mercoledì 27 ottobre 2010

Su animali prima del diluvio di Chiara De Luca


Kolibris, 2010 
recensione di Vincenzo D'Alessio
Ora ho il bianco tra le mani: un libro snello, tascabile, fatto di una soffice carta che ricorda il mio mare, il Tirreno, con la sua Costiera Amalfitana.
Cosa c’entra la carta? Per quelli che amano i libri, il loro odore, la gioia di toccarli pagina dopo pagina, di percepire i colori degli inchiostri, la carta è un lenzuolo che ti avvolge, disponendoti alla coperta che ti protegge. Questa è la sensazione che ho ricevuto dal libro di Chiara De Luca, animali prima del diluvio. Un insieme di raccolte poetiche scritte in anni alterni dal  2006 al 2010, in continuità.
L’esergo si ispira ai versi di Emily Dickinson: “il cielo e la Logica”. Il cielo compare, con il suo chiarore in tutta la raccolta. La Logica è il timone che dirige in buone acque la poesia della De Luca. Le raccolte contenute nel volume recano i titoli di “I grani del buio” (poesie dal 2006 al 2007): in questa prima raccolta l’Io non compare. La poetessa  descrive, in terza persona, le angustie dell’esistenza, la croce (parola e significato che compare molte volte) che forma con il buio il soliloquio dei drammi. I versi, nel lemma, cedono poco calore poiché :”entra freddo nelle parole / nudate del senso fino al silenzio.” (pag. 16)
Quanta storia umana, sincera e pulita, c’è in questo volume lo descrivono assennate  le parole della prefazione curata dal poeta Gianluca Chierici: “È necessario carpire questo tacere dei chiodi, questi stipiti immaginati che ci condannano a un varcare dissennato e implacabile” (pag. 8).  Leggendo  i versi di questa prima parte si resta senza fiato, quasi come a seguire un maratoneta che, incessante, persegue la sua corsa verso un limite, a noi lettori, invisibile. “Ci vorrei stanotte ritornati / animali prima del diluvio, / lasciarci il coraggio di un approdo / sicuri incastonare la prua della nave / nella sconosciuta baia del vissuto” (pag. 21).
Tutto il tormento è qui, nel vissuto e nella non conoscenza degli accadimenti per esplicita volontà di una Logica che ricerca l’identità concreta ma si arresta: “(…) perché sarà l’andarsene per sempre / dal devastato campo dell’infanzia” (pag. 30). Bella, stupenda questa immagine. Ed è questa una poesia che parla in prima persona, consumando le angustie della vita poetica con l’Arte di renderle in versi che a tutti parlano della Vita.
A me è rimasta nel cuore la raccolta che reca il titolo “La corolla  del ricordo” (poesie dal 2008 al 2009). Una stanza dove il primo verso dichiara: “Credo / nel sacro di ogni incontro / nell’irripetibile stagione di un momento / di Eterno presente che redime il tempo” (pag. 73). Queste nove poesie, dove le metafore, le sinestesie, i verbi nel modo presente dell’indicativo, il plasmare la materia verbale in forme dolcissime – “Venuto dal buio  si stringe / a me forte sulla panchina / la notte(…)” (pag. 75) – mi richiamano forte i versi di Emily Dickinson: “(…) un processo nel riccio della castagne / che solo i denti del gelo rivelano / nell’aria lontana d’ottobre” (E. Dickinson, Poesie, Mondadori, 1995).
Un lavoro meticoloso, realizzato dalla Nostra, alla luce di una Fede poetica  che nella stessa poesia, citata prima, rivela: “(…) un istante quasi mi scordo / il terrore che ho dell’umano” (ibidem, pag. 75). Quanta energia poetica e quanto amore per la vita ha questa voce, quando si sveste della Logica che l’inchioda alla croce del divenire.
Nove poesie, queste contenute nella raccolta centrale “La corolla del ricordo” che alimentano quel bianco, quella purezza, quella trasparenza, che la nomenclatura delle cose citate esasperano. Chi è la poetessa? Che cos’è la Poesia? Quanto può l’energia che promana tendere dentro di noi, lettori, l’arco dei sensi e scoccare il dardo nel bersaglio che noi crediamo di vedere? Non ci sono risposte certe. La nostra, la mia, è solo una delle interpretazioni critiche che i versi delle raccolte, qui contenute, riescono a suscitare. Tante sarebbero le risposte appropriate e tanti gli esami sulle varianti, in originale, che hanno determinato l’esito finale delle strofe, l’uso della rima (cullando/cercando), e l’analogia infantile/drammatica: “(…) il bus che a quest’ora non porta / nessuno nel grembo cullando” (ibidem, pag.75). Tema ripreso e affidato alle doppie consonanti in un altro dei testi poetici a pag. 77: “(…) della bimba slava appesa alla mia gonna / mentre usurpo e tremo il nome mamma, / di chi ti guarda dentro gli occhi e tiene / né ti chiede il nome nell’andare”, cosa possiamo chiedere di più ad un verso, quando ci traduce in perfetta luce quello che Montale scriveva: “(…) Tendono alla chiarità le cose oscure, / si esauriscono i corpi in un fluire” (portami il girasole)?
Chiara De Luca, poetessa , traduttrice ed editore, possiede una poetica che si è alimentata ad autori non soltanto nazionali. Versi liberi ma profondamente radicati nella conoscenza del Novecento. Versi che traducono una concretezza, d’idillio, quando sposano l’Umanità.  Vorrei concludere con il verso, che mi consente, in limine,  di assegnare alla Nostra l’appartenenza alla corrente del Secolo Breve, con un’apertura alle nuove forme di quest’inizio secolo: “(…) perché alla sorgente l’acqua non ricorda / come in uno schianto termini la corsa.” (pag. 80); “(…) l’acqua sale alla luce e vi si fonde. / Trema un ricordo nel ricolmo secchio, / nel puro cerchio un’immagine ride ”(E. Montale, Cigola la carrucola del pozzo).
   

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