venerdì 28 settembre 2007

Poesia civile a Vercelli 3-7 ottobre


3° FESTIVAL DI POESIA CIVILE CITTA’ DI VERCELLI

Eguali mai diversi
Diversi sempre eguali(j.l.g.)

dal 3 all’ 7 ottobre 2007

parole e musiche, reading e spettacoli, video e poetry dance,
incursioni e declam/azioni, poesia in tanti modi, tanti modi per la poesia

con Evgenij Evtushenko fra gli altri partecipano Andrea De Carlo, Maurizio Cucchi, Giampiero Neri, Sergio Zavoli, Lucilla Giagnoni, Marco Costantini, Federico Sirianni Manuela Rastaldi, Giusi Baldissone, Carla Crosio, Manuele Cecconello, Emilio Fantin, Gian Luca Mischiatti, Eliana Frontini, Flutes Juice, Max Bottino

L'INTERO PROGRAMMA DEI 5 GIORNI DI FESTIVAL è VISIBILE NEL SITO www.poesiacivile.it

per informazioni:
U.R.P. del Comune di Vercelli
tel. 0161 596333
e-mail urp.comune@comune.vercelli.it

Turismo Valsesia Vercelli
tel. 0161 58002
e-mail atlvercelli@libero.it


il Festival di Poesia Civile “Città di Vercelli” è stato ammesso alla UNESCO’S World Poetry Directory

Stato di vigilanza a Terra del Sole 29-9


Sabato 29 settembre al BIGmamy Concept Store di Terra del Sole (FC), Gianfranco Fabbri presenta il suo ultimo libro intitolato Stato di Vigilanza edito dalla Manni editore. Gianfranco è un “minimalista metafisico” che cerca con la parola una chiave d’acceso all’opera dei giorni, e al potere che il quotidiano esercita sulla realtà delle cose. Stato di Vigilanza di Fabbri propone di avere sempre cura della verità. Gianfranco Fabbri, senese di nascita e forlivese di adozione, ha esordito in poesia nel 1980 e in narrativa nel 1995. È redattore di riviste, segretario del premio Spallicci che quest’anno è incerto se si farà, gestore del blog la costruzione del verso & altre cose. Il BIGmamy Concept Store di Terra del Sole è contenitore di meraviglie dove stili, prodotti e concetti si fondono con eventi musicali e culturali,degustando cibi e bevande locali e dal mondo e dove puoi acquistare tutto ciò che vedi…
L’evento inizia circa alle 21 ingresso gratuito per info: 3487840705
Coduce la serata Cristian Pretolani

The best of (Valerio Grutt)


Giocate su nonsense, visionarietà (“al centro del grande zabaione / dove Napoli galleggia”; “il fiato del mare gonfia le lenzuola”; “come un tuono in anticipo nel tuo cielo perfetto”) e anche un po' splatter, queste poesie comunicano una leggerezza tragicomica che ci ricorda quella (sul versante narrativo, ma in fondo questi versi ci paiono abbastanza prosastici) di Chiara De Luca. La reatà pare essere così pesante, brutta e assurda che forse è meglio scovarne il lato ridicolo o spiazzante, cortocircuitare i ragionamenti e dare una scossa piacevole, stuporosa, simil romantica al lettore, che poi magari si chiederà cosa c'è oltre questi stravolti eventi, situazioni, sentimenti così quotidiani eppure ineludibili: ”se m’innamorerò ancora ma non di te / è per lasciare spazio al nulla / nello spazio tra i miei occhi e i miei occhiali.”


da Gli occhi di mia madre, tre volte i miei (titolo molto provvisorio)

a mio padre che sarà tra forbici e stelle

Quel giorno avevano chiuso agosto
con i limoni sugli occhi

non sapevo ancora niente
degli aperitivi e dei film di Burton

giocavo a pallone
con la maglia del portiere

al centro del grande zabaione
dove Napoli galleggia

nella sala d’attesa
tolsero l’acqua al pesce rosso

il dottor temporale disse di chiudere le porte rimaste socchiuse
ci caricarono il buio alla nuca e spararono

ero un elefante con le gambe secche
e non ci volle molto a cadere

era l’ultima via Santa Lucia
che se ne andava timida dal golfo

hanno visto alzarsi in volo uno stormo
dalla piazza fredda del letto di mia madre

hanno tolto l’uomo
hanno sradicato le sue mani dalle mie

quando tornerà sarà davanti agli occhi di Antonio
e tra le braccia di Maria come il figlio che non ha

quando tornerà non sarà buio il corridoio
si siederà a tavola e dirà: “perché avete aspettato tanto…

potevate cominciare”.


***

Gli occhi di mia madre, tre volte i miei
da tenere il disastro di questi giorni
e la solitudine di ogni singolo figlio
dentro al buio tra le porte

dalla cucina, nella casa di Santa Lucia
stendendo un braccio si arrivava in tutte le stanze.
Le corse agli elettrodomestici della domenica,
una brezza di fucile dalla finestra.

Ora saltano gli acquedotti
e i ragazzi vanno di fretta, risucchiati
dai cantieri stradali, i lavori iniziati
della nuova linea metropolitana,

una malattia ci corre dritta.
Ricostruiscono le torri, le fanno di luce
che di luce erano fatte, come i nostri cuscini
ad attutire il colpo nel sonno.

All’una e cinquantasette di un tre aprile
mi sembra di correre su un tapis roulant.
Ho libero il frigo per la nuova forma di grana,
la indico tendendo il muscolo dell’avambraccio
la stella sullo scaffale dell’ipermercato.

***

Un giorno tornerai a Ischia lucente
isola sola, lontana mille anni dal mare.
L’abbronzatura all’oro degli anni
che brilla di notte al gelato d’agosto a due gusti

e scale di case dall’aria salata
che increspa i capelli, e salite e discese dagli occhi.
A lui chiederai i capelli a cavatappi,
e di pettinarti giornate strappate all’abbraccio

della madre larga e del padre fascista
che ti compra le scarpe per camminare in campagna
e t’adotta alla zia che ti lascia una corda
per attaccare il sole a una sedia sul balcone.

Mamma che sfogli settimane enigmistiche,
e t’accendi al divano per le corde che stridono
dell’ascensore che mi porta al quarto piano.
Figlia di un marito scorpione e parrucchiere,

che giocava nella vita da angelo, tirato giù da un albero
a bere dagli angoli le cose felici, tendeva una mano
al tuo sonno cattivo e tre figli, ti baciava sereno
come se non esistesse la pioggia ed il buio.

Tornerà la gioia del primo giradischi
la scoperta di cose naufragate nell’ombra.
Le ali aperte dei figli tuffati, alla buona pazienza
del cuore, di piazze, di auto al casello,

del respiro, vacanze, di sere finite
alla noia beata dell’essere soli.
Verrò a mangiare melanzane a funghetti,
all’alba del tuo sorriso preso a bellezza dei salti di uccelli.



da winona ryder ama un altro

mentre rimani
come un fiore nudo sull’acqua

arrivo io
ballerino di impalcature

con l’orario dei treni
in una mano

e il sole
nella lente sinistra degli occhiali

a riempirti di alberi
buoni per addormentarsi

passa il vento e il dopobarba
mi si spettinano le ciglia

giravolta e marmellata
albergati in un maglione

il fiato del mare gonfia le lenzuola.


***


tra un’oretta un’ora una carezza
il sole si addiziona

ombra o ventosa
tre baci tre alberi

mano nella mano scivoliamo
milano

bionda come non mai o luce
latte

mare come sale come andare
mimosa

immaginare con poca chiarezza
la stessa cosa.


***


e vieni!
magari in brasile

se mi vuoi telefonare

per mano lontano
onda più onda e vulcano

se solo mi aspettassi per un aperitivo

neanche la cena
la notte balena

rimango

orizzontale e vestito
mi vedo spuntare bambino

da dietro

con la maglia mars di maradona
ti invito.



da michael j fox (all’interno di “winona ryder ama un altro”)


ti devo dire quella cosa del futuro
come un tuono in anticipo nel tuo cielo perfetto

adesso che abbiamo trent'anni prima
non chiudermi l'amore

ma aspetta che mi cambio
non posso tornare vestito come un imbecille

ma ora che so dove cadrà il fulmine
dammi la mano

per ripartire da quando sono partito
nutrendo con plutonio l'amore.



da il surf delle mattonelle (all’interno di “winona ryder ama un altro”)


per strada avrai visto capelli rasati
e camminate che sembravano le mie

e spille colorate su un accento napoletano
avrai visto i lacci doppi sulle scarpe da skate

e quanti pantaloni larghi avrai conosciuto
e di gente che dice di fare e di amare

con più grazia di me
e una volta quasi lo sguardo sotto un berretto

il pizzetto e il portachiavi
un arancione migliore di quello del mio zaino

una spensieratezza meno lavorata
e avrai visto le birre aperte con gli accendini

le giacche e le sigarette e l’altalena
bere vino scaduto per tutta la notte

winona ryder, uno con la faccia da VJ
e un senegalese di trent’anni

ti giravano intorno e tu ridevi

prendendo ogni stella per attaccapanni
a cercare quella che ti somiglia, la più magra

avrai visto il taglio sul sopracciglio
il centro sociale e lo sbadiglio, il coniglio

la novità che non sta nel sogno
addirittura il neo più intimo ma non ero io

e ora che mi hai trovato
perché non mi dai neanche un bacio?


***


dimmi come ti vesti stasera mia piccola prévert
con le scarpe gialle e verdi li ucciderai tutti

il cappellino che ti ho regalato non fa sentire il freddo
e se ti pizzica un po’ la fronte non temere

fin quando te ne ricorderai potrai dire alle tue amiche
che io l’ho tirato fuori dal buio per coprirti dal buio

e mai nome fu più appropriato
se ogni volta che ti vedo perdo il filo

torna anche da un ramo 6 chilometri distante dal cielo
che non sa l’inglese

arianna non si traduce si taglia
torna anche dal buio maledetto

che non sa farsi amare
torna sulla mia bocca dove sa farsi amaro il tuo nome

l’anima tua maria maddalena
sofia loren e catherine per marcello

i telefilm, il cioè dell’edicola
se m’innamorerò ancora ma non di te

è per lasciare spazio al nulla
nello spazio tra i miei occhi e i miei occhiali.



Valerio Grutt è nato a Napoli nel 1983. Scrive slogan pubblicitari, poesie, racconti, format televisivi, canzoni, sms, sceneggiature di colossal cinematografici hollywoodiani. Regista, presentatore, poeta, videomaker, rapper, attore, supereroe (come il fariano Alex Celli?, domanda di AR). Una volta ad Amsterdam è stato investito da un’ambulanza (con la sirena accesa) ma non si è fatto niente. Alcuni dei suoi scritti sono presenti in antologie come “Poeti italiani underground”, in numerose riviste e su muri di periferia. Premio Nobel per la letteratura nel 2004, e vincitore del festival bar l’anno seguente. Ama moltissimo il copia e incolla, cani e rane. Collabora come creativo, organizzatore e presentatore con il Centro di Poesia contemporanea dell’Università di Bologna. Dirige con successo la Popcorner factory.
Il suo più grande obbiettivo nella vita è scrivere il proprio cognome senza che word lo segnali come errore.

LETTERA in VERSI n. 23

Newsletter di poesia

SETTEMBRE 2007


Numero dedicato a
LUIGI DE ROSA

scaricabile qui
e i precedenti
qui

SOMMARIO
Editoriale
Profilo bio-bibliografico
Antologia poetica
Antologia critica
Intervista



LETTERA in VERSI è una newsletter di poesia, contenuta in allegato, a carattere monografico, nata da un'idea di Margherita Faustini e Rosa Elisa Giangoia, che ne cura la realizzazione con la collaborazione di Liliana Porro Andriuoli.
LETTERA in VERSI viene diffusa unicamente via posta elettronica ed è pubblicata con cadenza trimestrale. È inviata gratuitamente ad un gruppo di amici, che si spera progressivamente di ampliare grazie a segnalazioni e richieste di persone interessate. Per riceverla o per revocarne l'invio ci si può rivolgere all'indirizzo rogiango@tin.it

giovedì 27 settembre 2007

I Mirmidoni (Federico Italiano)


Federico Italiano mi pare in questa opera proporsi come valido e convincente sodale di quella famiglia virtuale (se mi si consente il termine) di poeti in cui annovero senz'altro Alessandro Rivali e Davide Brullo e che mi piace definire “neoepica”. In loro non solo gli eventi ma il tempo stesso diventano simbolici, allegorici, parabolici; il linguaggio ha una misura storica, il racconto trasfigura l'attualità e in qualche modo la forgia oltre l'usura dei giorni, il messaggio è affabulante e impegnativo al tempo stesso, le immagini diventano visioni, il tempo oscilla dando una sensazione di universalità anche a dettagli minimi… Ma meglio di me dice del Nostro Davide Brullo:

”È difficile trovare in Italia un poeta più consapevole e più shakespeariano di FEDERICO ITALIANO (1976). Il quale, a dispetto del cognome, è scrittore apolide, che si nutre di molteplici tradizioni letterarie. Questione di biografia, forse. Il Nostro abita a Monaco di Baviera da circa un lustro e si occupa “professionalmente” di traduzione. Il suo sforzo, condensato in un numero monografico della rivista Atelier dedicato alla Giovane poesia europea (n. 30, giugno 2003), si muove agilmente tra almeno quattro lingue: egli ha dato versioni di poeti inglesi (Elizabeth Bishop), tedeschi (Durs Grünbein, Michael Krüger e Lutz Seiler), spagnoli (Vicente Aleixandre) e francesi (Philippe Soupault). Si diceva di una lirica shakespeariana. Provare per credere: Italiano, cosa rarissima nel Belpaese, è poeta che tiene la misura lunga, e anche lunghissima, con facilità spaesante. Ed è, soprattutto, poeta che crea la vita, che crea uomini a tutto tondo, pieni e sfaccettati, e storie romanzesche. Accade così che nel saggio d’esordio Nella costanza (Edizioni Atelier, 2003) e nel poemetto I mirmidoni (Il Faggio, 2006), porzione di una scintillante raccolta in itinere, oltre ai magisteri di Seamus Heaney, di Josif Brodskij e di W.H. Auden, si senta il riflusso di un Vladimir Nabokov e di un Henry James. Il Nostro è anche capace articolista di «Alias», supplemento culturale del «Manifesto», e di «Nuovi Argomenti».“ (D.B.)


(da I Mirmidoni, con nove disegni di Andrea Boyer, Il Faggio, 2006).


E intanto i loro cavalli brucavano il prezzemolo selvatico
che cresceva robusto tra le lastre del cortile
sotto i tavolini. Avevano
deposto gli archi dai corni di capro,
le gaudenti antenne dei monti,
alle vetrate del museo.
Le gambiere inutilizzate luccicavano al sole d’ottobre,
obliquo sulla Glittoteca del Klenze.
Ginocchiere e fucili, mortaretti e cinturoni,
spade scintillanti dall’elsa celtica
e scudi con riproduzioni di Bosch e Vermeer
occupavano numerati i guardaroba all’entrata.
Gli eroi riposavano ai tavolini, con i Ray-Ban
di Cousteau e i Rolex cinesi. Discutevano
dell’attesa, i Mirmidoni dalle giacche di velluto,
della pax monacensis. L’inverno s’avvicinava
e non li avrebbe riscaldati
il sangue di Ilio sacra.
Alcuni si erano dati alla catalogazione,
altri giocavano a scacchi
e Maerten, figlio di Roman dai bei capelli,
studiava sui fogli della Zeit
l’assalto quadrettato.
Attendevano chi li avrebbe riscossi dall’ozio.

L’argentino Rosenstolz, custode d’origine ebraica,
per un quarto italiano, così parlò nella pausa-caffè,
presso le tende dei Mirmidoni:
«Non ce la faccio più coi turni la notte.
Ogni tanto converso con mia figlia
al telefono, prima che si addormenti.
Spengo e riaccendo le telecamere,
così, per un brivido risolutore
o memorizzo le didascalie di ogni singolo coccio.
Ah, come spossa ‘sta solitudine da guardiano,
che ci chiamino cani e la finiscano lì.
Curarsi è fondamentale:
non m’impomato i capelli per le statue e il vasellame,
ma per una sensazione di pulizia,
d’ordine, che mi sorregge.
Qui si attende e la speranza è un atletico Lupin
che ci sfidi alla giostra del crimine.
Nella veglia notturna,
l’esser ben rasato, la cravatta
rigorosa e i capelli avviati t’infondono sicurezza.
Ieri stavo a casa, sul divanetto di fustagno beige,
una tazza di buon caffè italiano con latte bavaro
(mi tratto bene, compro sempre
la confezione da 250 g. di Illy,
in un Feinkostladen del centro; è cara,
ma mi sento un signore
quando esco dal negozio). Guardavo la tele
e dalla centrifuga dello zapping
salta fuori la grassona dei tarocchi
(che anche qui si facciano ingabolare? Pensai).
Schermata gialla, fiori di plastica a coprirle i gomiti,
un fondo stellare, luccicante, intermittente
con Andromeda in caratteri gotici.
Apre la boccuccia, una ciliegia in un pallone aerostatico
– cosa volete dalla vita, cari telespettatori?
Ed io (quasi le scaravento la tazza
sul faccione) penso a mia figlia
all’ultima volta che mi ha abbracciato, giocando
coi lobi stanchi delle mie sventole,
dicendomi che mi vuole bene. Non ci crederai,
ma dopo pochi minuti
suonano alla porta e chi ti vedo?
Proprio lei, con un sacchetto del Nordsee
(lo conosci, nevvero? Un fast-food a base di pesce)
due baguette con merluzzo e Bismarckhering alla cipolla,
una porzione di fish & chips e due pepsi.
Ma non solo. Un maglione dolce vita, mi ha portato,
grigio scuro, come piace a me,
da infilare sotto le giacche per risparmiare
in camicie ed essere comunque in ordine.
Mi disse – papi, non ti preoccupare,
ti ridaranno prima o poi il turno fisso di giorno».

Altrove infuriava la battaglia.
Rosenstolz, il custode dalle cravatte cobalto,
tornò nelle sue stanze
e Maerten ordinò la pils pomeridiana.
«Hai letto l’articolo dello Spiegel sull’ambra?
Che roba! Due paleontologi tedeschi
hanno beccato un geco,
tutta una testa ben conservata. Un buon pezzo,
più grande di un pugno. Resina pietrificata,
un indurimento di milioni di anni».
«E qui torna il Baltico. Non ti dicevo che lì girano
forze strane, un magnetismo raro?».
«Quell’arcipelago di ubriaconi era sede
di una foresta subtropicale nell’era dell’Eocene
e le secrezioni d’alberi infiniti
costrinsero alla conservazione eterna
miriadi di insetti. A volte, a impasticciarsi,
erano pure piccoli rettili o anfibi:
quel geco, ‘orca l’oca, ha quasi 40 milioni d’anni».
«Sì, ho visto anche le foto, cazzo che roba!».
«A proposito, questa è la miglior pils che ci sia:
sai che hanno vinto il processo
contro gli americani?» «Meno male, almeno quello.
Ora solo la Budweiser ceca può chiamarsi così,
quella americana solo Bud».
«Trans Suionas aliud mare, pigrum… come continua?
Pigrum ac propre immotu. Chi è?»
«Tacito. Guarda che l’ho letto anch’io».
«Diede anche lui notizia dell’ambra – o gleso,
come la chiamavano gli Estii, veneratori
della madre degli dèi. La raccoglievano
nei fondali o sulla riva e stupivano del prezzo
a cui la potevano rivendere.
Sul fatto che fosse una resina vegetale, il vecchio
annalista, c’aveva azzeccato.
Ne aveva sentito parlare da commercianti
che la portavano in Italia
attraverso la via del Brennero. Qui dietro».



Federico Italiano
(Novara, 1976), poeta, saggista e traduttore, vive da alcuni anni a Monaco di Baviera. È redattore di «Atelier» e collabora con diversi periodici italiani, tra cui «Alias» supplemento de “il manifesto”». Ha tradotto, tra gli altri, Vicente Aleixandre, Elizabeth Bishop, Michael Krüger, Lutz Seiler, Philippe Soupault e Durs Grünbein. Sue poesie sono apparse in varie riviste e antologie. Ha pubblicato il volume di poesie Nella costanza (Edizioni Atelier, 2003) e il poemetto in tre tempi I Mirmidoni (con nove disegni di Andrea Boyer, Il Faggio, 2006).

E se riuscite ditemelo anche voi (Nunzio Festa)


C'è una carica, una tensione caustica in queste poesie di Nunzio Festa: l'analisi della realtà non sembra aprire facili orizzonti e Nunzio si cala in queste canzoni (frequente l'uso della rima e di versi che potrebbero essere facilmente musicabili) con una disillusione in sofferto equilibrio fra rabbia e ironia, fra scetticismo e voglia di lanciare messaggi che possano risveglarci dal nostro torpore: “la guerra non restaura diritti / ridefinisce poteri”; “aspettare / che la bellezza di tutti / sia bellezza un po’ mia”. E ci sono immagini che restano, semplici e vere: “gli alberi accatastati / addossati / si chiamano legna”.



DIARIO CONTRO LA PATRIA

l’uomo morto che cammina
e la gente che indovina
le bizze di partito
le partite fra dente e mina
in un nutrito
scempio a castello

del nostro ministro della guerra
del lanoso mantello
a doppia mandata

che non è colpa sua

ma dell’intera Nazione
della croce uncinata
appesa al mese
dei santi
e al Mese della madonna bianca

che non ne posso più del politicamente pulito
e corretto del tetto a scomparsa
delle perquisizioni

e se riuscite ditemelo anche voi
con una poesia - se ci riuscite



PAUSE

la guerra non restaura diritti
ridefinisce poteri
doveri di tutte
le notti

nelle avventure forti
di tutte le notti
brucio

bruciori
avventure per umori
Avventura su ogni carezza
e tutte le morti


la sorte di camminare


nelle porte
il fresco fa fiamme delicate

beccano gli operai
negli occhi gentili
segnati

tratteggi
e gesti scapigliati
a far ridere di bene

dentro le tempeste



ALBERO

gli alberi accatastati
addossati
si chiamano legna

da aspettare

riconoscere

per sentirsi alleggerire
dai brividi
dei lividi che vanno e vanno
e sanno tutto
di me

di sciocchezze purezze
sulla forma

su pietra
di lei che ci sente

prendo l’albero
rinato
sotto un viso
sopra visi

foglie come sorrisi
da sventolare


aspettare
che la bellezza di tutti
sia bellezza un po’ mia



dalla raccolta Deboli bellezze

IL CIELO OLTRE IL CIELO

non è cattolico
non sarà democristiano
oltre il cielo ci sta il deretano

un culo in bilico

a guardare le stelline
le palline della coca cola
che definiamo bolle

mica sorelle viola o nere


oltre il cielo
ci sono stelle e spermatozoi
orologi e frantoi
per il mulo

che tirava e menava la coda

sulle sue giornate e su quelle
della povera gente
che viveva e non teneva niente
non possedeva
un cazzo

né una frusta
o un lazzo per l’animale

né un grammo di pane a debito

e l’olive erano macinate
come sono picchiate adesso
ma pure ora
la gente è povera
e ugualmente non picchia con granate
e chiede lo stesso permesso


ai malvagi
e alla provvidenza che è dipinta di bianco
e
purtroppo al cielo stesso


a quello del piano di sotto

che non si muove

perché è molto più lontano



Collaboratore giornalistico ed editor, poeta e lettore, Nunzio Festa è nato a Matera nell’81 e risiede a Pomarico (MT). Collabora «Quotidiano della Basilicata» e altri periodici. Redattore della rivista Liberalia.
Collabora e ha collaborato anche con altri siti internet prevalentemente d’argomenti letterari e ha pubblicato racconti e poesie oltre che articoli su riviste varie e in antologie. Su Books and other sorrows, della scrittrice Francesca Mazzucato, tiene uno spazio personale dedicato alle recensioni.
Editor per Altrimedia Edizioni, curatore della collana «I poeti» della stessa casa editrice, nel 2004 hqo pubblicato la sua prima silloge poetica, E una e una (per i tipi di Montedit, Melegnano) e nel 2005 la prima raccolta di racconti, Sempre dipingo e mi dipingo (per i caratteri dell’Edizioni Il Foglio, Piombino).
Nel 2006, il racconto breve Da dentro la materia è entrato a fare parte dell’antologia Storie d’acqua dolce (Eumeswil Edizioni).
Nel 2007, la silloge poetica Deboli bellezze è entrata a far parte della collana curata da Silvia Denti, «I quaderni Divini».

martedì 25 settembre 2007

10 poete contemporanee a Milano 28-9


Libreria delle Donne
Via Pietro Calvi, 26 - Milano

Venerdì 28 Settembre
ore 18,00

Le visioni della poesia
Incontro con 10 poete contemporanee

Letture di

Mariolina De Angelis, Mariella De Santis,
Pasqualina Deriu, Gabriela Fantato, Alessandra Paganardi,
Maria Luisa Parazzini, Angela Passarello, Patrizia Puleio,
Lina Salvi, Maria Pia Quintavalla.


Interventi di poesia in musica

Duo Poemus per voce e chitarra: Barbara Gabotto & Giacomo Guidetti

“d'altrocanto“ IV edizione


Nella sezione archivio del sito calligraphie.it, estratti dalle interviste agli autori che hanno partecipato alla terza edizione della rassegna di poesia contemporanea d'altrocanto. Interventi di: Stefano Simoncelli, Tolmino Baldassari e Claudio Damiani.

Apre il blog della quarta edizione di d'altrocanto. On line fino a fine ottobre i commenti dei curatori e degli autori invitati, il programma e tutte le notizie sulla manifestazione: calligraphie.it/blog

Fogli di poesia: per scaricare il numero 02 di settembre, con due poesie inedite di Sebastiano Aglieco e due opere di Stefano Mazzotti, cliccare qui

domenica 23 settembre 2007

Finalisti “Poesia di Strada” si incontrano a Civitanova 22-9

Sabato 22 settembre al calar della sera presso l'accogliente libreria Arcobeleno si sono incontrati alcuni dei finalisti del Premio Poesia di Strada organizzato da Alessandro Seri (che ha moderato l'incontro) e da Licenze poetiche.
Pesenti i poeti Alessandra Paganardi, Dario Ciferri, Francesco Accattoli, Nicola Santini, Alessio Alessandrini, Lorenzo Mari, Alessandro Ramberti. Fra il pubblico il poeta Alessandro Catà e altri attenti artisti e amanti delle lettere.
Qui sotto alcune immagine della serata e di alcune delle opere appositamente realizzate per le poesie finaliste (cliccare sulle immagini per ingrandirle).







sabato 22 settembre 2007

Porto solo la mia fragile esistenza (Cristian Pretolani)

“trasloco tra / punti, virgole e i concetti” ci dice Cristian Pretolani in queste poesie a tratti un po' classicheggianti (e forse in questo senso in qualche caso sfrondabili) ma con con versi di tono eminentemente lirico che ci sembrano particolarmente riusciti: “Vengo senza eserciti di ragione”; “per te, vendemmio le stelle”; “saremo come le nostre fedi / l’uno nel cielo dell’altro”. Qui ci pare che la sua voce abbia un timbro interessante e autentico e un bel cammino per esprimersi in nuove creazioni.

Natale 2007

La memoria erra
nei meandri della mente.
Sperduta tra i giorni
e le notti invernali.
La memoria in queste stanze
non si riconosce,
ma trova ritmi e suoni
che sono screziati di rosso
e di bianco.
È ammaliata da parole
che incalzano leggere suggestioni.
Una memoria, la quale scivola
dal cielo al mare disegnando
una sua sfavillante scia
al dipanarsi di sé.
Cerca albergo negli occhi,
nelle labbra e nei gesti
degli uomini;
i quali non si dimenticano
di festeggiare il Natale
fra panettoni e cotechini
tutto si risolve nella classica
abbuffata dimenticandosi degli invisibili.


Le nozze

Ora nei riflessi degli occhi
iniziamo il nostro cammino.
Sui sentieri delle iridi,
dove ci avvolgiamo
nelle braccia di un legame.
È il vincolo dell’amore,
un fiore di giglio
che orna questo momento
di unione.

Innanzi a noi
brucia l’incenso sacro,
e quando…
Il sacerdote avrà concluso
saremo come le nostre fedi
l’uno nel cielo dell’altro.



da L'ERA DI ATLANTIDE

Composizioni di morbidi visi
delineano il volto tuo,
(impreziosito con pelli e aromi
antichi, ed orpelli dei lineamenti tuoi)

dove i timidi sguardi si stendono
e queste mani che non osano lambire
così tanto aerea visione…

Marginali affluenti,
decorrono sotto le
tenere ossa;
petali di loto
formano le nuvole tue,
coprono l’inviolato erotismo.


Monnalisa (dal quadro di Leonardo da Vinci)


Apro i cancelli
di Venere,
trasloco tra
punti, virgole e i concetti

Nemmeno il canto
in questa mia notte
sarà per me luce o riparo
Vengo senza eserciti di ragione
porto solo la mia fragile esistenza.



Tema

Raccogliamo le stelle
colle nostre mani,
le une tese alle altre.

Piovono coriandoli,
su vicinanze spontanee,
che profumano la neve
di luce vibrante.

Siamo giocattoli di pezza
appesi nel firmamento,
un lembo senza fine
dove iscrivere
il nostro tema amoroso.

Il nostro vino è
nuovo e vecchio
non conosce stanchezza
nelle botti di miele.

Mia coppa preziosa,
per te, vendemmio le stelle,
lumeggiando quello
che con le parole
resterebbe
nell’oscurità della ragione.

Siamo uniti
da un cordone ombelicale
che ci ossigena come
due - sospiri - in questa Vita.



Cristian Pretolani nasce a Forlì il 4 settembre 1978. S’interessa alla poesia sin da giovanissimo: Rimbaud, Baudelaire, italiani del ’900, senza dimenticare i classici greci e romani. Approfondisce le sue letture anche in ambito narrativo, filosofico e psicologico. Esordisce con la pubblicazione di due poesie nell’agenda Dimenticario realizzata dal centro culturale “L’ Ortica” di Forlì distribuito nelle Università e nella Provincia.
La poesia Famiglia viene accolta nella rivista di attualità culturale «Arsi Amandi» distribuita in Emilia-Romagna.
Dal 2003 partecipa al progetto scolastico denominato “Progetto creatività” presso I.T.C. Matteucci di Forlì collaborando con la Prof.ssa di Lettere Catia Baffioni nell’insegnamento di composizione poetica. Nel 2004 pubblica Pillole con AM EDIZIONE MAROTTA, la sua prima raccolta di poesie. Nel 2007 pubblica L’era di Atlantide” con la Tinarelli di Bologna.
Collabora con il quotidiano «la Voce» in una rubrica da lui ideata Adesso Poesia scrivendo recensioni a poeti della Romagna. Collabora con Videoregione emittente televisiva locale in una rubrica scritta e condotta da lui intitolata “Poétique Cafè”, che si occupa di arte, cultura e poesia. Ha partecipato a varie manifestazioni poetiche-culturali con letture pubbliche delle sue poesie.
Organizza eventi come “A cena con il poeta” e “L’aperitivo con il poeta”, rassegne itineranti nel territorio romagnolo in cui presenta poeti emergenti e non.
Segnalato in alcuni concorsi e in altri finalista. È lettore e attore di poesie della Compagnia Teatrale “Gli Slan” di Sandra Mazzini dell’Ortica.

da canti ostili (Italo Testa)


LietoColle, Como, 2007

altre poesie di Italo Testa qui

«Partitura di campionamenti e suite per magnetofono, poesia di viaggio e diario in versi, canti ostili è un concept album che non vuole mai finire, registrato in diversi tempi e luoghi, ugualmente segnati: l’Ottantanove e le guerre balcaniche, la base Nato di San Damiano e la conca di Sarajevo, la notte del Redentore e la nuit américaine d’inizio millennio, la quotidianità livida della Milano di oggi e la memoria che riaffiora implacata sull’Appennino emiliano. Risonanze magnetiche di un tempo intermedio in cui il confine tra pace e guerra non è più tracciabile né dentro né fuori, questi canti ne registrano l’animus hostilis con un sismografo lirico turbato, in muta esposizione alla voce dei luoghi, all’urto dell’estraneo, del non redimibile.” (I.T.)


strangeways, here we come

arriviamo su vie strane, amici
e non c’è un veliero ad attenderci,
arriviamo a forza di braccia,
arriviamo e scivoliamo,
respirando oltre, stendendoci
sulle assi del ponte; allarme,
ad ogni ora il mare si gonfia
abbassa una benda alla bocca;
ogni istante animali urlano:
teniamo un cofanetto tra le mani
per conservare i resti, la traccia,
il setto vitale, la minaccia
delle falangi che cadono.
variamente il cielo esplode,
sulle date di costruzione,
sull’espressione di una caduta:
apriamo un ombrello per resistere,
neghiamo il senso, vegliamo
per garantirci una vera fine,
per non cedere ai topazi del cielo,
ai topi pazzi di un’altra vita;
inforchiamo paraocchi, stringiamo,
chiudiamo il campo all’orizzonte;
guardiamo a fianco, per una volta
il sangue non manca di lato;
prendiamo stracci, strofiniamo
consumandoci le braccia, neri
di vergogna. continuiamo.


VII [per mostar: h. 16]

mi dicono che i tuoi occhi sono vuoti
mi dicono che i tuoi occhi sono stupefatti
segui lo sventolio dei drappi
il rosso, il bianco, il blu
distesi tra le rocce, sulle case
in costruzione a fianco della strada
mi dicono che i tuoi occhi non vedono prati
mi dicono che i tuoi occhi s’incantano
conta, ad uno ad uno,
i parallelepipedi bianchi
le bianche distese, da ogni lato
l’abbraccio del paesaggio
fitto di cippi, giallo di luce
mi dicono che i tuoi occhi si dissipano
mi dicono che i tuoi occhi, i tuoi occhi
a seguire le cave di sabbia sul fiume
dopo mostar, i mucchi di sabbia e di terra
scavati, nella luce, senza ombra,
per ogni gruppo di case una distesa
di pietre bianche, erette, immobili


4. dogma

# (milano d.v.)

hanno ragione loro,
hanno ragione
dovresti arrenderti e stare al gioco
fottere e farti fottere,
piegarti alla voce del padrone:
hanno ragione,
accadrà ancora
la scudisciata in fronte, l’odore
rancido del potere che divora:
hanno ragione,
che questa è l’ora
per darsi in pasto
piegarsi al giogo,
offrirsi al maglio che tritura:



Italo Testa (1972) è autore del poemetto «Gli aspri inganni» (Lietocolle, Como, 2004) e della raccolta «Biometrie» (Manni, Lecce, 2005, premio Poesia In/Civile, San Giuliano Terme).

Concorso “ONDA D’ARTE 2007 - Poesia”

BANDO DI CONCORSO
La Pro Loco di Ceriale e il Comune di Ceriale, Assessorato alla Cultura con la collaborazione delle Associazioni Il tempo ritrovato presentano la terza edizione del Concorso Letterario “Onda d’arte 2007 - Poesia”, dedicata a poesie aventi per tema DETTAGLI per autori d’ogni etnia, nazionalità, sesso, lingua, credo politico e religioso, cultura, orientamento sessuale.
Non è richiesta alcuna tassa di partecipazione
Si concorre inviando un solo componimento di lunghezza non superiore a 30 versi. Sono ammesse al concorso solo opere inedite, in lingua italiana, non premiate o segnalate in altri concorsi. Le poesie non dovranno essere state pubblicate all’interno di siti internet, di antologie o in romanzi. Non saranno accettate opere diverse dal testo poetico.


REGOLAMENTO
1. La partecipazione al Concorso comporta la piena accettazione del presente regolamento, premesse comprese. L’Autore garantisce alla Pro Loco di Ceriale la liceità dei testi, dichiarando di essere l’unico Autore e l’esclusivo proprietario dell’opera. L’Autore dà anche piena assicurazione che l’eventuale pubblicazione dell’opera non violerà, né in tutto, né in parte, diritti di terzi di qualsiasi natura. L’Associazione si riterrà sollevata da eventuali rivalse di terzi di cui risponderà esclusivamente e personalmente l’Autore.
2. La partecipazione al premio è individuale e riservata ai maggiori di 18 anni.
3. Ciascuna cartella dovrà essere preferibilmente redatta con le seguenti caratteristiche di stampa (ovvero caratteristiche similari qualora il testo non venga redatto in formato elettronico):
interlinea: 1.5
tipo carattere: Arial;
dimensione carattere: 12 pt.
Sul foglio non potrà essere indicato né l’autore né alcun altro segno identificativo. Lo stesso testo non potrà contenere esplicite allusioni che rendano evidente chi ne sia l’autore, né dediche sotto qualsiasi forma, a pena di esclusione.
4. I lavori dovranno pervenire entro e non oltre le ore 23:59 di mercoledì 31 ottobre 2007:
• o all'indirizzo di posta elettronica proloco.ceriale@libero.it allegando, al testo della mail, due files: il primo contenente la poesia in formato MS Word per Windows o txt, il secondo contenente la scheda di partecipazione riportata in allegato;
• o alla segreteria del premio, al seguente indirizzo: Pro Loco Ceriale, C.P.126, 17023 Ceriale (Sv). In busta chiusa allegata al componimento andrà inviata la scheda riportata in allegato al presente bando. E’ gradito l’invio di un floppy disk/CD contenente la poesia ed il curriculum in formato MS Word per Windows o txt.
5. I lavori che giungeranno oltre il termine indicato non saranno tenuti in considerazione. Non sono concesse proroghe né ammessi ritardi, anche se dovuti a cause di forza maggiore.
6. La valutazione delle opere verrà effettuata da una Commissione composta da almeno 5 membri liberamente scelti dagli Enti ed Associazioni coinvolte nell’organizzazione.
7. La Pro Loco Ceriale si riserva, in base al numero e alla qualità delle opere pervenute, di pubblicare e riprodurre, anche nei propri siti Internet ovvero in propri atti, documenti, materiali pubblicitari, i componimenti migliori senza che ciò comporti alcun preavviso né il riconoscimento di alcun diritto per gli autori se non la loro citazione e la pubblicazione del breve curriculum richiesto al punto 4.
8. La Pro Loco si riserva la possibilità di pubblicare i migliori componimenti in un’antologia da distribuire e porre in vendita. La selezione delle poesie verrà eseguita direttamente dalla Pro Loco, e potrà anche non tenere conto della classifica stilata dalla Commissione Giudicatrice.
9. La partecipazione al presente concorso letterario è vietata ai soci ordinari della Pro Loco Ceriale, delle Associazioni Il tempo ritrovato e Golem, ai dipendenti del Comune di Ceriale e della Biblioteca Civica Agostino Sasso.
10. Il vincitore assoluto del Concorso riceverà un assegno del valore di €.200.00.
Il secondo classificato riceverà un assegno del valore di €.150.00.
Il terzo classificato riceverà un assegno del valore di €.100.00.
La comunicazione al primo, secondo e terzo classificato avverrà tramite raccomandata. La Commissione si riserva di rilasciare menzioni speciali o premi aggiuntivi in caso di opere meritorie. La Commissione si riserva di non assegnare premi nel caso in cui nessuna delle opere presentate fosse ritenuta meritevole.
11. La premiazione ufficiale si effettuerà nella giornata di sabato 8 dicembre 2007. Gli autori che non avranno vinto, ma avranno indicato il proprio indirizzo di posta elettronica nel curriculum, saranno avvisati dei tempi e dei luoghi della cerimonia conclusiva. Per l'assegnazione dei Premi è richiesta la presenza degli Autori vincitori. La data è ancora suscettibile di variazioni.
Nel caso in cui il vincitore decida di non partecipare alla premiazione, verrà automaticamente declassato a menzione speciale. La prima delle menzioni speciali verrà così elevata a terza classificata e così via nel caso di più di una rinuncia.
I vincitori verranno invitati ad assistere alla manifestazione e saranno ospiti del Comune di Ceriale, presso una struttura alberghiera cittadina, nella notte tra l’8 e il 9 dicembre 2007. Non è prevista alcuna altra somma a titolo di rimborso spese. Non è prevista alcuna altra somma a titolo di rimborso spese neppure a favore dei concorrenti che decideranno di partecipare all’evento.
13. I lavori pervenuti non saranno riconsegnati e resteranno patrimonio della Pro Loco Ceriale.
14. A meno di comunicazioni contrarie, la risposta automatica della casella di posta elettronica varrà quale ricevuta di avvenuto recapito. Non verrà inviata alcuna comunicazione di avvenuto recapito alle poesie prevenute via posta.
I Concorrenti finalisti verranno informati dalla Segreteria del Premio. Entro il mese successivo alla premiazione verrà pubblicata, sul sito dell’Associazione (www.prolococeriale.it) la classifica completa, indicando solo il titolo del componimento e non l’Autore. Si invitano i concorrenti, perciò, ad utilizzare titoli originali facilmente riconoscibili dagli stessi (nell’edizione del concorso di poesia 2006 abbiamo ricevuto 47 componimenti aventi per titolo: “Inverno” !!).
15. Ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n.196 (tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), la Pro Loco di Ceriale informa i concorrenti che il trattamento dei loro dati personali, che avverrà con modalità informatiche, avrà lo scopo, oltre che di individuare i vincitori, di identificare gli autori delle poesie e di comunicare agli stessi eventuali altre manifestazioni culturali e turistiche.
16. L’inosservanza di una qualsiasi norma del presente regolamento costituisce motivo di esclusione dalla graduatoria.
17. Per quanto non previsto dal presente regolamento valgono le deliberazioni della Commissione. Il giudizio della Commissione è inappellabile.



SEGRETERIA DEL PREMIO “ONDA D’ARTE 2007 – POESIA”
PRO LOCO CERIALE
C.P. 126
17023 CERIALE (Sv)
cell.338.5453805
e-mail: proloco.ceriale@libero.it
Il bando è anche disponibile su: www.prolococeriale.it


Si ringraziano per la collaborazione i portali:

www.ivg.it

www.ponentenotizie.it
www.rivieraligure.it
www.savonanews.it

venerdì 21 settembre 2007

Bocca aperta, bocca di ventre (Luca Benassi)


Poesie molto visive, ritmate e assonanzate queste (inedite) di Luca Benassi. Una poetica scabra, essenziale a tratti fulminante (“Ti ha preso così, sulla strada / vendemmiato prima del tempo”; “c’è una musa per questo, una stella incerta che buca / la lapide pregando in una lingua senza scrittura”) altre volte fiabesca come una antica filastrocca o cantabile come una canzone: “Portami via da questo letto / da un legno che non è seta / che non è lama di coltello / portami via tra foglie di cisto / su un letto di palme portami via.”
C'è una bella tensione che sostiene la voce e la rende, per concretezza e forza delle immagini, biblica. (AR)


Un tempio di pietra con gradini di vento
Camena, ti facciamo sulla collina.
Scaviamo un pozzo, profondo quanto
il ventre di una donna può contenere
un’acqua muta, una sete dolce di vena
una tana di volpe sotto il lentisco.
Dicci la strada, curva su curva
albero dopo albero lontano dal mare
racconta il tornante, accendi
un fuoco di mirto, una culla sospesa
alla porta dell’ovile.


***


Bacia oro bacia nero bacia amaro
bacia amore.

Dove vai donna piena di ciondoli
colomba nera, corno di muflone
dove vai donna dei mori
tatuata dal corallo, lingua di pietra
dove vai donna di un paese bruciato
rapita dall’amore su una spiaggia di grano
sultana rubata su un tappeto saraceno
dove vai donna che preghi a oriente
e pascoli le capre su un monte coricato.
Portami via donna straniera.

Bacia oro bacia nero bacia amaro
bacia amore.

Bocca aperta, bocca di ventre
filo di alga, filo del cuore
ti ho dato una casa, una sorgente
pane di ghiande, vino nero
ti ho dato un amore senza chiedere
senza campane o un giorno vestito di bianco
passerai il guado della neve.
Portami via donna dei mori.

Bacia oro bacia nero bacia amaro
bacia amore.

Portami via da questo letto
da un legno che non è seta
che non è lama di coltello
portami via tra foglie di cisto
su un letto di palme portami via.
Portami via donna del cuore

Bacia oro bacia nero bacia amaro
bacia amore.

Portami via sentiero del mare
nel cavo dell’onda, portami
nella bocca della Madonna
stella, ciottolo di fiume
petto di bagascia, portami via
in un bacio di vento
una bava bianca di grecale
portami via amore mio.
Portami via se ti vuoi salvare.

Bacia oro bacia nero bacia amaro
bacia amore.


***


Ti ha preso così, sulla strada
vendemmiato prima del tempo
sotto l’occhio preciso dell’astore.
Ci hanno stretto le mani a turno
legate al grano dei rosari
hanno portato confetti e pardule
come a un matrimonio senza sposa.
Si accontenta di un nastro d’asfalto
il nostro dolore
una famiglia che scava la terra
senza parlare
una campana che suona
una processione, un paese spaccato a metà
e ad ogni curva chiediamo
a un vento leggero, ai capelli neri
che segnano a lutto un destino di sangue
una figlia che cambia, un gioco
di odio e sfortuna.


***

A Mario O.

Ti diamo la prima buona notte nella terra:
c’è una musa per questo, una stella incerta che buca
la lapide pregando in una lingua senza scrittura.
Mentre la sera chiude la faccia stralunata al mare
il maestrale come un Salmo sgranato
piega questa terra fatta di sangue
e che sangue chiede ai suoi figli.
È questa una buona notte, una stretta di mano
una processione del silenzio che mai
chiude l’orbita vuota incisa nel granito.
Ti salutano i figli, i nipoti
quelli che ti hanno amato
l’estrema generazione.


***

Non c’è paura da queste parti
forse la tristezza
secolare come l’ulivo grande
al centro della piazza:
la tristezza che ingorga la risacca,
l’ultima onda del giorno
che porta uno straniero
una ricchezza da rapire
sognata nel silenzio della cena.
La birra si addormenta
nella bottiglia lasciata a mezzo
al tavolo del bar
si chiede speranza, quattro volti
un sparo di caccia, un uomo
da prendere senza fargli del male.
Il lamento del cane gorgoglia nel vento
il sentiero di macchia è un mare
con isole bianche:
gli uomini camminano
braccati dalla luna incinta di notte
affidano la sorte a un orecchio mozzato
un riscatto da chiedere
una lettera ancora da scrivere.




Luca Benassi
è nato a Roma nel 1976 dove attualmente vive e lavora. Ha pubblicato le raccolte poetiche Nei Margini della Storia, (Joker Edizioni, 2000) e I Fasti del Grigio (Ed. Lepisma, Roma 2005). Ha tradotto De Weg del poeta fiammingo Germain Droogenbroodt (Il Cammino Edizioni I Quaderni della Valle, 2002). Sul numero 1/2004 della «Clessidra» ha pubblicato una scelta di traduzioni del poeta palestinese Ibrahim Nasrallah. Cura la pagina poetica dedicata alla poesia delle donne del mensile «Noidonne». È nella redazione di «Polimnia», collabora con «La Mosca di Milano» e «Hebenon». È tra i curatori de L’antologia della poesia erotica contemporanea (Atì Editore 2006).
Collabora con la Galleria d’Arte Atelier Inquadro di Roma occupandosi del rapporto tra poesia e arte. Ha collaborato con il gruppo lirico Camilla opera lirica nell’allestimento d’opere quali Tosca, L’Elisir d’amore, Butterfly, Aida.

Figlidienneenne news

sono stati aggiunti nuovi file audio sul sito www.figlidienneenne.it

poesia:
- Fabiano Alborghetti
- Alessandro Ansuini

eventi:
- Daniele De Angelis e Andrea Marinucci (Castel di Lama, AP, 18 Maggio 2007)

collaboratori:

letti da Chiara Pavoni
- Daniele Comberiati
- Dario Russo


fateci un salto e fate girare la voce

un saluto e buon lavoro

daniele ed andrea

Su Verso Occidente di Narda Fattori

recensione di Cristian Pretolani apparsa su «La Voce» del 27 settembre 2006
cliccare sull'immagine per ingrandirla



v. scheda libro

Su Baluginio di stelle di Franca Iacuaniello Panza


recensione di Emilia Dente

L’afflato poetico di Franca Iacuaniello Panza, autrice napoletana, ben si innesta nella linea lirica intimista ed introspettiva delle poetesse meridionali e, nello specifico del mio interesse critico, pure delle autrici irpine. È il racconto lirico del poeta viandante, smarrito e scalzo sui sentieri dell’anima; la creatura che si tormenta nella riflessione e si perde nella contemplazione; l’essere che cerca e disvela l’io nelle pieghe della sua trama esistenziale e lo sceglie come prisma luminoso cui filtra la sua esperienza umana.
È proprio “il cammino dell’anima” che la poetessa Iacuaniello propone nella prima sezione del florilegio lirico, quando ella rivela la condizione magmatica del suo “inquieto sentire” e la consapevolezza dello scintillio nelle stanze dei suoi pensieri di quel “fermento / simile ad un fiume in piena /che inerte (la) sospinge” e senza il cui fervore ella si immagina “un manichino / senza un’anima”. L’inquieto sentire, dunque, la voce che sussurra e grida nelle grotte del cuore e che rischiara, con la sua ombrata luce le distese verdi dello spirito; il fermento interiore che muove il passo , ritmato sulle note lievi dei sentimenti e delle emozioni e che si scioglie in danza sugli scenari suggestivi dei luoghi e del tempo.
Nel cielo libero dei versi si innalza sicuro l’energico volo oltre i limiti corporei e reali del proprio io per spaziare nell’immensa volta celeste, nei riccioli e nelle volute di quell’enorme cupola di luce a cui tante volte, nell’iter poetico, l’autrice volge lo sguardo estasiato. Ed è proprio dalla cupola di luce che abbraccia l’uomo e la natura, è nel profondo respiro del Creato che questa poesia si sostanzia e si rafforza. È nella granitica saggezza delle rocce, delle cime innevate, delle spiagge e dei campi fioriti che il racconto poetico trae colore ed intensità. È l’intimo, sincero ascolto della pioggia, del vento, delle stelle che modula il canto e lo articola in una piacevole melodia di immagini e luci. È nel denso azzurro del mare che la poetessa intinge il pennello delle emozioni per dipingere il rifiorire eterno della vita.
Nella cornice meravigliosa del Creato Franca Iacuaniello incastona poi il suo essere, riconoscendo la pochezza della sorte umana palesando lucidamente nell’affresco lirico che dà il titolo all’intera raccolta “non sono che un fuscellino / un biondo stelo mosso / dall’ondeggiare dei venti / in un campo recinto”, ma ravvisandosi ella “trapunta della stessa, vibrante energia” della stella che balugina tremolante nell’immensità del cielo e riconoscendosi, insieme all’astro, “tutt’e due obbedienti / allo stesso disegno / dell’armonia del cosmo”.
L’autrice così attraversa, nella contemplazione e nella riflessione i sentieri paralleli dell’io e del cosmo, specchiando l’Infinito nel suo essere fino a sfiorare quell’Essenza Eterna a cui l’essere umano appartiene; l’Infinita Bellezza di Dio nelle insondabili anse del mistero la sua epifania, il Dio Uomo che soffre dell’umanità sofferente e che reclina il capo e si piega sulle vicende terrene accompagnando le sue creature pure nei corridoi solitari e scuri della sofferenza e della follia.

La forte carica contemplativa che sottende al percorso umano e poetico non allontana però la Iacuaniello dalla meditazione sulle ingiustizie sociali e sugli egoismi umani che ella fieramente denuncia nella lirica Nebbia interiore in cui, “sospinta nel gorgo spettrale/che impazza / annebbia / il vivido spirito” ella si confronta e condanna le miserie dell’umanità falsa e crudele che “brucia il sogno di ieri / sfrangia l’utopia del domani”.
La trama lirica ricamata dalla poetessa si conclude con l’emozionante componimento In memoria di Anna Maria, la sorella scomparsa al cui ricordo ella ha dedicato questo testo, nobilitandolo pure con l’intento solidaristico di destinare i proventi della vendita alla Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, conferendo così ulteriore pregio ad una silloge poetica che, per la fine bellezza e plasticità delle immagini e per la profondità del messaggio umano inciderà si propone a tracciare durevoli graffi nel percorso umano del lettore avvolgendolo nell’abbraccio del suo inquieto e magmatico sentire.

(Montefusco, 25 Agosto 2007)

mercoledì 19 settembre 2007

Il mio ventre non geme

nuove poesie di Marco Zavarini qui

3 poeti a Milano 21-9


Tre poeti di Invetriate: Marotta, Sannelli, Monreale

Venerdì 21 - ore 21,00
Centro Culturale San Carlo - Corso Matteotti 14, MI (MM1 San Babila)
a cura di Fabrizio Bianchi e Adele Desideri
presentazione dei primi 3 volumi di poesia della nuova collana «Le invetriate»
Edizioni Il crocicchio/inEdition

Daniela Monreale, L’attracco sulla luna
Francesco Marotta, Per soglie d’increato
Massimo Sannelli, Nome nome

Interventi critici di
Adele Desideri, Gabriela Fantato, Luigi Metropoli, Luigi Cannillo


Francesco Marotta

ore di bassa marea
a osservare le stazioni
del respiro, il vento
infetto di gioie sottotraccia,
la cifra allusiva dell’esilio
nel fuoco che suona senza peso
sui giardini e si riassetta
in corpi miniati
dentro ampolle di stupore: –

non è senza mattino l’onda
brunita di fiori di risacca,
né senza fiume la stella
di ponente che si compie
nel lampo dell’ultima vela –
testimone del seme
immortale per un attimo
prima di esplodere alla luce
il suo carico di gemme,
di lieviti, di sangue

Dalla Postfazione di Luigi Metropoli a Francesco Marotta, Per soglie d’increato

Sapienza e profezia, parola e visione, «pensiero e canto», queste le coordinate che tracciano la sfuggente spazialità di Per soglie d’increato. Lo scintillio, il chiarore del pensiero, si fonde con il baluginare, il barbaglio, le «epifanie di lumi»; il dialogo (che in sé contiene per residuo etimologico il logos, la razionalità) incontra lo stupore, estatici squarci che aprono «il varco al volto / irrivelato delle cose».
La poesia di Francesco Marotta ci conduce laddove la parola germoglia, attraverso zone d’ombra, fino ad una luce albale che si articola alle soglie del vuoto. È in questi luoghi che lo schiudersi delle prime sillabe acquista sapere, sapidità, sapienza, in tutto il suo urto rivelatorio, «che dissigilla / un senso che non dura». Il poeta ne ripercorre la traccia in un cammino a ritroso, attraverso un inventario di visioni, specchi, labirinti che vanificano la direzione. A tratti, per brevi istanti, sembra si possa cogliere in questo percorso una rivelazione, un qualche barlume di verità. La poesia rincorre la profezia, nel suo anteporre la parola (profferire: effare e fato che si specchiano vicendevolmente), nel suo partorire una visione futura il cui senso risiede nel passato, «prima di ogni dire, / prima del silenzio».
A fare da guida sono spesso delle figure angeliche, figure intermedie di raccordo con una dimensione altra, il punto di contatto, in cui la lucidità di visione si risolve in luce-abbaglio, miraggio (chiarità e oscurità coincidono), la veglia in sonno, la ragione in investigazione plurisensoriale delle cose, il pensiero in canto, la parola in sguardo-movimento.

Continua a leggere qui: http://www.lucidamente.com/includes/printArticle.asp?id=116


Massimo Sannelli

dov’è la madre diversa, parte,
tra i figli sopportare questa
solitudine lunga, allora è fatto
sfregio; dietro è fatta
esperienza e luce; certo è giglio.
chi credete io sia? ti aiuto, spiega, con
la mancanza fiera, aiuto - le roi
dissociarsi, le roi urlare, così
in fretta anche, dalle due mani,
separare, oh, sassi, strumenti, colpire:

il popolo a cui si è fatto; e fa
vento innocente questo, nei
rumori; ché corre vento.

Dalla Prefazione di Marina Pizzi a Massimo Sannelli, Nome, nome

Solitudine mistica della parola ancorata all’effigie del corpo, parola presa in/a poppa per un’evanescenza di/nonostante il teschio del sale che per adesso è carne colma di ascolto.
Qui, in questi versi quasi dimentichi in presenza, prende la commozione del bianco, il coma di una madre sempre evocata quale una cascata senza mare né gioia di golfo.
L’infanzia, questa e quella falena di iato, fannullona di tutto: nulla nel pieno addobbo del cassetto sventrato addirittura e solo da un sassetto.

Scrosci d’acqua arsi dalla prima cintola di un qualsiasi Gigante cattivo contro una madre buona botanica di bacca, candore del crollo del tempietto.
Piange, Sannelli, nel sisma ondulato e ondulatorio dell’essere venuto dal seno; è un pianto secco, secco stato di mancamento, mancanza di Lei la donna di madre che lo nacque e lo interra senza farne, farsene, fargli, farlo con peso di oppressione.
È l’ombra del senso e del suono abili atti a dar vita, nuova vita, sempre vita, al poeta che, in più o in meno, non sa mangiare, non sa nemmeno mangiare… la fame è enorme eppure si contrae quasi in aborto.
Il cristianesimo delle singole parole possono il senso e il segno dell’acqua natìa, mai bastante contro il basto di spartirsi, ma appallottolato, per vivo e morto nell’insieme del rantolo tutto ossigeno, e viceversa.
«capisci che l’infanzia è meno
propria; con lealtà che non
dirige;
nato maturo, nato torre, diffusa
in uno cielo».

Continua a leggere qui: http://www.lucidamente.com/includes/printArticle.asp?id=166


Daniela Monreale

Brixen, sei anni dopo

Inenarrabile
ai più che sorvolano la friabile bellezza
– questa tellurica bipenne al Cielo questo Duomo
ai piedi della Plöse, come sei anni fa dicevo
in una poesia esangue e colorata al buio –
ancora eretta la traccia di un disegno
mi attraversa.
Mi suggerisce che tu stai vicino a questo
morso di gioia, lo mangi d’amore insieme a me
che divoro.
E la navata percorro albata di un barocco
ormai familiare, ammansito da un organo
che ha un gusto sferico,
la ruota perfetta del Canon di Pachelbel,
quando adolescente avevo in testa
grolle di mani e bocche acuminate,
rosse a metà, sparpagliate come coriandoli in festa,
adesso un imprevisto coup de foudre mi sorride,
ho il cerebro assediato ho la tua foto sul comodino,
qui è la nostra geografia qui è la scena
che non registreremo nella piccola camcorder,

dicono in quattro,
dicono i nostri occhi serafini.

Dalla Prefazione di Gabriela Fantato a Daniela Monreale, L’attracco sulla luna

Quest’ultimo libro di Daniela Monreale è una sorta di canzoniere della gioia, nato da un incontro amoroso che svela però come per la poetessa toscana l’amore non sia solo incontro con l’amato, bensì condizione originaria dell’umano che, svelando il senso antico e ancestrale della vita, conduce a noi stessi e ci fa partecipi del mondo.
Leggiamo, infatti, in apertura di libro che le poesie sono dedicate «a S. che mi ha cambiato la vita», ma i versi – sempre fortemente ritmici, allitteranti, con assonanze e a volte rime – si compongono in un viaggio iniziatico dove con lievità si intrecciano tensione erotica e slancio mistico.
Ed è come se i versi della Monreale scaturissero con potente naturalezza da una pratica di vita che li ha mischiati e dunque rivelati nel loro essere inseparabili facce della vita. Questa, infatti, per la poetessa, si svela a noi quando riusciamo a sentire che il nostro Essere più autentico è nel nostro «esser corpo», nel nostro abitare il mondo come corpo e venire modificati dall’incontro con la concretezza delle cose, avvertendo però l’infinito dentro le pieghe della vita stessa, che è come un fuoco che arde e ci sfugge se la interroghiamo solo con la ragione. Ecco perché è dentro l’amore di un corpo amato che si apre la strada per la conoscenza di se stessi e del segreto della realtà intera, come leggiamo nei versi di Qui e tutto: «Sembra un cosmo tascabile / la mia stanza la mia testa / anche senza pace / sembra un āshram con la luce sempre accesa / e l’attesa infinita il desiderio la paura / l’eterno sbigottimento / in un mini appartamento / mi perdo mi ritrovo / mi rotolo nel cerchio».

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martedì 18 settembre 2007

Avere la cura dei cuori (Raffaele Ibba)



15. –

di un resto femminile,
sparso sul mare a praterie di rose
nate da un’oncia di nardo, restato da Gesù;
quasi miele addensato ai ricordi
di un vento di sera a rinfrescare il fresco
a scialli, a golfini, a maglie fuoritaglia,
per parole di pace e di ventre;
come un bacio, bocciolo di frutti d’ironia, alzato
leggero sugli spalti ottusi d’una scuola
che - improvvisa inattesa - t’ascolta al dire rosso
della persona viva contro il lato vecchio
della classe, il lato libero;

ed è di un resto femminile, come un rogo di canne,
un canto da poco, una poesia di maniera
quasi ad alessandrini, binomi di vite spezzate
e frantumate di ritmi possibilità
dove mancano granaglie di tempo
e la luna, alzata nella piena del giorno,
è impallidita ai giochi di gabbiani inseguitori d’aria
lassù, presso i primi picchi di sole
che piano piano si sfanno in colate di luce.

E t’ho visto farti ferita ed offerta,
stridio di voli, agitarsi di folto d’ali,
ascolto, oceani di stelle e terre,
carne accogliente alla pace, fino a farti croce.

Resto femminile, ascolto umano, mai solo,
uomo donna, amplesso di cuori,
per accompagnarsi a sfibrarsi, a mangiarsi,
per nutrirci alla Sua forma, ecco,

marea nuova alzata lentissimamente
per altri imminenti argini al mare e piena,
soltanto di ciascuna pazienza di Dio.


***


Perché è cosa vecchia, la vita.
Accampata in pareti di rughe,
vitale nei solchi di faccende comuni,
nutrita di perle di pianti a sangue,
e di ventri di cadaveri iniqui.

È come una vecchia cosa, la vita.
Fiorita di sorrisi e sguardi
appena idonei solo ad un altro domani,
gemma di gesti di pace e gloria
deboli, come in qualche acqua di piacere.

E questa cosa vecchia, la vita,
ha l’attesa delle tue parole
il sospiro dei tuoi occhi
il ricordo delle tue mani di Sposo,
amante instancabile
di questa vecchia impresa mai fallita
che ha l’affilato rasoio dei tuoi sorrisi
alti di assurde vette
e neanche difficili, solo piene
di tutti gli abissi ripieni
di tutto il presente vuoto del tuo amare.
Tu, giovane solerte nascita di tanta antica figlia,
la sorrisa vita.

***

Com’è bella la vita.
Come dentro un’alzata di pietre e arbusti
alta sul mare come ali di gabbiani,
e sentire venti sussurrare chiacchiere
come in quel giorno al comincio d’estate
dalle parti della Madonna del Mont Serrat
che eri uno sguardo di acque, liquido
sotto al profilo del sole prodigo di luce.

Com’è bella la vita,
pure che non te l’ho potuto dire
tra le caldane dei deserti aspre
in quella terra di Dio ancora dura di guerre.

Che oggi lo so, quant’è bella la vita,
chè stamani era tempo
che non mi veniva di telefonarti
per sentirti la voce, soltanto,
ed i brusii silenziosi che udivo
erano le voci del bellissimo
ladro del mio Cuore, allegro amore
che mi sussurrava di arboscelli
e fili d’erba, sottili, quasi di niente.




Dirvelo,
a sorrisi a fili di carezze, a mani d’abbondanza
a quote di piacere, a mareggiate di gioia
– vostre riserve e sessi –
- voi
schegge di madri
belle, diverse e talvolta sbagliate.

Come dirvelo,
in polemiche quasi in furori
ire ad errare, a farsi sbagliato,
e le discussioni amare, di buone maniere,
di cucine e deschi ben preparati,
– fondamentali a libertà -
- voi fondazioni, regoli, fili a piombo, pietre scartate,
misure d’angolo, pilastri di sostegno, colonne di bellezza,
argini caldi e siepi plurime
per i letti d’accoglienza a quel fiume vita
filo di realtà Dio che ci lega a Dio,
che ci tiene in Dio, Lei,
nostra vita di certezze di fertili
di fecondità inesauste d’amore e attive
tra i rombanti motori delle nostre macchine
movimento morte.

E così dircelo,
nel farci pancia, utero, germoglio, seme che vive
che si fa altro in altro,
lievito a farci pasta e pane, dolci, cibo
alimenti di durissime dolcezze al cuore,
- tutto il sale dei vostri sorrisi
seminati nella semplicità
di ogni solco delle nostre ferite.

E pregarlo instancabilmente al mio Santo,
Benedetto il Suo nome, Benedetto il suo nome segreto –
il vivente fabbro di vita - nome
di donna – sono sicuro -
e tra tutti i suoi nomi saldi all’eterno
il più intimo, il più amato,
il beato costruttore dei tuoi baci al cuore,
Gesù. Gesù mio.

***

Oggi c’è troppo sole, amore mio,
per andare a passi lenti sulla rena
calma avanti al mare che oggi, lo so,
è liscio come guance di fanciulla.

C’è troppa primavera, amore mio,
in questo nostro autunno ancora
per uscire a correre tra gli agri
dei frutti del lentischio
ricchi di quell’improvvisa dolcezza
avara in tanti nostri baci.

Ma sento il vento accorrere
lesto delle notizie apprese
dai discorsi delle nuvole
e dal cerchio lento dei gabbiani,
sento il vento osare ragazzino
fino alla soglia di questo tuo transito
per non lasciare inatteso di un saluto
anche a questo tuo bacio ancora,
leggero respiro di bimba
sopra la mia mano, inutile.

La ventiseiesima, Cagliari 3 ottobre 2006
(da "Luci della tua piena. Frammenti e poesie per due nascite" in
corso di pubblicazione presso le Edizioni della Meridiana, Firenze -
www.edmeridiana.com)



E non è il più amaro oggi
che il sole ha alte squame di mare
ruvide all’arco dei suoi sorrisi,
che l’aria è soltanto tersa
come un cielo decembrino
sciolto da ansie umide dopo una pioggia,
ed anche i passeracei tacciono
con i gabbiani, lenti nei loro voli
oggi forse privi della loro antica fame.

Non è oggi il giorno più duro,
che la luna sorgerà in ritardo
dimentica dei suoi doveri notturni,
e gli stagni qui attorno
faranno un poco finta di mare
in un loro mormorare ricordi,
non è oggi il più duro
di tutti i miei giorni a venire.

Quello in cui torneranno, le rondini
a figliare dentro i cassonetti malfatti
delle nostre finestre aperte verso Sinnai,
in cui la primavera sorriderà dei fiori
schiusi dagli odori delle bocche di leone
e dell’acetosella gialla di campanule,
in cui il tuo mare sorriderà di attese
invitanti al bagno di corpi umani,
in cui anche le stelle rideranno di profondità
in attesa del lento mutamento
nella disposizione delle figlie dell’Orsa.

Quando nessun angelo di Dio
scenderà sorridente a suggerirmi
soluzioni di stile nell’ordine sintattico
della mia poesia d’amore
e farò l’errore antico dei poeti
che mischiano confusi
il dolore del cuore
ai dolori cresciuti tra le nostre parole
dalle viscere delle strade umane.

E mancherai
al caffellatte pronto sul tavolo della cucina
ché la disposizione del mondo l’ha lasciato
così, in odorosa attesa
ancora dell’ultimo dei tuoi sorrisi.

L’ultima, Cagliari 5 ottobre 2006.
(da "Luci della tua piena. Frammenti e poesie per due nascite" in
corso di pubblicazione presso le Edizioni della Meridiana, Firenze -
www.edmeridiana.com)


un anno appena

Se, raccontando la tua corsa
a disperderti, a tracce, a seminare gesti,
se a parlarne,
la tua corsa veloce e bella
ora che è passato un anno, appena,
ed i passeri qui sotto hanno le chiacchiere
e gli storni che non vanno più via
e coi fenicotteri, lunghi a stanziare nidi.

Altre rose pare fioriranno
ed altre rosse lune di fuoco
non s'accontenteranno di braci
ma vorranno fiamme d'amore vive
a lambire vicine le memorie dolci
ed a nettare di luce la caverna delle fosse
dove i nostri diavoli appesi muti
stanno a testa in giù in attesa del buio.

Così adesso sono tra ali di gioco
dove amore parla tutte le tue lingue
e le poesie, le cantate, arrivano più facili
e più abbondanti sono le lacrime che non scrivo,

perché la luce stamani era di bronzo
e le ali del giorno andavano su carri di rame
e l'oro cresceva a fiotti sopra i tetti
mentre un odore di Dio saliva
leggerissimo e teso
dai miei passi di fango.

Perché tutti i baci che adesso ricevi
e che ti godi, adesso
nel tuo trionfo del Signore,
tutti questi baci m'arrivano
a frotte come cucciole di mimose,
gialli canarini
come sguardi di ragazze,
a crescermi a gioia a ruscelli
come in amore
nella sua stagione alta
di caccia aperta
ai cuori,
alle ali degli occhi
del cuore.

(… è che sto leggendo il piccolo principe, perchè ho deciso che la storia la insegno a partire da questo libro di pensiero cristiano, è perché mi costa e mi costerà qualcosa, è perché il peso principale di questo prezzo non lo pago io ma gesù, che porta sempre tutti i pesi. A me restano le conseguenze, ed anche a tutti voi.
È anche che il mio Piccolo Amore non mi fa fermare. Ma adesso penso a te ed alla tua cortesia.)

Ma no! Ma no! Non credo niente! Ho risposto una cosa qualsiasi. Mi occupo di cose serie, io!”
Mi guardò stupefatto.
“Di cose serie!”
Mi vedeva col martello in mano, le dita nere di sugna, chinato su un oggetto che gli sembrava molto brutto.
“Parli come i grandi!”
Ne ebbi un po’ di vergogna, Ma, senza pietà, aggiunse: “Tu confondi tutto… tu mescoli tutto.”
(Antoine de Saint-Exupery, Il piccolo principe, ed. it. Bompiani, Milano 2006, pag. 40)

Avere la cura dei cuori,
il sottile incanto di sapere i boccioli
e di pianto e di risa
conoscere i condimenti dell’amore
e le semplici salse dell’accoglienza degli occhi.

Avere la cura dei cuori
e mancare la crudeltà di scordare il dolore
il gesto secco dell’addio,
avendo spuma di lievito
nelle morbide carezze di baci
che nascono ricordo,
il ricordo …

come un’ansa di stelle
in un qualche golfo di cielo, vecchio di tempo,
in una navigazione impossibile
tra gli anni luce del passato che si fa spazio,
in una gestazione di mense ed alcove
dove il corpo si dispone
all’educazione d’amore
che fornisce Dio,
il piccolo amore silenzioso.

Avere la cura dei cuori
come fiori cresciuti ai margini esclusi
delle nostre foreste d’indifferenza,
avere la cura di quei fiori
per saper solo di spine e fiori
fino alla morte,
ed alla morte di croce.


Raffaele Ibba
è nato nel 1950 a Cagliari, città dove vive e lavora come insegnante di storia e filosofia nei licei. Si dedica alla poesia in modo intenso dal 2000, per una sua neccessità intima di vita e di cuore. Ha pubblicato due libri di poesia con le Edizioni della Meridiana di Firenze: Il disonore dei canti nel 2003 e La verità bugiarda nel 2006.

Nuova di Vincenzo Celli

Città

lunedì 17 settembre 2007

Su Poema dell'esilio di Gëzim Hajdari


Fara, Santarcangelo di Romagna, 2007, v. scheda libro

Dal sito culturale «L(’)abile traccia» http://www.labileabile-traccia.com/rivista_00006d.htm



recensione di Marisa Napoli

L’explicit di ogni strofa ripete la stessa parola: “esilio”. È come se tutto il poemetto fosse una lunga enumerazione dei perché l’attuale condizione di Gëzim Hajdari (Lushnje, Albania, 1957) è tuttora l’esilio e precisamente l’esilio in Italia: “È per questo che sono in esilio, amici miei”. Ma nel verso di coda non sono enunciate solo le cause dell’esilio, bensì è articolata una variegata fenomenologia dell’esilio, con i suoi drammatici vissuti, di sofferenze, umiliazioni, rabbia, nostalgia, disconoscimenti e riconoscimenti ecc.
Sempre, in epifora, a conclusione di ogni strofa, il vocativo “miqtë e mi” = “amici miei”, l’apostrofe ai suoi interlocutori ovvero noi lettori e anche il suo popolo (almeno così lui spera) a cui si rivolge e a cui sembra fare una confessione; “È una confessione in senso agostiniano questo Poema dell’esilio, che adotta stilemi anche prosastici e non facilmente catalogabile in un genere poetico: pamphlet, elegia, lirica di denuncia?”, dice nella prefazione Alessandro Ramberti.
In realtà del poema questo libro ha i caratteri peculiari: il verso, che trasborda la misura in nome di un’esigenza narrativa-espositiva-argomentativa e che spesso rasenta l’invettiva, il sarcasmo, la denunzia. Nessuno spazio, poi, all’autocompiacimento narcisistico dell’io, piuttosto ampi scorci di lirismo puro, di accoramento, di forti sentimenti di amore (per la madre, per la patria, per la cultura) o, viceversa, di disprezzo, per chi viola i valori più radicati per interessi personali, per sete di potere, per orgia consumistica, per prostituzione intellettuale ecc.
Come in ogni poema campeggiano eroi e antieroi, e sullo sfondo, veri protagonisti l’Albania e il suo popolo, con le loro sofferenze, i loro valori, le loro tradizioni.
L’eroe, la cui unica, potente arma per denunciare gli abusi del potere è la “parola”, s’identifica col poeta che paga la sua audacia con l’esilio: “La mia unica colpa è stata di non aver accettato compromessi,/ denunciando gli abusi e i crimini del vecchio regime/ e quelli del nuovo regime di B./ sulla stampa locale e nazionale./ È per questo che mi sento felice in esilio, amici miei”.
Gli antieroi sono rappresentati dall’innumerevole teoria di politici corrotti, la vecchia nomenklatura di regime del dittatore Hoxha, che l’attuale pseudodemocrazia ha riciclato e inserito nelle maglie dell’amministrazione pubblica. Ma i peggiori, fra gli eroi negativi, sono gli intellettuali asserviti al potere. In merito, le imputazioni principali gravano proprio sui poeti di Tirana che celebrano il “palazzo” e non fanno niente per ridare dignità all’Albania.
“Ho saputo che ieri ha chiuso l’ultima libreria nella città di Kukës. A Kukës/ città delle Alpi Albanesi, non c’è più libreria. Un’intera città senza libri!/ Mentre i poeti di Tirana scrivono a pagamento, libri per gli imprenditori ladri e per i mafiosi./ Come ricompensa, gli imprenditori donano terreni e ville ai poeti di Tirana!/ È per questo che abito nel Sud dell’esilio, amici miei”.
Colpisce subito la singolarità di questo volume, che l’editore ha sottolineato con l’orientamento orizzontale della pagina, piuttosto che verticale. Questa scelta editoriale costringe a leggerlo con modalità diverse, ma anche con sguardo diverso. Le pagine pari sono in lingua albanese, le pagine dispari sono in italiano: quasi metafora della posizione geografica dell’Albania, contigua e opposta all’Italia. E dall’Italia il poeta lancia parole, parole come pietre. Sassi contro vento, proprio come recita il significativo titolo del volumetto di poesie dello stesso autore, nella bella e curata edizione del 1995, uscita a Milano nella collana “Integrazioni” del Laboratorio delle Arti. A differenza di quei versi, scabri ed essenziali, questa poesia è come un fiume in piena ma altrettanto “lapidaria”, per usare l’espressione con cui Amedeo di Sora la definisce. Già in quel testo è preannunciato il contenuto del poema: “Partiamo di notte/ dimenticando che siamo ciechi/ per raggiungere un territorio nudo/ del quale ha bisogno la nostra voce./ Andiamo al mare per parlare/ e lanciare sassi contro vento”.
Il testo bilingue sollecita a leggere con sguardo obliquo anche l’altro idioma. Si scoprono così corrispondenze lessicali a livello di suono e si comprende che il significato a cui rimandano non solo si decifra immediatamente ma veicola valori (e disvalori) su cui concorda il nostro comune sentire di cittadini europei: “diktaturës” (“dittatura”), “demokratik” (“democratico”), “nomenklatura” (“nomenclatura”), “krime shteti” (“crimine di stato”), “ezil” (“esilio”).
È un libro in progress (questa è una seconda edizione, ampliata) e verrà aggiornato di anno in anno parallelamente all’evolversi della situazione in Albania, la patria amata e crudamente radiografata dal poeta, che si immerge e ci immerge “tra le fiamme dell’Inferno shqiptar (albanese)”. Come dice Hajdari: “Questo poema è il mio testamento morale, sociopolitico e letterario. Un omaggio a tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita in nome della libertà e un atto di accusa per tutti quelli che si sono mascherati dietro questa nobile parola, commettendo atrocità e crimini inauditi”.