lunedì 27 febbraio 2012

Alle radici del tramonto

leggendo le Poesie Ritrovate di Antonio D’Alessio

di Emilia Dente

È una esperienza meravigliosa il canto roco e dolce di Antonio.
È l’inabissarsi profondo nel Sé personale e nel Sé collettivo dell’essere che, ancorato al sogno dell’orizzonte, tenta faticosamente di alzarsi in volo.

Nelle spigolose pieghe dei versi fluidi si riflette il Poeta e nel prisma ombrato delle parole si delinea la sagoma del “Guerriero / (che) è sempre pronto a combattere / Questa guerra quotidiana”, fermamente consapevole che “si muore senz’anima /… / nello spirito di chi / non inizia a combattere/ con sé…” Antonio questa guerra interiore non esita ad affrontarla e, pur non negando mai il timore, l’amarezza e la fatica del cammino, assetato di verità, attraversa sé stesso, in uno sforzo introspettivo che lo induce a scavare, scrutare, osservare, leggere, comprendere, esternare sul retro di una pagina sgualcita le proprie emozioni e infine disvelare le radici dell’essere per poter gemmare novellamente nei vicoli della scrittura poetica. Luminoso ed evanescente un verso sostiene sottilmente la trama di questa seconda raccolta poetica, un sussurro lirico che diviene principio e termine ultimo dell’esistenza autentica e dell’autentico cammino “… sei lì che reclami la mia assenza: / dove credi che sia; / nel concepimento della mia presenza”… il concepimento della presenza… folgorante ed immensa l’architettura concettuale e semantica del pensiero, potentemente audace il respiro infinito che racchiude, ancestrale bisogno di vita e conoscenza dell’essere a cui non basta “essere creato”, ma che anela a “crearsi”, a generare il Sé misterioso che si agita nella carne e nella mente, l’Io oscuro e vero che smania nelle strette vesti che forzatamente indossa – “non aspetto altro che svestirmi…” rivelava il Poeta all’inizio del cammino lirico… –  nella “consapevolezza dell’incompletezza”, nel disincanto e nella incongruenza dei “pezzi di pasol / che non hanno incastri / perché non sono sempre gli stessi”, Antonio combatte la sua guerra interiore, la lotta che, per lui “s’evolve da una vita” e segna, nelle righe di un foglio riflesso, le linee tortuose che si aggrovigliano intorno all’esistenza.
Ha il volto della Verità, la poesia di Antonio, e nel coraggio degli occhi azzurro-mare sempre limpidi e sempre aperti affondano le radici del tramonto dove la speranza di continuità è un pasto quotidiano e il Poeta, con i pugni stretti, scrive la Vita.

con affetto, nel giorno del tuo compleanno

Emilia



Valecchi a Vicchio

articolo di Jacopo Ninni  su «Il Galletto» del 18/02/2012

scheda del libro qui
notizia evento qui
kairos

Il Dante di Sannelli colpisce a Mantova!

articolo di Corrado Giamboni pubblicato sulla Gazzetta di Mantova del 26-2-12

ringraziamo di cuore Corrado per aver reso possibile l'incontro e anche per le belle foto più sotto

 scheda della Comedìa












venerdì 24 febbraio 2012

Foto Poesia a teatro 22-2-12

alcune foto della serata In ricordo di Andrea Zanzotto nell'ambito del ciclo Il profumo della pagina poetica a cura di Franco Pollini, Foyer del Teatro Bonci, Cesena 19-24 febbraio 2012
da sx Ardea Montebelli, Stefano Bianchi, Caterina Camporesi


Andrea Parato


Poesia e crisi a Trapani 11 marzo


Su Piano di Alberto Mori

recensione di Marcelllo Tosi

v. scheda del libro

Discorso compiuto dis-correndo nello spazio della pagina, sullo spazio, a cui si aggiunge una nuova dimensione verticale e orizzontale, quella della poesia quadro-dimensionale di Mori, che “ad intersezione del raggio, spazia carne prensiva appianante”, diventa proseguimento dimensionale nel tempo.
Uno spaziare che è costruzione della superficie, disporre tessere infermate, tracciare losanghe che si perdono sul pavimento, nuovi “paesaggi poetici”, che appaiono quasi ghirriani nell’intersecarsi delle linee optometriche ordinate “a disporre sollievo terreste alle tangenziali”. Segni impressi sulla tavola / lastra, “al punto sovrastante / conosciuto nel tratto / soltanto nell’ottica del perdimento”. L’infinita motezza di un movimento oscillatorio, come un pendolo “lavoro al tempo / ricompone saggezza deposta”.
Discorso sulla voce, sentita non più come l’eco della manzoniana discesa di una provvidenza che “atterra e suscita” (come nel “rovesciamento miracolo”, evocato dall’autore, del San Marco del Tintoretto), ma vive come ciò che “atterra e scorre / impronunciato / aderito al vocale radente”. Non sono più le montaliane cose oscure, ma “la chiarità dell’ora intaglia l’ombra fresca” a divenire condizione plasmatica esistenziale, concentrato d’inerzia, fluorescenza dissolta dalle parentesi accese”. Il verso si estroflette ed esula, si muove come “parola d’animazione… nel territorio comprensivo della lettura”.
Una diversa allargata dimensione spaziale, ipermondriana, in cui il quadrato desitua, l’angolo diviene “dicitore rotorio”, secondo un nuovo schema visivo composto e composito, e l’iperbole che si lancia, la litote asciugata, sono ombra del timbro sonoro. Una trazione visiva che scandisce “alternanze / video triangoli nel default del vuoto”, che da “afocus immette nella visione”, sgranata in pixel molecolari.
Nuovi frames, divenute una “Vertigo” hitchcockiana, che “ascolta spirale” di versi, che si muove cine come un lungo o breve piano sequenza, secondo richiamo del fotogramma “mentre nasce immagine frontale”. Nel fine ralenty, in “still frames orografi”, l’asincrono delle scene può essere ricomposto soltanto nelle stasi cromatiche del diagramma, “nelle fotocamere dei visitatori”.
“Flap bianco”, il piano rimane per essenza / riequilibra riflessi affilati dai suoni”. Quindi è discorso sul silenzio, pausato, spaziato, voluto, dilatato, come in Cage, grazie al suo piano “molto preparato”, anzi ad un neoverbigerante “IperCageSystem / nelle Chiavi & Martelletti”, ovvero ad un’orchestra che produce parole, come uno spettro estensivo e poi modulato, sequenza che cresce e scivola, ora mormorio vivo, segno cresciuto sul bordo “poi mutacico / off / spento / ma ancora… articolato al labbro”.

mercoledì 22 febbraio 2012

Su La forza degli schiavi di William Stabile

di Vincenzo D'Alessio

I giorni che viviamo, in apertura di questi primi dodici anni del Ventunesimo secolo, sono carichi di una tensione tragica, sfibrante. L’umanità è sottoposta alla pressione dei mercati, degli speculatori, del Dio Denaro. Una ferocia che fa rabbrividire anche coloro che sono preparati alle rivoluzioni del postmoderno, delle catastrofi recessive. Sembra proprio il preludio di una Guerra Mondiale, come se non bastassero quelle già in atto e le repressioni contro le minoranze etniche. Quasi a dare ragione ai ricorsi storici annunciati dal grande G.Vico.

In questi rigurgiti di sofferenza si solleva un Inno alla Vita.

È raccolto in un poema, appena apparso sul sito di Farapoesia, che si svela nel titolo:” La forza degli schiavi”, scritto dal giovane poeta Guglielmo (William) Stabile. Mi ritorna alla mente, per assonanza, nel titolo La forza degli occhi, dell’altro poeta, meridiano, Alfonso Gatto. Entrambi hanno vissuto a Salerno per diversi anni ed entrambi hanno viaggiato tantissimo.

Il poema, prende in prestito l’immagine del medico e ricercatore D. Livingstone, della corsa intrapresa in quegli anni, a metà dell’Ottocento, alle grandi imprese per arricchire la conoscenza umana di nuovi traguardi, come la scoperta delle sorgenti del fiume Nilo. Ma il grande ricercatore si ritrovò tra quelle tribù africane che vivevano in semplicità, e sofferenze, immerse nell’imponente paesaggio naturale. Il medico prevalse sullo scienziato, di fronte all’immediata sofferenza umana. Lo stesso ha fatto William Stabile: partito con il bagaglio dello scienziato in economia, si è ritrovato nelle terre dell’America del Sud a contatto diretto con le sofferenze umane.

Non parlo soltanto dei bisogni corporali: la fame si può battere. Ma le sofferenze, senza una dovuta assistenza medica non possono essere debellate, specialmente nei più poveri. Il viaggiatore ha raggiunto, e l’aveva preannunciato nella raccolta di esordio Contrappunti e tre poesie creole (Fara 2006), la spiaggia dove il Tempo avrebbe offerto un primo approdo alla navicella della sua sete di conoscenza, avvicinandolo maggiormente ai versi del poeta uruguaiano Mario Benedetti.

“Le risorse Umane” hanno preso corpo e anima in questo poema profondamente religioso; profondamente umano, troppo umano come scriveva Nietzsche, e come riportano i versi a conclusione, momentanea, del Poema: “sono io sei tu / Signore / piccolo piccolo piccolo / umano troppo umano “. La rivelazione è giunta, come per l’eretico San Paolo sulla strada per Damasco; per William lungo la difficile strada dell’impegno operativo in favore delle popolazioni dell’America Latina: un progetto abbracciato, con entusiasmo, senza esperienze precedenti.

“Finalmente ho capito”, scrive il Nostro nella prima parte, dove si passa dall’osservazione alla partecipazione integrata di fronte a “ l’umana sofferenza / dentro le disgraziate / capanne negre / che orrore! Stanley / che orrore! / tutto era profonda / tenebra”. L’uomo che vive nella falsa tranquillità dell’Occidente non conosce realmente i bisogni delle altre nazioni, dove il malessere sociale è la prepotenza dei ricchi di fronte ai più poveri, alle bidonville, alle favelas, ai trafficanti di morte. Il poeta innalza il suo canto al di sopra delle ideologie occidentali, della “sinistra che cambia il mondo”. Non c’è né destra né sinistra politica che cambi la società, c’è una sola strada che cambia tutto: l’Amore per noi stessi e i nostri simili.

La forza distruttiva dell’odio “largo / quanto un lago / del continente nero” è stata raggiunta dalla scelta di farsi da parte, volontaria o involontaria che sia, per lasciare parlare Dio: “mi feci solo da parte / e lasciai che l’alfabeto / s’incagliasse sul fondo / mio di fango”. Il viaggio, iniziato dai contrappunti della ricerca, nella prima raccolta, vede la piccola imbarcazione dell’anima incagliarsi nella limitatezza umana, di fronte all’insondabile, all’immenso non conosciuto, e l’anafora riprende nella forza del vocativo l’essenza della richiesta: “oh mio Signore / tu sei tan grande / grazie”. Quasi a ripetere le laude che negli anni difficili del Medioevo percorrevano l’Italia.

La parola, il verso, sospende l’arsura del viaggio, apre l’universo dell’ascolto, folgora la ricerca, anche solo per un momento: “ma il mondo eri tu / e la mia casa / e nell’economia / dei sensi ritrovai / la rotta del dolore / che cessava”. Non è casuale che subito dopo questi versi si riveli la storia umana del poeta; il percorso intrapreso dopo gli studi per un lavoro che gli assegnasse un futuro, un “orticello” da coltivare nella tranquilla economia dell’Occidente: “ero ricercatore urbano / & africano / non impiegato / del verso capitale”. Questa difficile condizione non dissetava l’anima del poeta che “nei sentieri cercavo / una sintassi di parole / (…) / nella favela dell’anima / nella dissenteria spirituale / nei posti dove destrutturavi / la mia emarginazione”.

Tutto quello che umanamente conta per i giovani, e meno giovani, dell’Occidente si impoverisce negli occhi di chi veramente cerca una strada d’incontro, una emergenza per liberare le sue forze migliori: “tutto contiene l’uomo / l’oro ed il fango”. C’è chi continua a cercare nel fango la propria grandezza e chi, invece, apre gli occhi sulla bellezza dell’oro offerto nel sacrificio verso gli “schiavi” del mondo cosiddetto civile.

La seconda parte del Poema, si apre con la citazione dal Poema dell’Odissea, dove Nettuno indirizza al naufrago Ulisse la frase: “l’uomo senza dei è nulla”. William Stabile cerca la sua Itaca, la rotta verso casa. Lo fa purificando il suo linguaggio alla fonte Castalia della mitologia greca, riportando in vita i versi del giovane poeta scomparso a trentadue anni: “nulla mi ostacola se / non una figura convessa / che mi somiglia”(Antonio D’Alessio, Poesie ritrovate, Edizioni Guarini 2011). Partire! Finalmente il viaggio ricomincia questa volta con gli occhi purificati dal contatto con la divinità: “emergono / versi e parole che aggrumano / presso lo scoglio la roccia / dove son significato / d’amore”. L’Amore per l’uomo ha raggiunto il suo risultato. Non più cieca fiducia nell’uomo e in quella che è la sua economia. Fiducia, invece, nell’incerto viaggio della Speranza Universale dove: “salpare partire / all’arrembaggio / sbarcare / alla prossima spiaggia / e continuare a nutrirsi / di felicità e disperazione / questo lasciarsi cadere / questo non resistere / questo essere sconfitti / e rinascere incessante”.

La grande lezione del Novecento prende un nuovo corpo, accetta il bilinguismo. L’inglese pervade inizio e fine del racconto poetico. Volutamente le metafore indicano stati d’animo e fenomeni naturali. Volutamente la velocità del pensiero si immerge in un verso breve, asindetico. Le voci marinare, anche degli oggetti, rende profondamente l’idea del viaggio e delle sue insidie su un mare inquieto. Più di ogni altra cosa c’è la passione per la parola, per i codici formali del linguaggio, per la contaminazione con le nuove sorgenti poetiche: “questo continuo ripetersi / dell’onda sulla riva / questo parlare orale / (…) questo linguaggio / primordiale / secco acuto minerale”.

Stupenda lezione della nuova poesia che mira all’essenziale, al nevralgico, al tempestivo, senza negare la lezione dell’Ermetismo e delle correnti poetiche che sono seguite. Innestando una parola poetica nuova “minerale”, che costruisce e demolisce il versificare, alla ricerca di una purezza primitiva, sostanziale, frugale. Questa è la poetica di W. Stabile, che oggi emerge nel suo Poema d’oltreoceano, musicale più avanti del contrappunto iniziale. Incarnando la voce dell’uomo Ungaretti, nella similitudine della poesia I fiumi; così il Nostro scrive: “scrivere un pentagramma / di senso / ed il corpo totalmente / avvolto immerso / in un panno d’acqua / quest’acqua tagliata / come lamina di metallo / che brucia la pelle”.

Veramente questi versi sono la voce dello schiavo che viene liberato / si libera dalle catene che l’hanno tenuto nell’oscurità della prigione voluta dagli uomini. Questo poema assurge a voce di tutti gli schiavi liberati. Una costante rivoluzione d’Amore per il genere umano. Un viaggio interminabile dove il testimone, attraverso la Poesia, continua di mano in mano a illuminare la notte della Storia.

lunedì 20 febbraio 2012

La forza degli schiavi: e lasciai che l’alfabeto / s’incagliasse / sul fondo mio di fango

di William Stabile

in te ipso redi, in interiore homine habitat veritas
(Sant’Agostino, Le Confessioni) 
real character doesn’t happen overnight.  
nor are hidden depths immediately obvious.  
but given time they emerge.  
(Abbot Ale)

Dr. Livingstone, I suppose!

well
yes I am
caro Stanley

io avevo
una fissazione
per l’uomo e
mentre ti aspettavo
ho letto la bibbia 4 volte
e mentre leggevo
e leggevo
amavo osservare sulle rive
l’umana sofferenza
dentro le disgraziate
capanne negre

che orrore! Stanley
che orrore!
tutto era profonda
tenebra

finalmente
ho capito

non c’è niente di nuovo
– per l’uomo -
sul fronte occidentale
le ragioni della polvere
consumano sempre nelle cose
è tutto sotto il cielo - e sopra
   nulla
solo l’amore cambia

la vita è sempre
un dono
e non va mai
sfidata
come ho fatto io
Stanley

oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie

ero un parto scagliato
verso un mondo
in un arco una freccia
a cercare una traccia
prima che tu ci fossi
eravamo già tu ed io
insieme - Signore
e tu senza saperlo
eri già tutto in me
presente in me
dentro di me
ed io attratto
mi allontanavo da te
e costruivo per me
un’architettura di dolori
e tu costruivi per me
opere e missioni
la mia speranza
che gradualmente
diventava parola
con architravi forti
di essenza

ponevo fragili
colonne di pensieri
e così per mia gioia
ripagavo te in una vita
para bellum
mordendo
un odio largo
quanto un lago
del continente nero


io intesi ingenuo
che utilizzando la sinistra
avrei cambiato il mondo
ma tu - Signore -
cambiasti me
mi indicasti la rotta
da funambolo su soglie
di luce e segni
e segnali che scegliesti
tu od io?
e venivi a me con le tue idee
- le mie -
a partorire immagini
dal profondo
ed ora tutto intorno
il mondo tuo
mi parla
la lucertola sul caldo asfalto
la bouganvilla sul muro
bianco di calce
emettono un senso
di estremo linguaggio
lo sniffare del cane
emaciato africano
sull’uscio della capanna
l'anello di comprensione
finora mancante

oh mio Signore
tu sei così grande
grazie

mi dicesti
when you’re ready
you’ll find it

cosí ho attraversato il mondo
e spesso in questo mondo
mi son perso -Signore
cercando cercando
ma il mondo eri tu
e la mia casa
e nell’economia
dei sensi ritrovai
la rotta del dolore
che cessava
non era compito mio
cambiarmi
mi feci solo da parte
e lasciai che l’alfabeto
s’incagliasse sul fondo
mio di fango


oh mio Signore
tu sei così grande
grazie


a quei tempi vivevamo
in Gloucester road
col sole dritto in faccia
tutto era ordine e lustro
in UK ognuno curava
il suo orticello
ed io non potevo
stare fisso
alla forca delle 7
non volli cedere
alla sconfitta pendolare
della cella del sudoku
ero ricercatore urbano
& africano
non impiegato
del verso capitale

camminavo per le strade
ma stavo
già viaggiando
osservavo le persone
la domenica nei bar
ben vestiti passeggiare
e sapevo tutto ciò
non mi apparteneva
le case ben arredate
ed ordinate degli amici
in cui non potevo essere
partecipe
- se non a metà –

*

più che produrre reddito
piacere mio era
produrre idee
e solcare la traccia
per nuovi cammini
e cosí decisi:
non attraversai più il viola
del parco della vittoria
monopoli del mondo
nei sentieri cercavo
una sintassi di parole
nei luoghi fluidi
mi compivo
esistevo
nella favela dell’anima
nella dissenteria spirituale
nei posti dove destrutturavi
la mia marginazione


oh mio Signore
tu sei così grande
grazie

e mi indicavi come
imparare ad essere niente
ed intanto apprendevo
a nutrire la mia calma
e tu venivi a me
a salvarmi dalla mens sana
in corporate sano -Signore-
quando anche dei libri e
della poesia e delle caviglie
di fango sporche
era oramai
l’estremo ennui

la voglia irrefrenabile
di sovvertire l’ordine
a me che neanche
la BBC radio di notte
al buio della stanza
mi acquietava
io che salendo in auto
salutavo tassisti
prima di pagare
la tariffa
credevo nell’uomo
ancora cosciente che
detengono il potere
a questo mondo
i poster delle ragazze
nude nelle officine
ed il pianto dei bimbi
nelle tue messe

null’altro Signore

ed era nulla die sine linea

cosí sull’orlo
di questo letto
inizierò il mio verso
il più delle volte
ci si nutre di piccole cose
che poi si sommano a fiumi
parole affluenti
ed arriva il tuo verso
oh Signore
ad estuario o a delta
preciso o confuso
in tempesta sull’acqua
parola
ciò non importa

oh mio Signore
tu sei così grande
grazie

non importa dove scorra
l’alveo
- se rompa gli argini
la traccia -
è solo prendere la
faretra in mano e
scagliare frecce al cielo
che conta - Signore

oh mio Signore
tu sei così grande
grazie

tutto contiene l’uomo
l’oro ed il fango
l’unico dono è
dopo tutto
la forza degli schiavi
di ascoltare
la forza degli schiavi
di rialzare la testa
la forza degli schiavi
di guardare in volto
la bellezza e
solo degli schiavi
di aprire sempre le braccia
………………………….
e sempre
al prossimo
che ti si para
davanti

oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie


perché tutto è
come deve essere
porterò ancora
alta nel vento
la bandiera bianca
della nostra rivoluzione



Ulisse
l’uomo senza dèi è nulla  
(Nettuno a Ulisse naufrago)

vento caldo tra i rami
dell’uliveto sull’isola
Itaca
cipressi annuiscono al vento
e ai pentagrammi
dei cancelli cani
ululano alla luna
vento a pelo d’acqua
che sale sui declivi e
ti viene a cercare
tra gli orti
passeggiando
tra gli orti
tra muri a secco chiusi
di pietra sull’isola
vedo l’uomo
svoltare l’angolo
chi è?

forse Nessuno?
Il cammino mi chiamava
.................................

nulla mi ostacola se
non una figura convessa
che mi somiglia


partii…

fu il turbinio del vento
mi resi conto
mi dettero in dote
Castalia la lingua
si disciolse in tasselli
di sale di sole di sabbia
che costituiva la pelle
la prua penna
dello scafo incideva
nell’onda del mare
piccole linee
onde di questo grande
quaderno la vita
il mare così incerto
scrive il mio verso
qual è il senso dell’onda ?
forse le penelope palpebre
chiudersi?
mentre a pelo d’acqua
emergono
versi e parole che aggrumano
presso lo scoglio la roccia
dove son significato
d’amore

*

questo continuo
controllare gli stralli
le cime e armare
le navi salpare partire
all’arrembaggio
sbarcare
alla prossima spiaggia
e continuare a nutrirsi
di felicità e disperazione
questo lasciarsi cadere
questo non resistere
questo essere sconfitti
e rinascere incessante
come il mare
forte universale
animale
come il mare la marea
- eterno fracasso dell’onda -
sulla spiaggia
sempre sempre sempre

*

questo continuo ripetersi
dell’onda sulla riva
questo parlare orale
dell’onda del mare
del mare orale
della bocca dell’onda
questo linguaggio
primordiale
secco acuto minerale
del mare orale
e alla deriva questo
poter ancora alzare
gli occhi al cielo
e gridare:
cosa vuoi da me?
non mi è rimasto nulla
nulla
solo la vita… la mia vita
che cosa devo capire ?
cosa ?
voglio che tu capisca
che l’uomo senza
dèi è nulla
nulla

*

e poter ancora apprezzare
fresche sul volto la fronte
le note della pioggia cadere
scrivere un pentagramma
di senso
ed il corpo totalmente
avvolto immerso
in un panno d’acqua
questa acqua tagliata
come lamina di metallo
che brucia la pelle
e questo dire ancora

sì sì sì

ed ancora si
mentre affondiamo
affoghiamo

sì sì sì

sono io sei tu
Signore

piccolo piccolo piccolo
umano troppo umano


CONTINUA…

Su Mandate a dire all’imperatore di Pierluigi Cappello


Crocetti Editore, Milano 2010, pp. 85, Euro 13,00

recensione di Antonietta Gnerre

PierluigiCappello è nato a Gemona del Friuli (UD) nel 1967; vive a Tricesimo (UD). Ha diretto la collana di poesia “La barca di Babele”, edita a Meduno e fondata da un gruppo di poeti friulani nel 1999. Ha pubblicato i seguenti libri: Le nebbie (1994), La misura dell’erba (1998), Amôrs (1999), Dentro Gerico (2002). Con Dittico (Liboà, Dogliani 2004) ha vinto il premio Montale Europa di poesia. Assetto di volo (Crocetti, Milano 2006) è stato vincitore dei premi Pisa (2006) e Bagutta Opera Prima (2007). Nel 2008 ha pubblicato la sua prima raccolta di prose e interventi intitolata Il dio del mare (Lineadaria, Biella 2008). Nel maggio 2010 pubblica Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, Milano 2010), col quale ha vinto il premio Viareggio-Repaci.

L’arte in versi di Pierluigi Cappello è un misuratore di temperatura che si riscalda tutti i giorni perché i ricordi immensi si sono uniti a quelli personali con proteiforme parole fatte vibrare in maniera intensa. Nella raccolta Mandate a dire all’imperatore – postfazione a cura di Eraldo Affinati – lo stile si proporziona in versi estesi, distanziati da accordi che scrutano tra muscovite e materia. L’autore immerge la propria ricerca linguistica in Pasolini e Caproni con richiami sottesi alla poesia di Turoldo e Zanzotto. Una scrittura realistica e spirituale che muove l’osservazione del lettore verso il confronto tra realtà sognata e trascorsa, ma anche tra l’idea e i cicli del tempo che divorano l’essere umano: “Così come oggi tanti stagioni fa / mandate a dire all’imperatore / che tutti i pozzi si sono seccati / e brilla il sasso lasciato dall’acqua / orientate le vostre prore dentro l’arsura / perché qui c’è da camminare nel buio della parola”. La poesia di Pierluigi è un atto di amore altissimo verso il mondo. Un segno grafico e indelebile per riscrivere la realtà della vita.



Piove

Piove, e se piovesse per sempre
sarebbe questa tua carezza lunga
che si ferma sul petto, le tempie;
eccoci, luccicante sorella,
nel cerchio del tempo buono, nell'ora
indovinata
stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,
uno stare senza dimora
che ci fa intangibili, sottili come un sentiero
di matita
da me a te né dopo né dove, amore,
nello scorrere
quando mi dici guardami bene, guarda:
l'albero è capovolto, la radice è nell'aria.



Ombre

Sono nato al di qua di questi fogli
lungo un fiume, porto nelle narici
il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio
di quando nevica, la memoria lunga
di chi ha poco da raccontare.
Il nord e l'est, le pietre rotte dall'inverno
l'ombra delle nuvole sul fondo della valle
sono i miei punti cardinali;
non conosco la prospettiva senza dimensione del mare
e non era l'Italia del settanta Chiusaforte
ma una bolla, minuti raddensati in secoli
nei gesti di uno stare fermi nel mondo
cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste
di ceppi che erano state un'eco di tempo in tempo rincorsa
di falda in falda, dentro il buio. E il gatto che si stende
in questi posti, sulle lamiere di zinco, alle prime luci
di novembre, raccoglie l'aria di tutte le albe del mondo;
come i semi dei fiori, portati, come una nevicata leggera
ho sognato di raggiungere i miei morti
dove sono le cose che non vedo quando si vedono
Amerigo devoto a Gina che cantava a voce alta
alla messa di Natale, il tabacco comprato da Alfredo
e Rino che sapeva di stallatico, uomini, donne
scampati al tiro della storia
quando i nostri aliti di bambini scaldavano l'inverno
e di là dalle montagne azzurrine, di là dai muri
oltre gli sguardi delle guardie confinarie
un odore di cipolle e di industria pesante premeva,
la parte di un'Europa tenuta insieme
da chiodi ritorti e bulloni, martelli e chiavi inglesi.
Il futuro non è più quello di una volta, è stato scritto
da una mano anonima, geniale
su di un muro graffito alla periferia di Udine,
il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate
nello scorrere dei volti chiamati, aggiungo io.
E qui, mentre intere città si muovono
sulle piste ramate degli hardware
e il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato,
mio padre torna per sempre nella sua cerata verde
bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere
come fosse eternamente schiuso.
Se siamo ancora cosa siamo stati,
io sono lo stare di quell'uomo bagnato dalla pioggia,
che portava in casa un odore di traversine e ghisa
e, qualche volta, la gola di Chiusaforte allagata dall'ombra
si raduna nei miei occhi da occidente a oriente, piano piano
a misura del passo del tramonto, bianco;
e anche se le voci del mondo si appuntiscono
e qualcosa divide l'ombra dall'ombra
meno solo mi pare di andare, premendo un piede
dopo l'altro, secondo la formula del luogo,
dal basso all'alto, seguendo una salita.



Una rosa

Che cos'è quella rosa sul tavolo
ferma nella sua freschezza come un lago alpino
alta nel suo silenzio più del fragore
dei quotidiani affastellati lì accanto
più del disordine dei notiziari,
la concitazione delle chiavi di casa.
Che cos'è questa parola verdeggiante d'amore
se non il suolo dove lasciarsi cadere
la penombra di un bosco da attraversare
e la mano che si apre e prende la mia
e mi conduce a me.

sabato 18 febbraio 2012

Premio “Lorenzo Cresti” sc. 31 maggio 2012


L’Associazione culturale La montagna incantata
con il patrocinio del Comune di Firenze


indice il

Premio letterario di poesia in memoria di Lorenzo Cresti
Seconda Edizione
scadenza 31 maggio 2012

Il concorso, dedicato e ispirato alla persona di Lorenzo Cresti, si articola in tre sezioni:

Sezione A: Poesia a tema libero per opere inedite (studenti della scuola secondaria di secondo grado);

Sezione B: Poesia a tema libero per opere inedite (giovani - adulti);

Sezione C: Poesia a tema su “Inquietudini e speranze nella vita degli adolescenti”, per opere inedite (per qualsiasi fascia d’età)


REGOLAMENTO

Art.1 . Si partecipa con testi inediti in lingua italiana composti da concorrenti di qualunque nazionalità e ovunque residenti. E’ ammessa la partecipazione a più sezioni.

Art. 2 – Per la partecipazione è richiesto l’invio da un minimo di due a un massimo di tre poesie inedite per ogni autore e per ogni sezione (massimo 38 versi per ciascun elaborato, carattere Arial, dimensione 12).

Art. 3 - Gli elaborati dovranno essere inviati in cinque copie entro e non oltre il 31/05/2012, a  ASSOCIAZIONE “LA MONTAGNA INCANTATA”, presso Lisa Baligioni Cresti, Via Lamarmora 53, 50121 Firenze.
Allegare agli elaborati il seguente materiale:
A) - la domanda di partecipazione riportata nel bando, regolarmente firmata ;
B) - una breve biografia del concorrente (facoltativa);
C) - copia della ricevuta di pagamento di un contributo di spese di segreteria di €10,00 per l’intero numero di elaborati inviati (rispettando comunque i limiti per ogni sezione). Sono esentati da tale pagamento gli studenti di scuola secondaria di secondo grado.
I contributi suddetti potranno essere versati mediante bollettino di conto corrente postale n. 1003693536  intestato a Associazione culturale “La montagna incantata” oppure mediante bonifico bancario alle seguenti coordinate Iban: IT - 97 - N - 07601 - 02800 – 001003693536. Nella causale dovrà essere indicato Premio letterario di poesia in memoria di Lorenzo Cresti.
Salvo l’obbligo di invio delle copie cartacee delle poesie con i suddetti allegati, è consentito anche l’invio tramite posta elettronica (all’indirizzo associazionemontagnaincantata@gmail.com) di una copia degli elaborati in formato “word” (carattere Arial, dimensione 12).

Art. 4 - E’ concessa la possibilità a ogni partecipante di concorrere a più di una sezione nella quale si articola il premio previo versamento di una sola quota di segreteria, indipendentemente dal numero di elaborati inviati (sempre rispettando i limiti per ciascuna sezione).

Art. 5 - I vincitori, i finalisti e coloro che hanno ottenuto la menzione di merito avranno come premio la pubblicazione delle loro opere in una Antologia letteraria, edita da una casa editrice italiana, con codice ISBN, a distribuzione nazionale e la consegna di copie dell’antologia stessa.I vincitori (3 per ogni sezione) riceveranno inoltre una targa.
La premiazione avverrà in luogo da definire nel corso dei mesi ottobre-novembre 2012 a Firenze.
Gli autori premiati saranno preventivamente avvisati e potranno ritirare personalmente o tramite delega i premi assegnati.

Art. 6 - Composizione della Giuria: PRESIDENTE Alessandro Quasimodo, GIURATI Lisa Baligioni Cresti, Giovanni Bogani, Paola Ciccioli, Rina Gambini.

Art. 7 - Non sono ammesse al concorso le opere che si sono classificate ai primi tre posti in altri premi letterari, pena la perdita del diritto ai premi e a ogni altra pretesa.

Art. 8 - I nominativi dei vincitori  saranno comunicati anche all'Annuario dei Vincitori dei Premi Letterari per la pubblicazione in Internet al seguente indirizzo: www.literary.it/premi dove rimarranno esposti in permanenza.

Art. 9 - Partecipando al presente Premio tutti i concorrenti concedono il nulla osta per il libero utilizzo dei loro elaborati da parte dell’Associazione culturale “La montagna incantata”, che si riserva il diritto di pubblicare una raccolta antologica delle opere premiate senza che alcun compenso o diritto di autore possa essere preteso dall’interessato.

TUTELA DEI DATI PERSONALI

In relazione a quanto sancito dagli art. 7, 13 e 23 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”, la segreteria organizzativa dichiara che:
· il trattamento dei dati dei partecipanti al concorso è finalizzato unicamente alla gestione del premio, all'invio agli interessati dei bandi degli anni successivi o di quelli di altri Circoli Letterari o Case Editrici che intrattengono rapporti di collaborazione con l’Associazione culturale che ha indetto il presente bando.
· con la domanda di partecipazione verrà rilasciata l’autorizzazione al trattamento dei dati personali per le finalità sopra elencate.
· il concorrente può richiedere la cancellazione, la rettifica o l'aggiornamento dei propri dati rivolgendosi ai Responsabili dati del Premio nella persona di Lisa Baligioni Cresti.

PER OGNI ULTERIORE INFORMAZIONE TELEFONARE  al 338/4604247 O SCRIVERE A associazionemontagnaincantata@gmail.com


***

Lorenzo Cresti è nato nel 1991. Ci ha lasciati nel 2008, all’età di diciassette anni e mezzo, mentre stava frequentando la II classe del Liceo Classico. La sua breve esistenza si è svolta interamente a Firenze.
Lorenzo ha avuto una precoce passione per la scrittura e la lettura, la musica e il cinema. 
Ci ha lasciato vari scritti: storie, sceneggiature di films, qualche poesia, riflessioni su ciò che leggeva ed ascoltava, ed un diario, scritto negli anni del Ginnasio.
Nelle letture, un gran desiderio di trovare risposte alle sue inquietudini: la filosofia (Nietzsche, Heidegger), la psicanalisi (Freud, Jung), la narrativa (Mann, Proust), e poi la grande passione per la poesia (Quasimodo, Montale, Ungaretti).
Ascoltava molto la musica– e spesso la riproduceva al pianoforte -: sia la musica classica e lirica (Mozart, Mahler, Wagner) che quella leggera contemporanea.
Il maggiore interesse era forse per il cinema: il cinema classico (Lang, Visconti, Fellini, Wilder: Viale del tramonto, la sua grande passione) e quello più recente (Lynch e Kubrick: soprattutto, di quest’ultimo, Barry Lindon).
Un’infanzia felice, un’adolescenza inquieta, con momenti di gioia alternati a momenti di grande sconforto. Una grandissima sensibilità e tante forti emozioni: sentimenti da cui è scaturito il misterioso percorso che l’ha portato a concludere tragicamente la sua vita.

***









DOMANDA DI PARTECIPAZIONE AL “PREMIO LETTERARIO DI POESIA IN MEMORIA DI LORENZO CRESTI” SECONDA EDIZIONE

(Da controfirmare da un genitore in caso di partecipanti di età inferiore ai 18 anni)

Il sottoscritto

COGNOME.....................................................…......NOME.....................................………



nato a..........................……………....................................(Prov ...............)

il .......................................

Residente a....................................................……………....................................(Prov. ……)


CAP.......................Via...............……………...............................................................................


Telefono........................…...…….............Cellulare…….....................................................



Email.....……….........................................................................



Nome e indirizzo della Scuola di appartenenza (solo nel caso di partecipazione di studenti)
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
CHIEDE DI PARTECIPARE
alla Seconda Edizione del Premio letterario di poesia in memoria di Lorenzo Cresti, organizzato dall’Associazione culturale “La montagna incantata”, per le sezioni sotto indicate accettando tutte le norme del Regolamento del bando di cui assicura di aver preso completa visione.
(Contrassegnare le caselle che interessano)
□Sezione A
□Sezione B
□Sezione C


DICHIARA
• che le opere presentate sono frutto della sua creatività e del suo ingegno e che non sono mai state premiate con uno dei primi premi in altri concorsi letterari;
• di essere consapevole che qualsiasi falsa attestazione configura un illecito perseguibile a norma di legge;
• di esonerare gli organizzatori della manifestazione da ogni responsabilità per eventuali danni o incidenti personali che potrebbero derivargli nel corso della premiazione;

• di autorizzare la pubblicazione delle proprie opere nella raccolta antologica delle poesie premiate rinunciando a qualsiasi compenso o diritto d’autore, in conformità a quanto previsto dall’art. 9 del Regolamento del Premio letterario.



Data .............................                        Firma: ……….. ……………………..



Consenso al trattamento dei dati personali (D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”):
Autorizzo il trattamento dei miei dati personali per le finalità indicate nel REGOLAMENTO del Premio, alla sezione “Tutela dei dati personali” di cui prendo atto e che dichiaro di aver letto.


Firma: ........……......................................................





venerdì 17 febbraio 2012

Comedìa con Massimo Sannelli a Roma 14 marzo

Mercoledì 14 Marzo ore 17.00
Lo scrittore Massimo Sannelli
in dialogo con Carla De Angelis e Angelo Filippo Jannoni Sebastianini
presenta Comedìa (FARA EDITORE) 

Dante regista e narratore.
Che cosa è e che cosa non è la Comedìa


Massimo Sannelli vive a Genova. La sua attività ha molti aspetti: scrittura, filologia, arte, traduzioni, teatro e cinema, editing per ”La Finestra editrice”. Dopo la laurea con Edoardo Sanguineti, ha conseguito un Dottorato di ricerca in Filologia latina medievale. È stato tra i collaboratori del film La bocca del lupo di Pietro Marcello (David di Donatello e Caligari Preis a Berlino). Il sito Vico Acitillo 124-Poetry Wave lo ha decretato Poeta dell’anno 2011. Il suo sito è www.massimosannelli.blogspot.com

Durante l’incontro gli attori della “Scuola di arte della parola” diretta da Angelo Filippo Jannoni Sebastianini e Giovanna Moscetti reciteranno testi classici.
Con il patrocinio del Municipio XV

giovedì 16 febbraio 2012

Vincitori e selezionati Pubblica con noi 2012


Fara Editore e i giurati del concorso Pubblica con noi 2012
Francesco Jonus, Frank Spada, Giovanni Fighera, Niva Ragazzi
e Stefano Martello per la sezione silloge poetica (per la sezione racconto si veda narrabilando) sono lieti di premiare i seguenti autori  


Primo classificato
Claudio Roncarati con Per/le rime 



Nelle fabbriche catene d’operai
alle macchine montano i motori
lasciando la rivolta ai sogna/tori
ma i tori nelle stalle prigionieri
hanno vacche artificiali per la monta
delle vere gli bastino gli odori.
Vitaccia dura che la va meglio ai buoi
sono leggende le gesta degli eroi
incornanti il torero nelle arene
vittoriosi nei rodei contro al cowboy.


*
 
Lo capisci dalle facce dagli accenti
gli agenti di polizia penitenziaria
provengono dal sud povero d’Italia
che garantisce corpi alle divise
e i pomodori per l’inscatolatura
quelli molli guasti vengono scartati
solo i carnosi diventano pelati
dentro a barattoli dove manca l’aria.
 
*

Si sta ignorati come i muratori
che fanno tuffi dalla impalcature
l’encefalo affidandolo agli elmetti
varia la gravità delle fratture.
Sono punteggi che assegnano giurie
negli ospedali i punti di sutura.
Milioni gli incidenti sul lavoro
solo per quelli più spettacolari
in premio articoli e fotografie,
non c’è notizia invece nei banali
sono fatti di esistenze minori
come di cozze nei mari le morie


*

Il sollievo lo chiedono al bicchiere
nei bar i vecchi ed alle macchinette
lasciando al prete Dio che non li assiste.
Dai guadagni lo Stato biscazziere
per dargli la pensione trae denari
trenta invece gli spettano al barista
ma ne voleva il doppio e si fa triste
così rincara il prezzo del Campari


*

Ci si passa la torcia della vita
di padre in figlio attraverso il tempo
dal prima al dopo incrociando le dita,
il rischio è che si spenga in un incendio.
Ai giapponesi c’è mancato poco
fondendosi l’uranio a Fukuscima.
Avendo raffreddato il reattore
sono riusciti a limitare i danni
a un calo d’energia, qualche tumore.
Gli evacuati ritorneranno a casa
al più tardi tra una trentina d’anni.

(…)


Claudio Roncarati è nato a Bologna il 13 giugno 1959. È psichiatra. Risiede a Cattolica (RN). Dice di sé: «Con Manuale di psichiatria poetica (Alpes Italia) mi sono proposto come psichiatra che scrive racconti e poesie. Con La Fata fatua e lo psichiatra (Alpes-CFR 2011), come poeta-psichiatra. Con “per/le rime” mi propongo tout court come poeta (indignato).» 

Giudizi

«Mi è piaciuta molto questa raccolta. Un linguaggio dirompente che sfoggia unironia talvolta mordace. In fondo, mi piace il fatto che questa poesia tratta di svariati temi, dal sociale ai temi di sempre, soprattutto per mezzo di un uso oculato di schemi e figure retoriche che ammiccano al lettore proponendo ardite immagini ed imprevedibili accostamenti verbali. Rime scatologiche e impegno si fondono entro un ampio affresco, dove a metà strada tra lappunto sagace e la caricatura emerge un mondo disorientato e in ebollizione, il mondo doggi. Echi di poeti canonici come Petrarca, Quasimodo, Carducci, vengono ripresi in chiave ironica, straniante.» (Alessandro Salvi)

«Una raccolta sarcastica e concreta, che ha tinte sagaci come anche malinconiche. Un autore che non rinuncia alla critica sociale come al maneggio semantico e sintattico della parola riuscendo a uscirne, nel complesso, interessante.» (Federica Volpe)



Secondi classificati ex aequo
Giovanna Iorio con Il libro degli oggetti smarriti
Andrea Parato con Il polso dei miti
  

Il libro degli oggetti smarriti
Vola basso!
Non sapevo
dove girare la testa con
il campo visivo diviso a metà
come un cavallo.
(Tomas Transtörmer, Poesia dal silenzio, 2011)


DIVANO

Me lo sono trovato davanti
come il palmo di una mano
aperto e sporco
in un prato
ricoperto di lana.
Un divano senza memoria
un vecchio malato d’Alzheimer
che non sa
tornare a casa.


LA SCATOLA DI FIAMMIFERI

I fiammiferi d’inverno
se ne stanno nascosti
in una scatola
accanto a un lampione
riserva di luce
per la bambina di neve
accenderanno un tenue
lampo di fuoco
riscalderanno minuti
di sogno.


FILO SPINATO

Non pensavo
di trovarti qui
tra me e il cielo.
Chi di noi
è il prigioniero?
Punte di metallo
torturano l’aria
e io non ho fretta
le lascio fare
aspetterò
che la pioggia
vi faccia arrugginire
di vergogna.


LO SPECCHIO NEL PRATO

Non piove più.
Vedo una scheggia di luce
nell’erba bagnata.


LA NUVOLA IN GARAGE

Prima ho pensato
a un incendio
senza odore di bruciato
ma era una nuvola e basta
piccola in verità
scappata dal cielo
prima della pioggia.

 (…)

Giovanna Iorio (Bates), di origini irpine, vive e lavora a Roma dove insegna lingua e letteratura italiana in un liceo internazionale. Ha pubblicato Dopo Lungo Silenzio (Mobydick 1997) antologia di poesia irlandese contemporanea al femminile, Voci della Palude (In Forma di Parole, Bologna 1997), Hugo Hamilton: Lo scoppiato (romanzo, Cronopio Edizioni 2000), Antonia Byatt: La vergine nel giardino (romanzo, Einaudi 2002). Per le edizioni Via del Vento ha curato e tradotto i volumetti: Eavan Boland, Falene, Acquamarina n. 6; Medbh McGuckian, Scene da un bordello, Acquamarina n. 11. Ha vinto numerosi premi per racconti e poesie. Mare Nostrum e La memoria dellacqua sono due raccolte di poesie inedite. Tiene il blog Amici di Letture 

Giudizio

«Credo che per applicare criteri, per dir così, “scientifici”, soffermandomi su ogni passo, sillabando, giocando a cercare le citazioni nascoste e – naturalmente – valutando la scelta delle parole usate dai poeti, avrei avuto bisogno di più tempo. Del resto, non penso fossero questi i parametri di giudizio da applicare a delle raccolte che gareggiano per la pubblicazione in unantologia a tema libero. Molto più importante la coerenza, lorganizzazione interna, lavere un filo conduttore. E verso tali sillogi mi sono orientato. Il libro degli oggetti smarriti ha da questo punto di vista soddisfatto appieno le mie aspettative. Aspettative del tutto personali, del tutto impressionistiche: offre ciò che personalmente vado cercando in una raccolta poetica, ovvero la non banale semplicità nelle descrizioni. Nello specifico ne ho apprezzato l'ironia e la capacità di intessere un dialogo con gli oggetti e, quindi, con le memorie e le associazioni che essi suscitano. Non pensavo / di trovarti qui / tra me e il cielo. / Chi di noi / è il prigioniero? Questo la poetessa domanda al filo spinato e lo fa con ritmo, con versi brevi, con parole – dicevo – semplici e non banali, esprimendo un'immagine chiara ed efficace. Vi è poi ironia intrecciata a quotidianità, per le quali risulta che il semaforo è Il solo / ad arrossire / ancora; tutto ciò fa sì che scorrano agevolmente sotto gli occhi del lettore le sue parole, che volano via // nuvole di fumo / pietrificate.» (Riccardo Burgazzi)



Andrea ParatoIl polso dei miti

“Il grado di febbre di quell'Italia non era dato dai surriscaldati,
ma dal polso dei miti, dei pacifici che collaboravano alle rivolte.
Quando azzardano le educande,
un paese è prossimo all'incandescenza.”
(Erri de Luca, La ragazza con la gonna blu)


PRIMO CORO
Quando abbiamo perso la felicità?
Tutto il nostro sapere
racchiuso in simulacri
di malcelata insofferenza.
Splendidi frutti da porgere
con mani sporche di letame.
Quando abbiamo perso la felicità?
Dita tenere a scalare il muro
e cuore duro spostato
un grado di troppo
sui paralleli dell'esistenza.
Nostra medicina è la cura della vite:
tagliare fronde superflue.
Ma quando abbiamo perso la felicità?
Tra noi l'indifferenza
è il male peggiore.


Il poeta:
Il pensiero non esce,
pesa sul cuore.
Voce senza sfogo
scava il petto
tenta la fuga
resta dolore.
Ho sognato il sapore
del tuo corpo
toccato la punta turgida
dei tuoi silenzi.
Da solo, non mi rialzo: perché?
Devo perdere la strada
che mi riporta a te.

La voce del giovane musicista
La mia arte, gli anni
di silenzio offerti
in olocausto al pianoforte,
il dono diventato solitudine
parole vuote e spente note.
Non ho abbandonato
gli spartiti consueti
sull'orlo dell'incertezza,
la famiglia e la terra,
quelle sì le ho lasciate.
A metà della mia vita
attendono sogni incompleti
che non danno il pane.
E' il tempo duro delle decisioni
non per orgoglio,
ma nemmeno per fame.

La voce del vecchio contadino
Ricordo quando in città c'erano i campi di grano
e sotto il sole di luglio facevano a gara per i covoni;
quando il fischio proclamava la più veloce mano
al taglio, o chi aveva raggiunto la tonnellata;
quando partivano i cavalli dei cittadini
sulla strada dell'unica pensione impolverata.
Allora, tutti pensavano al lavoro comune,
poi al ristoro e alla festa insieme:
e nessuno, la sera, a smettere di cantare.

Il poeta:
Quando finalmente
questo corpo tacerà
il suo stridulo urlo di desiderio,
sarà forse tardi
per qualcosa di buono.
Qui e ora
devo versare un tributo al mondo
nonostante il duro monologo.
Vuoto a rendere,
perdonerai il tempo perso? 
(…) 

Andrea Parato è nato nel 1979, in quello splendido periodo detto recessione, quando la gente non aveva la benzina e rimaneva a casa… Dopo una gioventù spesa negli eccessi e negli stravizi della periferia campagnola della metropoli riminese, ha annunciato ai suoi genitori che non avrebbe fatto l'ingegnere. Ha intrapreso la prestigiosa carriera di scienziato della comunicazione. Per cinque anni ha provato a fingersi bolognese, ma la pronuncia romagnola lo ha tradito. Così è tornato con una corona di alloro nella terra della piadina, dove una casa editrice misericordiosa lo ha assunto per occuparsi di web, corsi di formazione, libri e annessi. Lo ammette: ha amori poligami che non ha mai tradito: poesia, scrittura, comunicazione. E alla fine spera di abbandonarsi tra le loro braccia.

Giudizio

«Una raccolta ordinata nel suo disordine, una voce poetica naturale che si divide in molti affluenti riuscendo a rimanere la medesima. Un poeta personaggio che ora cerca “… segni nei polsi / e nelle voci dei minimi del mondo”, la cui voce attraversa e incontra molti minimi così da formare una storia minima, potenziale, come potenziale è la felicità del messaggio finale, un messaggio che riesce, nel contesto, a non cadere nel banale.» (Federica Volpe)



Terzo classificato
 
Martina Campi con Lavvicendarsi del sole

Brusio (nell’essere gli uni agli altri)


1.

Interferisce la perdita di cose
fuori senno fuori luogo

si cenava compostamente
mentre  pioveva

gocce leggere sui vetri
cadevano, abbandonandosi ad
un destino certo di immobilità e schianto.

Disintegrata, la pioggia
indisturbava gli scavi di
piccole società di batteri.

Erano benevole le domande ma,
infine non utili allo scopo.


2.

Le voci si confondono,
espositrici esperte e tuttavia inconsapevoli,
di nuovi ed innumerevoli cataloghi
progettuali, di ultime esperienze
utili, passate a rimanere restare
immutare e: a mai cominciare.

Con un leggero sospiro
alla pioggia
ripiego tra le mani il tovagliolo

quello che ora si sa (ancora)
eccoci, nel padroneggiarlo
è solo un altro inutile
noi/loro.


3.

Con lo sguardo passato
a fare del proprio meglio
a proporre in silenzio
un piccolo salto veloce
nella teoria dei gruppi

e qui rimane a fissarsi l’attenzione
sui fondamenti o, in alternativa
sulle fondamentali problematiche

sociologiche interpretazioni
o su concetti che descrivano la realtà
__________________

L’interferenza è, questa volta,
un brusio di fondo inaccettabile.


4.

A essere ottimisti
si rivendicano spazi modulati,
ritirando vittorie comparate

ma ora che siamo qui
inodori estranei e sorridenti
senza pelle, né tempo libero
da condividere nel mezzo;

ma, su superfici ruvide imperfette,
mossa da previsti seppure
incontrollati terremoti:
ci delineiamo paesaggi in movimento,

ci traiamo in disparte,
(temporaneamente mi discosto)
per assumere la terza posizione.


5.

Cose che non succederanno
ed è chiaro che, ormai,
si va avanti per ore, quando
il tempo consigliato non è necessario.

Atti in successione scorrono gratificanti
osserviamo la sofferenza -contenuta-
depositarsi in scie mutevoli di memoria
vetri oscurati di credenze in disuso
(e innumerevoli fiori ad appassire nei vasi)

non sono contemplate le teste
o altrettante indigestioni di fastidio.

Ma tutti sono pronti a dire qualcosa.

(…)

Martina Campi nasce a Verona nel 1978. Vive a Bologna e lavora a Milano. Alcuni suoi scritti (poesie e racconti brevi) sono presenti in rete, su riviste e siti di scrittura, tra cui: «Pi greco», «Musicaos», e il catalogo di Kermesse (con il primo Esperimento di scrittura visuale organizzato da Arpanet, basato sulle opere darte finaliste al Premio Italian Factory, in esposizione a Kermesse 2004). È presente in Fragmenta (ed. Smasher 2011) antologia di prosa e poesia altre antologie poetiche.  Ha pubblicato la silloge poetica Definito dalla luce e la raccolta autoprodotta di racconti e poesie Le ombre lunghe. Co-fondatrice dei progetti di raccolta e autodiffusione di “cose belle” Il Fibonacci (insieme a Sergio Bottoni) e Foglio daria: l’albero delle migrazioni (insieme a Giampaolo De Pietro). Autrice e performer della formazione Tu che sei, insieme al compositore e musicista Mario Sboarina, del progetto di musica e poesia: Mani e qualcosaltro.

Giudizi

«Liriche di forte impatto caratterizzate da un linguaggio diretto ma mai banale.» (Luca Ariano
«Entro un dire ellittico si snoda questa poesia inquieta, ad alto afflato lirico. Momenti catturati dal quotidiano ruit hora, setacciati dal poiein per salvarvi il salvabile, o meglio, quello che vi è più caro e prezioso.» (Alessandro Salvi)


Segnalati con pubblicazione di estratti in questo blog

Marco Mastromauro con Quattordici sonetti e altre inquietudini

... Eppure chi son io per dirmi niente
 per distinguermi dal troppo avvilente
dal tutto così tutto che m'ingorga
dalla luce nascosta che non sgorga

Parte I

Filamenti          

T'aggiri tra le meraviglie, altrove,
lungo binari soltanto apparenti
attratto da notturni filamenti
di luce argentea che qualcuno muove.

Le grida degli uccelli sono nuove
ora che l'alba si mostra altrimenti
dal ricordo di tremori innocenti,
soggiornano in lei da ogni dove.

Il  respiro non ceda al disincanto,
sommesso sottofondo del silenzio
(vago, indecifrabile mormorio).

Si liberi dai fumi dell'assenzio
dai confusi ricordi, dal rimpianto:
a lei ritorni dolce folgorio.



Il suo braccio nel sonno

Il suo braccio nel sonno s'abbandona
prima che al mattino riprenda forza
quando ancora il buio non si smorza
ma già nella stanza piano risuona

di madre il cuore come voce buona
mentre tenue rischiara bruna scorza
del bambino che la notte rinforza
e presto al giorno veglia si dona

ché il sostare troppo non s'addice
a chi da poco cresce con diletto
stringe dita, sorride, si compiace

cerca sui visi il suo stesso affetto
e nulla sa del vuoto d'Euridice
or che si ridesta e non più soggiace.



La sera oscurando

La sera oscurando coltre di neve
è memoria trafitta, ombra, dardo,
spavento in me disciolto che m'attardo
con un passo che si ferma ma deve...

Così m'arresto, poi m'affretto greve,
giungo malgrado perenne ritardo
a soggiogare l'avvento infingardo
sulla soglia dov'è  il bacio breve

( ma accoglie, punge, riluce il cuore
che  non sperando tace l'insperato
contro nemico muto, immaginario:

perchè comunque male non è nato
e tenace cresce questo calore
anche se poco, tenue, solitario...)



Un grigio cielo

Un grigio cielo il mondo ritrova
che dentro lo sguardo scorre più lento
nascosto dal velo dello sgomento
depone minaccioso altre uova

come se la terra fosse la prova
che non il sonno ripara dal vento
e tra le coltri anche c'è  tormento
sicché al risveglio gatta ci cova

e lascia graffi di sangue indifeso
perchè non cede neppure predice
l'immensa volta, tersa, vuota, muta,

fulgida volta di luce assoluta,
è al tuo viavai  lontana cornice,
una risposta che non hai compreso.



Labbra  di sale

Arsa da labbra prorompe, di sale,
una voce stralunata, dispersa,
oltre quest'onda tumultuosa, inversa,
lascia un'ombra che piano risale

che ti colpisce come freddo strale,
quando si dibatte, rabbiosa, persa,
dietro l'inganno d'una maga avversa,
questa tempesta, rovinoso male:

così, lontano, la certezza spira,
tace speranza, geme la fortuna
anche se gonfia bianca vela nuova

e sottovoce un canto rinnova
(malìa si sfila da segreta cruna)
della sirena che sempre t'attira.


MarcoMastromauro è nato nel 1957 a Verbania. Vive a Novara, lavora a Vercelli. Ha pubblicato poesie sulla rivista «Alla Bottega» e, dal 1995, ha collaborato al trimestrale di cultura e arte «Contro Corrente». Alcune sue poesie sono state pubblicate – in quattro occasioni, nella rubrica curata da Maurizio Cucchi – sullo «Specchio», settimanale allegato, fino a quattro anni fa, al quotidiano «La Stampa». È autore delle raccolte di poesie: Anime confinate (Milano Libri 1992), Cuba (Ibiskos 1995), Memorie da un pianeta (Contro Corrente 1997), Eros, Trinidad e altre poesie (Oppure 2000). Sue liriche sono presenti in alcune antologie.

Giudizio
 
«In questa raccolta c’è del “mestiere poetico” e si vede che l’autore maneggia bene la forma senza però mai scadere nel puro virtuosismo.» (Luca Ariano)



Puccio Chiesa con Postumi



Postumi
sulle tempie
corone senza gloria
per imperi domestici
Postumi
come ultimi
resti
di pomeriggi estinti





INFINITO PRECIPITE

 Lo sento
quando nel giorno che trema
la folla mi allontana.

Tutto si dissolve
nella polvere lucente del sole nuovo
nella stagione che chiama
nel silenzio che cerca.

Tutto si risolve
in palpiti di nubi pesanti
nei ritagli di vento che occupano le parole
nel presente coinvolto nell’incanto.

Travolto dal sangue del tramonto
nell’infinito precipite inciampo
e mi accorgo…
il colore nuovo del mio tempo
mentre guardo nella stanza non più mia
mi accerto del passato estinto
e nella polvere estranea
riconosco
quello
che
ero



OTTOBRE

 In frange sui vetri
l’estate che c’era.
Davanti a me questo tavolo
di funghi velenosi
di porci macellati.
Artigliano intorno
ringhie di cani
accesi dal sangue.
La lupa non mi riconosce
mi morsica da lontano
ha il veleno negli occhi.
Poi dopo un cenno si avvicina
rimane tiepida
nel veleno del pelo
getta a terra i battiti
che la rabbia l’anima
e si allontana.
Mi punge un petalo estinto…
il ricordo dei fratelli gracili
piange nelle nebbie
che stordiscono le sere
che strozzano le notti.



LINEA 27/A

Fai piano con la voce,
quando dormo il pomeriggio.
Ho fame di quella belva oscura
che è in me,
quando rido nella notte
la sento ruggire
accesa da scintille
di ossa incandescenti.
Rinchiuso in cantina
ascolto le luci
che gorgheggiano dai viali,
ricostruisco me stesso
e l’anima prende la sua forma,
confusa da soli galleggianti.
Fai piano con la voce,
quando ascolto la rugiada
e quel che resta di lei,
fai piano con la voce
quando bevo da solo al buio.
Adagio, fai adagio quello che devi fare
e quando nel grembo della notte
cinguetta il mattino,
svegliami
per andare a prendere le sigarette.


LO STATO DELLE COSE

Nella tempera limpida
del cielo di febbraio,
i toni tenui
dei treni fermi,
i volti arresi
di un tempo senza voce.
Accadeva senza pioggia
la voglia di nascondersi.
Lo stato delle cose,
nella plastica della luce,
non ha nomi
da ricordare,
solo stagioni furiose
e labbra morsicate. 


Puccio Chiesa è nato a Crema nel 1976, ha pubblicato le raccolte di poesia Vertigini (Libroitaliano 1998) e Sopra le righe (Maremmi Editori 2006), il romanzo poetico Sonnambuli (Il Foglio letterario 2009) e il racconto “Honda Dodò, caffè e ammazzacaffè” (in Pubblica con noi, Fara 2010). Nel 2003 fonda con Roberto Moroni la Semiolabile cinematografica, realizzando video che coniugano il linguaggio poetico a quello delle arti visive e della cinematografia sperimentale. Ha partecipato a diversi festival in Italia e all’estero. Ha vinto l’edizione 2009 del concorso nazionale di videopoesia “La parola immaginata” con lopera tempo sepolto. Tutte le videopoesie sono catalogate e visibili presso il centro di documentazione per le arti visive Careof di Milano. Sito web: www.myspace.com/semiolabilecinematografic

Giudizi 

«Poesia carnale, vitale con immagini dense e folgoranti.» (Luca Ariano)

«Postumi mostra, soprattutto nella sequenza dei Notturni, un filo conduttore che appaga il bisogno lirico di chi legge.» (RiccardoBurgazzi)



Giulio Maffii con Agli zigomi delle finestre



Se non ami me ama quello che  scrivo e amami per quello che scrivo
(S. Plath)

Di tutto quanto
ecco lo sfrigolio dell’acqua
mi domando rispondendo
ecco la polvere accumulata
l’utilità del passo occasionale
ecco il tavolo di cucina
Di tutto quanto
ecco il cane per le scale
capiranno gli esistenti
ecco il gatto ladro
l’uscita dalla porta?

Mi ha doppiato il senso
di una vita corta

*


Il tuo vero amore
               lo ricordo
analfabeta dal sapore
               d’aringa
mistero delle mani
che sconfiggono il pensiero
Dov’ero?
a fare spazio
a pagare dazio
avendo il dono dell’attesa
Si paga si paga
si paga sempre tutto
alla bellezza
agli imbonitori
ai prestatori d’ascolto
C’è un corpo
d’interesse abbiamo un corpo
spesso niente più

*


Volesti conoscere il principio
c’era una croce ad aspettarti
da portare dentro
da gettare addosso
ad ogni uomo discretamente perso
Sono strappi d’equilibrio
quelli di una visita nascosta
e non basta far tacere un tuo sussulto
e già mi vedi come ombra
accasata nelle pieghe dentro al muro
tu senti nella calce la mia voce
si duplica e riparte
cerca di schiodare la tua croce

 *

In fondo hanno lo stesso nome
la stessa utilità della menzogna
che potrei avere io
la tua falcata taglia l’aria all’aria
quando il tempo si deforma
e cambia strada

 *

L’importanza per te
di essere prima davanti
agli altri con l’impazienza
di un’adolescente schivando l’amore
a chiazze in percorsi orizzontali
senza il guizzo della virata
Adesso che non ci sono
ma persevero parallelo
non riconosci il possesso che ti manca
che invadersi i corpi
fa parte del respiro quotidiano
Ancora non capisci
la moneta dello scambio
l’aggettivo e l’avverbio
quello eravamo
confusi nello stesso suono
ed io sono sceso
tardi dal ripiano


 

Giulio Maffii è autore si occupa di critica letteraria e dirige la collana di poesia contemporanea e plaquette per le Edizioni Il Foglio di Piombino. Tiene un laboratorio di poesia per ragazzi. Collabora con varie testate letterarie e svolge opera di traduzione poetica. È uno degli organizzatori italiani del festival mondiale “Palabra en el mundo”. Ha allattivo varie pubblicazioni tra cui Equinozio di girasoli (2009) e Lumiltà del poco” (2010). Nel 2011 ha vinto il premio Sandro Penna per linedito. Suoi lavori sono stati tradotti in  spagnolo, inglese e romeno. 

Giudizi

«Agli zigomi delle finestre è apprezzabile nel suo offrire al lettore un cammino che può percorrere quasi sostituendosi allio lirico.» (Riccardo Burgazzi)
«Una voce particolare, in cui non manca qualche rado sprazzo di genialità capace di farla emergere tra le altre.» (Federica Volpe).



Piero Saguatti con Brevi rilievi



PANORAMI VERTIGINOSI

Affinità mattutine
nel tenero languore
l’acerbo
affumicarsi delle valli
rotonde
e ben distese
i bei respiri
aperti
in alta quota
le maestose vette
che aguzze
sulle cime
vado associando
alle anse prorompenti 
dei tuoi seni
in identica
                  e vertiginosa
                                        natura 
                                                   dominante.



FRAGILI  ELEMENTI  NATURALI

 La luce, il fiato, il fuoco
lo stesso equilibrio breve verticale

sfidano l’estinguersi improvviso
nel suo sinistro incombere silente

temono lo schiocco secco
con cui anche il vento che traspare
spezza le dure fibre al tronco principale.



CAPITA 

Capita di non riuscire
a dividere i passi dalle ombre
a distinguere le voci
tra i tanti suoni sovrapposti
fra le sponde

capita di non riuscire
a separare la libertà discreta
dalla somma martellante
degli eventi.

   

NOIA VAGABONDA 

Non si misura la noia
 è fatta di schiuma soffice

grigia e vagabonda

monta dentro poi si sgonfia
impossessa, abbandona poi ritorna

si nasconde

                    tra le mille espressioni
   
                                                          bugiarde
                                                                           del mio viso.



VOLO INCERTO  

Dell’aereo  
  che si tuffa poi riemerge tra le nuvole scomposte
il suo singhiozzo soffocato
appartiene al cielo

quaggiù si colgono similitudini e paure
che legano quel volo incerto
al nostro affanno

si percepisce solo la traccia distante in rettifilo
poi la breve scia nervosa
prima di svanire.



Piero Saguatti nasce a Bologna il 2 agosto 1963. Scrive sulla rivista «Parole» curata dal Laboratorio dell’omonimo Circolo ove hanno insegnato autorevoli poeti come Lauretano e Rondoni. Ha pubblicato un articolo sul quotidiano «La Voce di Romagna» . Antologie: Briciole di senso (Montedit), Laboratorio di parole (Pendragon). È incluso nell’Antologia-Censimento dei poeti bolognesi (Giraldi 2006). Menzione di merito al concorso “L’acqua” (ed. Farnedi). Finalista al premio “Gens Vibia” di Marciano. Nel 2007 ha avuto l’onore del commento di M. Cucchi a una sua poesia in “Scuola di poesia” su «La Stampa». Nel 2010 Premio “creatività” al concorso “Idea Donna” e 3° classificato a “il Cono d’ombra” (VC). Nel 2011 è 1° al concorso “La Lettera Matta” indetto dalla Culture Sommerse con la silloge: Senso, consenso e dissenso.

Giudizio
«Apprezzo questa scrittura energica, che denota unasciuttezza nel plasmare la materia verbale. Un verseggiare pregno di tensione gnomica, dove il poeta scommette sulle possibilità offerte dal linguaggio. Un occhio/orecchio vigile, quello del poeta, che sa di invettiva in alcuni punti (di teste vuote sepolte nella sabbia / ne abbiamo tante al mondo / da confonderle a quelle degli struzzi), in altri di amara sentenza (aggiungo questi silenzi austeri / conficcati a livello zero della terra / rotti dall’incerto turbinio dei miei ruvidi rovelli).» (Alessandro Salvi)