a divenire condizione plasmatica esistenziale, concentrato d’inerzia, fluorescenza dissolta dalle parentesi accese”. Il verso si estroflette ed esula, si muove come “parola d’animazione… nel territorio comprensivo della lettura”.
Una diversa allargata dimensione spaziale, ipermondriana, in cui il quadrato desitua, l’angolo diviene “dicitore rotorio”, secondo un nuovo schema visivo composto e composito, e l’iperbole che si lancia, la litote asciugata, sono ombra del timbro sonoro. Una trazione visiva che scandisce “alternanze / video triangoli nel default del vuoto”, che da “afocus immette nella visione”, sgranata in pixel molecolari.
Nuovi frames, divenute una “Vertigo” hitchcockiana, che “ascolta spirale” di versi, che si muove cine come un lungo o breve piano sequenza, secondo richiamo del fotogramma “mentre nasce immagine frontale”. Nel fine ralenty, in “still frames orografi”, l’asincrono delle scene può essere ricomposto soltanto nelle stasi cromatiche del diagramma, “nelle fotocamere dei visitatori”.
“Flap bianco”, il piano rimane per essenza / riequilibra riflessi affilati dai suoni”. Quindi è discorso sul silenzio, pausato, spaziato, voluto, dilatato, come in Cage, grazie al suo piano “molto preparato”, anzi ad un neoverbigerante “IperCageSystem / nelle Chiavi & Martelletti”, ovvero ad un’orchestra che produce parole, come uno spettro estensivo e poi modulato, sequenza che cresce e scivola, ora mormorio vivo, segno cresciuto sul bordo “poi mutacico / off / spento / ma ancora… articolato al labbro”.
v. scheda del libro
Discorso compiuto dis-correndo nello spazio della pagina, sullo spazio, a cui si aggiunge una nuova dimensione verticale e orizzontale, quella della poesia quadro-dimensionale di Mori, che “ad intersezione del raggio, spazia carne prensiva appianante”, diventa proseguimento dimensionale nel tempo.
Uno spaziare che è costruzione della superficie, disporre tessere infermate, tracciare losanghe che si perdono sul pavimento, nuovi “paesaggi poetici”, che appaiono quasi ghirriani nell’intersecarsi delle linee optometriche ordinate “a disporre sollievo terreste alle tangenziali”. Segni impressi sulla tavola / lastra, “al punto sovrastante / conosciuto nel tratto / soltanto nell’ottica del perdimento”. L’infinita motezza di un movimento oscillatorio, come un pendolo “lavoro al tempo / ricompone saggezza deposta”.
Discorso sulla voce, sentita non più come l’eco della manzoniana discesa di una provvidenza che “atterra e suscita” (come nel “rovesciamento miracolo”, evocato dall’autore, del San Marco del Tintoretto), ma vive come ciò che “atterra e scorre / impronunciato / aderito al vocale radente”. Non sono più le montaliane cose oscure, ma “la chiarità dell’ora intaglia l’ombra fresca” a divenire condizione plasmatica esistenziale, concentrato d’inerzia, fluorescenza dissolta dalle parentesi accese”. Il verso si estroflette ed esula, si muove come “parola d’animazione… nel territorio comprensivo della lettura”.
Una diversa allargata dimensione spaziale, ipermondriana, in cui il quadrato desitua, l’angolo diviene “dicitore rotorio”, secondo un nuovo schema visivo composto e composito, e l’iperbole che si lancia, la litote asciugata, sono ombra del timbro sonoro. Una trazione visiva che scandisce “alternanze / video triangoli nel default del vuoto”, che da “afocus immette nella visione”, sgranata in pixel molecolari.
Nuovi frames, divenute una “Vertigo” hitchcockiana, che “ascolta spirale” di versi, che si muove cine come un lungo o breve piano sequenza, secondo richiamo del fotogramma “mentre nasce immagine frontale”. Nel fine ralenty, in “still frames orografi”, l’asincrono delle scene può essere ricomposto soltanto nelle stasi cromatiche del diagramma, “nelle fotocamere dei visitatori”.
“Flap bianco”, il piano rimane per essenza / riequilibra riflessi affilati dai suoni”. Quindi è discorso sul silenzio, pausato, spaziato, voluto, dilatato, come in Cage, grazie al suo piano “molto preparato”, anzi ad un neoverbigerante “IperCageSystem / nelle Chiavi & Martelletti”, ovvero ad un’orchestra che produce parole, come uno spettro estensivo e poi modulato, sequenza che cresce e scivola, ora mormorio vivo, segno cresciuto sul bordo “poi mutacico / off / spento / ma ancora… articolato al labbro”.
mercoledì 22 febbraio 2012
Su La forza degli schiavi di William Stabile
di Vincenzo D'Alessio
I giorni che viviamo, in apertura di questi primi dodici anni del Ventunesimo secolo, sono carichi di una tensione tragica, sfibrante. L’umanità è sottoposta alla pressione dei mercati, degli speculatori, del Dio Denaro. Una ferocia che fa rabbrividire anche coloro che sono preparati alle rivoluzioni del postmoderno, delle catastrofi recessive. Sembra proprio il preludio di una Guerra Mondiale, come se non bastassero quelle già in atto e le repressioni contro le minoranze etniche. Quasi a dare ragione ai ricorsi storici annunciati dal grande G.Vico.
In questi rigurgiti di sofferenza si solleva un Inno alla Vita.
È raccolto in un poema, appena apparso sul sito di Farapoesia, che si svela nel titolo:” La forza degli schiavi”, scritto dal giovane poeta Guglielmo (William) Stabile. Mi ritorna alla mente, per assonanza, nel titolo La forza degli occhi, dell’altro poeta, meridiano, Alfonso Gatto. Entrambi hanno vissuto a Salerno per diversi anni ed entrambi hanno viaggiato tantissimo.
Il poema, prende in prestito l’immagine del medico e ricercatore D. Livingstone, della corsa intrapresa in quegli anni, a metà dell’Ottocento, alle grandi imprese per arricchire la conoscenza umana di nuovi traguardi, come la scoperta delle sorgenti del fiume Nilo. Ma il grande ricercatore si ritrovò tra quelle tribù africane che vivevano in semplicità, e sofferenze, immerse nell’imponente paesaggio naturale. Il medico prevalse sullo scienziato, di fronte all’immediata sofferenza umana. Lo stesso ha fatto William Stabile: partito con il bagaglio dello scienziato in economia, si è ritrovato nelle terre dell’America del Sud a contatto diretto con le sofferenze umane.
Non parlo soltanto dei bisogni corporali: la fame si può battere. Ma le sofferenze, senza una dovuta assistenza medica non possono essere debellate, specialmente nei più poveri. Il viaggiatore ha raggiunto, e l’aveva preannunciato nella raccolta di esordio Contrappunti e tre poesie creole (Fara 2006), la spiaggia dove il Tempo avrebbe offerto un primo approdo alla navicella della sua sete di conoscenza, avvicinandolo maggiormente ai versi del poeta uruguaiano Mario Benedetti.
“Le risorse Umane” hanno preso corpo e anima in questo poema profondamente religioso; profondamente umano, troppo umano come scriveva Nietzsche, e come riportano i versi a conclusione, momentanea, del Poema: “sono io sei tu / Signore / piccolo piccolo piccolo / umano troppo umano “. La rivelazione è giunta, come per l’eretico San Paolo sulla strada per Damasco; per William lungo la difficile strada dell’impegno operativo in favore delle popolazioni dell’America Latina: un progetto abbracciato, con entusiasmo, senza esperienze precedenti.
“Finalmente ho capito”, scrive il Nostro nella prima parte, dove si passa dall’osservazione alla partecipazione integrata di fronte a “ l’umana sofferenza / dentro le disgraziate / capanne negre / che orrore! Stanley / che orrore! / tutto era profonda / tenebra”. L’uomo che vive nella falsa tranquillità dell’Occidente non conosce realmente i bisogni delle altre nazioni, dove il malessere sociale è la prepotenza dei ricchi di fronte ai più poveri, alle bidonville, alle favelas, ai trafficanti di morte. Il poeta innalza il suo canto al di sopra delle ideologie occidentali, della “sinistra che cambia il mondo”. Non c’è né destra né sinistra politica che cambi la società, c’è una sola strada che cambia tutto: l’Amore per noi stessi e i nostri simili.
La forza distruttiva dell’odio “largo / quanto un lago / del continente nero” è stata raggiunta dalla scelta di farsi da parte, volontaria o involontaria che sia, per lasciare parlare Dio: “mi feci solo da parte / e lasciai che l’alfabeto / s’incagliasse sul fondo / mio di fango”. Il viaggio, iniziato dai contrappunti della ricerca, nella prima raccolta, vede la piccola imbarcazione dell’anima incagliarsi nella limitatezza umana, di fronte all’insondabile, all’immenso non conosciuto, e l’anafora riprende nella forza del vocativo l’essenza della richiesta: “oh mio Signore / tu sei tan grande / grazie”. Quasi a ripetere le laude che negli anni difficili del Medioevo percorrevano l’Italia.
La parola, il verso, sospende l’arsura del viaggio, apre l’universo dell’ascolto, folgora la ricerca, anche solo per un momento: “ma il mondo eri tu / e la mia casa / e nell’economia / dei sensi ritrovai / la rotta del dolore / che cessava”. Non è casuale che subito dopo questi versi si riveli la storia umana del poeta; il percorso intrapreso dopo gli studi per un lavoro che gli assegnasse un futuro, un “orticello” da coltivare nella tranquilla economia dell’Occidente: “ero ricercatore urbano / & africano / non impiegato / del verso capitale”. Questa difficile condizione non dissetava l’anima del poeta che “nei sentieri cercavo / una sintassi di parole / (…) / nella favela dell’anima / nella dissenteria spirituale / nei posti dove destrutturavi / la mia emarginazione”.
Tutto quello che umanamente conta per i giovani, e meno giovani, dell’Occidente si impoverisce negli occhi di chi veramente cerca una strada d’incontro, una emergenza per liberare le sue forze migliori: “tutto contiene l’uomo / l’oro ed il fango”. C’è chi continua a cercare nel fango la propria grandezza e chi, invece, apre gli occhi sulla bellezza dell’oro offerto nel sacrificio verso gli “schiavi” del mondo cosiddetto civile.
La seconda parte del Poema, si apre con la citazione dal Poema dell’Odissea, dove Nettuno indirizza al naufrago Ulisse la frase: “l’uomo senza dei è nulla”. William Stabile cerca la sua Itaca, la rotta verso casa. Lo fa purificando il suo linguaggio alla fonte Castalia della mitologia greca, riportando in vita i versi del giovane poeta scomparso a trentadue anni: “nulla mi ostacola se / non una figura convessa / che mi somiglia”(Antonio D’Alessio, Poesie ritrovate, Edizioni Guarini 2011). Partire! Finalmente il viaggio ricomincia questa volta con gli occhi purificati dal contatto con la divinità: “emergono / versi e parole che aggrumano / presso lo scoglio la roccia / dove son significato / d’amore”. L’Amore per l’uomo ha raggiunto il suo risultato. Non più cieca fiducia nell’uomo e in quella che è la sua economia. Fiducia, invece, nell’incerto viaggio della Speranza Universale dove: “salpare partire / all’arrembaggio / sbarcare / alla prossima spiaggia / e continuare a nutrirsi / di felicità e disperazione / questo lasciarsi cadere / questo non resistere / questo essere sconfitti / e rinascere incessante”.
La grande lezione del Novecento prende un nuovo corpo, accetta il bilinguismo. L’inglese pervade inizio e fine del racconto poetico. Volutamente le metafore indicano stati d’animo e fenomeni naturali. Volutamente la velocità del pensiero si immerge in un verso breve, asindetico. Le voci marinare, anche degli oggetti, rende profondamente l’idea del viaggio e delle sue insidie su un mare inquieto. Più di ogni altra cosa c’è la passione per la parola, per i codici formali del linguaggio, per la contaminazione con le nuove sorgenti poetiche: “questo continuo ripetersi / dell’onda sulla riva / questo parlare orale / (…) questo linguaggio / primordiale / secco acuto minerale”.
Stupenda lezione della nuova poesia che mira all’essenziale, al nevralgico, al tempestivo, senza negare la lezione dell’Ermetismo e delle correnti poetiche che sono seguite. Innestando una parola poetica nuova “minerale”, che costruisce e demolisce il versificare, alla ricerca di una purezza primitiva, sostanziale, frugale. Questa è la poetica di W. Stabile, che oggi emerge nel suo Poema d’oltreoceano, musicale più avanti del contrappunto iniziale. Incarnando la voce dell’uomo Ungaretti, nella similitudine della poesia I fiumi; così il Nostro scrive: “scrivere un pentagramma / di senso / ed il corpo totalmente / avvolto immerso / in un panno d’acqua / quest’acqua tagliata / come lamina di metallo / che brucia la pelle”.
Veramente questi versi sono la voce dello schiavo che viene liberato / si libera dalle catene che l’hanno tenuto nell’oscurità della prigione voluta dagli uomini. Questo poema assurge a voce di tutti gli schiavi liberati. Una costante rivoluzione d’Amore per il genere umano. Un viaggio interminabile dove il testimone, attraverso la Poesia, continua di mano in mano a illuminare la notte della Storia.
In questi rigurgiti di sofferenza si solleva un Inno alla Vita.
È raccolto in un poema, appena apparso sul sito di Farapoesia, che si svela nel titolo:” La forza degli schiavi”, scritto dal giovane poeta Guglielmo (William) Stabile. Mi ritorna alla mente, per assonanza, nel titolo La forza degli occhi, dell’altro poeta, meridiano, Alfonso Gatto. Entrambi hanno vissuto a Salerno per diversi anni ed entrambi hanno viaggiato tantissimo.
Il poema, prende in prestito l’immagine del medico e ricercatore D. Livingstone, della corsa intrapresa in quegli anni, a metà dell’Ottocento, alle grandi imprese per arricchire la conoscenza umana di nuovi traguardi, come la scoperta delle sorgenti del fiume Nilo. Ma il grande ricercatore si ritrovò tra quelle tribù africane che vivevano in semplicità, e sofferenze, immerse nell’imponente paesaggio naturale. Il medico prevalse sullo scienziato, di fronte all’immediata sofferenza umana. Lo stesso ha fatto William Stabile: partito con il bagaglio dello scienziato in economia, si è ritrovato nelle terre dell’America del Sud a contatto diretto con le sofferenze umane.
Non parlo soltanto dei bisogni corporali: la fame si può battere. Ma le sofferenze, senza una dovuta assistenza medica non possono essere debellate, specialmente nei più poveri. Il viaggiatore ha raggiunto, e l’aveva preannunciato nella raccolta di esordio Contrappunti e tre poesie creole (Fara 2006), la spiaggia dove il Tempo avrebbe offerto un primo approdo alla navicella della sua sete di conoscenza, avvicinandolo maggiormente ai versi del poeta uruguaiano Mario Benedetti.
“Le risorse Umane” hanno preso corpo e anima in questo poema profondamente religioso; profondamente umano, troppo umano come scriveva Nietzsche, e come riportano i versi a conclusione, momentanea, del Poema: “sono io sei tu / Signore / piccolo piccolo piccolo / umano troppo umano “. La rivelazione è giunta, come per l’eretico San Paolo sulla strada per Damasco; per William lungo la difficile strada dell’impegno operativo in favore delle popolazioni dell’America Latina: un progetto abbracciato, con entusiasmo, senza esperienze precedenti.
“Finalmente ho capito”, scrive il Nostro nella prima parte, dove si passa dall’osservazione alla partecipazione integrata di fronte a “ l’umana sofferenza / dentro le disgraziate / capanne negre / che orrore! Stanley / che orrore! / tutto era profonda / tenebra”. L’uomo che vive nella falsa tranquillità dell’Occidente non conosce realmente i bisogni delle altre nazioni, dove il malessere sociale è la prepotenza dei ricchi di fronte ai più poveri, alle bidonville, alle favelas, ai trafficanti di morte. Il poeta innalza il suo canto al di sopra delle ideologie occidentali, della “sinistra che cambia il mondo”. Non c’è né destra né sinistra politica che cambi la società, c’è una sola strada che cambia tutto: l’Amore per noi stessi e i nostri simili.
La forza distruttiva dell’odio “largo / quanto un lago / del continente nero” è stata raggiunta dalla scelta di farsi da parte, volontaria o involontaria che sia, per lasciare parlare Dio: “mi feci solo da parte / e lasciai che l’alfabeto / s’incagliasse sul fondo / mio di fango”. Il viaggio, iniziato dai contrappunti della ricerca, nella prima raccolta, vede la piccola imbarcazione dell’anima incagliarsi nella limitatezza umana, di fronte all’insondabile, all’immenso non conosciuto, e l’anafora riprende nella forza del vocativo l’essenza della richiesta: “oh mio Signore / tu sei tan grande / grazie”. Quasi a ripetere le laude che negli anni difficili del Medioevo percorrevano l’Italia.
La parola, il verso, sospende l’arsura del viaggio, apre l’universo dell’ascolto, folgora la ricerca, anche solo per un momento: “ma il mondo eri tu / e la mia casa / e nell’economia / dei sensi ritrovai / la rotta del dolore / che cessava”. Non è casuale che subito dopo questi versi si riveli la storia umana del poeta; il percorso intrapreso dopo gli studi per un lavoro che gli assegnasse un futuro, un “orticello” da coltivare nella tranquilla economia dell’Occidente: “ero ricercatore urbano / & africano / non impiegato / del verso capitale”. Questa difficile condizione non dissetava l’anima del poeta che “nei sentieri cercavo / una sintassi di parole / (…) / nella favela dell’anima / nella dissenteria spirituale / nei posti dove destrutturavi / la mia emarginazione”.
Tutto quello che umanamente conta per i giovani, e meno giovani, dell’Occidente si impoverisce negli occhi di chi veramente cerca una strada d’incontro, una emergenza per liberare le sue forze migliori: “tutto contiene l’uomo / l’oro ed il fango”. C’è chi continua a cercare nel fango la propria grandezza e chi, invece, apre gli occhi sulla bellezza dell’oro offerto nel sacrificio verso gli “schiavi” del mondo cosiddetto civile.
La seconda parte del Poema, si apre con la citazione dal Poema dell’Odissea, dove Nettuno indirizza al naufrago Ulisse la frase: “l’uomo senza dei è nulla”. William Stabile cerca la sua Itaca, la rotta verso casa. Lo fa purificando il suo linguaggio alla fonte Castalia della mitologia greca, riportando in vita i versi del giovane poeta scomparso a trentadue anni: “nulla mi ostacola se / non una figura convessa / che mi somiglia”(Antonio D’Alessio, Poesie ritrovate, Edizioni Guarini 2011). Partire! Finalmente il viaggio ricomincia questa volta con gli occhi purificati dal contatto con la divinità: “emergono / versi e parole che aggrumano / presso lo scoglio la roccia / dove son significato / d’amore”. L’Amore per l’uomo ha raggiunto il suo risultato. Non più cieca fiducia nell’uomo e in quella che è la sua economia. Fiducia, invece, nell’incerto viaggio della Speranza Universale dove: “salpare partire / all’arrembaggio / sbarcare / alla prossima spiaggia / e continuare a nutrirsi / di felicità e disperazione / questo lasciarsi cadere / questo non resistere / questo essere sconfitti / e rinascere incessante”.
La grande lezione del Novecento prende un nuovo corpo, accetta il bilinguismo. L’inglese pervade inizio e fine del racconto poetico. Volutamente le metafore indicano stati d’animo e fenomeni naturali. Volutamente la velocità del pensiero si immerge in un verso breve, asindetico. Le voci marinare, anche degli oggetti, rende profondamente l’idea del viaggio e delle sue insidie su un mare inquieto. Più di ogni altra cosa c’è la passione per la parola, per i codici formali del linguaggio, per la contaminazione con le nuove sorgenti poetiche: “questo continuo ripetersi / dell’onda sulla riva / questo parlare orale / (…) questo linguaggio / primordiale / secco acuto minerale”.
Stupenda lezione della nuova poesia che mira all’essenziale, al nevralgico, al tempestivo, senza negare la lezione dell’Ermetismo e delle correnti poetiche che sono seguite. Innestando una parola poetica nuova “minerale”, che costruisce e demolisce il versificare, alla ricerca di una purezza primitiva, sostanziale, frugale. Questa è la poetica di W. Stabile, che oggi emerge nel suo Poema d’oltreoceano, musicale più avanti del contrappunto iniziale. Incarnando la voce dell’uomo Ungaretti, nella similitudine della poesia I fiumi; così il Nostro scrive: “scrivere un pentagramma / di senso / ed il corpo totalmente / avvolto immerso / in un panno d’acqua / quest’acqua tagliata / come lamina di metallo / che brucia la pelle”.
Veramente questi versi sono la voce dello schiavo che viene liberato / si libera dalle catene che l’hanno tenuto nell’oscurità della prigione voluta dagli uomini. Questo poema assurge a voce di tutti gli schiavi liberati. Una costante rivoluzione d’Amore per il genere umano. Un viaggio interminabile dove il testimone, attraverso la Poesia, continua di mano in mano a illuminare la notte della Storia.
lunedì 20 febbraio 2012
La forza degli schiavi: e lasciai che l’alfabeto / s’incagliasse / sul fondo mio di fango
di William Stabile
Dr. Livingstone, I suppose!
well
yes I am
caro Stanley
io avevo
una fissazione
per l’uomo e
mentre ti aspettavo
ho letto la bibbia 4 volte
e mentre leggevo
e leggevo
amavo osservare sulle rive
l’umana sofferenza
dentro le disgraziate
capanne negre
che orrore! Stanley
che orrore!
tutto era profonda
tenebra
finalmente
ho capito
non c’è niente di nuovo
– per l’uomo -
sul fronte occidentale
le ragioni della polvere
consumano sempre nelle cose
è tutto sotto il cielo - e sopra
nulla
solo l’amore cambia
la vita è sempre
un dono
e non va mai
sfidata
come ho fatto io
Stanley
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
ero un parto scagliato
verso un mondo
in un arco una freccia
a cercare una traccia
prima che tu ci fossi
eravamo già tu ed io
insieme - Signore
e tu senza saperlo
eri già tutto in me
presente in me
dentro di me
ed io attratto
mi allontanavo da te
e costruivo per me
un’architettura di dolori
e tu costruivi per me
opere e missioni
la mia speranza
che gradualmente
diventava parola
con architravi forti
di essenza
ponevo fragili
colonne di pensieri
e così per mia gioia
ripagavo te in una vita
para bellum
mordendo
un odio largo
quanto un lago
del continente nero
io intesi ingenuo
che utilizzando la sinistra
avrei cambiato il mondo
ma tu - Signore -
cambiasti me
mi indicasti la rotta
da funambolo su soglie
di luce e segni
e segnali che scegliesti
tu od io?
e venivi a me con le tue idee
- le mie -
a partorire immagini
dal profondo
ed ora tutto intorno
il mondo tuo
mi parla
la lucertola sul caldo asfalto
la bouganvilla sul muro
bianco di calce
emettono un senso
di estremo linguaggio
lo sniffare del cane
emaciato africano
sull’uscio della capanna
l'anello di comprensione
finora mancante
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
mi dicesti
when you’re ready
you’ll find it
cosí ho attraversato il mondo
e spesso in questo mondo
mi son perso -Signore
cercando cercando
ma il mondo eri tu
e la mia casa
e nell’economia
dei sensi ritrovai
la rotta del dolore
che cessava
non era compito mio
cambiarmi
mi feci solo da parte
e lasciai che l’alfabeto
s’incagliasse sul fondo
mio di fango
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
a quei tempi vivevamo
in Gloucester road
col sole dritto in faccia
tutto era ordine e lustro
in UK ognuno curava
il suo orticello
ed io non potevo
stare fisso
alla forca delle 7
non volli cedere
alla sconfitta pendolare
della cella del sudoku
ero ricercatore urbano
& africano
non impiegato
del verso capitale
camminavo per le strade
ma stavo
già viaggiando
osservavo le persone
la domenica nei bar
ben vestiti passeggiare
e sapevo tutto ciò
non mi apparteneva
le case ben arredate
ed ordinate degli amici
in cui non potevo essere
partecipe
- se non a metà –
*
più che produrre reddito
piacere mio era
produrre idee
e solcare la traccia
per nuovi cammini
e cosí decisi:
non attraversai più il viola
del parco della vittoria
monopoli del mondo
nei sentieri cercavo
una sintassi di parole
nei luoghi fluidi
mi compivo
esistevo
nella favela dell’anima
nella dissenteria spirituale
nei posti dove destrutturavi
la mia marginazione
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
e mi indicavi come
imparare ad essere niente
ed intanto apprendevo
a nutrire la mia calma
e tu venivi a me
a salvarmi dalla mens sana
in corporate sano -Signore-
quando anche dei libri e
della poesia e delle caviglie
di fango sporche
era oramai
l’estremo ennui
la voglia irrefrenabile
di sovvertire l’ordine
a me che neanche
la BBC radio di notte
al buio della stanza
mi acquietava
io che salendo in auto
salutavo tassisti
prima di pagare
la tariffa
credevo nell’uomo
ancora cosciente che
detengono il potere
a questo mondo
i poster delle ragazze
nude nelle officine
ed il pianto dei bimbi
nelle tue messe
null’altro Signore
ed era nulla die sine linea
cosí sull’orlo
di questo letto
inizierò il mio verso
il più delle volte
ci si nutre di piccole cose
che poi si sommano a fiumi
parole affluenti
ed arriva il tuo verso
oh Signore
ad estuario o a delta
preciso o confuso
in tempesta sull’acqua
parola
ciò non importa
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
non importa dove scorra
l’alveo
- se rompa gli argini
la traccia -
è solo prendere la
faretra in mano e
scagliare frecce al cielo
che conta - Signore
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
tutto contiene l’uomo
l’oro ed il fango
l’unico dono è
dopo tutto
la forza degli schiavi
di ascoltare
la forza degli schiavi
di rialzare la testa
la forza degli schiavi
di guardare in volto
la bellezza e
solo degli schiavi
di aprire sempre le braccia
………………………….
e sempre
al prossimo
che ti si para
davanti
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
perché tutto è
come deve essere
porterò ancora
alta nel vento
la bandiera bianca
della nostra rivoluzione
Ulisse
vento caldo tra i rami
dell’uliveto sull’isola
Itaca
cipressi annuiscono al vento
e ai pentagrammi
dei cancelli cani
ululano alla luna
vento a pelo d’acqua
che sale sui declivi e
ti viene a cercare
tra gli orti
passeggiando
tra gli orti
tra muri a secco chiusi
di pietra sull’isola
vedo l’uomo
svoltare l’angolo
chi è?
forse Nessuno?
Il cammino mi chiamava
.................................
nulla mi ostacola se
non una figura convessa
che mi somiglia
partii…
fu il turbinio del vento
mi resi conto
mi dettero in dote
Castalia la lingua
si disciolse in tasselli
di sale di sole di sabbia
che costituiva la pelle
la prua penna
dello scafo incideva
nell’onda del mare
piccole linee
onde di questo grande
quaderno la vita
il mare così incerto
scrive il mio verso
qual è il senso dell’onda ?
forse le penelope palpebre
chiudersi?
mentre a pelo d’acqua
emergono
versi e parole che aggrumano
presso lo scoglio la roccia
dove son significato
d’amore
*
questo continuo
controllare gli stralli
le cime e armare
le navi salpare partire
all’arrembaggio
sbarcare
alla prossima spiaggia
e continuare a nutrirsi
di felicità e disperazione
questo lasciarsi cadere
questo non resistere
questo essere sconfitti
e rinascere incessante
come il mare
forte universale
animale
come il mare la marea
- eterno fracasso dell’onda -
sulla spiaggia
sempre sempre sempre
*
questo continuo ripetersi
dell’onda sulla riva
questo parlare orale
dell’onda del mare
del mare orale
della bocca dell’onda
questo linguaggio
primordiale
secco acuto minerale
del mare orale
e alla deriva questo
poter ancora alzare
gli occhi al cielo
e gridare:
cosa vuoi da me?
non mi è rimasto nulla
nulla
solo la vita… la mia vita
che cosa devo capire ?
cosa ?
voglio che tu capisca
che l’uomo senza
dèi è nulla
nulla
*
e poter ancora apprezzare
fresche sul volto la fronte
le note della pioggia cadere
scrivere un pentagramma
di senso
ed il corpo totalmente
avvolto immerso
in un panno d’acqua
questa acqua tagliata
come lamina di metallo
che brucia la pelle
e questo dire ancora
sì sì sì
ed ancora si
mentre affondiamo
affoghiamo
sì sì sì
sono io sei tu
Signore
piccolo piccolo piccolo
umano troppo umano
CONTINUA…
in te ipso redi, in interiore homine habitat veritas
(Sant’Agostino, Le Confessioni)
real character doesn’t happen overnight.
nor are hidden depths immediately obvious.
but given time they emerge.
(Abbot Ale)
well
yes I am
caro Stanley
io avevo
una fissazione
per l’uomo e
mentre ti aspettavo
ho letto la bibbia 4 volte
e mentre leggevo
e leggevo
amavo osservare sulle rive
l’umana sofferenza
dentro le disgraziate
capanne negre
che orrore! Stanley
che orrore!
tutto era profonda
tenebra
finalmente
ho capito
non c’è niente di nuovo
– per l’uomo -
sul fronte occidentale
le ragioni della polvere
consumano sempre nelle cose
è tutto sotto il cielo - e sopra
nulla
solo l’amore cambia
la vita è sempre
un dono
e non va mai
sfidata
come ho fatto io
Stanley
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
ero un parto scagliato
verso un mondo
in un arco una freccia
a cercare una traccia
prima che tu ci fossi
eravamo già tu ed io
insieme - Signore
e tu senza saperlo
eri già tutto in me
presente in me
dentro di me
ed io attratto
mi allontanavo da te
e costruivo per me
un’architettura di dolori
e tu costruivi per me
opere e missioni
la mia speranza
che gradualmente
diventava parola
con architravi forti
di essenza
ponevo fragili
colonne di pensieri
e così per mia gioia
ripagavo te in una vita
para bellum
mordendo
un odio largo
quanto un lago
del continente nero
io intesi ingenuo
che utilizzando la sinistra
avrei cambiato il mondo
ma tu - Signore -
cambiasti me
mi indicasti la rotta
da funambolo su soglie
di luce e segni
e segnali che scegliesti
tu od io?
e venivi a me con le tue idee
- le mie -
a partorire immagini
dal profondo
ed ora tutto intorno
il mondo tuo
mi parla
la lucertola sul caldo asfalto
la bouganvilla sul muro
bianco di calce
emettono un senso
di estremo linguaggio
lo sniffare del cane
emaciato africano
sull’uscio della capanna
l'anello di comprensione
finora mancante
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
mi dicesti
when you’re ready
you’ll find it
cosí ho attraversato il mondo
e spesso in questo mondo
mi son perso -Signore
cercando cercando
ma il mondo eri tu
e la mia casa
e nell’economia
dei sensi ritrovai
la rotta del dolore
che cessava
non era compito mio
cambiarmi
mi feci solo da parte
e lasciai che l’alfabeto
s’incagliasse sul fondo
mio di fango
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
a quei tempi vivevamo
in Gloucester road
col sole dritto in faccia
tutto era ordine e lustro
in UK ognuno curava
il suo orticello
ed io non potevo
stare fisso
alla forca delle 7
non volli cedere
alla sconfitta pendolare
della cella del sudoku
ero ricercatore urbano
& africano
non impiegato
del verso capitale
camminavo per le strade
ma stavo
già viaggiando
osservavo le persone
la domenica nei bar
ben vestiti passeggiare
e sapevo tutto ciò
non mi apparteneva
le case ben arredate
ed ordinate degli amici
in cui non potevo essere
partecipe
- se non a metà –
*
più che produrre reddito
piacere mio era
produrre idee
e solcare la traccia
per nuovi cammini
e cosí decisi:
non attraversai più il viola
del parco della vittoria
monopoli del mondo
nei sentieri cercavo
una sintassi di parole
nei luoghi fluidi
mi compivo
esistevo
nella favela dell’anima
nella dissenteria spirituale
nei posti dove destrutturavi
la mia marginazione
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
e mi indicavi come
imparare ad essere niente
ed intanto apprendevo
a nutrire la mia calma
e tu venivi a me
a salvarmi dalla mens sana
in corporate sano -Signore-
quando anche dei libri e
della poesia e delle caviglie
di fango sporche
era oramai
l’estremo ennui
la voglia irrefrenabile
di sovvertire l’ordine
a me che neanche
la BBC radio di notte
al buio della stanza
mi acquietava
io che salendo in auto
salutavo tassisti
prima di pagare
la tariffa
credevo nell’uomo
ancora cosciente che
detengono il potere
a questo mondo
i poster delle ragazze
nude nelle officine
ed il pianto dei bimbi
nelle tue messe
null’altro Signore
ed era nulla die sine linea
cosí sull’orlo
di questo letto
inizierò il mio verso
il più delle volte
ci si nutre di piccole cose
che poi si sommano a fiumi
parole affluenti
ed arriva il tuo verso
oh Signore
ad estuario o a delta
preciso o confuso
in tempesta sull’acqua
parola
ciò non importa
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
non importa dove scorra
l’alveo
- se rompa gli argini
la traccia -
è solo prendere la
faretra in mano e
scagliare frecce al cielo
che conta - Signore
oh mio Signore
tu sei così grande
grazie
tutto contiene l’uomo
l’oro ed il fango
l’unico dono è
dopo tutto
la forza degli schiavi
di ascoltare
la forza degli schiavi
di rialzare la testa
la forza degli schiavi
di guardare in volto
la bellezza e
solo degli schiavi
di aprire sempre le braccia
………………………….
e sempre
al prossimo
che ti si para
davanti
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
perché tutto è
come deve essere
porterò ancora
alta nel vento
la bandiera bianca
della nostra rivoluzione
Ulisse
l’uomo senza dèi è nulla
(Nettuno a Ulisse naufrago)
vento caldo tra i rami
dell’uliveto sull’isola
Itaca
cipressi annuiscono al vento
e ai pentagrammi
dei cancelli cani
ululano alla luna
vento a pelo d’acqua
che sale sui declivi e
ti viene a cercare
tra gli orti
passeggiando
tra gli orti
tra muri a secco chiusi
di pietra sull’isola
vedo l’uomo
svoltare l’angolo
chi è?
forse Nessuno?
Il cammino mi chiamava
.................................
nulla mi ostacola se
non una figura convessa
che mi somiglia
partii…
fu il turbinio del vento
mi resi conto
mi dettero in dote
Castalia la lingua
si disciolse in tasselli
di sale di sole di sabbia
che costituiva la pelle
la prua penna
dello scafo incideva
nell’onda del mare
piccole linee
onde di questo grande
quaderno la vita
il mare così incerto
scrive il mio verso
qual è il senso dell’onda ?
forse le penelope palpebre
chiudersi?
mentre a pelo d’acqua
emergono
versi e parole che aggrumano
presso lo scoglio la roccia
dove son significato
d’amore
*
questo continuo
controllare gli stralli
le cime e armare
le navi salpare partire
all’arrembaggio
sbarcare
alla prossima spiaggia
e continuare a nutrirsi
di felicità e disperazione
questo lasciarsi cadere
questo non resistere
questo essere sconfitti
e rinascere incessante
come il mare
forte universale
animale
come il mare la marea
- eterno fracasso dell’onda -
sulla spiaggia
sempre sempre sempre
*
questo continuo ripetersi
dell’onda sulla riva
questo parlare orale
dell’onda del mare
del mare orale
della bocca dell’onda
questo linguaggio
primordiale
secco acuto minerale
del mare orale
e alla deriva questo
poter ancora alzare
gli occhi al cielo
e gridare:
cosa vuoi da me?
non mi è rimasto nulla
nulla
solo la vita… la mia vita
che cosa devo capire ?
cosa ?
voglio che tu capisca
che l’uomo senza
dèi è nulla
nulla
*
e poter ancora apprezzare
fresche sul volto la fronte
le note della pioggia cadere
scrivere un pentagramma
di senso
ed il corpo totalmente
avvolto immerso
in un panno d’acqua
questa acqua tagliata
come lamina di metallo
che brucia la pelle
e questo dire ancora
sì sì sì
ed ancora si
mentre affondiamo
affoghiamo
sì sì sì
sono io sei tu
Signore
piccolo piccolo piccolo
umano troppo umano
CONTINUA…
Su Mandate a dire all’imperatore di Pierluigi Cappello
Crocetti Editore, Milano 2010, pp. 85, Euro 13,00
recensione di Antonietta Gnerre
PierluigiCappello è nato a Gemona del Friuli (UD) nel 1967; vive a Tricesimo (UD). Ha
diretto la collana di poesia “La barca di Babele”, edita a Meduno e fondata da
un gruppo di poeti friulani nel 1999. Ha pubblicato i seguenti libri: Le nebbie (1994), La misura dell’erba (1998), Amôrs
(1999), Dentro Gerico (2002). Con Dittico (Liboà, Dogliani 2004) ha
vinto il premio Montale Europa di poesia. Assetto
di volo (Crocetti, Milano 2006) è stato vincitore dei premi Pisa (2006) e
Bagutta Opera Prima (2007). Nel 2008 ha pubblicato la sua prima raccolta di
prose e interventi intitolata Il dio del
mare (Lineadaria, Biella 2008). Nel maggio 2010 pubblica Mandate a dire all’imperatore
(Crocetti, Milano 2010), col quale ha vinto il premio
Viareggio-Repaci.
L’arte in versi di Pierluigi Cappello è un misuratore di temperatura che si riscalda tutti i giorni perché i ricordi immensi si sono uniti a quelli personali con proteiforme parole fatte vibrare in maniera intensa. Nella raccolta Mandate a dire all’imperatore – postfazione a cura di Eraldo Affinati – lo stile si proporziona in versi estesi, distanziati da accordi che scrutano tra muscovite e materia. L’autore immerge la propria ricerca linguistica in Pasolini e Caproni con richiami sottesi alla poesia di Turoldo e Zanzotto. Una scrittura realistica e spirituale che muove l’osservazione del lettore verso il confronto tra realtà sognata e trascorsa, ma anche tra l’idea e i cicli del tempo che divorano l’essere umano: “Così come oggi tanti stagioni fa / mandate a dire all’imperatore / che tutti i pozzi si sono seccati / e brilla il sasso lasciato dall’acqua / orientate le vostre prore dentro l’arsura / perché qui c’è da camminare nel buio della parola”. La poesia di Pierluigi è un atto di amore altissimo verso il mondo. Un segno grafico e indelebile per riscrivere la realtà della vita.
Piove
Piove, e se piovesse per sempre
sarebbe questa tua carezza lunga
che si ferma sul petto, le tempie;
eccoci, luccicante sorella,
nel cerchio del tempo buono, nell'ora
indovinata
stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,
uno stare senza dimora
che ci fa intangibili, sottili come un sentiero
di matita
da me a te né dopo né dove, amore,
nello scorrere
quando mi dici guardami bene, guarda:
l'albero è capovolto, la radice è nell'aria.
Ombre
Sono nato al di qua di questi fogli
lungo un fiume, porto nelle narici
il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio
di quando nevica, la memoria lunga
di chi ha poco da raccontare.
Il nord e l'est, le pietre rotte dall'inverno
l'ombra delle nuvole sul fondo della valle
sono i miei punti cardinali;
non conosco la prospettiva senza dimensione del mare
e non era l'Italia del settanta Chiusaforte
ma una bolla, minuti raddensati in secoli
nei gesti di uno stare fermi nel mondo
cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste
di ceppi che erano state un'eco di tempo in tempo rincorsa
di falda in falda, dentro il buio. E il gatto che si stende
in questi posti, sulle lamiere di zinco, alle prime luci
di novembre, raccoglie l'aria di tutte le albe del mondo;
come i semi dei fiori, portati, come una nevicata leggera
ho sognato di raggiungere i miei morti
dove sono le cose che non vedo quando si vedono
Amerigo devoto a Gina che cantava a voce alta
alla messa di Natale, il tabacco comprato da Alfredo
e Rino che sapeva di stallatico, uomini, donne
scampati al tiro della storia
quando i nostri aliti di bambini scaldavano l'inverno
e di là dalle montagne azzurrine, di là dai muri
oltre gli sguardi delle guardie confinarie
un odore di cipolle e di industria pesante premeva,
la parte di un'Europa tenuta insieme
da chiodi ritorti e bulloni, martelli e chiavi inglesi.
Il futuro non è più quello di una volta, è stato scritto
da una mano anonima, geniale
su di un muro graffito alla periferia di Udine,
il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate
nello scorrere dei volti chiamati, aggiungo io.
E qui, mentre intere città si muovono
sulle piste ramate degli hardware
e il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato,
mio padre torna per sempre nella sua cerata verde
bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere
come fosse eternamente schiuso.
Se siamo ancora cosa siamo stati,
io sono lo stare di quell'uomo bagnato dalla pioggia,
che portava in casa un odore di traversine e ghisa
e, qualche volta, la gola di Chiusaforte allagata dall'ombra
si raduna nei miei occhi da occidente a oriente, piano piano
a misura del passo del tramonto, bianco;
e anche se le voci del mondo si appuntiscono
e qualcosa divide l'ombra dall'ombra
meno solo mi pare di andare, premendo un piede
dopo l'altro, secondo la formula del luogo,
dal basso all'alto, seguendo una salita.
Una rosa
Che cos'è quella rosa sul tavolo
ferma nella sua freschezza come un lago alpino
alta nel suo silenzio più del fragore
dei quotidiani affastellati lì accanto
più del disordine dei notiziari,
la concitazione delle chiavi di casa.
Che cos'è questa parola verdeggiante d'amore
se non il suolo dove lasciarsi cadere
la penombra di un bosco da attraversare
e la mano che si apre e prende la mia
e mi conduce a me.
sabato 18 febbraio 2012
Premio “Lorenzo Cresti” sc. 31 maggio 2012
L’Associazione culturale La montagna
incantata
con il patrocinio del Comune di Firenze
indice il
Premio letterario di poesia in memoria di Lorenzo Cresti
Seconda Edizione
scadenza 31 maggio 2012
Il concorso, dedicato e ispirato alla persona di Lorenzo Cresti, si articola in tre sezioni:
Sezione A: Poesia a tema libero per opere inedite (studenti della scuola secondaria di secondo grado);
Sezione B: Poesia a tema libero per opere inedite (giovani - adulti);
Sezione C: Poesia a tema su “Inquietudini e speranze nella vita degli adolescenti”, per opere inedite (per qualsiasi fascia d’età)
REGOLAMENTO
Art.1
. Si partecipa con testi inediti in lingua italiana composti da concorrenti di
qualunque nazionalità e ovunque residenti. E’ ammessa la partecipazione a più
sezioni.
Art. 2 – Per la partecipazione è richiesto l’invio da un minimo di due a un massimo di tre poesie inedite per ogni autore e per ogni sezione (massimo 38 versi per ciascun elaborato, carattere Arial, dimensione 12).
Art. 3 - Gli elaborati dovranno essere inviati in cinque copie entro e non oltre il 31/05/2012, a ASSOCIAZIONE “LA MONTAGNA INCANTATA”, presso Lisa Baligioni Cresti, Via Lamarmora 53, 50121 Firenze.
Art. 2 – Per la partecipazione è richiesto l’invio da un minimo di due a un massimo di tre poesie inedite per ogni autore e per ogni sezione (massimo 38 versi per ciascun elaborato, carattere Arial, dimensione 12).
Art. 3 - Gli elaborati dovranno essere inviati in cinque copie entro e non oltre il 31/05/2012, a ASSOCIAZIONE “LA MONTAGNA INCANTATA”, presso Lisa Baligioni Cresti, Via Lamarmora 53, 50121 Firenze.
Allegare
agli elaborati il seguente materiale:
A) - la domanda di partecipazione riportata nel
bando, regolarmente firmata ;
B)
- una breve biografia del concorrente (facoltativa);
C)
- copia della ricevuta di pagamento di un contributo di spese di segreteria di
€10,00 per l’intero numero di elaborati inviati (rispettando comunque i limiti
per ogni sezione). Sono esentati da tale
pagamento gli studenti di scuola secondaria di secondo grado.
I
contributi suddetti potranno essere versati mediante bollettino di conto
corrente postale n. 1003693536 intestato a Associazione culturale “La montagna incantata” oppure mediante
bonifico bancario alle seguenti coordinate Iban: IT - 97 - N - 07601 - 02800 – 001003693536. Nella causale dovrà
essere indicato Premio letterario di
poesia in memoria di Lorenzo Cresti.
Salvo l’obbligo di invio delle copie cartacee delle poesie con i suddetti allegati, è consentito anche l’invio tramite posta elettronica (all’indirizzo associazionemontagnaincantata@gmail.com) di una copia degli elaborati in formato “word” (carattere Arial, dimensione 12).
Salvo l’obbligo di invio delle copie cartacee delle poesie con i suddetti allegati, è consentito anche l’invio tramite posta elettronica (all’indirizzo associazionemontagnaincantata@gmail.com) di una copia degli elaborati in formato “word” (carattere Arial, dimensione 12).
Art. 4 - E’ concessa la
possibilità a ogni partecipante di concorrere a più di una sezione nella quale
si articola il premio previo versamento di una sola quota di segreteria,
indipendentemente dal numero di elaborati inviati (sempre rispettando i limiti
per ciascuna sezione).
Art. 5 - I vincitori, i
finalisti e coloro che hanno ottenuto la menzione di merito avranno come premio
la pubblicazione delle loro opere in una Antologia letteraria, edita da una
casa editrice italiana, con codice ISBN, a distribuzione nazionale e la
consegna di copie dell’antologia stessa.I vincitori (3 per ogni sezione)
riceveranno inoltre una targa.
La premiazione avverrà in
luogo da definire nel corso dei mesi ottobre-novembre 2012 a Firenze.
Gli autori premiati saranno
preventivamente avvisati e potranno ritirare personalmente o tramite delega i
premi assegnati.
Art.
6 - Composizione della Giuria: PRESIDENTE Alessandro Quasimodo, GIURATI Lisa
Baligioni Cresti, Giovanni Bogani, Paola Ciccioli, Rina Gambini.
Art.
7 - Non sono ammesse al concorso le opere che si sono classificate ai primi tre
posti in altri premi letterari, pena la perdita del diritto ai premi e a ogni
altra pretesa.
Art. 8 - I nominativi dei vincitori saranno comunicati anche all'Annuario dei Vincitori dei Premi Letterari per la pubblicazione in Internet al seguente indirizzo: www.literary.it/premi dove rimarranno esposti in permanenza.
Art. 8 - I nominativi dei vincitori saranno comunicati anche all'Annuario dei Vincitori dei Premi Letterari per la pubblicazione in Internet al seguente indirizzo: www.literary.it/premi dove rimarranno esposti in permanenza.
Art. 9 - Partecipando al presente Premio tutti i concorrenti concedono il nulla osta per il libero utilizzo dei loro elaborati da parte dell’Associazione culturale “La montagna incantata”, che si riserva il diritto di pubblicare una raccolta antologica delle opere premiate senza che alcun compenso o diritto di autore possa essere preteso dall’interessato.
In relazione a quanto sancito dagli art. 7, 13 e 23 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”, la segreteria organizzativa dichiara che:
· il trattamento dei dati dei partecipanti al concorso è finalizzato unicamente alla gestione del premio, all'invio agli interessati dei bandi degli anni successivi o di quelli di altri Circoli Letterari o Case Editrici che intrattengono rapporti di collaborazione con l’Associazione culturale che ha indetto il presente bando.
· con la domanda di partecipazione verrà rilasciata l’autorizzazione al trattamento dei dati personali per le finalità sopra elencate.
· il concorrente può richiedere la cancellazione, la rettifica o l'aggiornamento dei propri dati rivolgendosi ai Responsabili dati del Premio nella persona di Lisa Baligioni Cresti.
PER OGNI ULTERIORE INFORMAZIONE TELEFONARE al 338/4604247 O SCRIVERE A associazionemontagnaincantata@gmail.com
***
Lorenzo Cresti è nato nel
1991. Ci ha lasciati nel 2008, all’età di diciassette anni e mezzo, mentre
stava frequentando la II classe del Liceo Classico. La sua breve esistenza si è
svolta interamente a Firenze.
Lorenzo ha avuto una
precoce passione per la scrittura e la lettura, la musica e il cinema.
Ci ha lasciato vari
scritti: storie, sceneggiature di films, qualche poesia, riflessioni su ciò che
leggeva ed ascoltava, ed un diario, scritto negli anni del Ginnasio.
Nelle letture, un gran
desiderio di trovare risposte alle sue inquietudini: la filosofia (Nietzsche,
Heidegger), la psicanalisi (Freud, Jung), la narrativa (Mann, Proust), e poi la
grande passione per la poesia (Quasimodo, Montale, Ungaretti).
Ascoltava molto la musica–
e spesso la riproduceva al pianoforte -: sia la musica classica e lirica
(Mozart, Mahler, Wagner) che quella leggera contemporanea.
Il maggiore interesse era
forse per il cinema: il cinema classico (Lang, Visconti, Fellini, Wilder: Viale
del tramonto, la sua grande passione) e quello più recente (Lynch e Kubrick:
soprattutto, di quest’ultimo, Barry Lindon).
Un’infanzia felice,
un’adolescenza inquieta, con momenti di gioia alternati a momenti di grande
sconforto. Una grandissima sensibilità e tante forti emozioni: sentimenti da
cui è scaturito il misterioso percorso che l’ha portato a concludere
tragicamente la sua vita.
***
DOMANDA DI PARTECIPAZIONE AL “PREMIO LETTERARIO DI POESIA IN MEMORIA DI LORENZO CRESTI” SECONDA EDIZIONE
(Da controfirmare da un genitore in caso di partecipanti di età inferiore ai 18 anni)
Il sottoscritto
COGNOME.....................................................…......NOME.....................................………
nato a..........................……………....................................(Prov ...............)
il .......................................
Residente a....................................................……………....................................(Prov. ……)
CAP.......................Via...............……………...............................................................................
Telefono........................…...…….............Cellulare…….....................................................
Email.....……….........................................................................
Nome e indirizzo della Scuola di appartenenza (solo nel caso di partecipazione di studenti)
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
CHIEDE DI PARTECIPARE
alla Seconda Edizione del Premio letterario di poesia in memoria di Lorenzo Cresti, organizzato dall’Associazione culturale “La montagna incantata”, per le sezioni sotto indicate accettando tutte le norme del Regolamento del bando di cui assicura di aver preso completa visione.
(Contrassegnare le caselle che interessano)
□Sezione A
□Sezione B
□Sezione C
DICHIARA
• che le opere presentate sono frutto della sua creatività e del suo ingegno e che non sono mai state premiate con uno dei primi premi in altri concorsi letterari;
• di essere consapevole che qualsiasi falsa attestazione configura un illecito perseguibile a norma di legge;
• di esonerare gli organizzatori della manifestazione da ogni responsabilità per eventuali danni o incidenti personali che potrebbero derivargli nel corso della premiazione;
• di autorizzare la pubblicazione delle proprie opere nella raccolta antologica delle poesie premiate rinunciando a qualsiasi compenso o diritto d’autore, in conformità a quanto previsto dall’art. 9 del Regolamento del Premio letterario.
Data ............................. Firma: ……….. ……………………..
Consenso al trattamento dei dati personali (D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”):
Autorizzo il trattamento dei miei dati personali per le finalità indicate nel REGOLAMENTO del Premio, alla sezione “Tutela dei dati personali” di cui prendo atto e che dichiaro di aver letto.
Firma: ........……......................................................
venerdì 17 febbraio 2012
Comedìa con Massimo Sannelli a Roma 14 marzo
Mercoledì 14 Marzo ore 17.00
Lo scrittore Massimo Sannelli
in dialogo con Carla De Angelis e Angelo Filippo Jannoni Sebastianini
presenta Comedìa (FARA EDITORE)
Dante regista e narratore.
Che cosa è e che cosa non è la Comedìa
Massimo Sannelli vive a Genova. La sua attività ha molti aspetti: scrittura, filologia, arte, traduzioni, teatro e cinema, editing per ”La Finestra editrice”. Dopo la laurea con Edoardo Sanguineti, ha conseguito un Dottorato di ricerca in Filologia latina medievale. È stato tra i collaboratori del film La bocca del lupo di Pietro Marcello (David di Donatello e Caligari Preis a Berlino). Il sito Vico Acitillo 124-Poetry Wave lo ha decretato Poeta dell’anno 2011. Il suo sito è www.massimosannelli.blogspot.c
Durante l’incontro gli attori della “Scuola di arte della parola” diretta da Angelo Filippo Jannoni Sebastianini e Giovanna Moscetti reciteranno testi classici. Con il patrocinio del Municipio XV
giovedì 16 febbraio 2012
Vincitori e selezionati Pubblica con noi 2012
Fara Editore e
i giurati del concorso Pubblica con noi 2012
Francesco
Jonus, Frank Spada, Giovanni Fighera, Niva Ragazzi
e Stefano
Martello per la sezione silloge poetica (per la sezione racconto si veda narrabilando) sono lieti di
premiare i seguenti autori
Primo classificato
Claudio
Roncarati con Per/le
rime
Nelle fabbriche catene d’operai
alle macchine montano i
motori
lasciando la rivolta ai
sogna/tori
ma i tori nelle stalle
prigionieri
hanno vacche artificiali
per la monta
delle vere gli bastino
gli odori.
Vitaccia dura che la va
meglio ai buoi
sono leggende le gesta
degli eroi
incornanti il torero
nelle arene
vittoriosi nei rodei
contro al cowboy.
*
Lo capisci dalle facce
dagli accenti
gli agenti di polizia
penitenziaria
provengono dal sud povero
d’Italia
che garantisce corpi alle
divise
e i pomodori per l’inscatolatura
quelli molli guasti
vengono scartati
solo i carnosi diventano
pelati
dentro a barattoli dove
manca l’aria.
*
Si sta ignorati come i
muratori
che fanno tuffi dalla
impalcature
l’encefalo affidandolo
agli elmetti
varia la gravità delle
fratture.
Sono punteggi che
assegnano giurie
negli ospedali i punti di
sutura.
Milioni gli incidenti sul
lavoro
solo per quelli più
spettacolari
in premio articoli e fotografie,
non c’è notizia invece
nei banali
sono fatti di esistenze
minori
come di cozze nei mari le
morie
*
Il sollievo lo chiedono
al bicchiere
nei bar i vecchi ed alle
macchinette
lasciando al prete Dio
che non li assiste.
Dai guadagni lo Stato biscazziere
per dargli la pensione
trae denari
trenta invece gli
spettano al barista
ma ne voleva il doppio e
si fa triste
così rincara il prezzo
del Campari
*
Ci si passa la torcia
della vita
di padre in figlio
attraverso il tempo
dal prima al dopo
incrociando le dita,
il rischio è che si
spenga in un incendio.
Ai giapponesi c’è mancato
poco
fondendosi l’uranio a
Fukuscima.
Avendo raffreddato il
reattore
sono riusciti a limitare
i danni
a un calo d’energia,
qualche tumore.
Gli evacuati ritorneranno
a casa
al più tardi tra una
trentina d’anni.
(…)
Claudio Roncarati è nato a Bologna il 13 giugno 1959. È psichiatra. Risiede a Cattolica
(RN). Dice di sé: «Con Manuale
di psichiatria poetica (Alpes Italia) mi sono proposto
come psichiatra che scrive racconti e poesie. Con La
Fata fatua e lo psichiatra (Alpes-CFR 2011), come poeta-psichiatra. Con “per/le
rime” mi propongo tout court come poeta (indignato).»
Giudizi
Giudizi
«Mi è
piaciuta molto questa raccolta. Un linguaggio dirompente che sfoggia un’ironia talvolta mordace. In fondo, mi piace il fatto che
questa poesia tratta di svariati temi, dal sociale ai temi di sempre,
soprattutto per mezzo di un uso oculato di schemi e figure retoriche che
ammiccano al lettore proponendo ardite immagini ed imprevedibili accostamenti
verbali. Rime scatologiche e impegno si fondono entro un ampio affresco, dove a
metà strada tra l’appunto sagace e la
caricatura emerge un mondo disorientato e in ebollizione, il mondo d’oggi. Echi di poeti canonici come Petrarca, Quasimodo, Carducci,
vengono ripresi in chiave ironica, straniante.» (Alessandro Salvi)
«Una raccolta sarcastica e concreta, che ha
tinte sagaci come anche malinconiche. Un autore che non rinuncia alla critica
sociale come al maneggio semantico e sintattico della parola riuscendo a
uscirne, nel complesso, interessante.» (Federica Volpe)
Secondi classificati ex aequo
Giovanna Iorio con Il libro degli oggetti smarriti
Andrea
Parato con Il polso
dei miti
Il libro degli oggetti smarriti
Vola basso!
Non sapevo
dove girare la testa con
il campo visivo diviso a metà
come un cavallo.
(Tomas Transtörmer, Poesia dal silenzio, 2011)
DIVANO
Me lo sono trovato
davanti
come il palmo di
una mano
aperto e sporco
in un prato
ricoperto di lana.
Un divano senza
memoria
un vecchio malato
d’Alzheimer
che non sa
tornare a casa.
LA SCATOLA DI
FIAMMIFERI
I fiammiferi d’inverno
se ne stanno
nascosti
in una scatola
accanto a un
lampione
riserva di luce
per la bambina di
neve
accenderanno un
tenue
lampo di fuoco
riscalderanno
minuti
di sogno.
FILO SPINATO
Non pensavo
di trovarti qui
tra me e il cielo.
Chi di noi
è il prigioniero?
Punte di metallo
torturano l’aria
e io non ho fretta
le lascio fare
aspetterò
che la pioggia
vi faccia
arrugginire
di vergogna.
LO SPECCHIO NEL
PRATO
Non piove più.
Vedo una scheggia
di luce
nell’erba bagnata.
LA NUVOLA IN
GARAGE
Prima ho pensato
a un incendio
senza odore di
bruciato
ma era una nuvola
e basta
piccola in verità
scappata dal cielo
prima della
pioggia.
(…)
Giovanna Iorio (Bates), di origini irpine, vive e
lavora a Roma dove insegna lingua e letteratura italiana in un liceo
internazionale. Ha pubblicato Dopo Lungo
Silenzio (Mobydick 1997) antologia di poesia irlandese contemporanea al
femminile, Voci della Palude (In
Forma di Parole, Bologna 1997), Hugo
Hamilton: Lo scoppiato (romanzo, Cronopio Edizioni 2000), Antonia Byatt: La vergine nel giardino
(romanzo, Einaudi 2002). Per le edizioni Via del Vento ha curato e tradotto i
volumetti: Eavan Boland, Falene,
Acquamarina n. 6; Medbh McGuckian, Scene
da un bordello, Acquamarina n. 11. Ha vinto numerosi premi per racconti e
poesie. Mare Nostrum e La memoria dell’acqua sono due
raccolte di poesie inedite. Tiene il blog Amici di Letture
Giudizio
Giudizio
«Credo che per applicare criteri, per dir così, “scientifici”, soffermandomi su ogni passo, sillabando, giocando a cercare le citazioni nascoste e – naturalmente – valutando la scelta delle parole usate dai poeti, avrei avuto bisogno di più tempo. Del resto, non penso fossero questi i parametri di giudizio da applicare a delle raccolte che gareggiano per la pubblicazione in un’antologia a tema libero. Molto più importante la coerenza, l’organizzazione interna, l’avere un filo conduttore. E verso tali sillogi mi sono orientato. Il libro degli oggetti smarriti ha da questo punto di vista soddisfatto appieno le mie aspettative. Aspettative del tutto personali, del tutto impressionistiche: offre ciò che personalmente vado cercando in una raccolta poetica, ovvero la non banale semplicità nelle descrizioni. Nello specifico ne ho apprezzato l'ironia e la capacità di intessere un dialogo con gli oggetti e, quindi, con le memorie e le associazioni che essi suscitano. Non pensavo / di trovarti qui / tra me e il cielo. / Chi di noi / è il prigioniero? Questo la poetessa domanda al filo spinato e lo fa con ritmo, con versi brevi, con parole – dicevo – semplici e non banali, esprimendo un'immagine chiara ed efficace. Vi è poi ironia intrecciata a quotidianità, per le quali risulta che il semaforo è Il solo / ad arrossire / ancora; tutto ciò fa sì che scorrano agevolmente sotto gli occhi del lettore le sue parole, che volano via // nuvole di fumo / pietrificate.» (Riccardo Burgazzi)
Andrea
Parato – Il polso
dei miti
(Erri de Luca, La
ragazza con la gonna blu)
PRIMO CORO
Quando abbiamo perso la
felicità?
Tutto il nostro sapere
racchiuso in simulacri
di malcelata
insofferenza.
Splendidi frutti da
porgere
con mani sporche di letame.
Quando abbiamo perso la
felicità?
Dita tenere a scalare il
muro
e cuore duro spostato
un grado di troppo
sui paralleli
dell'esistenza.
Nostra medicina è la
cura della vite:
tagliare fronde
superflue.
Ma quando
abbiamo perso la felicità?
Tra noi l'indifferenza
è
il male peggiore.
Il poeta:
Il pensiero non esce,
pesa sul cuore.
Voce senza sfogo
scava il petto
tenta la fuga
resta dolore.
Ho sognato il sapore
del tuo corpo
toccato la punta turgida
dei tuoi silenzi.
Da solo, non mi rialzo:
perché?
Devo perdere la strada
che mi riporta a te.
La voce del giovane
musicista
La mia arte, gli anni
di silenzio offerti
in olocausto al
pianoforte,
il dono diventato
solitudine
parole vuote e spente
note.
Non ho abbandonato
gli spartiti consueti
sull'orlo
dell'incertezza,
la famiglia e la terra,
quelle sì le ho
lasciate.
A metà della mia vita
attendono sogni
incompleti
che non danno il pane.
E' il tempo duro delle
decisioni
non per orgoglio,
ma nemmeno per fame.
La voce del vecchio
contadino
Ricordo quando in città
c'erano i campi di grano
e sotto il sole di
luglio facevano a gara per i covoni;
quando il fischio
proclamava la più veloce mano
al taglio, o chi aveva
raggiunto la tonnellata;
quando partivano i
cavalli dei cittadini
sulla strada dell'unica
pensione impolverata.
Allora, tutti pensavano
al lavoro comune,
poi al ristoro e alla
festa insieme:
e nessuno, la sera, a
smettere di cantare.
Il poeta:
Quando finalmente
questo corpo tacerà
il suo stridulo urlo di
desiderio,
sarà forse tardi
per qualcosa di buono.
Qui e ora
devo versare un tributo
al mondo
nonostante il duro
monologo.
Vuoto a rendere,
perdonerai il tempo perso?
(…)
Andrea Parato è nato nel 1979, in quello
splendido periodo detto recessione, quando la gente non aveva la benzina e
rimaneva a casa… Dopo una gioventù spesa negli eccessi e negli stravizi della
periferia campagnola della metropoli riminese, ha annunciato ai suoi genitori
che non avrebbe fatto l'ingegnere. Ha intrapreso la prestigiosa carriera di scienziato
della comunicazione. Per cinque anni ha provato a fingersi bolognese, ma la
pronuncia romagnola lo ha tradito. Così è tornato con una corona di alloro
nella terra della piadina, dove una casa editrice misericordiosa lo ha assunto
per occuparsi di web, corsi di formazione, libri e annessi. Lo ammette: ha
amori poligami che non ha mai tradito: poesia, scrittura, comunicazione. E alla
fine spera di abbandonarsi tra le loro braccia.
Giudizio
Giudizio
«Una raccolta ordinata nel suo disordine,
una voce poetica naturale che si divide in molti affluenti riuscendo a rimanere
la medesima. Un poeta personaggio che ora cerca “… segni nei polsi / e nelle
voci dei minimi del mondo”, la cui voce attraversa e incontra molti minimi così
da formare una storia minima, potenziale, come potenziale è la felicità del
messaggio finale, un messaggio che riesce, nel contesto, a non cadere nel
banale.» (Federica Volpe)
Terzo
classificato
Martina Campi con L’avvicendarsi del sole
Brusio (nell’essere
gli uni agli altri)
1.
Interferisce
la perdita di cose
fuori
senno fuori luogo
si
cenava compostamente
mentre pioveva
gocce
leggere sui vetri
cadevano,
abbandonandosi ad
un
destino certo di immobilità e schianto.
Disintegrata,
la pioggia
indisturbava
gli scavi di
piccole
società di batteri.
Erano
benevole le domande ma,
infine
non utili allo scopo.
2.
Le
voci si confondono,
espositrici
esperte e tuttavia inconsapevoli,
di
nuovi ed innumerevoli cataloghi
progettuali,
di ultime esperienze
utili,
passate a rimanere restare
immutare
e: a mai cominciare.
Con
un leggero sospiro
alla
pioggia
ripiego
tra le mani il tovagliolo
quello
che ora si sa (ancora)
eccoci,
nel padroneggiarlo
è
solo un altro inutile
noi/loro.
3.
Con
lo sguardo passato
a
fare del proprio meglio
a
proporre in silenzio
un
piccolo salto veloce
nella
teoria dei gruppi
e
qui rimane a fissarsi l’attenzione
sui
fondamenti o, in alternativa
sulle
fondamentali problematiche
sociologiche
interpretazioni
o
su concetti che descrivano la realtà
__________________
L’interferenza
è, questa volta,
un
brusio di fondo inaccettabile.
4.
A
essere ottimisti
si
rivendicano spazi modulati,
ritirando
vittorie comparate
ma
ora che siamo qui
inodori
estranei e sorridenti
senza
pelle, né tempo libero
da
condividere nel mezzo;
ma,
su superfici ruvide imperfette,
mossa
da previsti seppure
incontrollati
terremoti:
ci
delineiamo paesaggi in movimento,
ci
traiamo in disparte,
(temporaneamente
mi discosto)
per
assumere la terza posizione.
5.
Cose
che non succederanno
ed
è chiaro che, ormai,
si
va avanti per ore, quando
il
tempo consigliato non è necessario.
Atti
in successione scorrono gratificanti
osserviamo
la sofferenza -contenuta-
depositarsi
in scie mutevoli di memoria
vetri
oscurati di credenze in disuso
(e
innumerevoli fiori ad appassire nei vasi)
non
sono contemplate le teste
o
altrettante indigestioni di fastidio.
Ma
tutti sono pronti a dire qualcosa.
(…)
Martina Campi nasce a Verona nel 1978. Vive a Bologna e lavora a
Milano. Alcuni suoi scritti (poesie e racconti brevi) sono presenti in rete, su
riviste e siti di scrittura, tra cui: «Pi greco», «Musicaos», e il catalogo di
Kermesse (con il primo Esperimento di scrittura visuale organizzato da Arpanet,
basato sulle opere d’arte finaliste al
Premio Italian Factory, in
esposizione a Kermesse 2004). È presente in Fragmenta
(ed. Smasher 2011) antologia di prosa e poesia altre antologie poetiche. Ha pubblicato la silloge poetica Definito dalla luce e la raccolta
autoprodotta di racconti e poesie Le
ombre lunghe. Co-fondatrice dei progetti di raccolta e autodiffusione di “cose
belle” Il Fibonacci (insieme a Sergio Bottoni) e Foglio d’aria: l’albero delle migrazioni (insieme a
Giampaolo De Pietro). Autrice e performer della formazione Tu che sei, insieme al compositore e musicista Mario Sboarina, del
progetto di musica e poesia: Mani e
qualcos’altro.
Giudizi
Giudizi
«Liriche di forte impatto caratterizzate da
un linguaggio diretto ma mai banale.» (Luca Ariano)
«Entro un dire ellittico si
snoda questa poesia inquieta, ad alto afflato lirico. Momenti catturati dal
quotidiano ruit hora, setacciati dal poiein per salvarvi il
salvabile, o meglio, quello che vi è più caro e prezioso.» (Alessandro Salvi)
Segnalati con
pubblicazione di estratti in questo blog
Marco Mastromauro con
Quattordici sonetti e altre inquietudini
... Eppure chi son io per
dirmi niente
per
distinguermi dal troppo avvilente
dal
tutto così tutto che m'ingorga
dalla
luce nascosta che non sgorga
Parte I
Filamenti
T'aggiri tra le
meraviglie, altrove,
lungo binari soltanto
apparenti
attratto da notturni
filamenti
di luce argentea che
qualcuno muove.
Le grida degli uccelli
sono nuove
ora che l'alba si mostra
altrimenti
dal ricordo di tremori innocenti,
soggiornano in lei da
ogni dove.
Il respiro non ceda al disincanto,
sommesso sottofondo del
silenzio
(vago, indecifrabile
mormorio).
Si liberi dai fumi
dell'assenzio
dai confusi ricordi, dal
rimpianto:
a lei ritorni dolce
folgorio.
Il suo braccio nel sonno
Il suo braccio nel sonno
s'abbandona
prima che al mattino
riprenda forza
quando ancora il buio non
si smorza
ma già nella stanza piano
risuona
di madre il cuore come
voce buona
mentre tenue rischiara
bruna scorza
del bambino che la notte
rinforza
e presto al giorno veglia
si dona
ché il sostare troppo non
s'addice
a chi da poco cresce con
diletto
stringe dita, sorride, si
compiace
cerca sui visi il suo
stesso affetto
e nulla sa del vuoto
d'Euridice
or che si ridesta e non
più soggiace.
La sera oscurando
La sera oscurando coltre
di neve
è memoria trafitta,
ombra, dardo,
spavento in me disciolto
che m'attardo
con un passo che si ferma
ma deve...
Così m'arresto, poi
m'affretto greve,
giungo malgrado perenne
ritardo
a soggiogare l'avvento
infingardo
sulla soglia dov'è il bacio breve
( ma accoglie, punge,
riluce il cuore
che non sperando tace l'insperato
contro nemico muto,
immaginario:
perchè comunque male non è
nato
e tenace cresce questo
calore
anche se poco, tenue,
solitario...)
Un grigio cielo
Un grigio cielo
il mondo ritrova
che dentro lo
sguardo scorre più lento
nascosto dal velo
dello sgomento
depone minaccioso
altre uova
come se la terra
fosse la prova
che non il sonno
ripara dal vento
e tra le coltri
anche c'è tormento
sicché al
risveglio gatta ci cova
e lascia graffi di
sangue indifeso
perchè non cede
neppure predice
l'immensa volta,
tersa, vuota, muta,
fulgida volta di
luce assoluta,
è al tuo
viavai lontana cornice,
una risposta che
non hai compreso.
Labbra di sale
Arsa da labbra
prorompe, di sale,
una voce
stralunata, dispersa,
oltre quest'onda
tumultuosa, inversa,
lascia un'ombra
che piano risale
che ti colpisce
come freddo strale,
quando si dibatte,
rabbiosa, persa,
dietro l'inganno
d'una maga avversa,
questa tempesta,
rovinoso male:
così, lontano, la
certezza spira,
tace speranza,
geme la fortuna
anche se gonfia
bianca vela nuova
e sottovoce un
canto rinnova
(malìa si sfila da
segreta cruna)
della sirena che
sempre t'attira.
MarcoMastromauro è nato nel 1957 a Verbania. Vive
a Novara, lavora a Vercelli. Ha pubblicato poesie sulla rivista «Alla
Bottega» e, dal 1995, ha collaborato al trimestrale di cultura e arte «Contro
Corrente». Alcune sue poesie sono state pubblicate – in quattro occasioni,
nella rubrica curata da Maurizio Cucchi – sullo «Specchio», settimanale
allegato, fino a quattro anni fa, al quotidiano «La Stampa». È autore delle
raccolte di poesie: Anime confinate
(Milano Libri 1992), Cuba (Ibiskos 1995),
Memorie da un pianeta (Contro
Corrente 1997), Eros, Trinidad e altre
poesie (Oppure 2000). Sue liriche sono presenti in alcune antologie.
Giudizio
Giudizio
«In questa raccolta c’è del “mestiere
poetico” e si vede che l’autore maneggia bene la forma senza però mai scadere
nel puro virtuosismo.» (Luca Ariano)
Puccio Chiesa con Postumi
Postumi
sulle
tempie
corone
senza gloria
per
imperi domestici
Postumi
come
ultimi
resti
di
pomeriggi estinti
INFINITO PRECIPITE
Lo
sento
quando
nel giorno che trema
la
folla mi allontana.
Tutto
si dissolve
nella
polvere lucente del sole nuovo
nella
stagione che chiama
nel
silenzio che cerca.
Tutto
si risolve
in
palpiti di nubi pesanti
nei
ritagli di vento che occupano le parole
nel
presente coinvolto nell’incanto.
Travolto
dal sangue del tramonto
nell’infinito
precipite inciampo
e
mi accorgo…
il
colore nuovo del mio tempo
mentre
guardo nella stanza non più mia
mi
accerto del passato estinto
e
nella polvere estranea
riconosco
quello
che
ero
OTTOBRE
In
frange sui vetri
l’estate
che c’era.
Davanti
a me questo tavolo
di
funghi velenosi
di
porci macellati.
Artigliano
intorno
ringhie
di cani
accesi
dal sangue.
La
lupa non mi riconosce
mi
morsica da lontano
ha
il veleno negli occhi.
Poi
dopo un cenno si avvicina
rimane
tiepida
nel
veleno del pelo
getta
a terra i battiti
che
la rabbia l’anima
e
si allontana.
Mi
punge un petalo estinto…
il
ricordo dei fratelli gracili
piange
nelle nebbie
che
stordiscono le sere
che
strozzano le notti.
LINEA 27/A
Fai
piano con la voce,
quando
dormo il pomeriggio.
Ho
fame di quella belva oscura
che
è in me,
quando
rido nella notte
la
sento ruggire
accesa
da scintille
di
ossa incandescenti.
Rinchiuso
in cantina
ascolto
le luci
che
gorgheggiano dai viali,
ricostruisco
me stesso
e
l’anima prende la sua forma,
confusa
da soli galleggianti.
Fai
piano con la voce,
quando
ascolto la rugiada
e
quel che resta di lei,
fai
piano con la voce
quando
bevo da solo al buio.
Adagio,
fai adagio quello che devi fare
e
quando nel grembo della notte
cinguetta
il mattino,
svegliami
per
andare a prendere le sigarette.
LO STATO DELLE COSE
Nella
tempera limpida
del
cielo di febbraio,
i
toni tenui
dei
treni fermi,
i
volti arresi
di
un tempo senza voce.
Accadeva
senza pioggia
la
voglia di nascondersi.
Lo
stato delle cose,
nella
plastica della luce,
non
ha nomi
da
ricordare,
solo
stagioni furiose
e
labbra morsicate.
Puccio Chiesa è nato a Crema nel 1976, ha
pubblicato le raccolte di poesia Vertigini
(Libroitaliano 1998) e Sopra le righe
(Maremmi Editori 2006), il romanzo poetico Sonnambuli (Il Foglio letterario 2009) e il racconto “Honda Dodò,
caffè e ammazzacaffè” (in Pubblica con
noi, Fara 2010). Nel 2003 fonda con Roberto Moroni la Semiolabile cinematografica, realizzando video che coniugano il
linguaggio poetico a quello delle arti visive e della cinematografia
sperimentale. Ha partecipato a diversi festival in Italia e all’estero. Ha
vinto l’edizione 2009 del concorso nazionale di videopoesia “La parola
immaginata” con l’opera tempo sepolto. Tutte le videopoesie sono catalogate e visibili
presso il centro di documentazione per le arti visive Careof di Milano. Sito web: www.myspace.com/semiolabilecinematografic
Giudizi
Giudizi
«Poesia carnale, vitale con immagini dense e
folgoranti.» (Luca Ariano)
«Postumi mostra,
soprattutto nella sequenza dei Notturni,
un filo conduttore che appaga il bisogno lirico di chi legge.» (RiccardoBurgazzi)
Giulio Maffii con Agli zigomi delle finestre
Se non ami me ama quello che scrivo e amami per quello che scrivo
(S. Plath)
Di tutto quanto
ecco lo sfrigolio dell’acqua
mi domando rispondendo
ecco la polvere accumulata
l’utilità del passo occasionale
ecco il tavolo di cucina
Di tutto quanto
ecco il cane per le scale
capiranno gli esistenti
ecco il gatto ladro
l’uscita dalla porta?
Mi ha doppiato il senso
di una vita corta
*
ecco lo sfrigolio dell’acqua
mi domando rispondendo
ecco la polvere accumulata
l’utilità del passo occasionale
ecco il tavolo di cucina
Di tutto quanto
ecco il cane per le scale
capiranno gli esistenti
ecco il gatto ladro
l’uscita dalla porta?
Mi ha doppiato il senso
di una vita corta
*
Il tuo vero amore
lo ricordo
analfabeta dal sapore
d’aringa
mistero delle mani
che sconfiggono il pensiero
Dov’ero?
a fare spazio
a pagare dazio
avendo il dono dell’attesa
Si paga si paga
si paga sempre tutto
alla bellezza
agli imbonitori
ai prestatori d’ascolto
C’è un corpo
d’interesse abbiamo un corpo
spesso niente più
lo ricordo
analfabeta dal sapore
d’aringa
mistero delle mani
che sconfiggono il pensiero
Dov’ero?
a fare spazio
a pagare dazio
avendo il dono dell’attesa
Si paga si paga
si paga sempre tutto
alla bellezza
agli imbonitori
ai prestatori d’ascolto
C’è un corpo
d’interesse abbiamo un corpo
spesso niente più
*
Volesti conoscere il principio
c’era una croce ad aspettarti
da portare dentro
da gettare addosso
ad ogni uomo discretamente perso
Sono strappi d’equilibrio
quelli di una visita nascosta
e non basta far tacere un tuo sussulto
e già mi vedi come ombra
accasata nelle pieghe dentro al muro
tu senti nella calce la mia voce
si duplica e riparte
cerca di schiodare la tua croce
c’era una croce ad aspettarti
da portare dentro
da gettare addosso
ad ogni uomo discretamente perso
Sono strappi d’equilibrio
quelli di una visita nascosta
e non basta far tacere un tuo sussulto
e già mi vedi come ombra
accasata nelle pieghe dentro al muro
tu senti nella calce la mia voce
si duplica e riparte
cerca di schiodare la tua croce
*
In fondo hanno lo stesso nome
la stessa utilità della menzogna
che potrei avere io
la tua falcata taglia l’aria all’aria
quando il tempo si deforma
e cambia strada
la stessa utilità della menzogna
che potrei avere io
la tua falcata taglia l’aria all’aria
quando il tempo si deforma
e cambia strada
*
di essere prima davanti
agli altri con l’impazienza
di un’adolescente schivando l’amore
a chiazze in percorsi orizzontali
senza il guizzo della virata
Adesso che non ci sono
ma persevero parallelo
non riconosci il possesso che ti manca
che invadersi i corpi
fa parte del respiro quotidiano
Ancora non capisci
la moneta dello scambio
l’aggettivo e l’avverbio
quello eravamo
confusi nello stesso suono
ed io sono sceso
tardi dal ripiano
Giulio Maffii è autore si occupa
di critica letteraria e dirige la collana di poesia contemporanea e plaquette
per le Edizioni Il Foglio di Piombino. Tiene un laboratorio di poesia per
ragazzi. Collabora con varie testate letterarie e svolge opera di traduzione
poetica. È uno degli organizzatori italiani del festival mondiale “Palabra en
el mundo”. Ha all’attivo varie pubblicazioni tra cui
Equinozio di girasoli (2009) e L’umiltà del poco” (2010). Nel
2011 ha vinto il premio Sandro Penna per l’inedito. Suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo, inglese e romeno.
Giudizi
Giudizi
«Agli zigomi delle finestre
è apprezzabile nel suo offrire al lettore un cammino che può percorrere quasi sostituendosi
all’io lirico.» (Riccardo Burgazzi)
«Una
voce particolare, in cui non manca qualche rado sprazzo di genialità capace di
farla emergere tra le altre.» (Federica Volpe).
Piero
Saguatti con Brevi
rilievi
FRAGILI ELEMENTI NATURALI
La luce, il fiato, il fuoco
CAPITA
Capita di non riuscire
NOIA VAGABONDA
Non si misura la noia
è fatta di schiuma soffice
PANORAMI VERTIGINOSI
Affinità mattutine
Affinità mattutine
nel tenero languore
l’acerbo
affumicarsi delle valli
rotonde
e ben distese
i bei respiri
aperti
in alta quota
le maestose vette
che aguzze
sulle cime
vado associando
alle anse
prorompenti
dei tuoi seni
in identica
e vertiginosa
natura
dominante.
FRAGILI ELEMENTI NATURALI
La luce, il fiato, il fuoco
lo stesso equilibrio
breve verticale
sfidano l’estinguersi
improvviso
nel suo sinistro
incombere silente
temono lo schiocco secco
con cui anche il vento
che traspare
spezza le dure fibre al
tronco principale.
CAPITA
Capita di non riuscire
a dividere i passi dalle
ombre
a distinguere le voci
tra i tanti suoni
sovrapposti
fra le sponde
capita di non riuscire
a separare la libertà
discreta
dalla somma martellante
degli eventi.
NOIA VAGABONDA
Non si misura la noia
è fatta di schiuma soffice
grigia e vagabonda
monta dentro poi si
sgonfia
impossessa, abbandona
poi ritorna
si nasconde
tra le mille espressioni
bugiarde
del
mio viso.
VOLO INCERTO
Dell’aereo
che si tuffa poi riemerge tra le nuvole scomposte
Dell’aereo
che si tuffa poi riemerge tra le nuvole scomposte
il suo singhiozzo
soffocato
appartiene al cielo
quaggiù si colgono
similitudini e paure
che legano quel volo
incerto
al nostro affanno
si percepisce solo la
traccia distante in rettifilo
poi la breve scia
nervosa
prima di svanire.
Piero Saguatti nasce a Bologna il 2 agosto 1963. Scrive sulla rivista «Parole» curata dal Laboratorio dell’omonimo
Circolo ove hanno insegnato autorevoli poeti come Lauretano e Rondoni. Ha
pubblicato un articolo sul quotidiano «La
Voce di Romagna» . Antologie: Briciole di senso (Montedit), Laboratorio di parole (Pendragon).
È incluso nell’Antologia-Censimento dei poeti bolognesi (Giraldi 2006). Menzione di merito al concorso “L’acqua” (ed. Farnedi). Finalista al
premio “Gens Vibia” di Marciano.
Nel 2007 ha avuto l’onore del commento di M. Cucchi a una sua poesia in “Scuola di poesia” su «La Stampa». Nel
2010 Premio “creatività” al concorso “Idea
Donna” e 3° classificato a “il Cono d’ombra” (VC). Nel 2011 è 1° al concorso “La Lettera
Matta” indetto dalla Culture Sommerse con la silloge: Senso, consenso
e dissenso.
Giudizio
Giudizio
«Apprezzo questa scrittura
energica, che denota un’asciuttezza nel plasmare la
materia verbale. Un verseggiare pregno di tensione gnomica, dove il poeta
scommette sulle possibilità offerte dal linguaggio. Un occhio/orecchio vigile,
quello del poeta, che sa di invettiva in alcuni punti (di teste vuote
sepolte nella sabbia / ne abbiamo tante al mondo / da confonderle a quelle
degli struzzi), in altri di amara sentenza (aggiungo questi silenzi
austeri / conficcati a livello zero della terra / rotti dall’incerto turbinio
dei miei ruvidi rovelli).» (Alessandro Salvi)
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