martedì 30 dicembre 2008

un piccolo gesto di solidarietà

Tutto in tutti

nuova di Marco Statzu
qui

A L I (dalle orgini al cosmo - dalle origini all'abisso)



A inizio dicembre 2008 è uscito il primo numero della rivista ALI, quadrimestrale d'arte, letteratura e idee (Edizioni del Bradipo).

COORDINATORE DEL COMITATO SCIENTIFICO E DIRETTORE RESPONSABILE:
Gian Ruggero Manzoni

COMITATO SCIENTIFICO:
Flaminio Balestra (direttore Fondazione Tito Balestra), Edoardo Boncinelli (responsabile Sezione Scienza), Claudia Casali (critico d’arte, organizzazione eventi MAR Ravenna), Andrea D'Agostino (scrittore, storico dell’arte), Marco Fazzini (responsabile Sezione Letteratura Straniera), Paolo Lagazzi (responsabile Sezione Letteratura Italiana), Nicola Macolino (responsabile Sezione Teatro-Cinema), Stefano Moriggi (responsabile Sezione Filosofia), Giancarlo Pontiggia (responsabile Sezione Letteratura Italiana), Salvatore Scafiti (artista, poeta), Marco Sangiorgi (critico letterario, saggista), Marisa Vescovo (responsabile Sezione Arti Visive e Plastiche)

REDAZIONE ALLARGATA: Sebastiano Aglieco, Luca Ariano, Massimo Balestra, Davide Brullo, Valentino Campo, Antonio Castronuovo, Elio Copetti, Pasquale Di Palmo, Massimiliano Fabbri, Matteo Fantuzzi, Luciano Marucci, Luigi Fabio Mastropietro, Massimo Orgiazzi, Alessandro Ramberti, Nicola Franco Ranieri, Elisa Ravaglia, Massimo Sannelli, Paola Castagna, Massimo Berdondini, Daniele Serafini, Davide Servadei, Pier Marco Turchetti, Matteo Veronesi, Vittorio Zanotta, Giovanni Barberini, Piero Tomassoni, Antonella Zambelloni... (finora siamo questi, poi si vedrà)

Informazioni di contatto

E-mail:
Ufficio:
Edizioni del Bradipo
Luogo:
Via Lumagni 25, 48022 Lugo di Romagna (RA)

Su Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d'inverno

Dal portale culturale «L(’)abile traccia»


Una recensione a cura di Lorella De Bon

Il libro di Stefano Bianchi promette bene sin dalla copertina: un titolo corposo, capace di suggestioni visive in bianco e nero, e un’immagine semplice, quasi stilizzata, che accompagna e arricchisce il titolo con un tocco di colore rosso sangue. Si tratta di un volume di piccole dimensioni, ma dai grandi contenuti: ventitré poesie a misura di tasca, pronte per essere consumate in qualsiasi momento e luogo, senza scuse per abbandonarlo sul comodino!
I temi sono quelli dell’assenza (e) della quotidianità. “Mi mancano perfino le spille/ pure quelle che sfilasti dalla coda dei capelli/ raccolti/ col gesto più banale”. Potrebbero essere nostri i gesti descritti da Stefano, le nostre memorie, fonte di una pacata nostalgia per oggetti e persone lontani negli anni, ma proprio per questo presenti nel cuore del poeta. È un piccolo e prezioso manuale di sopravvivenza quello che stringo tra le mani, che m’insegna a conservare un’emozione per i tempi magri a venire, a non pulire le scarpe per assaporare anche d’inverno i profumi e i colori dell’estate. “Vivo d’un bacio imbucato via telefono./ Lento bacio che dura ancora/ e lungamente m’assapora”.
Non si trova un momento di stanca nei versi che lenti si snodano sotto gli occhi del lettore, come fossero un fiume in cammino verso il mare. Su tutto incombe l’inesorabile trascorrere del tempo, che è inutile cercare di fermare con stratagemmi o gesti scaramantici, con una foglia ancora verde inserita tra le pagine di un libro. È nell’immagine commovente di due anziani che camminano dandosi la mano l’accettazione del declino del corpo umano (non dell’anima, ché quella non invecchia mai). “E il male che li porta/ è questo tumore d’esser nati/ che tutti ci accompagna”. Eppure, la consolazione sta davanti ai nostri occhi, talmente piccola e umile da passare inosservata. “Mi tocca la fortuna./ Quella di tornare a casa la sera/ e riconoscere la porta, i rumori/ e le manie delle persone che l’abitano”.
Immagini ripetute, ma soprattutto versi, a comporre una cantilena, quasi una filastrocca, di quelle che solo le mamme sanno cantare con dolcezza infinita ai propri figli. Anzi, pare a tratti che il poeta tema di non essere ascoltato, di non farsi comprendere, e riscriva le cose già dette. Una paura infondata, ma che caratterizza un verseggiare fluido e dolce, privo di cedimenti al richiamo di una forma sterile. “La riva, i gabbiani, il sole e gli scogli/ sono nel posto che sai/ tu sola non sei arrivata”.
È un omaggio alla propria terra e alle proprie tradizioni la poesia di Stefano Bianchi: i luoghi di mare, il calore della gente, il profumo dell’estate e l’inverno mite, un dialetto cadenzato e rotondo come le donne di una volta, dai fianchi larghi e il seno prosperoso. Su tutto, lo scorrere delle età dell’uomo e l’elogio alla fanciullezza, capace di vedere ciò che da grandi non si riesce più a cogliere, come gli “agguati del gatto che imperversa nel cortile/ stratega di giochi e di cacce di cui a te non parla/ più/ da quando eri bambino”.
“E anche fosse solo morte che ci aspetta/ facciamola tutta questa strada!/ Passo a passo”. Facciamola tutta, seppure costretti a comportarci come automi, a perderci dentro gesti che sono automatismi acquisiti e non lasciano alcuno spazio alla creatività. Alziamoci, laviamoci, vestiamoci delle nostre innumerevoli paure e andiamo a lavorare, anonimi tra gli anonimi, poi torniamo a casa e mettiamoci a dormire (intanto, la vita prosegue, a nostra insaputa).
È una scrittura schietta e semplice quella di Stefano: una combinazione ottimale di parole e silenzi, una chiave di lettura dell’animo umano alla portata di tutti, un rimando continuo alle debolezze e alla fragilità dell’essere. Perché solo la “poesia della quotidianità” sa essere una poesia universale.


lunedì 29 dicembre 2008

Su Solchi e Nodi di Caterina Camporesi


recensione di Guido Passini pubblicata in

respirandopoesia.altervista.org


scheda del libro:
www.faraeditore.it/html/siacosache/solchienodi.html

Cenni biografici
Caterina Camporesi è nata a Sogliano al Rubicone (FC) nel 1944 e vive tra Rimini, la Garfagnana e Roma. Svolge l’attività di psicoterapeuta. Già condirettrice de «La Rocca poesia» e redattrice de «Le Voci della Luna», è socia di Sinopia (www.sinopiaonlus.org) e collabora con riviste cartacee e on-line come «Fili d’aquilone».
Ha pubblicato: Poesie di una psicologa, Sulla porta del tempo, Agli strali del silenzio e Duende (Marsilio, Collana elleffe, Venezia, 2003). È presente con “La sorte risanata” nell’antologia La coda della Galassia (Fara, 2005) e altre sue poesie sono state inserite ne La linea del Sillaro (Campanotto, 2006).
Nel 2008 esce il suo libro Solchi e Nodi edito da Fara Editore.

Recensione

Solchi e Nodi è un libro che rappresenta la maturità di Caterina Camporesi, quella maturità in un percorso emotivo e lavorativo che da anni la vede in primo piano. Quando leggo un libro di poesia tendo sempre a cercare di capire chi ho di fronte, documentandomi sulla persona e sul suo modo di fare poesia. Per questo credo che il titolo abbia un significato che imprime a tutto il progetto una forte dimostrazione dell’intensità e dell’empatia di questo libro. Letto il titolo, mi sono chiesto più volte cosa volesse trasmettere Caterina, e poi una piccola folgorazione mi ha colpito … I nodi … i nodi definiscono ciò che blocca, che limita, che impedisce l’elasticità mentale e comportamentale dell’uomo. Mentre i solchi? I solchi sono le tracce che hanno sciolto questi nodi, dando spazio alle parole dei versi di Caterina, che dopo un’attenta riflessione interna sfoggia poesia ermetica, ma realista, minimalista, ma al tempo stesso completa. La frase iniziale del libro “luoghi e tempi nutrono / aprono varchi al nostro divenire” è un segno di come Caterina ha fatto tesoro del tempo e del suo vissuto, nelle vicende più disparate, nelle più tristi o nelle più felici. Assimilandoli, elaborandoli, ma soprattutto capendone l’importanza, possiamo crescere e sciogliere quei nodi che piano si stringono nel momento in cui ci lasciamo andare. I versi di Caterina sono privi di punteggiatura, ma non per questo esuli da pause e stacchi importanti: nonostante la lunghezza dei versi, il ritmo arriva compulsivo e veloce, generando quell’agitazione del momento. Il compito dell’autrice, raro nel resistere in un libro di poesia, è quello di indirizzare il lettore verso una via, o un solco, e lasciare che intraprenda il significato che più ritiene opportuno, proprio per questo Caterina sceglie volutamente di non dare titoli ai propri scritti, per non traviare il lettore nel suo cammino. Sono tutte piccole gemme che non necessitano una lettura continua pagina per pagina, ma anche dislocata senza comunque perdere il significato finale del libro. Solchi e Nodi, un libro di poesia che fa della psicoterapia un modo per emozionare e suggestionare il lettore. Caterina mette tra le nostre mani un piccolo pezzo di creta, che verrà plasmato con le nostre membra, con il nostro cuore e diverrà quello che vorremmo vedere. Caterina è un’autrice che non si limita nei pensieri e nelle emozioni, le mette lì in vista, a disposizione: al lettore quindi il duro compito di guardarsi dentro. I complimenti da un uomo che fa della poesia un saggio sul proprio passato, scavando e scovando in ogni verso un dolore che a volte sembra assopito, ma sempre costante, una diversa rappresentazione ma che in un qualche modo ci accomuna, almeno nell’intento...

Su Dall'Adige all'Isonzo. Poeti a Nord-Est

recensione di Massimo Spinali pubblicata in www.poeti.it/libri

scheda del libro qui (FaraEditore, 2008, pp. 278, euro 15)












antologia a cura di Alessandro Ramberti







Dall'Adige all'Isonzo. Poeti a Nord-Est  (FaraEditore, 2008, pp. 278, euro 15)







www.faraeditore.it

La poesia non tenta di riprendersi le parole. Siano esse quelle distratte di tutti i giorni, scontate della TV o maliziose degli slogan pubblicitari. Non è lì che scava. La poesia incontra qualcosa, mette in risalto un’esperienza. Parlare di poeti che cercano di rimpossessarsi delle parole è, dunque, sminuirne il lavoro. I poeti cercano, rievocano, un’esperienza originaria: e le parole sono i pezzetti di quell’accaduto, la particolare ‘visione’. Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est (Fara Editore), antologia che raccoglie voci di quella zona d’Italia, ha come merito non di delimitare una ‘regione’ della poesia, ma di far letteralmente vedere come una terra che i poeti antologizzati vivono e guardano ogni giorno possa essere quell’esperienza di poesia di cui si diceva. Con le loro parole, con i loro corpi. Curata da Alessandro Ramberti, con prefazioni di Chiara De Luca e Massimo Sannelli, presenta versi di dieci poeti (Paolo Campoccia, Roberto Cogo, Alessandra Conte, Erika Crosara, Giovanni Fierro, Fabio Franzin, Stefano Guglielmin, Simone Lago, Francesco Tomada e Giovanni Turra Zan) che hanno o stanno cercando una voce. Portano il segno di quell’esperienza, quindi di un’autentica riuscita, i versi del trevigiano d’adozione Fabio Franzin («Chea spìroea de zhiìghe/ cuzhàdhe là in alt tel fil/ dea corente ‘e par squasi/ segni che forma a paròea/ o ‘a strofa cussì a stròzh/ e par niènt tant zhercàdhe», «Quella riga di passeri/ appollaiati lassù sul filo/ dell’alta tensione sembrano quasi/segni a comporre la parola/ o la melodia così dolorosamente/ e invano cercate). Qui la parola non cerca se stessa, cerca… cerca e basta. E magari incarna. Anche Giovanni Turra Zan, vicentino, convince in più punti («non hai terra cui imporre la prora e perdi, perdi/ ancora e per sempre, indesiderato ammarri,/ nudo di colpa e da questa mai varato). Nell’antologia, come detto, è presente Paolo Campoccia, pure lui veneto d’adozione, vive a Verona, che in una sua lirica, Nebbia, dice: «Poi mi prende mi viene vicina/ nella voce si aprono/ i nomi del sole, dei fiori e dei fiumi». Ecco tre esempi, tre possibilità che la bella antologia ci evidenzia, ci mette davanti. Non parole, ma nomi, esperienza.

Maurizio Spinali


PAOLO CAMPOCCIA


Narciso

Le stelle perse di vista

le riconosco al tatto, e ascolto

come nelle anime lo sprofondarsi

dove esiste la luce.

Non mi tengo più nella pelle,

mi tiene l’accento dell’acqua per mano, cammino

verso le anatrelle del lago

prendo le ventate per angeli,

profili riversi nell’onda,

che comprendo ma non vedo.



ROBERTO COGO


Miriade di maledizione

nel luogo neutro il conformismo

legittima la prova

a ogni passaggio in vita

l’esistenza

è racchiusa nel termine ristretto

del rito che tutto espropria

si prova a cambiare lasciando indietro

la malaria del consumo

la sfida della piazza di vetro

quasi deserta

resiste al risucchio feroce

di un tombino sconnesso che risuona

in fantasmi di suole in affanno

in nuvole e ruote di auto in corsa

il carosello della vasca cede il passo

a inerzie di nascondimento

i giacigli col buco

tutti soffocati dal ritmarsi ossessivo

di pietre gravide e segnali

mentre muta la stagione con le vetrine

in un coriandolo di vento

nel percorso che pare traspirare

una miriade di maledizione

tu mi dici di volere uno scrivere diverso

e nuovo, un extra-spazio della mente

che si metta in moto

anche di non esser più innamorato

del mondo, così ti sembra almeno

(sarà questione di rapporto col reale

di u mondo fittizio avido di godimento?

sarà questo fenomeno d’apparenza

e movimento conformato?

non sarà un po’ poco?)

nuove piazze e un bel selciato tutto

da consumare

camminando in tondo

ogni frusciante respiro spinge la creatura

contro l’uscio o il portone

nell’intralcio di un parcheggio sotto casa

chi ancheggia stancamente lungo la salita

con le borse piene di spesa

e sicurezza.



ALESSANDRA CONTE


Carte

Alla mano con la penna, di femmina,

spettava il matto con le altre tre carte,

la torre la morte e le stelle, a predire

già sapute le cose arcane. Affermativo

negativo e giudice si strappavano

alla sentenza, a sommarsi increduli

agli occhi stanchi.



ERIKA CROSARA


«che paura disse che ho quando dalle sedie o dagli

altari vedo il rimorchio, gli uomini piccoli in spanne

con fori di ardimento. fa un monticello di pietà ciascuno,

un triangolo visivo inadempiente»



GIOVANNI FIERRO


(sottofiume)

Il silenzio del fiume è sott’acqua

la sua corrente è calligrafa

costruisce parole

le si possono leggere

nel segno continuo

che il suo scorrere lascia

nella terra scavata

come ogni storia raccontata si ferma

dove trova quiete

il mare è l’ultima pagina del suo libro

la sua bocca chiusa

la sua dissolvenza

il suo cielo.



FABIO FRANZIN


Stradhèe

(Stradine,sentieri)

‘ta strissa scura de ‘sfalto

(che so èsser stàdha bianca,

‘na volta, e pì strenta), strda

che taja drio ‘e case, el paese,

che va, dreta, verso ‘a lontana

sagoma vioéta dee montagne

a bona biava, zàea, alta, fòjie

longhe come spade; a zhanca

un canp a pustòca, un gat biso

in mèdho, el pass lidhèoro dea cacia.

De’à al colmo dolzh de l’àrzene,

‘a spiuma verda dee cassie e po’

(no’ la vede, ma sinte ‘a sç santa

presenza) l’acqua ciara dea Livenza.

… … …

(Questa striscia scura d’asfalto/ (che so esser stata di sassi/ un tempo, e più stretta), strada/ che taglia oltre i caseggiati, il paese, che va , dritta, verso la lontana/ ssagoma lilla dei monti// a destra mais, alto e giallastro, foglie/ lunghe come spade; a manca/ un campo incolto, un gatto grigio/ lo attraversa, il passo lieve della caccia. Oltre la curva dolce dell’argine/ il folto verde delle acacie e poi/ (non la scorgo, ma sento la sua sacra/ presenza) l’acqua chiara della Livenza.)



STEFANO GUGLIELMIN


da Eros/a fresca aulentissima

Sei l’amara

l’analfabetica mia puella

che bene bacia e scorteccina

che sbuccia fosca la polpa

che lava

il ciccio raglio e la sghimbescia;

sei la mia geisha

ruvidosa, sì

baldracchina

sei la mia rosa

che tutto intorno spina:

“Pape Aleppe, papé Aleppe, Ciciàn!”



SIMONE LAGO


Palcoscenici

Quale funzione del sangue ti viene

vedendoti nuda allo specchio, quale

circolazione del senso attorno alla forma

del seno, fin dentro al solco dei fianchi?

È quella luce che suona di sera Settembre

pigmenta di giallo la pelle e foschia:

la credi tu sufficiente a sfumare lo scavo

che porti sul petto, il magro trafitto

dall’ombra radente?

No, non è sangue di madre mancata

a svuotarti, o del piacere che viene a picchiarti

nel delirio di quando scopando riguardi

lo specchio cambiando canale alla tele.

Di quinte nere e luci attente sono

le illusioni più amare, le vicende più vere.



FRANCESCO TOMADA


Altrove

Siedo sul muro basso di fianco alla via

sarà che questa bottiglia di vino è quasi finita

ma la salita mi sembra più salita

le pietre più dure

e proprio adesso vorrei dirti che mi manchi

ma poi davanti a te succede sempre

che ho dimenticato le parole giuste altrove

e rimango in silenzio

forse è il solo modo che conosco di farti spazio

in tutto questo vuoto che ho dentro

per te ho preparato una casa.



GIOVANNI TURRA ZAN


Opening

A conclusione dello scuoiamento

immenso strappo fattosi rito

si eleva il quadro, si effettua

lo spurgo d’ora in avanti

non si paga dunque un fisso

ma si contratta il tempo,

e che sia base la voglia di limpido,

d’odore tolto come di città che offra

il suo scarto. A conclusione

dello scuoiamento si apre la gara

delle rivendite pare estorte ad ogni

scontro – reso bailamme

fino alla serrata del macello.


Su Il destino immobile di Leela Marmpudi




recensione di Guido Passini pubblicata in respirandopoesia



www.faraeditore.it/html/siacosache/destinoimmobile.html

Cenni biografici

Mary Leela Marampudi Peverelli
nasce a Bhimavaram (India) nel 1975. Adottata, vive in provincia di Como con il marito.
Diplomata in grafica e illustrazione, inizia a lavorare come web designer, per continuare come operatrice al montaggio video. Come Leela Marampudi è autrice del racconto Kamala selezionato al primo concorso
Lo sguardo dell’altro, inserito nell’omonima antologia (Mangrovie Edizioni 2008) e del romanzo Mal Bianco (Fara Editore 2006).

Recensione
Ho ancora le lacrime che scivolano sul viso mentre mi accingo a recensire questo libro di Leela.

Già il titolo rende partecipe ogni lettore, in quanto il “destino” è parte integrante di tutti noi, così come “l’immobile”, che nonostante il suo cammino presenta sempre un inizio ed una fine uguali per tutti noi nel concetto.
Ma il libro di Leela ha quel tocco in più, quell’emozione che mi ha scavato dentro e mi ha riportato a tempi passati. Leela è una ragazza indiana adottata, io ero dalla parte opposta, ero alla ricerca di una Leela.
Così ho letto la premessa dell’autrice e le poesie con un pizzico di personalizzazione, forse, nel significato.
Passo dopo passo rivivo attimi, sensazioni, passioni e dolori, mai come quelli provati dall’autrice, ma in parte altrettanto forti.
Così sfogliando le pagine de Il destino immobile, ho visto nascere Leela, l’ho sentita stupirsi, l’ho sentita riflettere, l’ho sentita vivere, respirare, affrontare la propria bi-cultura ed estrarne quel grande sapere che si chiama cuore.

Questo libro è suddiviso in tre sezioni principali: Pioggia indecisa, La grazia del tuono, Brontolii dispersi.

Ascoltate i suoni e il loro alternarsi vicendevolmente, e capirete quello che considero il vero significato di questo libro. Vedo questo percorso come il cammino di una persona che nasce dal vuoto, lo riempie della propria mente, del proprio affrontare un percorso duraturo nel tempo, fino alla presunta fine, dove riaffiora il vuoto.

Finito di leggere questo libro ho constato che Leela quando parla del “vuoto” non parla di significati negativi come possono tornare alla mente le locuzioni ‘vuoto mentale’, ‘paura del vuoto’, ’un’esistenza vuota’ e tante altre. Al contrario, come nella maggioranza delle tradizioni culturali d’Oriente, l’idea di vuoto è sinonimo di infinita ricchezza di possibilità, di massima apertura e libertà. Ed in questo Leela è stata convincente, accattivante e superba. Ha utilizzato metafore che definirei sismiche, in quanto provocano al lettore una piccola scossa che percorre quella vena suggestiva che si chiama emozione. Vorrei citare una poesia su tutte, in quanto la reputo quella più imponente dal punto di vista emozionale: Lo specchio / mi regala la mamma / accarezzo il viso.

Ho assaporato le poesie di Leela e sono felice di avere tra le mani questa piccola perla di saggezza e di riflessione. Complimenti sentiti all’autrice per quanto ha saputo darmi.

sabato 27 dicembre 2008

Su Mus.cio e roe (Muschio e spine) di Fabio Franzin

Le Voci della Luna, 2006, pp. 152, prefazione di Edorado Zuccato

nota di lettura di AR

Un libro di vera poesia che dà alla lingua di un angolo veneto una portata universale (dunque un libro che molti dovrebbero darsi il piacere di leggere). Una sobrietà intelligente, concreta ed emozionante caratterizza questi versi di Franzin capaci di rendere alle cose quotidiane (che spesso diamo per scontate, ricordandocene solo quando ci vengono a mancare) quella pregnanza di senso, quella eticità di cui sono intrinsecamente portatrici. Il poeta si muove in questa “materia” quasi in punta di piedi, ma con occhio attento e acuto: l’uso di metafore e similitudini vivide e originali, di parole mai scelte a caso e “appoggiate” a una melodia dal ritmo marino e suadente paiono cullarci e invece ci provocano, mettendoci davanti agli occhi quegli squarci di realtà (ambientale, famigliare, umana) che restano laterali in questi giorni globalizzati e consumistici, eppure sono fondanti, perché è su questi squarci che si può recuperare il senso dell’esistenza. Si tratta insomma di poesie che rendono profetica una nostalgia che non vuole lodare il passato ma fornire valori e radici a un presente che sembra disorientato, specie oggi che un certo modo di intendere la finanza e l’economia è entrato in profonda crisi. Il “messaggio” di Franzin fa tesoro della tradizione e la declina in composizioni dallo stile maturo, molto ben caratterizzato, e non solo contemporaneo ma, come si diceva, profetico: una voce che grida dimessa eppure con forza tellurica dando anima a tutto quello che nomina.
Qui di seguito alcuni brevi passi tratti dalle 4 sezioni che compongono il volume.

Da Paesàji e lontananze (Paesaggi e lontananze)


Che segno pòrtea a gàea
’a secatrìce pì vècia?
a ’ndarghe drio co’na ongia
se injàzha un sogno di viéro,
e ’a candéa che te tièn
tel palmo, inpizhàda,
no ’a ’è pì longa de un sguardo.
(…)

Quale simbolo affiora / nella cicatrice più antica? / A seguirlo con un’unghia / si congela un sogno di vetro, / e la candela che tieni / nel palmo della mano, accesa, / non è più lunga di uno sguardo. (p. 16)


Bussa pian, e no’ co’e man,
Tóche co ’i òci chea porta,
parché darìo de dorme el scuro,
(…)

Bussa piano, e non con le mani, / toccala con gli occhi quella porta, / perché dietro ad essa dorme il buio, … (p. 27)


Còss’eo che l’ fat coeassàr i segni,
Che li ’a fati svnpìr via da l’inchiostro?

s.ciòpa ’e paròe in tramèdho ’na frase,
’e letere, a s.ciapi, ’e pàr tràdhe come
drento ’na inpirìa de spèci, e tut el poema
se condenza te un punto, te un busét nero
(…)

Cosa avrà mai fatto collassare i segni, / cosa li avrà fatti evaporare dall’inchiostro? // esplodono le parole in mezzo a una frase, / le lettere,a sciami, paiono come risucchiate / entro un imbuto di specchi, e tutto il poema / si condensa in un punto, in un piccolo buco nero … (p. 32)


Ma pensa anca ai sassi.
(…)
Pàr chii spète sol che i nostri passi
pa’ scuminzhiàr a sonàr, pa’ cantàr
insieme co’i nostri pie, co’e paròe
che sgrincia drento i nostri pensieri.

Ma pensa anche ai sassi. / (…) Sembra che attendano solo i nostri passi / per incominciare a suonare, per cantare / insieme con i piedi, con le parole / che scricchiolano dentro ai nostri pensieri. (p. 47)



Da Storièe e quaréti (de pianura) (Racconti e ritratti (di pianura))

Crèpi

Zhèrti cèi, curti crèpim tea tèra,
co’l sol la ssuga suito
dopo ’na spuaciàdha de piova tel sec.

Cossì ’e rughe drio ’l còl
scuro dei vèci. Quee che intìve
te mé pare pare, vègner fòra
soto ’l coèt dea camìsa,
co’l sbassa un fià ’a testa.

Zhèrte, squasi invisìbii, sgrafàdhe del tenpo
tea fòdra dea vita.

Solchi – Certe piccole, corte crepe, nella terra / quando il sole la asciuga subito / dopo uno sputo di pioggia sul secco. // Così le rughe dietro il collo / scuro dei vecchi. Quelle che scorgo / in mio padre, fuoriuscire / sotto il colletto della camicia, / quando abbassa un poco il capo. // Certi, impercettibili, graffi del tempo / nella fodera della vita. (p. 89)



Da Dai paesi al presepio

Far miràcoi

(…)
tornà fora co’ calcossa de scont
soto ’a majiéta; fermàr el pòro
Nane ferìo de guèra e slongàrghe
chel brazhét de plastica sparìo
verso chea mànega che pichéa,
Smolfa, pontàdha ta só spaea
co’ un ago grando de sicurezha

“tàcheteo co’a còea. Pin
pian el cressarà”.

uscire con un oggetto nascosto / sotto la maglietta; fermare / Giovanni, il povero mutilato di guerra e allungare / quel braccino di plastica introvabile / verso la manica vuota che gli penzolava, / floscia, fermata sulla spalla / con una spilla da balia // “incollatelo lì. Pian / piano si allungherà”. (p. 133-4)


Da Àneme ambueànti (Anime ambulanti)

I contastorie

(…)
… Forestièri dea storia,
àneme raménghe e soitàrie, i se àssea drio
senpre, dó ridoeàdhe e un fià de maravejia,
un cit de sbigóea e ’l scarabòcio de un sogno.

I cantastorie – … Stranieri della storia, / anime raminghe e solitarie, / si lasciavano dietro / sempre, due risa e un alito di meraviglia, / un pizzico di paura e lo scarabocchio di una fantasia (p. 142)


martedì 23 dicembre 2008

Gli auguri di Samuele Editore



Noi della Samuele Editrice cogliamo questa newsletter, a ridosso di Natale, per augurare ai nostri lettori un'ottima festa nel pieno spirito religioso e familiare di questo evento che, pur a cadenza annuale, andrebbe ogni volta vissuto con nuove valenze e con la continua ricerca di nuovi significati. Sociali, culturali, personali. Intimi anche. Perchè l'amore che sta alla base di questa ricorrenza è il bilanciere con cui ognuno prima o poi deve misurare se stesso. Un bilanciere severo eppure giusto. Un metro di misura dolce eppure intransigente. L'amore per il futuro al di là di se stessi. L'amore per il presente. L'amore per il passato che segna e insegna. L'amore anche per l'ignoto, che è la nostra vita, nella quale spesso abbiamo l'arroganza di saper decidere tutto. In realtà non possiamo gestire nulla, nè chi siamo nè cosa siamo. Ma possiamo capirne gli intrecci, ed agire all'interno di essi al fine di rendersi utili agli altri. Amando. Amando gli altri. Amando l'intreccio che è la vita nonostante le sue difficoltà.

Cogliamo inoltre l'occasione per fare un primo bilancio della nostra attività editoriale, nata da appena due mesi ma con grandi ideali e con una concreta voglia di fare vera editoria. Dopo tre anni di lungo e meticoloso studio tra biblioteche pubbliche e private, biblioteche diocesane, ricordi di gente esperta nel settore dell'ambito locale (Pordenone), talvolta anche con un banalissimo elenco telefonico alla ricerca di informazioni su nomi trovati solo accennati nelle biblioteche, abbiamo riportato alla memoria volumi di poesia ormai dimenticati, spesso ingiustamente, volumi di versi che tutti insieme ci hanno permesso di immaginare una fotografia storica dell'arte poetica di una città, al di là della sua valenza, al di là di tutto. Un'antologia. I poeti di Pordenone, Poesia del Novecento.

Abbiamo dato alle stampe e distribuito su tutto il territorio pordenonese e limitrofo, con un diretto e concreto rapporto con le librerie e le edicole, i primi due volumi della Collana. Ci siamo impegnati con un'operazione pubblicitaria che ha visto l'inserimento di novemila e cinquecento volantini nella rivista dell'associazione culturale Cinemazero. Abbiamo distribuito e appeso trenta locandine in formato maxi. Abbiamo contattato istituzioni e banche ottenendo, nei primi cinquanta giorni di attività, un volume di vendita di duecento copie per volume con una leggera flessione per il secondo, per un totale di trecentonovanta copie vendute.

Abbiamo ottenuto tre articoli sui giornali qui visitabili:

dal Gazzettino

dal Messaggero Veneto 1

dal Messaggero Veneto 2

e siamo in attesa di un quarto articolo sul nostro volume sul Messaggero Veneto

il nostro comunicato stampa e le seguenti newsletter sono rimbalzate in un'infinità di siti culturali in rete, qui qualche esempio:

Fara

Bartolomeo di Monaco

siamo stati gentilmente intervistati e ad ogni newsletter riportati su Arte Insieme di Renzo Montagnoli:

Arte Insieme

Siamo inoltre stati intervistati dal direttore Gigi Di Meo durante il telegiornale delle sette e un quarto di venerdì 19 dicembre, su TelePordenone.

Abbiamo promosso l'iniziativa dell'intitolazione di una via al primo autore della nostra collana, Ettore Busetto, con lettera depositata al Sindaco di Pordenone (qui) in data 17 dicembre, con la firma di alcuni tra i più illustri personaggi pordenonesi (la direzione della casa di cura San Giorgio, il presidente dell'Ente Fiere, e altri non meno importanti).

Abbiamo promosso un concorso (qui) con la possibile stampa (se gli obiettivi economici di ripresa delle spese venissero raggiunti) di un volume regalo dalla tiratura da casa editrice media (2000/3000 copie) con la previsione di una concreta e totale distribuzione in regalo da parte delle fiorerie in sei città della penisola in data 14 febbraio 2009. Un concorso che ha avuto molte critiche e molte soddisfazioni e che è a tutt'oggi in lavorazione al fine di ottenere un'operazione editoriale unica in italia.

Stiamo per iniziare una collaborazione con la rivista Whipart per l'edizione di una collana di quaderni contenenti racconti, poesie, disegni e quant'altro interessi il tema della dipendenza (addiction). Siamo per ora alla raccolta testi e allo studio dell'impaginazione per un progetto che non prevede, a differenza del precedente, alcun contributo autoriale, ma che vede noi della Samuele Editrice e Whipart in primissima linea nella promozione attraverso Happy Book appositamente creati nei locali individuati (ad ora Milano, Bologna).

Cogliamo infine le critiche rivolte alle nostre operazioni, per inciso a quella di San Valentino 2008, per sottolineare la nostra politica editoriale e la nostra mission: un'editoria seria che sappia supplire alle carenze e alle divagazioni dell'editoria di poesia attualmente presente in migliaia di case editrici italiane. Un'editoria che presenti il libro come un prezioso scrigno, elegante e curato per apparire un oggetto di cultura grazioso al tatto e all'occhio (non per nulla riprendiamo lo storico formato Scheiwiller e per il progetto di San Valentino proponiamo una copertina serigrafata, in rilievo), che contenga pagine da leggere e da rileggere, da imparare e sulle quali riflettere per poter un poco migliorare la propria vita. Perchè questo è il fine della poesia: migliorare la vita, renderla più leggera talvolta, talaltra renderla più consapevole.

Noi della Samuele Editrice siamo alla continua ricerca di soluzioni per portare concretamente i volumi che proponiamo in mano ai lettori, con lo stesso rispetto che abbiamo per gli autori. Noi non siamo alla ricerca del grande autore ma del grande progetto, sia esso un'antologia di poeti o un volume dedicato. Un lavoro condiviso che non finisce con la stampa ma continua con la ricerca di una collocazione del libro, di una sua giusta valenza, che continua con la ricerca della valorizzazione dell'autore nella misura in cui può essere curato. Non possiamo ovviamente prescindere dal lato economico essendo un'attività commerciale che deve alimentare se stessa (per il progetto di San Valentino abbiamo un preventivo tipografico di quattromila euro) con un occhio particolare all'immagine e al prestigio del logo (riprendiamo un logo storico che per noi è motivo di qualità e serietà).

Concludiamo infine questa nostra atipica comunicazione con i nostri migliori auguri di Buon Natale con la consapevolezza dolceamara che come torna ogni anno il Natale così torna il bene, così torna il male, nelle nostre vite, così torna l'amore e così torna la poesia. Sempre.


Samuele Editore
www.samueleeditore.it
http://samueleeditore.leonardo.it/blog

Natale 2008


di Antonietta Gnerre
(la foto è stata scelta da Dom Bernardo)

Io forse avrei voluto non solo fili di luci
– luminarie – ma delle mani più generose
che avessero più desiderio per il bene.

Natale è lì sulla poltrona
seduto da solo in mille coperte d’argento
senza affetto vero
circondato da calici, banchetti, ricami,
e carta sprecata per i doni.

Noi abbiamo perduto ogni memoria
nel donare le cianfrusaglie delle apparenze
il niente confezionato e infiocchettato.

In questo Natale impariamo
a regalare quelle piccolissime emozioni
smarrite negli specchi di questi anni.
Impariamo ad amare Gesù
limpida meraviglia
luce che si alza attraverso i soffi
dei nostri cuori.



lunedì 22 dicembre 2008

Bando Poesia al mondo 31-1-09

Su Cani al Guinzaglio nel Ventre della Balena di Simone Molinaroli

recensione di Vincenzo D'Alessio



La raccolta poetica di Molinaroli è una vera sfida alla civiltà del presente, una buona scrittura per catalizzare le voci giuste in una società disattenta. Troppa folla avvinta al benessere. Troppa assenza dalla vita famigliare. Troppo di troppo in ogni situazione sociale. Basta! Lo dicono i versi di tanti giovani poeti che saranno le fondamenta della poesia di questo nuovo centennio: “Io respiro / un po’ della mia morte / l’acre marasma della guerra tra i tempi / l’annientamento di un contendente” (pag. 35).
Ho incontrato tanta bella poesia in questi anni di appassionate letture poetiche. Autori che sono scomparsi in una luce fulminea. Autori che resistono grazie alla perseveranza di un’Arte sublime che rifulge in molte altre esperienze: musica (principalmente), pittura, scultura, teatro. Tra questi nomi figurano quelli di donne “sublimi” come la poetessa Maria Luisa RIPA (1966-2003), poeti come Antonio D’ALESSIO (1976-2008), William STABILE, Stefano SANCHINI, Massimo SANNELLI e altri ancora. Riverbera in loro la traccia indelebile della “fame” di eguaglianza in un mondo abbacinato dalla malefica misura dell’avere: “Il culo sudicio d’aprile / e le bestie proletarie / inghiottono merda / sul fondo di un amaro” (pag. 34).
Quanta strada ha fatto la Democrazia in una “specie” di nazione come la nostra? Dove cercare il sogno di una parità tra vincitori e vinti? “La ferocia irriducibile dei vinti / veste il germe del nulla / di bellezza e sacrificio / senza storia” (pag. 30). Allora la voce dei Poeti (quelli veri) si fa voce di Poesia Civile, che non è l’unica strada della Poesia contemporanea ma è l’unico modo per fare giungere alle orecchie cementificate dalla telemania della gente della nostra terra il messaggio vero, personale e poi universale, del disagio che i giovani vivono a causa dei meno giovani che non lasciano il Potere (chiamiamolo anche Dio Denaro, Dio Benessere, Dio Violenza, Arroganza, Ipocrisia, et altro). La mancanza assoluta di “nutrimento di una stirpe eletta di gladiatori brucia / nella calca di sogni infausti” (pag. 91).
“Il futuro non ha gambe / per venirmi incontro / nemmeno braccia per salutarmi” (pag. 92). Ben venga, questa melodia underground, questo gospel irriducibile dei ribelli, dei giovani costretti a scappare (migrare) dalle città inadatte a raccogliere i sogni “moonlight”, nel continuare ad avere “sete” di un Amore che soddisfi prima l’anima, poi il cuore dei “tedofori / della olimpiade giornaliera dei perdenti” (pag. 93).
C’è una costante crescita nella poetica di Molinaroli tra le poesie che compongono la prima delle cinque parti in cui è divisa la presente raccolta: nella prima parte compaiono tante similitudini che tendono a rafforzare le immagini bellissime della scrittura poetica che fondano sullo studio di altri Autori: “Depresso sulla spiaggia / come un rauco muezzin” (pag. 26); “Vuoto come una carcassa / agile come un cacciatorpediniere” (pag. 27); “Estrarrò parole / con la grazia di uno sminatore” (pag. 52). Nelle parti successive le poesie divengono sempre più precise nell’ordine delle parole, dei verbi, del tempo incluso nelle chiuse dei versi. Compaiono con maggiore frequenza le parole nella lingua inglese (che oggi è la più conosciuta) quasi a volere intavolare un dialogo multiculturale e polivalente. Credo che questa scrittura poetica troverà molti ascoltatori, molti amanti, molti prosecutori.
Non è una Poesia facile, affronta i temi attuali partendo da un lungo Nocevento internazionale, ma credo raggiungerà buone mete come (permettetemi una similitudine ): “acrobazia discreta / sospesa tra l’argine e l’abisso / il desiderio e il perdersi” (pag. 94).

Dicembre, 2008


domenica 21 dicembre 2008

Su Abitare nella possibilità. L’esperienza della letteratura di Antonio Spadaro

Jaca Book, 2008, pp. 304, € 24,00

Nota di lettura di AR

Questo libro è una miniera di materiali, suggerimenti, spunti: ogni lettore che desideri accrescere e “attivare” il suo ruolo, così come gli addetti ai lavori (scrittori, insegnanti, critici) vi possono proficuamente ricorrere per fare il punto su “Visioni di letteratura” e “Letteratura come esperienza” (questi i titoli delle due parti in cui si articola il volume). In quanto segue ne forniamo un parziale e stringatissimo sommario con l’intento di invogliare chi sta leggendo a procurarsi questo testo ricco di suggestioni, con riferimenti a tutto campo non solo ad autori e a critici letterari, ma ad approcci inediti alla creazione e fruizione dei testi.
L’itinerario parte con il capitolo intitolato “Letteratura come menzogna” e si prefigge di rispondere alla domanda: «la letteratura vive nel territorio della verità o in quello dell’inganno, della menzogna?» (p. 29). Se per Giorgio Manganelli è una sorta di nevrosi infernale e artificio barocco e mendace, Spadaro osserva che occorre prima chiedersi «quale sia la verità propria della letteratura» (p. 35). Nel secondo capitolo, “Letteratura come resistenza della parola” l’autore si domanda: «qual è la parola umana di fronte alla tragedia?» e sottolinea la tendenza al silenzio non solo dei versi sulla guerra di Ungaretti, ma anche di opere narrative come Il partigiano Johnny. Il terzo capitolo (“Letteratura come «patente d’infinito»”) è dedicato in particolare a Paul Celan, al “respiro” della poesia sempre in tensione verso un Altro: «È questa tensione che genera l’espressione poetica. La poesia è spingersi sul ciglio di una trascendenza, che qui appare senza volto, senza la quale la parola poetica sarebbe impronunciabile.» (p. 51) osserva Spadaro analizzando la poesia Salmo. “Letteratura come vita”, il quarto capitolo, ci presenta l’approccio di Carlo Bo e del suo maestro Charles Du Bos che nelle espressioni letterarie saldamente congiunte alla vita ricercano quella materia che plasma l’anima. Mentre il quinto capitolo è dedicato all’approccio casto dei New Puritans, il sesto ci parla di “Letteratura come sguardo lirico sul mondo” con particolare approfondimento della poetica di Lawrence Ferlinghetti: «per lui la poesia è “notizie dalla frontiera della coscienza” (…) la poesia porta alla parola ciò che vive nei confini della consapevolezza e dell’interiorità» (p. 87). Il settimo capitolo si intitola “Letteratura come passione per il mistero reale” ed è un intenso saggio su Flannery O’Connor per la quale: «Ciò che può aiutare a scrivere è qualsiasi cosa aiuti a vedere, qualsiasi cosa induca a guardare. Lo scrittore non dovrebbe mai vergognarsi di fissare perché “non c’è nulla che non richieda la sua attenzione”. In questo atteggiamento è presente un profondo senso dell’ascolto, del rispetto, dell’obbedienza nei confronti della realtà e del suo mistero» (p. 96).
“Letteratura come profezia”, il capitolo successivo, è dedicato alla critica empatica, interconnessa con l’interpretazione “drammatica” delle Scritture (in primis dei Profeti), di Giacomo Debenedetti che «chiedeva alla letteratura l’impegno di non rinunciare al suo compito di conoscenza e testimonianza di umanità» (p. 103). Si passa quindi al capitolo nono, “Letteratura come teologia”, che ci offre un incipit riassuntivo del cammino fin qui percorso da Spadaro: «La direzione del nostro itinerario tra le visioni di letteratura ci ha fatto intuire come la “verità” della letteratura stia nella sua capacità di interpretare l’esistenza e di condurla al di là di sé stessa: ora resistendo al senso comune (Manganelli); ora superando il grido inarticolato o l’afasia della tragedia (Celan); ora scavando nella regio dissimilitudinis che è l’anima (Bo); ora tenendo un’attenzione “casta” sulle storie reali (New Puritans), oppure invece valorizzando l’ “intelligenza lirica” che coglie nella realtà simboli e idee (Ferlinghetti); ora attingendo con passione al «mistero della nostra posizione sulla terra» (O’Connor); ora accogliendo la vocazione «profetica» della letteratura (Debenedetti)» (p. 115).
Il capitolo continua con un’analisi dell’esperienza critica di Jean-Pierre Jossua, lettore teologo «particolarmente colpito dall’orientamento che si richiama a un desiderio, a un’esperienza o a un movimento di trascendenza» (p. 122).
“Letteratura come presenza” (il capitolo decimo, dedicato a Proust e Sainte-Beuve) conclude la prima parte (“Visioni di letteratura”) del volume.
La seconda parte (“Letteratura come esperienza”) inizia con il capitolo “La pagina che illumina”: «La verità della letteratura consiste nella sua capacità di parlare della nostra vita interpretandola al di là di sé, della usa mera apparenza. È nella lettura che questa forza si sprigiona. Nella lettura efficace si crea dunque una relazione forte tra lettore e libro, nella quale il lettore non domina le pagine, ma piuttosto vi si muove all’interno e, mentre legge, si legge, cioè legge sé stesso» (p. 141).
Questa “forza” della relazione opera-lettore Spadaro la fa risalire alla millenaria tradizione della lectio biblica: «Aprire la Bibbia non significa solo aprire un oggetto-libro: la lectio divina della tradizione occidentale legata al Testo Sacro considera questo come un mondo di significati nel quale, potremmo dire, “abitare” (p. 142). Passando in rassegno il pensiero di teologi come Rahner, Ugo da San Vittore, von Balthasar e altri intellettuali del Novecento, si «indaga la vicinanza di mistica e poesia» (p. 149) e nel capitolo che segue (“La lettura che coinvolge”) l’Autore propone un’esperienza letteraria a partire dagli esericizi di Ignazio di Loyola: «La dinamica che si sviluppa negli Esercizi può essere descritta come un “giocarsi”: l’esercitante “si mette in gioco”.» (p. 158 ); «In questa prospettiva leggere un libro non può che voler dirre leggersi in esso, cioè nell’esperienza che di esso si fa. Lettura, come aveva scritto il filosofo Luigi Pareyson, è sinonimo di “esecuzione”, proprio nel senso che questa parola ha nel campo musicale…» (p. 159); «Il coinvolgimento del lettore, alla luce degli Esercizi, è una situazione nella quale il soggetto entra con tutto sé stesso (memoria, intelletto, volontà, direbbe Ignazio, e cioè con le sue aspettative, i suoi ricordi, la sua comprensione del reale) e lì riesce a compiere un’operazione di lettura di sé attraverso e nel testo.» (p. 164).
Il terzo capitolo della II parte si intitola “La scrittura creativa come «esercizio spirituale»” e presenta una concrea applicazione dell’approccio ingnaziano: «… gli Esercizi hanno generato motlo scrittura: ogni esercitante ha avuto nei secoli fino ad oggi il proprio quaderno di appunti. È un atteggiamento che nello scrittore diventa decisivo. In alcuni casi gli appunti sono vere e proprie opere originali. È il caso, ad esempio, degli appunti del poeta Gerard Manley Hopkins, dei testi raccolti nell’antologia Hearts on Fire [a cura di M. Harter, Loyola Press, 2005] o dello splendido volume Thirty Days del poeta e critico letterario statunitense Paul Mariani» (p. 179). Più avanti troviamo queste parole che ben si possono applicare anche al lavoro editoriale: «Tagliare, selezionare, essenzializzare, ridurre all’osso non è un vuoto esercizio stilistico, ma un’arte comunicativa. È un lavoro di scavo, dunque» (p. 180). E così arriviamo al quarto capitolo: “Ispirazione poetica come discernimento” che si apre citando una domanda decisiva del poeta Adam Zagajewski: «l’ispirazione è gioia o malinconia?» (p. 187). Chiudendo il capitolo Spadaro afferma: «… se la poesia ci innalza al di sopra della rete empirca delle circostanze che forma il nostro destino, lo fa perché spontaneamente colloca il lettore – ora drammaticamente ora soavemente – sull’orlo dell’abisso della sua origine, del suo inizio, spingendolo verso una conoscenza più profonda e radicale di sé stesso e della realtà» (p. 194).
“La fantasia come visione” è il titolo del quinto capitolo che tratta in particolare l’approccio all’argomento di C.S. Lewis secondo il quale «a definire la fantasia è il suo rapporto con la realtà: più le si allontana più essa si confonde con l’illusione, che è altra cosa» (p. 202). Nel finale di questo capitolo Spadaro scrive: «Dire dunque che l’opera d’arte è frutto della fantasia significa affermare che essa non è né conduce verso una fuga dalla realtà, ma è una visione di essa, un atto di fiducia in ciò che è.» (p. 210); «… senza “sospensione dell’incredulità”, senza “fede”, non c’è esperienza letteraria che tenga» (p. 210); «… la critica letteraria può assumere anche il compito di scegliere quali storie e quali visioni siano “degne di fede”, e quali siano gli effetti di questo affidamento» (ivi).
Il capitolo seguente, il sesto della II parte, si intitola “La narrazione come principio di libertà”. A p. 216 il Nostro afferma: «La narrazione in gruppo ha da sempre creato famiglia, tribù, legame affettivo, identificazione; ha generato la percezione di far parte di un corpo, di una collettività, di avere una vita condivisa o una missione comune. L’uomo racconta storie per liberare la sua storia dal rischio di una muta insignificanza chiusa in maniera soffocante nella sua incomunicabilità» (p. 216).
«Ogni lettura si inserisce in una storia di letture, in una tradizione che tramanda e dunque anche sceglie cosa leggere nel presente e così cosa trasportare dal passato al futuro.» (p. 225): con queste parole si apre il capitolo settimo “La critica letteraria come scelta di percorso”. L’Autore ci parla del canone di Harold Bloom e si pone la «domanda, vaga ma anche suggestiva: ha ancora un senso la critica letteraria militante, cioè una critica che si confronta con l’attualità letteraria e non fa leva sulle certezze di letture consolidate e di una storia critica?» (p. 237). Più avanti scrive: «La letteratura non è “salvezza”, ma “discernimento”, e la critica, in particolare, come ha scritto il critico Emanuele Trevi, è una “questione di lupi”: il “lupo” è il nostro destino, la verità della nostra vita, che spesso ci fa paura.» (p. 240); «Tuttavia l’emettere un giudizio non è la causa finale vera e propria del lavoro critico, ma è al più un dato che emerge quasi spontaneamente, anche se in modo non definitivo, dal lavoro di confronto e di discernimento sulle radici e l’orizzonte di un’esperienza letterari che si avverte come riuscita o meno» (p. 244).
Chiude questo scrigno di idee, questo tessuto di percorsi, questo confronto con autori, critici, pensatori, teologi, santi… una Appendice intitolata “Domande aperte”: la prima è “La letteratura è rivale della fede?”, la seconda è “La poesia è rivale della felicità?”. Sono questi anche i titoli dei due capitoli che compongono l’Appendice. Il lettore vi troverà interessanti risposte.

Notizie sull'Autore e i suoi scritti qui e qui
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venerdì 19 dicembre 2008

È uscita borderlinea opera prima di Loris Ferri

Un poema in versi il cui titolo, borderlinea, è un metaplasmo dall'inglese borderline, sintomo di devianza psichica e sociale, stampato per Thauma edizioni 2008, con prefazione di Gianni D'Elia (riprodotta qui sotto), opera in copertina di Loreno Sguanci (“Testimoni”, 2000) in un foto di Aurelio Amendola.

Testi di borderlinea sono apparsi su diverse riviste: n. 72 di “Tratti”, sulla rivista di esplorazione: “Argo” e su varie antologie: nel volume L’arcano fascino dell’amore tradito, omaggio a Dario Bellezza edito da Giulio Perrone nel 2006, in Logos edito anch’esso da Giulio Perrone nel 2006 e nell’antologia Poeti Italiani Underground, Il Saggiatore 2006. La silloge “Demoni e fiori di provincia” è apparsa nel volume Scorie Contemporanee, i poeti della Gru (e-book scaricabile qui). Un testo è apparso ne: Il Segreto delle Fragole poetico diario 2008, edito da Lietocolle.
Un testo è apparso nel volume: Porta Marina. Viaggio a due nelle Marche dei poeti a cura di Massimo Gezzi e Adelelmo Ruggieri, PeQuod 2008.

per info: ferri.loris@libero.it
www.myspace.com/lorisferri


Il poeta è un traduttore
[ di Gianni D’Elia ]
A mio padre, maestro di Loris

Il personaggio principale di queste poesie è il poeta
stesso, un poeta romantico e maledetto, erede di Villon
e Baudelaire, di Dylan Thomas e di Blake, ma soprattutto
di Majakovskij e di Esenin. Si direbbe che Loris Ferri
costruisca il suo primo libro come un concerto vocale
in vari movimenti, presentando all’uditorio silenzioso
dei lettori un oggetto nuovo, anzi, antico, come voleva
Pascoli del sole: è che in realtà con forza il collo ho
premuto / alla nuda materia. e l’ho baciata”.
La città (Pesaro) e la donna sono questa materia.
Così, borderlinea (metaplasmo dell’inglese borderline,
segnale di devianza psichica e sociale) si struttura
come un diario di viaggio: prima sulla linea adriatica,
poi verso est e nord est: la Dalmazia, Vienna, la Moldavia,
a ricavare da quei paesaggi umani del crollo utopico
la linfa del vagabondo, la flânerie, la fantasticheria
della realtà storica, umana, amata e odiata. Concerto
orale, detto agli amici di viaggio, a quel popolo
della notte diversa, tra bettole e locande, bar e moli
solitari, strade della prostituzione: l’acuta
osservazione surrealista si nutre di un tono alto,
quanto bassa è la materia evocata; ma Loris Ferri,
con la sua rabbia di poeta fuori da ogni giro colto
e privilegiato, è un autore colto, che ha studiato
al liceo classico e poi all’università, ma intanto ha
lavorato come muratore col padre. Il suo tono tragico
è reso credibile, non solo dalla bravura metrica di
una lunga tradizione acquisita, ma dalla passione di
verità esistenziale che si respira in queste liriche
e in questi poemetti, tra cui svetta La pittura del genere umano, con quel rivolgersi (“miei cari”) alla
pietà del mondo, col sarcasmo polemico del reietto,
per quelle nuove povertà che assediano il presente.
E qui il tono è quello teatrale di Pasternak: la commozione
e lo sdegno. Da Rimbaud a Mandel’stam, qui si traduce
il dissenso d’oggi. Massimo Ferretti, autore marchigiano
scoperto da Pasolini, ritorna nel ritmo cardiaco di queste
dolci/aspre liriche narrate e cantate, con tutta la nuova
ribelle Allergia della gioventù bastonata nel lavoro e
a Genova, fino alle bastonate letterarie di una società
culturale scandalosa nella sua chiusura e nei suoi
giochetti. Non è un caso che Loris Ferri (insieme
all’amico Stefano Sanchini) abbia trovato in Roberto
Roversi un interlocutore attento e partecipe di un’opera
comune che sta germogliando con ammirevole candore
e forza civile e espressiva. Io stesso, qualche anno fa,
in un mio lungo racconto citai Ferretti per la frase sui
marchigiani come “i russi dell’Italia”. Qui pare che
Loris Ferri incarni davvero di nuovo la forza morale
della rivoluzione poetica, e per giunta in una lingua
da traduzione così suggestiva da sdoppiarsi: passando
dal “maniaco-depressivo o esaltato al cuore fertile
della tragedia di tutti”, volendo qui riprendere le
parole del massimo critico francese scomparso
(Bernard Simeone), a cui avrei caldamente
consigliato questo giovanile e aureo libretto
d’opera seria, che pare dedicato a tutti i marginali
d’Europa: “ fratelli soci negletti al lavoro ”, in
viaggio tra le macerie di pace e di guerra del nostro
passato presente.
Pesaro, 18 aprile 2008