venerdì 31 agosto 2007

…/faranews 93


è uscito il numero di Settembre 2007

Editoriale: Vita senza emozioni?


(nella foto Antonietta Corsini accanto al suo “Trittico” esposto nello stand di Clandestino al Meeting di Rimini)

Carla De Angelis la teme e giustamente si chiede cosa sarebbe “la vita / Senza il buio della notte / Senza amore da giocare”.
E a porsi (a porci) questioni simili sul rapporto a volte davvero inestricabile fra bene e male, giusto e sbagliato, e sulla scelta tra i due a cui ogni vita vita è chiamata, giungono il racconto Tra parentesi di Marco Bottoni, i versi di Paola Castagna, Luca Ariano, Vincenzo Celli e il commento lucano di Padre Bernardo M. Gianni. In questo numero anche tre note di lettura al Goffette di Danni Antonello, alla raccolta di racconti di Alessandra Giannasi e a Banchi diversi di Bruno Cantarini. Buona fine estate!


Sperando che le nostre comunicazioni siano per Lei interessanti, Le assicuriamo che i Suoi dati saranno da noi trattati con riservatezza. In ogni momento Le sarà possibile chiedere di essere cancellato dalla nostra mailing: basta rispondere UTILIZZANDO LO STESSO INDIRIZZO DI POSTA che volete venga cancellato, scrivendo in oggetto: CANCELLAMI.

giovedì 30 agosto 2007

3 nuove poesie di Marco Zavarini

qui

La voce… ha perduto il racconto (Cesare Iacono Isidoro)


Presento queste poesie in cerca “del suono del cuore / tranquillo” con “nella bocca un incendio / ma non esce che sabbia”, poesie che trovo particolarmente vicine, dunque toccanti e particolarmente efficaci nei molteplici echi biblici, le presento con le parole stesse dell'autore: «Accolgo con grande piacere il tuo invito, così ho anche modo di presentarti un altro versante della mia scrittura poetica, quello più intellettualistico (nel bene e nel male), quello più legato alle passioni culturali e artistiche. Nello specifico: Olivier Messiaen, quello appunto del Quartetto per la fine dei tempi, dove però c'è dentro anche un po' di Eliot, tre poesie che dovevano inaugurare un progetto molto più ampio rimasto poi inevaso; e Paul Klee, dai cui diarii e quadri ho tratto ispirazione per una raccolta di cui ti allego la prima e l'ultima poesia. (…) La foto illustra un'altra passione, Orson Welles (il cinema…)»

… per la fine dei tempi (a Olivier Messiaen)


1.

Traversiamo un deserto
senza dono di vuoto,
senza dono di ombre.
Senza doni ad attenderci
è il suono del cuore
tranquillo.
E non c’è parola
d’amore, di odio
di ristoro alle labbra:
nella bocca un incendio
ma non esce che sabbia.
Un deserto sul nostro cammino
di tracce e di pietre:
ma i venti, le storie,
le memorie e le voci
dei profeti, i serpenti
tutto quanto ingoiato.
Un deserto malato
per passi di vetro
senza dolore:
il cuore tranquillo
insipiente di sete.
Traversiamo un deserto
senza più doni: rifugio
che non scalda, inutile
quiete. Deserto,deserto
senza più spazio, annoiato,
sazio di fughe e di arrivi
che più non ode le grida
o i silenzi.
Cercato per perderci
ormai vuoto divelto
senza più offerte:
ad attenderci il suono
del cuore tranquillo
senza naufragio.

2.

Conosciamo le stelle
e i sentieri del mare,
ci onorava l’abbraccio
dei venti: navigare necesse,
ma è uno straccio la vela
non si può più salpare.
Potesse la voce
ma ha perduto il racconto,
potessero gli occhi
ma disvelano brume
ogni volta già pronto
un approdo, il cuore
potesse
lui almeno smarrirsi
tra queste onde assortite
ed avare.

3.

E siamo compagni
proprio mano alla mano
in questa avventura
senza grazia di abisso.
Il silenzio ci stende la guida,
è vero, ma è solo rumore
a riposo: né un nostro passo,
né un nostro lamento
riapriranno alcuna ferita.
Le stelle un tempo
ci pulsavano addosso
ci intonavano il fiato
nell’affanno del buio:
cosa abbiamo scordato
per meritare ora un perdono
tanto crudele?
Siamo compagni sul sentiero
di miele
di questo viaggio profano:
da confine a confine
senza fare mai breccia
fra trine di nuvole
e tessuti di ragni.
Lontano dopo lontano,
compagni, eccoci sempre
ci ritroviamo.

(2000)

***

da Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte. Omaggio a Paul Klee


1.

Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte
il magma della parola si fa luce,
e voglio che mi scompensi il cuore
e che gli occhi diventino
denti e gola al tempo stesso,
morbidi e voraci: cosa altrimenti
avrei cercato fino a impallidire
di sonno e febbre e sangue
e di trasfigurate notti ed albe
e di polsi dolenti e di felicità
consunta.
Dapprima innalzatosi da grigiore della notte
il magma del colore si fa verbo,
e voglio che mi racconti l’ultimo
segreto, e che gli occhi diventino
le fauci del mio stesso destino,
lucidi e impietosi: cosa altrimenti
avrei fatto fino a erodere il midollo
della speranza e della fantasia,
cosa altrimenti, vita mia?

27.

L’ultima parola non esiste:
sul nero paesaggio s’avventano
i corvi, disegnano per me
nero silenzio, cantano per me
sole di maggio sanguinante,
l’inverno si stende
e oscura il calendario.
L’ultima parola non esiste:
gridano i corvi a mezzogiorno
e la luce s’asseta
di un veleno di neve,
l’inverno prende il sole
e intona il suo laudario.
L’ultima parola non esiste:
partono i corvi in mesta
carovana, eppur leggera
e breve, furtiva, puntuale;
l’ultima parola non esiste,
l’ultimo corvo torna
freddo come l’inverno,
nero come il silenzio,
mi regala la sua bestemmia
e poi risale.

(2005)


Cesare Iacono Isidoro è nato a Cesena e vive a Cesenatico, in provincia di Forlì-Cesena, dove lavora come magazziniere edile. Scrive poesie da molti anni, ed ha all'attivo pubblicazioni in volume, in antologia, in riviste, oltre a diverse letture pubbliche.
Dal 1988 al 1995 ha avuto un'intensa esperienza teatrale, che in seguito è sfociata anche in un'attività come educatore e formatore.
Collabora regolarmente con insegnanti di scuola elementare alla preparazione e redazione di progetti didattici.
È stato impegnato per anni come volontario in organizzazioni attive nell'educazione alla pace e nel commercio equo e solidale; attualmente fa parte dell'associazione culturale “L'angolo giro“ e del coro-associazione “La Giraffa”, entrambe di Cesenatico.
Da qualche anno ha cominciato ad occuparmi di saggistica, specie su cinema musica.

mercoledì 29 agosto 2007

Esposte poesie finaliste 30-8



Verranno esposte a partire da giovedì 30 agosto alle ore 19,30 in vicolo Consalvi le 20 poesie finaliste della decima edizione del premio letterario POESIA DI STRADA, dedicato quest’anno alla memoria della professoressa Giuseppina Gentili che in passato ne fu promotrice e giurata.

Il concorso, curato dal poeta Alessandro Seri e dall’associazione Licenze Poetiche, con la collaborazione dell’assessorato alla cultura del Comune di Macerata, è uno tra i più importanti premi per poesia inedita in Italia e ha visto come sempre una altissima partecipazione: 411 poesie giunte da ogni parte d’Italia e alcune anche da paesi esteri come il Brasile.

Poesia di Strada non è il solito concorso di poesia, infatti la giuria del premio composta da affermati giovani poeti, da critici letterari e docenti universitari (Cristina Babino, Marco Di Pasquale, Renata Morresi, Tatiana Petrovich Njegosh, Massimo Sannelli, Alessandro Seri e Giampaolo Vincenzi) determina le venti poesie finaliste che poi vengono riprodotte su tela da noti artisti (Cagliosto, Alfonso Caputo, Irene Dipré, Francesca Gentili, Mario Migliorelli e Marco Milozzi) e quindi esposte alla lettura e al giudizio del pubblico.

La decima edizione del premio oltre a sancire un successo di continuità e qualità porta alcune novità a questa importante iniziativa maceratese conosciuta in tutta Italia. I venti testi finalisti verranno esposti oltre che nel caratteristico vicolo Consalvi per i due giorni della festa di San Giuliano, anche in altre località della provincia di Macerata quali Civitanova presso la libreria Arcobaleno dal 10 al 23 settembre, Mogliano presso la biblioteca comunale Ferretti Broccolo dal 1 al 7 ottobre, San Severino presso la libreria Binario Zero dall’8 al 21 ottobre, Belforte del Chienti presso il Midac – ex chiesa di San Sebastiano dal 1 al 11 novembre e infine al castello della Rancia di Tolentino in occasione del Festival Rampe per Alianti il 16 e il 17 novembre dove verranno anche proclamati i vincitori del concorso.

I venti poeti finalisti di questa decima edizione sono: Francesco Accattoli (Osimo – AN), Alessio Alessandrini (Ascoli Piceno), Franco Casadei (Cesena – FC), Dario Ciferri (Cupra Marittima – AP), Raffaele Castelli Cornacchia (Castegnato – BS), Elisa des Dorides (Macerata), Andrea D’Urso (Monterosi – VT), Loris Ferri (Pesaro), Antonio Fiori (Sassari), Gianmaria Giannetti (Bari), Gaia Maggioni (Sesto Calende – VA), Lorenzo Mari (San Giorgio di Mantova – MN), Michele Marinelli (Montemarciano – AN), Stefano Mazzacurati (Parma), Alessandra Paganardi (Milano), Luigi Paraboschi (Castelsangiovanni – PC), Alessandro Ramberti (Rimini), Nicola Santini (Castel di Lama – AP), Salvatore Sblando (Torino), Tiziana Soressi (Meda – MI).

Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito www.licenzepoetiche.it dove si possono trovare anche i testi dei venti finalisti.

Su Fiori di vetro



Fara Editore 2007

Recensione di Vincenzo D’Alessio

Credo fermamente che, prima di leggere questa nuova raccolta della poetessa irpina Gnerre, sia necessario guardare i versi compresi nelle precedenti raccolte uscite nel 1994, Il silenzio della luna; e Anime dei Foglie del 1996. A queste due fonti poetiche beve la luminosità della parola come ricerca di una verità irraggiungibile; per quelle “anime” delle cose, della natura, degli eventi, degli accadimenti, che formano «la solida essenzialità compositiva che nasconde plurimi livelli di suggestione e custodisce immagini di forza visionaria e metafore-analogie ardite e bellissime» (dalla prefazione al testo di A. Ramberti).
Le poesie prendono corpi diversi. Ma la scrittura che più si avvicina alla forma vera della poetica della Nostra è quella del verso corto, quasi in forma spezzata, con i versi disposti a formare una lunga catena di parole singole – note musicali – sopra un pentagramma invisibile allo sguardo ma percepibile nei pensieri: come le composizioni a pagina 20, 39 e seguenti. Questo modo di ordire il verso era quello delle raccolte precedenti ed ha conservato il suo effetto: dare l’immediato impatto, al lettore, di assorbire l’energia della materia compositiva: «Imparo dalle foglie / ovate di tabacco / a vivere nel rifugio / dei pensieri» (p. 63).
Questi «restauri di solitudine» non sono una voce ma il coro di un fiume in piena che viene allo scoperto dopo dieci anni di soliloquio. Una lingua nuova che tenta espedienti nuovi, per simulare tracce di acquisizioni; contaminazioni; esperimenti. Una poesia che costruisce una scia per altri versi che «nella luce» riconoscono il punto di partenza.
La luce, ripetuta in tante poesie, come inaugurazione di una vita nuova di fronte ai troppi ricordi a volte ingombranti, non riducibili a semplici assetti verbali, a metafore, analogie, esperienze filosofico-religiose. La luce che investe la nuova costruzione poematica della Gnerre è un surrogato della vita che lei cerca oltre il labirinto dell’interrogativo eterno: «io sono / una gallina / che non dorme / mai» (p. 71).
Gli animali compaiono nei versi come corpi sinuosi: che vorranno dire insieme al fieno, ai ceci, al verde, alle spine, al torrente, alle foglie… queste foglie che ritornano costantemente a presentarsi nei suoi versi?
Avrei tante proposte da fare ma il quesito rimane: «e il mio cuore / piange l’aceto / bianco» (p. 72).
In questi versi brevi, automatici, quasi soffrissero di futurismo o di surrealismo, affonda l’ironia e la ricerca vera della poesia della nostra autrice. Un sorriso rubato ma graffiante. La meccanica di una filosofia pascaliana che ricerca nelle ragioni del cuore la gnoseologia delle verità nascoste.
Le epigrafi a due amiche perdute lungo il viaggio incoronano la raccolta e la dispongono su questi binari.
Tante e diverse sono le motivazioni che irrompono dai versi: fiori, specie il tulipano; colori, specie l’arancione; l’acqua, purezza e desiderio di rinnovamento. Spuntano anche le contaminazioni con poeti illustri come l’Alighieri nel richiamo alla “navicella”; nell’uso di assonanze come «schricchia suo pianto» (p. 41).
L’Irpinia e i poeti ritornano ancora in diverse poesie e mostrano il desiderio di cambiamento, di rinnovamento, di necessaria riproduzione di liberi pensieri e azioni, in brodo di libertà.
Anche Rocco Scotellaro trova spazio nella bella poesia a p. 35 dove sono ricordati i versi della sua Pozzanghera nera il 18 aprile, citando i portoni che non si aprirono e i burroni che si spalancarono.
La poesia di Antonietta Gnerre copre dieci anni di studi e di sofferta originalità meditata, ricercata, accettata, rifiutata, all’ombra di una Natura ancora amica ma che sfuma in una realtà ben diversa che si tarda ad accettare.
I valori a cui è legata l’etica della poetessa di Prata di Principato Ultra hanno abbandonato la nostra società da pochi anni ma sembrano secoli. Il tormento del tradimento verso le cifre morali che ritenevamo indispensabili sfocia oggi nella pazzia omicida, nella follia religiosa, nell’ipocrisia economica, nell’insaziabile sete di vite umane da distruggere moralmente e fisicamente. Tutto ruota intorno al rispetto di questa forza che si spera di avere assimilato nella lettura e nella rilettura dei versi della presente raccolta.

Montoro, agosto 2007

martedì 28 agosto 2007

I FINALISTI DELL'EDIZIONE 2007




POESIE FINALISTE

Francesco Accattoli (Osimo, Ancona) - Passeggiando per il barrio viejo

Alessio Alessandrini (Ascoli Piceno) - Barcode

Franco Casadei (Cesena) - I due fratelli

Dario Ciferri (Cupra Marittima, Ascoli Piceno) - dimagriva ogni giorno un po'

Raffaele Castelli Cornacchia (Castegnato, Brescia) - White Body - Black Body

Elisa des Dorides (Macerata) - Armigero legato

Andrea D'Urso (Monterosi, Viterbo) - Ho gettato l'amore in pasto ai cani

Loris Ferri (Pesaro) - … venne l'alba e poi a seguire venne…

Antonio Fiori (Sassari) - Recapiti

Gianmaria Giannetti-Fusco (Bari) - se fossi soldatino di plastica anche la guerra di plastica

Gaia Maggioni (Sesto Calende, Varese) - Metti pure le scarpe buone in un angolo…

Lorenzo Mari (San Giorgio di Mantova) - Cantare

Michele Marinelli (Montemarciano, Ancona) - Kyosaku

Stefano Mazzacurati (Parma) - Valzer a Trastevere

Alessandra Paganardi (Milano) - L'ombra della sera

Luigi Paraboschi (Castelsangiovanni, Piacenza) - Il vaso di Pandora

Alessandro Ramberti (Rimini) - Monaco

Nicola Santini (Castel di Lama, Ascoli Piceno) - Al Giabr

Salvatore Sblando (Torino) - Fra i passeggeri di linea 45b

Tiziana Soressi (Meda, Milano) - Teorema di Pitagora

Venite a scoprire i nomi e le poesie migliori di quest'anno!
Vi ricordiamo inoltre la prima esposizione delle poesie dipinte durante la Festa di San Giuliano a Macerata Giovedì 30 e Venerdì 31 Agosto vicolo Consalvi

e la Premiazione dei Vincitori del Concorso
durante la III edizione del Festival

Sabato 17 Novembre
al Castello della Rancia di Tolentino (MC)

VI ASPETTIAMO!!!


Ass. cult. "Licenze poetiche" www.licenzepoetiche.it

lunedì 27 agosto 2007

Su Mosse per la guerra dei talenti


recensione di Vincenzo D'Alessio

Anderea Temporelli, alias Marco Merlin, è poeta e critico noto al gran pubblico dei lettori per aver dato vita alla rivista Atelier con sede a Borgomanero (Novara). Poesia e critica munite di molta acribia, che propongono giovani talenti nazionali.
Dando alle stampe, presso Fara Editore, questa summa di poesia e critica poetica, il Nostro ha inteso presentare, ad un pubblico attento e preparato, quanti si sono affermati o sono alla prima esperienza poetica. Il pubblico di lettori di Faranews è tanto esigente e disposto al dialogo con gli autori.
I giovani poeti contenuti nel testo formano un caleidoscopio di voci che fornisce le informazioni “in cuna” della poesia del nuovo millennio. Molti hanno bevuto alle buone fonti dell’ermetismo; degli autori sospinti su nuove strade come Sereni, Caproni, Bigongiari, Luzi, etc. Altri tentano sperimentazioni guardando a Dario Bellezza, Pasolini, E. Sanguineti, Zanzotto, etc. In pochi versi c’è il testamento del ventesimo secolo e l’adolescenza del nuovo.
Non me la sento di parlare di veri e propri “vagiti impercettibili” anche se siamo soltanto agli inizi. Il viaggio a bordo di questa “navicella” carica di parole può superarsi dicendoci chiaramente la verità su quanto componiamo, senza troppi pre-giudizi ma “mediando”, come scrive S. Ritrovato, tra l’opera e il lettore (p. 156).
Molti dei poeti contenuti in quest’opera li conosciamo per i loro blog su internet. Altri, come il salernitano A. Napoli, per l’incontro con la sua poesia a concorsi letterari: come il Premio Nazionale Biennale Cluvium 2006 a cui ha partecipato ed è stato antologizzato.
Ogni poeta è una parte di me stesso, leggendolo; così come è una parte di Merlin per averlo interiorizzato, amato, criticato scomponendo la metamorfica aura del bozzolo del bruco, prima della farfalla che ha preso il volo.
Le mosse sulla scacchiera dei talenti, sorretta da Merlin, somigliano molto a una guerra senza crisi energetiche, che fa ben sperare, poiché la Poesia non è morta, ma viva.
Maggiore attenzione, però, dovrebbe riservare il Nostro alla poesia meridionale, anche se “formatasi a Bologna”.

Torna «La Gru»


La Gru nasce ad Ascoli Piceno nel maggio 2005 su iniziativa di Daniele De Angelis (1981), Davide Nota (1981), Riccardo Fabiani (1981) e Gianluca Pulsoni (1985) per estendersi nel maggio del 2006 ai poeti pesaresi Stefano Sanchini (1976) e Loris Ferri (1978) e nel 2007 al teramano Fabio Monti (1981).


Momentaneamente sospese le pubblicazioni su carta per mancanza di fondi, escono nel 2007 due e-book: “La Gru (2005-2006)”, contenente i quattro numeri precedentemente pubblicati, e l’e-antologia di poesia contemporanea “Scorie contemporanee – I poeti de La Gru”.



Torna ora sotto forma di portale elettronico pluri-disciplinare.
www.lagru.org

mercoledì 22 agosto 2007

Due fari neri fissi nello specchio (Laura Vicenzi)


Passepartout

Persi nel labirinto a colori
davanti ai riflessi negli specchi
i fantasmi urbani scure ombre
cercano la chiave più preziosa.
Sussurri antichi aliti estivi
tracciano strade tra i carrozzoni
svelano scie di luce cometa
nella buia polvere del luna park.
Intorno ai pali in mezzo ai falò
moderne Alice coperte di strass
cadute nei tranelli dei conigli
distraggono i passi dal cammino.
Brilla invitante tra le tende
l’alta insegna della Fataverde
ambigua sirena che svela destini
celando l’uscita in fitte nebbie.
Vagano gli spettatori paganti
e tirano sfere ai barattoli
per trovare il tesoro promesso
l’unica chiave il vero passepartout.
Quando la notte piano appassisce
tra i ghigni dal trucco ormai sfatto
cercano gli Ulisse assonnati
lo spiffero gelido dell’uscita.


Poker di donne

Nella casa che protegge il respiro del sonno
due fari neri fissi nello specchio
guardano un nuovo viso di donna.
Solo poco prima erano occhi bambini.
Nel petto tenero il cuore arrossito d’amore
balla una danza che non si vuole fermare.
Il suo pulsare desterà il sonno leggero
di quel padre che è per sempre il primo amore.
Donna di cuori e di fiori,
ora lui sentirà il tuo odore troppo caldo
e capirà che hai amato, che sei stata amata.
Saprà in un attimo dolcenero che è giusto così.

Davanti all’altare fiorito
fissi il tuo riflesso di neve in due occhi blu
che dicono parole diverse da quelle che riecheggiano nella chiesa.
Col cuore percepisci già la nuova distanza.
La festa profuma di confetto e di velo,
poi, a casa, si danzerà per sempre un ballo lecito, benedetto.
I giorni di sole scorrono luminosi,
quelli di pioggia sono riscaldati
dal tepore insipido della consuetudine.
Donna di quadri, percorri strade già tracciate da altre
per anni, e per anni ancora.
Basta pensare che è giusto così.

Nel giardino dell’alveare per anziani
specchi quel volto che non riconosci
nell’acqua ferma della fontanella di marmo.
Bevi assetata, appoggiando le labbra alla fredda lapide.
Intorno senti un frinire che pare vuoto
se si attende la carezza di una voce cara.
Nel petto avvizzito
senti un battito ballerino
che segue il disco in vinile dei tuoi pensieri.
Donna di picche, ricordi l’amore perduto
molto prima di perdere lui,
e sai che il gioco è giusto così.


Aria toscana

Lascia l’abbraccio viola del glicine
per correre lieta a filo d’ombra
a carezzare rami di cipresso.
Con labbra fresche stampa baci muti
sulle guance ardenti dei casali
li fa rabbrividire fin sui coppi.
Sussurra piano parole d’amore
ai raccolti biondi nati tra i colli
Madonna che allatta premurosa.
La sera indossa un manto scuro
pennella gli occhi di blu e bistro
e s’alza in volo verso il mare.
Al ritorno soffia sulla campagna
aliti di salso che al mattino
sul bruno sembrano gocce di stelle.


Quattro per te

Sono acqua,
lambisco il tuo corpo in esilio.
Onda schiumosa
solletico membra addormentate.
Ti aspergo di salini profumi.
Mi disperdo in lacrime piovane.

Sono terra,
accolgo i tuoi cammini erranti.
Campo arato
attendo il dono del seme fecondo.
Ti proteggo in torri di granito.
Mi svelo nuda in sabbiose dune.

Sono aria,
soffio aliti nei tuoi respiri.
Brezza mattutina
accarezzo in volo il tuo viso.
Ti porto doni da luoghi lontani.
Mi rendo musica, vento giocoso.

Sono fuoco,
divampo nelle viscere profonde.
Lava ardente
sciolgo il gelido manto del cuore.
Ti accolgo nel tepore tra le piume.
Mi vesto di luce, angelico faro.



Vittorie quotidiane


L’oro del podio
è nella luce nuova del mattino
profuma di talco e di biscotto
l’attimo del risveglio alla vita.

Lampi di bronzo
saettano nel traffico del giorno
incidono a fuoco sulla lastra
le tappe che segnano i destini.

Pallori argentati
quasi serali carezze di luna
diffondono quiete nenie di pace
lenti rientri a vela nei porti.



Questi versi di Laura Vicenzi, tendenzialmente prosastici e narrativi con una particolare attenzione all'eleganza ritmica, ci pare esprimano un lirismo oggettivato, quasi l'autrice impersonasse il ruolo di un regista che mette in scena il suo mondo attraverso gli attori. Commenti benvenuti.

Laura Vicenzi è nata e vive a Bassano del Grappa (Vicenza). Scrive da sempre poesie e racconti. Considera i suoi scritti una silenziosa fedele compagnia. Da un paio d’anni li lascia uscire dalla sua stanza per farli leggere anche ad altri spedendoli a concorsi con temi simpatici, o profondi, meglio se simpatici e profondi, ottenendo apprezzamenti e riconoscimenti che la rendono molto felice. Sta lavorando alla sua prima pubblicazione, ha in mente un progetto, un disegno nell’aria. Ha avuto l’onore di essere ospitata anche su Fara News per il Concorso Prosapoetica 2007. Allegato l’articolo scritto su «La Domenica di Vicenza» dal Critico Letterario Prof. Gianni Giolo sul Concorso (cliccare per ingrandire).

martedì 21 agosto 2007

VersoSud. Incontri internazionali di poesia 14-16 settembre


Straordinario appuntamento poetico a Reggio Calabria. Nei giorni 14, 15 e 16 settembre si svolgerà la prima edizione di “VersoSud. Incontri internazionali di poesia” con la partecipazione di alcune delle voci più importanti del panorama poetico internazionale.

La manifestazione, promossa dalla Regione Calabria (Assessorato alla Cultura) e dal Comune di Reggio Calabria (Assessorato ai Beni Culturali e Grandi Eventi), è curata dalla Casa della poesia e dall'Associazione Angoli corsari.

Reggio Calabria, andando incontro alla propria vocazione culturale, storica, artistica, si propone all'attenzione internazionale per tre intensi giorni, come snodo e punto di riferimento per la poesia e per l'incontro tra popoli, culture, religioni.

“VersoSud”, verso un sud ideale, luogo di partenza e di approdo, luogo di incontro e di scambio, di accoglienza e convivenza.

«Ci piace immaginare questa manifestazione più che come un festival come una festa, il luogo dove la poesia, che qualche sacerdote vorrebbe confinare in tabernacoli e loculi racchiusi in cripte accessibili solo agli adepti, celebra la propria vitalità, sfugge alle classificazioni ma non alle contaminazioni, esce dalle pagine dei libri e si fa voce, e si fa canto e si fa musica e si fa danza e azione e perfino video o segno grafico o qualunque altra cosa serva per poter esprimere l‚inesprimibile, la contraddizione più radicale… Una festa in un luogo dove la storia sfuma nel mito, dove l‚incontro tra i popoli e le razze ha radici antichissime e problemi attualissimi, dove il mare sfida la terra e il fuoco del vulcano minaccia il cielo, per ricordarci che tutto ciò che è vivo è in perpetuo movimento, che la storia non è affatto finita, ma anzi si arricchisce di sempre nuove ed impreviste varianti. Portati da un vento leggero, atterreranno, in una dolce notte mediterranea, i migratori della parola e l'incantesimo, almeno per tre giorni, potrà essere rinnovato: la poesia potrà tornare nella vita.
Sussurrerà, o magari urlerà, ad ognuno di noi, che la “tenerezza è rivoluzionaria”, che l'amore è sovversivo, che la diversità è ricchezza, che il cambiamento è possibile, anzi indispensabile per impedire che l'offesa fatta al mondo si ritorca contro tutti noi.»

L'evento si svolgerà presso il Castello Aragonese di Reggio Calabria: la sera, alle ore 21,00, nella piazza appena ristrutturata, con letture spettacolari e con a volte l'ausilio di musicisti che interagiranno con i diversi poeti; nel pomeriggio, invece, alle 18,00, nelle salette interne del Castello, con seminari, incontri, proiezioni, esposizioni.

Grande il livello delle partecipazioni da varie parti del mondo: dallo straordinario e ormai avvolto nel mito Amiri Baraka (al secolo LeRoi Jones) e sua moglie, Amina Baraka, veri punti di riferimento della comunità afroamericana che si esibiranno con un quartetto jazz italiano, all'intenso poeta del Ciad, Nimrod, che ci porta la voce dell'Africa profonda, dolorante e bellissima; dalla seducente siriana Maram al Masri con la sua poesia sensuale e femminile, alla poesia profondamente mediterranea del libanese Michel Cassir; da uno dei maggiori poeti di lingua ebraica, colto, irregolare, scandaloso, oppositore delle politiche israeliane nei territori palestinesi, l'israeliano Ahron Shabtai, all'umanesimo profondo, carico di compassione del portoghese Ivo Machado; da Tony Harrison, inglese, tra i maggiori poeti contemporanei, “autore in trincea“, corrispondente dal fronte e storico e coscienza della nostra epoca, allo spagnolo Manuel Rico, con la sua poesia come memoria intima e collettiva; dalla poesia densa di emozione della cilena, sopravvissuta ad un altro 11 settembre, Carmen Yañez, alla poesia combattiva e “cantata” dell'afroamericana Devorah Major; dai reduci di quel “mondo ex”, gli straordinari slavi, Josip Osti (bosniaco) con una poesia d'amore che si scontra con la tragedia del suo paese e Sinan Gudzevic (serbo) che recupera con ironia e ferocia la forma classica dell'epigramma, agli italiani Giuseppe Conte (uno dei nostri poeti più importanti ed internazionali), con le sue poesie più recenti nelle quali abbandono, inquietudine e malinconia investono di senso inedito il grande tema della sua poesia e della nostra vita: il destino della cultura occidentale e Gregorio Scalise (calabrese di nascita, bolognese di adozione) con la sua scrittura poetica intelligente ed ironica, filosofica e di forte spessore culturale, antiretorica e asciutta.

Gli incontri pomeridiani, con esposizioni e proiezioni, saranno centrati su tre temi: “Allen Ginsberg, beats e dintorni” (in occasione dei dieci anni dalla scomparsa di Allen e degli appena trascorsi 50 anni dalla pubblicazione del celeberrimo Howl, con esposizione di Chris Felver, proiezioni, seminari); “Sarajevo, mon amour” (dedicato al grande poeta Izet Sarajlic, a Sarajevo e alla “poesia in tempo di guerra”, per il gemellaggio “attivo” esistente tra Casa della poesia e la capitale di Bosnia); “Il Taccuino del vecchio. Giuseppe Ungaretti” (con l'ausilio di video e documenti filmati).

Nel corso dell'evento saranno allestiti alcuni juke-box poetici.

Un programma dettagliato on-line nei prossimi giorni su:
www.casadellapoesia.org

Per informazioni di carattere logistico (alberghi, bed & breakfast, treni, aerei, ecc.) per quanti pensassero di vivere insieme a noi questi tre giorni di grande poesia, ecco alcuni riferimenti:
angolicorsari@yahoo.it
Giada 339 8022713 / Mauro 339 5318515 / Elisa 333 1238935

Per la stampa, foto, interviste, e per informazioni di “carattere poetico”:
direzione@casadellapoesia.org
Sergio Iagulli 347 6275911 / Raffaella Marzano 328 8450483

lunedì 20 agosto 2007

Biglietto su La Riviera del sangue

di Monica Moroni

«(…) Sto leggendo il libro di poesia Sto leggendo il libro di poesia La riviera del sangue di A. Rivali, e sai mi piace il suo modo di utilizzare il linguaggio in forma poetica e molto scorrevole nella lettura.
Ti appassiona: le immagini che descrive riesci a vederle e il linguaggio è anche musicale, non sono un critico, ma leggendo riesci a trovare il giusto modo di interpretarle e la cadenza giusta nel leggerle. Spero di non aver detto sfrondoni ma è quello che mi sento di dire a oltre metà del libro, nella mia ignoranza letteraria. Continuo a leggerlo e grazie di avermi dato l'opportunità di leggerlo (…)»

Farabeer 4 settembre


In quel di Mantova, il giorno 4 settembre al calar del sole un nutrito e spumeggiante gruppo di farapoeti darà luogo a un evento indimenticabile. Ogni adesione arricchirà l'incontro. Per saperne di più si prega di contattare Corrado Giamboni corgiamCHIOCCIOLAalice.it (ovviamente al posto di CHIOCCIOLA inserire @) cell. 347 2390721
Si leggeranno le proprie cose, si ascolteranno quelle degli altri e si discuterà nella nuova piazza dei poeti (per l'occasione)!

sabato 18 agosto 2007

Su Duende di Caterina Camporesi


Marsilio, Venezia, 2003

recensione di Anna Maria Tamburini

Colori quali rosa azzurro blu… associato al blu velluto… suggeriscono armonia ed equilibrio; e così la danza. Nidi culla conca grembo… evocano l’idea di un riparo, di sicurezza… ma rispettivamente si riferiscono ad acqua parole universo vita…; ed è facile perdervisi, per la vaghezza della metafora che ne deriva. Le burrasche lungo i tracciati della vita si sono affrontate (ho nuotato); tra le cifre enigmatiche del mistero che ci avvolge si è conservato un equilibrio.
È una gemma preziosa la parola distillata in un dettato essenziale. Ma la leggerezza della poesia che libera fluisce dal profondo, dal corso dei pensieri, dal sogno… si deve anche al vaglio rigorosamente selettivo dell’analista al quale l’esperienza della psicanalisi conferisce fecondità poietica e al tempo stesso sapienza lucidità autocontrollo.
Non si teme, anzi spesso è deliberatamente perseguita la sperimentazione della parola che scaturisce da una musicalità testuale di allitterazioni assonanze omofonie e rime (p. 56): sono i suoni a generare le parole nelle culle di zolla / all’ombra dell’acero / s’allunga l’occhio / all’allungare dell’onda; parole che come palpitanti membra sussultano sui sentieri soleggiati / di sera … E parimenti: aduno ad uno ad uno / ricordi tesori rimpianti / – nei moti della notte / li incendio // offuscata dai lampi …
I sentimenti sono meno indistinti e inconsapevoli di quanto non si creda. I sogni i miti la fiaba, nella loro enigmaticità, si possono comunque interpretare. Ma c’è margine per l’imprevisto, per l’evento (un amore come il fiore dalle falde rosse / è nato nella sassaia, p. 23), un’epifania, un brillio… E audacia della ricerca (p. 16, p. 41) nell’esplorazione del mondo, la medesima audacia delle parole che alludono eludono illudono // accompagnano l’azzardo / nel verde della vergine riserva (p. 83).
Sapientemente distillate anche le memorie letterarie – amore e conoscenza (p. 16); nelle acque profonde / del limpido lago (p. 27); siepi d’aria / in primavera (p. 39); – pure riconoscibili, come gli archetipi culturali, o antropologici: davanti a un altro altare / Edipo porterà i suoi doni (p. 28); tesso con fili di pelle / la garza che mi copre / dalle lingue di fuoco / dalle folate di vento // brucio aleggiando / tra le dita nodose / dell’oblunga spelonca / poi le mie zampe di capra / calcano la sponda (p. 57); siamo naufraghi impavidi / della ciurma di Ulisse / a tratti sommersi / ora scampati / tra gli scogli scalpitiamo (p. 89).
Il libro si apre con una citazione da Garcìa Lorca, il duende bisogna svegliarlo nelle più recondite stanze del sangue: è una citazione che per le vicende biografiche dei poeti è particolarmente pertinente anche alla poesia di Cesare Ruffato – al quale Caterina Camporesi riconosce un debito per il titolo – amante della Spagna e della poesia spagnola, e direttore della collana della Marsilio presso la quale è stato pubblicato questo Duende. Una seconda citazione, immediatamente seguente, ora il tuo respiro è l’amore nell’universo, è da un proprio testo di sanguinante bellezza, ormai in chiusura. I sogni, i pensieri di questo poetare soprattutto nella terza ed ultima parte, “Continuiamo a fare anima”, si agitano intorno a un profilo, a un volto che si è dissolto: ma noi ancora dialogo d’amore edifichiamo templi trasparenti // armonie luminescenti nascono nella notte senza porte (p. 102). Dialogo è sostantivo o verbo? Forse entrambi: come sostantivo può fungere da apposizione a templi; ma come verbo è di sola prima persona e genera uno scarto di significati, per quanto dialogo non sia monologo: anche se interessa una sola persona di quel noi, con l’altra si edificano templi… armonie. Ma armonie è già afferente al successivo verso, anzi al distico seguente.
Tra i percorsi magari labirintici dell’esperienza personale di esplorazione del mondo, sintetizzata nella prima parte, “Incontri”, e un rapporto che bisogna tenere desto rianimando il discorso d’amore (p. 95), per analogia ai buchi neri della sfera psichica, la seconda sezione, paradigmaticamente titolata “Fueros”, apre spiragli più o meno espliciti sulla vicenda della storia umana dalle origini (p. 50) all’oggi (p. 64) ma le riflessioni sulla libertà (p. 81), sul potere (p. 87) assumono valenza filosofico sapienziale di carattere teorico e la vocazione personale è ermeneutica di una realtà esistenziale più interiore.

venerdì 17 agosto 2007

Noël tradotto da Lucetta Frisa


ringrazio Chiara De Luca che ha fatto da ponte (anche lei ottima traduttrice di un noto poeta francofono) e, naturalmente, Lucetta Frisa

Da Bernard Noël L’ombre du double
P.O.L Editions, Paris, 1993
L’ombra del doppio, traduzione di Lucetta Frisa, postfazione di Marco Ercolani
Novi Ligure, Joker, I libri dell’Arca, 2007




sequenza 2



che cos’è il faccia a faccia

dal fondo del vetro viene
il tu che non è dell’altro

lancia attraverso gli occhi
un grido di fumo

il sapere allora
è lama ritorta

testa e coltello hanno freddo
nel pensiero


*


una lingua d’ombra

lecca i tuoi occhi senti
il nero che pensa

il tuo viso lo vedi
che si scioglie sotto la morte

tutto il sangue dello sguardo
qui e là nel buco

trasparente io e tu
sono il sudore del bicchiere

*


talvolta è una bocca

aperta nello spessore
tu della notte il dente

io l’occhio scoppiato che cola
dentro i tuoi occhi d’ombra

poi la nerezza prende
tutta la carne di me

la morte si veste di tu
dentro la mia ferita


*


che cos’è un viso

il tu del corpo
gli si dà un nome

a scavare l’orbita
piccolo crimine d’aria

dove beve il tempo
una pietra di pelle

lassù posata
sulla fine di sé


*

laggiù quest’altro corpo

la tua aria invecchia dentro
escono le tue ombre

qualcuno va via sui tuoi denti
poi passa il vetro

cerchi sotto la lingua
un grido di crepacuore

caduta di carne in testa
la vita sprofonda


*


te che sei nel mio tu

il mio presente è una pietra
me la getti negli occhi

sale la pagina di vetro
il viso esplode dentro

io succhio il bianco
il lino dello sguardo rubato

scorre il letto del tempo
al centro della bocca


*

che cos’è la vita

la tua lingua tocca l’occhio
brucia nella luce

tendi la tua mano di polvere
troppe lettere sotto le unghie

ancora un po’ di nulla
nella parola corpo

qualcuno laggiù si arrampica
fuori della tua faccia


***


séquence 2


qu’est-ce que le face à face

du fond de la vitre vient
le tu qui n’est pas de l’autre

il jette à travers les yeux
un cri de fumée

le savoir est alors
lame retournée

tête et couteau ont froid
dans la pensée

*

une langue d’ombre

lèche tes yeux tu sens
le noir qui pense

ton visage tu vois
qui coule sous la mort

tout le sang du regard
ici là-bas au trou

transparent je et tu
sont la sueur du verre

*

parfois c’est une bouche

dans l’épaisseur ouverte
toi de la nuit la dent

moi l’œil crevé coulant
dans tes yeux d’ombre

puis la noirceur prend
toute la chair du moi

la mort l’habille en tu
dans ma blessure

*
qu’est-ce qu’un visage

le tu du corps
un nom s’y met

creusant l’orbite
petit meurtre d’air

où boit le temps
une pierre de peau

là-haut posée
sur la fin de soi

*

cet autre corps là-bas

ton air vieillit dedans
il en sort tes ombres

quelqu’un s’en va sur tes dents
puis passe la vitre

tu cherches sous la langue
un cri crève cœur

chute de chaire en tête
la vie s’enfonce

*

toi qui es dans mon tu

mon présent est une pierre
tu la jettes dans mes yeux

la page de verre monte
le visage éclate dedans

je tète le blanc
le linge du regard volé

le lit du temps coule
au milieu de la bouche

*

qu’est-ce que la vie

ta langue touche l’œil
elle brûle dans la lumière

tu tends ta main de poussière
trop de lettre sous les ongles

encore un peu de rien
dans le mot corps

quelqu’un rampe là-bas
hors de ta face






L’eresia dello sguardo
(dalla postfazione di Marco Ercolani)


Antonin Artaud, in una prefazione scritta nel 1947 per una mostra di alcuni suoi autoritratti, scrive: «Il volto umano è una forza vuota, un campo di morte […] Dopo mille e mille anni che il volto umano parla e respira si ha ancora l'impressione che non abbia cominciato a dire ciò che è e ciò che sa […] Io non conosco un solo pittore della storia dell'arte, da Holbein a Ingres, che questo volto d'uomo sia giunto a farlo parlare. I ritratti di Holbein e di Ingres sono dei muri spessi, che non spiegano nulla […] Io ho d'altronde rotto del tutto con l'arte, lo stile o il talento, in tutti i disegni che si vedranno qui. Nessuno di essi è opera in senso proprio. Tutti sono degli schizzi, voglio dire dei colpi di sonda o di maglio dati in tutte le direzioni, secondo il caso, la possibilità o il destino. Non ho cercato di curare i miei tratti o effetti, ma di manifestare in essi delle verità lineari patenti che esprimano lo stesso valore sia attraverso le parole e le frasi scritte che mediante il grafismo e la prospettiva dei tratti». Le parole di Antonin Artaud, la cui opera è da sempre prediletta da Bernard Noël (v. Artaud et Paule, ed. ital. Joker, 2005), sembrano essere la matrice di questo suo libro di versi, L’ombre du double (P.O.L, 1993), dove domina la raffigurazione del volto umano come buco di tenebre, superficie scandagliata nelle sue parti - lingua, occhio, denti, capelli -, luogo di metamorfosi non sacre ma tese a rappresentare il destino tragico dell’io, soggetto alla pervasione violenta dell’altro.
«Il tuo viso lo vedi / che scivola sotto la morte // Tutto il sangue dello sguardo / qui e là nel buco»
Se è vero che il volto, connotato come sede della razionalità e dell’equilibrio, simboleggia l’unità psicologica del corpo, Noël sovverte definitivamente questo concetto, raffigurando una faccia umana trafitta da dissolvimenti, cancellamenti, fratture, non dissimile da certe perturbanti visioni di Munch o di Bacon. Questa deformazione porta con sé un presentimento di tragedia. In quanto maschera, il volto si oppone allo sguardo tranquillizzante che vorrebbe fissarlo come unità armoniosa o spirituale: è lui, ora, a guardare, a diventare soggetto non più obbligato a garantire la totalità del corpo, e riscopre così la sua natura frammentaria e rovinosa.
«forbici d’illusione/ ritagliano un io d’angelo»
Se «forbici d’illusione» ritagliano «un io d’angelo», questo apparente io angelico, estratto dalle forbici acuminate, è munito di una sua ombra infernale, «l’ombra del doppio». E, se il doppio è già un’ombra, il libro ne esplora il vortice di rispecchiamenti e di rifrazioni non con le armi della riflessione intellettuale ma con i ritmi della materia poetica.
«il mio presente è una pietra / me la getti negli occhi»
Il processo conoscitivo e poetico avviene attraverso la perdita dell’identità corporea. Il volto diventa un'immagine rifranta, minacciosa, che indica migliaia di apparenze non limitate da cornici consolanti, come accade quando ci riflette uno specchio. L’io sembra immergersi dentro una sporgente increspata; il riflesso si scompone, si fa flusso che trascina e disperde, porta l'immagine verso l'evanescenza; oppure ritorna acqua opaca, che nasconde l'abisso e sigilla i mutamenti, ipnotica e buia. Deluso dall'immagine ferma, evocata dallo specchio, il poeta sceglie la dissonanza dell'immagine mobile, frantumata dalle rifrazioni, cede alle vibrazioni del tema, al loro ground fondamentale, scompone la melodia in diverse isole timbriche ma senza nasconderne i suoni, rendendoli sempre riconoscibili, come un volto si riconosce anche attraverso le sue parti. La forma dell'io, alla radice, diventa visione del non-io, dell’io verso il tu.
«Nel tu / mangiando / l’io// i denti / girati contro la lingua // piaga aperta / piaga negli occhi»
Gli smembramenti del volto e del corpo, dell’io e del tu, non sono evocati con soluzioni drammatiche o espressionistiche: al contrario, il linguaggio poetico ne descrive con sobrietà la tragica scomposizione. Il tema fondamentale del volto scorre parallelo a quello della vista, rappresentata come potere di creazione/distruzione degli occhi, della bocca, della lingua, dei sensi umani, vissuti come prospettive in stato di pericolo, di dissolvimento.
«La tua lingua tocca l’occhio / brucia nella luce / tendi la tua mano di polvere»
La percezione dell’instabile identità dell’io è evocata con secca e minimale violenza dal poeta. Il linguaggio si snoda come un universo di microesplosioni. La scommessa formale che innerva L’ombra del doppio è raffigurare i sensi spezzati, il viso violato, l’io separato dal tu, con cadenze brevi e quasi gnomiche, sequenze e avvicinamenti di una partitura atonale, di una liturgia laica, ai limiti del silenzio. Attraverso una parola astratta, percorsa da «estratti» di corpo e tensioni metafisiche, Noël giunge alla percezione della carne straziata e vivente della parola, fatta con la materia stessa delle immagini. Ne scaturisce una poesia che la logica della ragione definirebbe «filosofica» ma che la realtà delle parole mostra come «esistenziale», fenomenologica. I «colpi di sonda» delle parole dissolvono l’unità del volto in un lampeggiare di schegge. Non esiste più un io dominante ma un io relativo e dolente, traversato da voci, invaso dal soffio poetico: «chi ha cominciato / in me / senza di me». La metafisica di Noël è un «simulacro del cielo / sotto le unghie» - non cielo totale ma spettro di cielo, di cui resta sotto le unghie del testimone un segno, un cenno.
«Lanci la sentenza di morte / la mano di polvere // Una lama di miraggio / cava l’occhio»
La parola miraggio, testimoniando la persistenza di un’illusione, dovrebbe rassicurarci, ma la parola coltello smentisce questa illusione. Lo smembramento del volto rappresenta la ferita della conoscenza umana, soggetta a violenze e fratture continue, che la rendono scorticata ma vivente.
«La mano si alza nera / la bocca è piena di tu // poi è una cucitura dell’ombra / in fondo agli occhi spogli»
«Una faccia umana / che non ha nome / volto senza testa // anche sfigurata / la faccia umana / mangia al nostro viso / il suo silenzio / è la bocca nera / dove il tu si getta nell’io»
La violenza surrealista della materia poetica è un flusso bloccato in immagini-schegge, atonali, neutre. Opponendosi alla dolcezza cantilenante della sua stessa lingua, Noël lavora su azioni brevi, su parole isolate. Costruisce una piccola insurrezione antiretorica, non permettendo alla poesia di svilupparsi in discorso ma rendendola isola frammentaria, esplosa, scheggiata. Il clima che ne deriva, acuito dalla semplicità dei mezzi, è un «campo di sterminio» fisico e metafisico, dove ogni frammento di corpo, di volto, di pensiero, è atto di eresia contro i soprusi del reale. Le simbologie che appaiono nelle diverse sequenze poetiche – dal doppio all’ombra al fantasma allo specchio – sono sottoposte a una decisiva immersione dentro lo strazio del corpo, cesellato dalle alchimie di una lingua volutamente scarna.
«Il sacrificio dell’io / al tu // lo sgozzarsi verbale / dell’illusione con l’illusione»
Come scrive di Zao Wou-Ki in Les Yeux dans la couleur, il lavoro dell’artista è «lavoro lucido / lavoro di grande silenzio / lavoro di forze slanci porosità / di materie / non di immagini».
All’interno di una materia che non è ancora immagine, l’opera di Noël è un diagramma spezzato che ricorda le riflessioni di Gilles Deleuze sulla parola poetica che continua a sfuggire e a balbettare, straniera nella sua stessa lingua, traversata da metamorfosi, porosità, continui dissolvimenti e ricuciture. Gli occhi di molti tu sono la «sostanza stessa del mondo», come scriveva già il giovane Noël in Les lieux des signes (1950): Una sera, gli oggetti si misero a vivere e subito credetti di sognare. Il mondo si scomponeva. Le cellule si ribellavano. Una vita atomica mi avvolgeva. Cominciò con lo schienale di una sedia, poi, sempre di più, il movimento raggiunse tutte le cose che popolavano la mia stanza. Dappertutto, occhi spingevano e mi guardavano; dappertutto, folle di occhi animati da movimenti ondulatori. Credetti di sognare; ebbi paura; infine pensai di essere penetrato di colpo bella sostanza del mondo, e non so ciò che accadde di me durante lunghe ore, per giorni interi.
Il poeta insegue quello stato di trance che, alla fine, si mostra con parole isolate, sospese, ellittiche, alla soglia del silenzio. Attraverso quelle parole Noël si avvicina all’intuizione centrale della sua poetica: usare l’irrealtà della visione e del sogno come materia, come strumento attraverso cui deformare e trasformare, reinventandolo, il reale stesso.
«la lingua tasta / un filo d’aria // immette parola su parola / sopra un po’ di pelle // Può forse l’irreale / sognare il reale / ricondurlo dopo / alla realtà // Il tu divora l’io / poi lo ricopre della sua ombra // ma l’altro laggiù nel fumo / indossa il corpo che fu mio».
Lingua, pelle, io, fumo, polvere, occhi. Come scrive Henri Michaux: «L’io non esiste. IO è una posizione di equilibrio». Intorno ai paradossi di questo equilibrio, in un incessante cortocircuito generativo tra altro e io, tra io e ombra, Noël non rinuncia a seminare e a smarrire la sua lingua, sospesa tra afasia ed eccesso. «a ciascuno la sua razione d’ombra / per addobbarsi di immagini».
M.E.


Nota biobibliografica

Romanziere, saggista, poeta, drammaturgo, Bernard Noël nasce il 19 novembre del 1930 a Sainte-Geneviève-sur-Argence. La sua ricerca poetica si muove nel segno di Artaud, Blanchot, Bataille, in un’incessante ricognizione del rapporto tra scrittura e corpo, tra eros e linguaggio. Il suo romanzo, Il castello di Cène, tradotto in italiano da Guanda, negli anni ‘60 fece scandalo per il violento erotismo, interpretato come violenza politica. Estratti del corpo, del 1958, la sua «opera prima» di poeta, tradotta in italiano da Donatella Bisutti, è uno dei titoli più significativi insieme a La caduta dei tempi. Bernard Noël non è solo poeta, ma anche saggista politico, con riflessioni sul «totalitarismo mentale» e sul «dispotismo della libertà», e filosofico (sue alcune osservazioni sull’enigma del nome nella Sindrome di Gramsci). Ha scritto per e su diversi pittori, da Moreau a Géricault da Masson a Magritte, da Giacometti a Matisse, e sono numerose le sue collaborazioni (plaquettes e libri d’arte) con pittori contemporanei, da Henri Michaux a Leonardo Rosa.
L’opera di Bernard Noël spazia dal 1958 al 2006. Nelle Éditions Lignes & Manifestes pubblica Artaud et Paule, L’Enfer dît-on, Le Retour de Sade, Le lieu des signes; per le Éditions Pol Journal du regard, Onze romans d’oeil, Treize cases de je, Le 19 octobre 1977, La Reconstitution, Portrait du Monde, L’Ombre du double, Le Syndrome de Gramsci, La Castration mentale, Le Reste du voyage, La Langue d’Anna, L’Espace du poème, Magritte, La Face de silence, La Peau et les Mots, La Maladie du sens, Romans d’un regard, Un Trayet en hiver, Les Yeux dans la couleur; nelle Éditions Fata Morgana Une messe blanche, Souvenirs du pâle, Le double Jeu du tu (con Jean Frémon), D’une main obscure, Le Château de Hors, Le Tu et le Silence, Roman de postures; per le Editions Flammarion-Léo Scheer, Les Premiers mots; nelle Éditions Gallimard Le Château de Cène, André Masson, La chute des temps, Extraits du corps; per le Editions Talus d’Approche Le Sens de la sensure, Le rencontre avec Tatarka, Quelques guerres; nelle Éditions Unes Fables pour ne pas, Extraits du corps, Vers Michaux, Correspondance (con Georges Perros), Lettres verticales; per Atelier de Brisants Vieire da Silva, Onze voies de fait, Le Roman d’Adam et Eve; per le Editions Ombres La Maladie de la chair; nelle Editions du Scorff Site transitoire; per le Editions Memoire du livre Dictionnaire de la Commune.
I libri in traduzione italiana sono: Il castello di Cène (Es, Milano 1991); Diario dello sguardo (Guerini e associati, Milano 1992); Il rumore dell’aria (Edizioni del Leone, Venezia 1996); La caduta dei tempi (Guanda, Milano 1997); Notti al castello (L’Airone, Roma 1998); Simbad il marinaio (Motta junior, Roma 1999); Paroles. Specchi e versi dell’erotismo con Pey Serge, (Avagliano, Roma 1999); Distanze. Tre monologhi, con Peter Porter ed Edoardo Sanguineti, (Avagliano, Roma 2000); Estratti del corpo (Mondadori, Milano, 2001); La sindrome di Gramsci (Manni, Lecce 2001); La malattia della carne (Abramo, Catanzaro 2003); Artaud e Paule (Joker, Novi Ligure 2005). Tra i suoi principali traduttori: Donatella Bisutti, Fabio Scotto, Antonio Prete, Lucetta Frisa.

2 nuove di Stefano Bianchi

qui

giovedì 16 agosto 2007

Cristina Babino e Luigi Nacci in Nodo sottile


Cristina Babino tra i vincitori di NODO SOTTILE 2007
Dopo Alessandro Seri nel 2002 e Renata Morresi nel 2005, un altro componente del gruppo di poeti di Licenze poetiche viene inserito nella pestigiosa antologia del Comune di Firenze Nodo sottile, che ogni anno promuove i migliori giovani poeti italiani. Questo riconoscimento, oltre ad essere un premio meritatissimo all'opera della poetessa anconetana, conferma ancora una volta l'importanza e la validità del lavoro sulla creazione poetica che si sta svolgendo da diversi anni nelle Marche, avvalorando ancor di piu' l'ipotesi di una "linea marchigiana", ormai preminente nel panorama letterario italiano.



Anche Luigi Nacci autore di diverse raccolte fra cui quella inserita in Voci condivise, è stato selezionato. Complimenti a entrambi!

martedì 14 agosto 2007

Centro dantesco: prossime iniziative


Ravenna, 9 settembre 2007
Messa di Dante
Celebrazione Eucaristica nell'ambito delle manifestazioni per il 686° annuale della morte del sommo Poeta.
Presiede il Cardinale Pio Laghi, Prefetto emerito della Congregazione per l'Educazione Cattolica e Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta.
Saranno presenti le delegazioni delle Città di Firenze e Ravenna.
Durante la liturgia l'Ensemble Myricae e il Quartetto Corelli eseguiranno il O Padre nostro e il Vergine Madre figlia del tuo Figlio di Lorenzo Perosi rispettivamente tratti dai canti XI del Purgatorio e XXXIII del Paradiso.
All'organo Andrea Berardi
Basilica di S. Francesco, ore 11.15
Scarica il depliant all'indirizzo messa

Ravenna, 13 settembre 2007
Dantis Poetae transitus
nell'ambito delle manifestazioni per 686° annuale della morte del sommo Poeta.
Paradiso XXVI, il canto della Carità
Introduzione di Alberto Casalboni; lettura di Franco Costantini; commento teologico-pastorale di Mons. Luciano Monari, Amministratore Apostolico di Piacenza-Bobbio, Vescovo eletto di Brescia e Vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Durante la commemorazione l'Orchestra Città di Ravenna e la Schola Cantorum S. Giacomo di Lugo, diretti da Carlo Argelli, eseguiranno il Sanctus e il Benedictus della Missa brevis di W. A. Mozart e il Gloria in Re maggiore di A. Vivaldi.
Basilica di S. Francesco, ore 21
Scarica il depliant all'indirizzo transitus


Ravenna, 8-15 settembre 2007
Dante09 - "Per correr miglior acque alza le vele" (Purgatorio I 1)
A cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
Per il programma si rimanda al sito www.dante09.it


Ravenna, 16-25 settembre 2007
Settembre Dantesco 2007 - Dante: I piaceri del corpo e della mente
A cura dell'Opera di Dante - Istituzione Biblioteca Classense.
Per il programma si rimanda al sito Classense


Ravenna, settembre 2007-maggio 2008
Lectura Dantis dedicata a Mons. Giovanni Mesini, "il prete di Dante"
Organizzata in collaborazione con la Scuola di Formazione Teologica "S. Pier Crisologo" dell'Archidiocesi di Ravenna-Cervia.
Divina Commedia. Inferno
letto e commentato da padre Alberto Casalboni, dei Frati Minori Cappuccini di Ravenna
Lunedì 17 settembre: Canto I
Lunedì 24 settembre: Canto II
Lunedì 1 ottobre: Canto III
Lunedì 8 ottobre: Canto IV
Lunedì 15 ottobre: Canto V
Lunedì 22 ottobre: Canto VI
Lunedì 29 ottobre: Canto VII
Lunedì 5 novembre: Canto VIII
Lunedì 12 novembre: Canto IX
Lunedì 19 novembre: Canto X
Lunedì 26 novembre: Canto XI
Lunedì 3 dicembre: Canto XII
Lunedì 10 dicembre: Canto XIII
Lunedì 17 dicembre: Canto XIV
Lunedì 7 gennaio: Canto XV
Lunedì 14 gennaio: Canto XVI
Lunedì 21 gennaio: Canto XVII
Lunedì 28 gennaio: Canto XVIII
Lunedì 4 febbraio: Canto XIX
Lunedì 11 febbraio: Canto XX
Lunedì 18 febbraio: Canto XXI
Lunedì 25 febbraio: Canto XXII
Lunedì 3 marzo: Canto XXIII
Lunedì 10 marzo: Canto XXIV
Lunedì 17 marzo: Canto XXV
Lunedì 31 marzo: Canto XXVI
Lunedì 7 aprile: Canto XXVII
Lunedì 14 aprile: Canto XXVIII
Lunedì 21 aprile: Canto XXIX
Lunedì 28 aprile: Canto XXX
Lunedì 5 maggio: Canto XXXI
Lunedì 12 maggio: Canto XXXII
Lunedì 19 maggio: Canto XXXIII
Lunedì 26 maggio: Canto XXXIV
Seminario Arcivescovile, Piazza Duomo 4, ore 18-19.30

Info: Scuola di Formazione Teologica
Piazza Duomo 4
48100 Ravenna
Tel 0544.36938

Scarica il depliant all'indirizzo LecturaDantis

Pace e bene!
fr. Maurizio Bazzoni

Info: Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali
Via Dante Alighieri 4 (C.P. 368) I - 48100 Ravenna centro
Tel e fax +39 0544 33667

È possibile destinare il 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche al Centro Dantesco per sostenerne l'attività culturale.
Per farlo è sufficiente firmare il riquadro della propria dichiarazione dedicato al "sostegno del volontariato, delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni e fondazioni" e indicare il nostro Codice fiscale n. 01098700378

Studi danteschi a Ravenna 29 ago 1 set



cliccare per ingrandire

Premio Bolognesi 25-8



cliccare sull'immagine per ingrandire

Sulla poesia di Margherita Guidacci (Anna M. Tamburini)


L’annale numero 5 di «Parola e Tempo» edito nel 2006 da Guaraldi per l’ Istituto di Scienze Religiose “A. Marvelli” di Rimini (a cui si può richiedere), contiene, fra gli altri, un eccellente e avvincente saggio di Anna Maria Tamburini (studiosa di letteratura contemporanea, in particolare dell’opera di p. Agostino Venanzio Reali) su “La Via Crucis nella poesia di Margherita Guidacci / tra preghiera e liturgia” come recita il sottotitolo di questo scritto illuminante sulla poesia mistico/religiosa e al contempo civicamente engagée dell’autrice e traduttrice (Donne, Dickinson, T.S. Eliot…) toscana.
Il titolo non a caso è “Verso la Quindicesima Stazione” (v. foto tratta dalla Via Crucis di Leonardo Rosito commentata dalla Guidacci) e nonostante questa prospettiva escatologica che potrebbe per alcuni risultare inquietante, Anna Maria Tamburini può a ragione affermare che : «Leggere per intero l’opera di Margherita Guidacci può rivelarsi, in verità, un’avventura dello spirito capace di consolare nel nostro tempo così travagliato, e non perché la sua poesia sia di facile consolazione, al contrario, ma appunto perché la parabola esistenziale e l’itinerario poetico, strettamente congiunti, si possono leggere come esperienza di resurrezione dopo la via crucis (…)» (pp. 423-4). Descrivendocene a tutto tondo e con accurati riferimenti al contesto culturale la poetica, Tamburini afferma: «La sabbia e L’Angelo, il suo primo libro di poesie, si presenta assai innovativo alla data del 1946; inizia solennemente, essenziale e lapidario (…) Chi grida sull’alto spartiacque è udito da entrambi le valli. / Perciò la voce dei poeti intendono i viventi e i morti. (…) (p. 429); «La seconda fase della poesia guidacciana (…) è tempo nel quale si sperimenta personalmente l’imperversare di quel mistero d’iniquità che segna l’inizio della storia, nel passaggio dall’eternità al tempo (…) ogni pensiero striscia, privo d’ali. / Sono fango le lacrime, / non specchiano alcun cielo. (pp, 435 e 438); «Ma le opere poetiche più significative sul fronte della poesia civile sono certamente L’orologio di Bologna e La Via Crucis dell’Umanità (e qui Tamburini cita una perspicua analisi di Agostino Venanzio Reali e una memoria della Guidacci stessa); «Margherita è già inferma da oltre due anni quando consegna a padre Massimiliano Rosito questa raccolta [Anelli del tempo], che è una sorta di testamento spirituale. (…) …Margherita ha realizzato compiutamente quell’unità di pensiero e di senso che riconosceva, ammirata, in Eliot e nei metafisici inglesi, incarnando con intatta freschezza l’insostenibile leggerezza dell’essere destinata all’insostenibile gioia. (…) … un cuore umile e puro / non sarà turbato dall’infinito.» (pp. 448 e 449).
Questo frammentario compendio non può rendere l’eleganza e la bellezza empatica di questo saggio critico e ve ne consigliamo vivamente la lettura integrale.

v. anche per-margherita-guidacci-un-incontro.html
http://bit.ly/i6FIuv

2 nuove di Leela Marampudi

qui

A Ezra Pound (Gian Ruggero Manzoni)

qui

lunedì 13 agosto 2007

… un po' di conforto tra le / parole (Giulia D'Intino)



Una giovane poetessa si offre al giudizio dei lettori con le sue prime prove: commenti benvenuti.


LUNA

Sparisci,
ti cerco,
il naso all'insù, verso il buio.
Intravedo il tuo contorno,
cerca di chiuderti,
imprigionarti,
separarti dal resto del
cielo,
ma la luce
è tutta intorno.


SALE

Ogni tanto si dovrebbe
piangere,
per ricordare il sapore di
se stessi, per sentirsi
sulla lingua,
per toccarsi, sciogliersi
addosso.

Ogni tanto si dovrebbe
piangere,
per perdere un po' di
se stessi e colmare di nuovo
il nostro spirito.
Il sale brucia e poi
purifica.


FRAMMENTI DI STELLE

Notte,
fammi trovare un po' di conforto tra le
parole.
Proteggile come fossero
stelle,
non renderle vane,
ma innalzale al cielo,
appendile al suo manto e
amale. Sono destinate all'eternità.

Perché tu, amico mio,
non credi alle parole?
Non sai che non puoi distruggerle?


OGGI

Braccia meccaniche
grigie cicatrici nel pensiero,
graffi di un inno alla massa.
Esasperazione di un'unica
ideologia.

E ora,
nella fredda sfilata di carcasse cigolanti
in pochi ci sciogliamo
al suono
di una inebriante
cornamusa.



Giulia D'Intino ha 22 anni, è di Santarcangelo e studia Scienze Motorie a Bologna. Ha scoperto la scrittura solo da circa un anno, grazie ad Ungaretti e a De Andrè.

Da piccola sbattevo le porte… (Isabella Leardini)


Sono lieto di pubblicare queste poesie, intrise di uno spleen calviniano, tratte da La coinquilina scalza Edizioni La Vita Felice (Milano I° 2004 II° 2006)


Da piccola sbattevo le porte…
Quando sono diventata una che resta
seduta, che svuota le estati
a guardare la stanza dal balcone
per vedere se rientrando
neanche l’ultimo fantasma se n’è andato..?
Ho un nuovo cane che dorme di fianco,
ma tornano le stesse sere lunghe
le porte che sbattono addosso
senza la scossa accesa del fragore.
Bisogna avere la natura di chi resta
per saper tenere gli occhi sugli addii
che durano di più a farli da soli…

***

Avrei voluto rimanerti in testa
come un motivo che ti prende dal mattino
o quelle frasi celebri dei film
che tornano ogni volta, come un bene…
Ti ho dato il nome… mille te ne ho dati
eppure non accende le mie vene
sapere che lo porti, non mi sfama…
Tu resti come un segno lungo il muro
che torna fuori appena cade un quadro,
rappreso tra le pieghe delle mani…
E forse ti dovrò sempre portare
nell'aria che si alza dove passo…

***

In ogni corsa, ogni impennata della vita
mi sei mancato e mi manchi per anni.
Nell' uscire verso il bar delle mattine
tutte le mattine uguali dell'inverno
cercarti, come un gioco per sperare...
Ad ogni cambio di stagione, ad ogni svolta
degli occhi e dell'età non ti ho più perso...
Ti tengo per l'estate quando salgo
nei miei golfi di buio e quando torno
di notte verso casa e fino a quando
non passo il punto esatto in cui le ruote
incrociano le mie con le tue strade,
finché c'è ancora modo di incontrarti
non è finito il giorno.




Isabella Leardini è nata a Rimini nel 1978. Sue poesie sono apparse in Italia e all'estero su varie riviste, è compresa nell'antologia I Cercatori d'oro (N.C.E 2000) e nell'antologia on line Lavori di scavo (railibro.it). Con la silloge "L'andatura di chi resta" è compresa nel Quaderno della luna Pensiero 27 a cura di Eugenio De Signoribus. Un'ampia silloge dei suoi testi, "Un amore dell'aria", è uscita con prefazione di Franco Loi sul semestrale «Incroci». Nel 2002 ha vinto per la sezione inediti la XX edizione del Premio Montale. Collabora all'organizzazione di eventi letterari ed ha ideato Parco Poesia festival, di cui è direttore artistico dalla I° edizione. Il suo primo libro La coinquilina scalza, è uscito per le edizioni La vita felice, all'interno della collana «Niebo», diretta da Milo De Angelis (I° edizione 2004, II° 2006).

Ammutinati a Trieste 14-15 settembre


Ciao a tutti,
vi inoltro questa INFO che vi avrebbe sicuramente spedito Christian Sinicco se non fosse partito per le coste croate; mi ha passato i vostri indirizzi e se avete qualcosa in contrario fatemelo sapere e rimedierò il prima possibile a cancellarvi dalla mia mailing list…
Riguarda una nostra prossima iniziativa a cui siete i benvenuti.
Con la speranza di vedervi a Trieste, buon ferragosto.
Matteo Danieli e il gruppo Ammutinati.

Gentilissimi,

venerdì 14 e sabato 15 settembre sono previsti a Trieste, presso l'Ostello
Tergeste, degli incontri di poesia a cura dell'Associazione Culturale "Gli
Ammutinati" nell'ambito del progetto "EVERYDAYPOIEIN", che si svolge grazie al
contributo della Regione Friuli-Venezia Giulia - Assessorato all'Istruzione e
alla Cultura.
La manifestazione ospiterà alcuni giovani poeti della scena croata e slovena,
un modo per valorizzare lo scambio culturale e la conoscenza reciproca.
La manifestazione si articolerà in tre momenti distinti:

- dalle 19.00 alle 20.15 lettura degli autori accreditati presso l'ostello di
Trieste, e giunti in città per l'occasione;

- dalle 20.20 alle 21.20, perfomance di poesia e concerti di gruppi locali;

- dalle 21.30 alle 23.00, reading di autori italiani, sloveni e croati, invitati
dall'Associazione "Gli Ammutinati".

Chi volesse partecipare, dopo la prenotazione presso l'ostello (1), dovrà
spedire una mail a info@ammutinati.com

(1) OSTELLO TERGESTE viale Miramare 331 - TRIESTE
tel. e fax: 040 224102

Nuova di Marco Zavarini

qui

2 nuove di Giovanni Aiello

qui

giovedì 9 agosto 2007

Poesie di Guy Goffette


sono lieto di pubblicare questa miniantologia del noto poeta di lingua francese effettuata da Chiara De Luca che lo ha tradotto (nei commenti ulteriori notizie)

Da GUY GOFFETTE, La vita promessa, Gedit, Bologna 2004. Traduzione a cura di Chiara De Luca


I


Je me disais aussi: vivre est autre chose
que cet oubli du temps qui passe et des ravages
de l’amour, et de l’usure – ce que nous faisons
du matin à la nuit: fendre la mer,

fendre le ciel, la terre, tour à tour oiseau,
poisson, taupe, enfin: jouant à brasser l’air, l’eau,
les fruits, la poussière; agissant comme, brûlant
pour, marchant vers, récoltant

quoi? Le ver dans la pomme, le vent dans les blès
puisque tout retombe toujours, puisque tout
recommence et rien n’est jamais pareil
à ce qui fut, ni pire ni meilleur,

qui ne cesse de répéter: vivre est autre chose.




I


Mi dicevo anche: vivere è ben altra cosa
che quest’oblio del tempo che passa e le devastazioni
dell’amore, e dell’usura – ciò che facciamo
dal mattino alla notte: fendere il mare,

fendere il cielo, la terra, di volta in volta uccelli,
pesci, talpe, infine: giocando a manipolare l’aria, l’acqua,
i frutti, la polvere; agendo come, bruciando
per, camminando verso, raccogliendo

che? Il verme nella mela, il vento nel grano
perché tutto sempre ricade, perché tutto
ricomincia e nulla è mai simile
né peggiore, né migliore, a ciò che fu

che non smette di ripetere: vivere è ben altra cosa.



II


Le temps qu’on se lève vraiment, qu’on dise
oui de la pointe des pieds jusqu’au sommet
du crâne, oui à ce jour neuf jeté
dans la corbeille du temps, il pleut.

Ô l’exacte photographie de l’ame, ces deux mots
qui nous rentrent les yeux comme des ongles
dans la chair: il pleut. Le sang de l’herbe
est vert insupportablement et c’est en nous

qu’il pleut, en nous qu’une digue rompue
voit s’effondrer peu à peu, derrière la vitre
et parmi les voilures, avec des pans de vieux
regrets, d’attentes fatiguées,

les raisons de partir et d’habiller le froid.




II


Il tempo in cui ci si alza veramente, in cui si dice sì
dalla punta dei piedi fino al vertice
del cranio, sì a questo giorno nuovo gettato
nel cesto del tempo, piove.

Oh, l’esatta fotografia dell’anima, questa parola
che s’infila negli occhi come unghie
nella carne: piove. Il sangue dell’erba
è verde intollerabilmente ed è in noi

che piove, in noi che una diga infranta
vede sprofondare poco a poco, dietro il vetro
e tra le velature, con lembi di vecchi
rimpianti, stanche attese,

le ragioni per partire e vestire il freddo.



III


Encore, si le feu marchait mal, si la lampe
filait un miel amer, pourrais-tu dire: j’ai froid,
et voler le cœur du noyer chauve, celui
du cheval de labor qui n’a plus où aller

et qui va d’un bord à l’autre de la pluie
comme toi dans la maison, ouvrant un livre,
des portes, les repoussant: terre brûlée, ville
ouverte où la faim s’étale et crie

comme ces grappes de fruits rouges sur la table,
vie étrangère, inaccessible présent
à celui qui ne sait plus désormais
que piétiner dans le même sillon

la noire et lourde argile des fatigues.




III


E poi, se il fuoco prendesse male, se la lampada
filasse un miele amaro, tu potresti dire: ho freddo,
e rubare il cuore al noce calvo, quello
del cavallo da tiro che non ha più dove andare

e va da una parte all’altra della pioggia
come te nella casa, aprendo un libro,
porte, respingendole: terra bruciata, città
aperta dove la fame si stende e grida

come questi grappoli di frutti rossi sulla tavola,
vita straniera, presente inaccessibile
a chi non s apiù ormai
che pestare nello stesso solco

la pesante argilla nera delle fatiche.



IV


Peut-être faudrait-il tirer le rideau, laisser
le corps tout entier couler dans la fatigue
se dénouer l’entrelacs des pensées, la noire
étreinte des algues, trancher vif

avec ta propre mort, ce qui a été et qui n’est
plus, avec ce qui viendra, l’inéluctable
marée de sons et d’images que les noyés – dit-on
n’emportent pas, laisser le temps

comme la pluie battre sur ton front
jusqu’à ce que tout redevienne poussière
dans la chambre du mort: on vide les tiroirs,
on balaye et par la porte ouverte la lumière

un instant se fait chair et frissonne.




IV


Forse bisognerebbe tirare le tende, lasciare
il corpo tutto intero colare nella fatica
spogliarsi degli intrecci di pensieri, del nero
abbraccio delle alghe, tranciare di netto

con la tua stessa morte, ciò che è stato e che non è
più, con quello che verrà, l’ineluttabile
marea d’immagini e suoni, che i sommersi – si dice
non portano via, lasciare il tempo

come pioggia batterti la fronte
finché tutto ridiverrà polvere
nella camera del morto: si vuotano i cassetti,
si spazza attraverso la porta aperta la luce

un istante si fa carne e rabbrividisce.



V


On dit: le soleil après la pluie, la mer
après la montagne, l’amour après
et partir, partir. Demain, quand tout sera,
quand tout aura, quand.

Promesses des morts si vivre est plus
qu’attendr, qu’espérer. Cendres jetées
sur le feu qui regimbe un peu puis se tait
sans consolation: la nuit

tombe, l’aube se lève, un été a passé.
Déjà, disent les fumées du hameau
tandis que les animaux sans colère continuent
d’amasser l’or de temps, l’or

de nos yeux avides et si vite fermés.




V


Si dice: il sole dopo la pioggia, il mare
dopo la montagna, l’amore dopo
e partire, partire. Domani, quando tutto sarà,
quando tutto avrà, quando.

Promesse di morti se vivere è più
che aspettare, che sperare. Ceneri gettate
sul fuoco che un po’ recalcitra poi tace
senza consolazione: la notte

cala, l’alba si leva, un’estate è passata.
già, dicono i fumi del casolare
mentre gli animali senza collera continuano
ad accumulare l’oro del tempo, l’oro

dei nostri occhi avidi e così presto chiusi.



VI


Et tu finis par ranger le livre, là-haut,
à sa place exacte, ce petit creux d’ombre et d’oubli
comme le coin de terre qui te revient.
Tu reviens toi aussi

à ta place, devant la fenêtre, la table,
ce carré de neige que nul encore n’a forcé
et qui va dans tous les sens comme ta vie
parmi les mots, les morts.

Tu sais bien qu’aucun signe ne guérit de l’absence,
pas plus que le merle en tombant ne renverse
l’axe de la terre, mais tu persistes, ô scribe,
à soudoyer les anges:

un peu d’or dans la bue, dites, que la nuit reste ouverte.




VI


E tu finisci per sistemare il libro, là in alto,
al posto giusto, quel piccolo incavo d’ombra e d’oblio
come l’angolo di terra che ti ritornerà.
Anche tu ritorni

al posto che ti spetta, davanti alla finestra, al tavolo,
a questo quadrato di neve che ancora nessuno ha forzato
e che va in tutti i sensi come la tua vita
tra le parole, le morti.

Sai bene che nessun luogo guarisce dall’assenza,
più di quanto il merlo nel cadere non rovesci
l’asse della terra, ma tu persisti, o scriba,
nel prezzolare gli angeli:

un po’ d’oro nel fango, dite, che la notte resti aperta.



VII


Si j’ai cherché – ai-je rien fait d’autre? –
ce fut comme on descend une rue en pente
ou parce que tout à coup les oiseaux
ne chantaient plus. Ce trou dans l’air,

entre les arbres, mon souffle ni mes yeux
ne l’ont comblé – et je criais souvent
au milieu des herbes, mais je n’attendais
rien, je me disais: voilà,

je suis au monde, le ciel est bleu, nuages
les nuages et qu’importe le cri sourd des pommes
sur la terre dure: la beauté, c’est que tout
va disparaître et que, le sachant,

tout n’en continue pas mois de flâner.




VII


Se ho cercato – ho forse fatto altro? –
è stato come discendere una strada in pendenza
o perché tutt’a un tratto gli uccelli
non cantavano più. Questa fossa nell’aria,

tra gli alberi, il mio fiato e i miei occhi
non l’hanno colmata – e io spesso gridavo
in mezzo all’erba, ma non aspettavo
nulla, mi dicevo: ecco,

sono al mondo, il cielo è blu, nuvole
le nuvole, e che importa il grido sordo delle mele
sulla terra dura: la bellezza è che tutto
sta per sparire e che, pur sapendolo,

ogni cosa non di meno continua a vagolare.



VIII


Vers l’ouest, avec les derniers rayons roses
en suivant bien la flèche sur le bas trop tendu
de la nuit qui s’est penchée pour mettre
l’avion dans sa poche, voilà

ce qui tient encore, les yeux au ciel, debout
sur ce parking où tu effiles dans le gris
tes voiles de Colomb, tes routes de la soie
et du sel et du seul, en attendant

en attendant que tout finisse (tu dis tout
comme celui qui siffle pour garder son ombre
à ses côtés dans la ruelle obscure) tout: ce baiser
- à peine – du couchant sur les lèvres

de celle qui s’en va en te laissant le quai.




VIII


Verso ovest, con gli ultimi raggi rosati
seguendo bene la freccia sulla calza troppo tesa
della notte che si è chinata per mettersi
l’aereo in tasca, ecco

quello che resiste ancora, con gli occhi al cielo, in piedi
su quel parcheggio dove sfilacci nel grigio
le tue vele di Colombo, le tue ve della seta
e del sale e del solo, aspettando

aspettando che tutto finisca (dici tutto
come chi fischia per tenersi l’ombra
al fianco nel vicolo scuro) tutto: il bacio
- appena – del tramonto sulle labbra

di lei che se ne va lasciandoti il marciapiede.



IX


Ce que j’ai voulu, je l’ignore. Un train
file dans le soir: je ne suis ni dedans
ni dehors. Tout se passe comme si
je logeais dans une ombre

que la nuit roule comme un drap
et jette au pied du talus. Au matin,
dégager le corps, un bras, puis l’autre
avec le temps au poignet

qui bat. Ce que j’ai voulu, un train
l’emporte: chaque fenêtre éclaire
un autre passager en moi
que celui dont j’écarte au réveil

le visage de bois, les traverses, la mort.




IX


Quel che ho voluto, l’ignoro. Un treno
sfreccia nella sera: non sono né dentro
né fuori. Tutto avviene come se
abitassi in un’ombra

che la notte riavvolge come un drappo
che getta ai piedi della scarpata. Al mattino,
liberare il corpo, un braccio e poi l’altro
con il tempo al polso

che batte. Quel che ho voluto, un treno
lo porta: ogni finestra rivela
in me un passeggero diverso
da quello da cui mi scosto al risveglio

il viso di legno, le stranezze, la morte.



X


Je me disais: il faut encore, il faut –
et les mots couraient devant moi, reniflaient
la route, le ciel, les fougères, le ventre
mal boutonné des collines

puis revenaient, me rapportant un bout de peau
calcinée, un fragment d’os: cette vieille
et toujours lancinante question
du pourquoi ici, moi, pourquoi?

– aller venir attendre comme le préposé
aux départs, qui ouvre et ferme l’horizon,
attendre l’ultime voyageur
avant de retourner l’ardoise, d’écrire:

fermé pour cause de paresse.




X


Mi dicevo: bisogna ancora, bisogna –
e le parole correvano davanti a me, fiutavano
la strada, il cielo, le felci, il ventre
male abbottonato delle colline

poi tornavano, portandomi una punta di pelle
bruciata, un frammento d’osso: questa vecchia
e sempre lancinante domanda
del perché qui io, perché?

– andare venire attendere come l’addetto
alle partenze, che apre e chiude l’orizzonte,
attendere l’ultimo viaggiatore
prima di rendere l’ardesia, scrivere:

chiuso per pigrizia.



GUY GOFFETTE, da Elogio per una cucina di provincia, Gallimard, Parigi 2000



Les vagabonds


Ce corps large ouvert avant l'aube et que la nuit
ne ferme jamais en entier ô cuisine d'enfance
si tu le livres c'est pas à pas
à ceux qui, dans l'ombre comme nous,
consentent à mourir loin de tes feux, sur les routes
en mer ou plus haut que les nuages, ayant franchi
la barrière et brisé les dernières images
qui les retenaient par les cheveux.
Ils furent tes hôtes improvisés, tes ouvriers
de la dernière heure, ces amants que la pluie emporte
avec le sable des lampes
vers une mer plus vaste et inutile, et tous
maintenant que l'échafaudage du rêve est tombé
avec la nuit, qu'il n'y a plus rien à faire qu'attendre
tous, ils se souviennent de ton ventre, de tes genoux
de tes yeux enfouis dans la douce lumière d'hiver
de ta chaleur de chienne
et de ton jardin plein de mousse aux parfums emmêlés
comme les boucles des anges dans la sapinière de
minuit.
O mémoire, belle prisonnière du vent
que nul en sa déroute ne délie
même s'il a perdu son nom et sa femme et sa folie
mémoire, notre unique bagage en ce lieu sans racines
(mais quoi d'autre opposer à l'angoisse qui nous serre
les uns contre les autres, tous étrangers pourtant
et bien plus solitaires qu'un buis crucifié
dans l'infernal été des granges, oui, quel autre fil
pour ne pas céder dans le labyrinthe
à l'aride existence des momies?)

Ô cuisine tellement ouverte et si chaude en ta douleur
depuis toujours, par tous les temps, que tu peux dire
Allez
voir ailleurs si j'y suis, dans un mouvement d'humeur
on sait que tu es là, que tu attends comme la nuit
l'exaltation des voix, des rires, et la tablée
où, comme un cœur bien accroché à la louche qui verse
le printemps dans les assiettes, tu souris
aux ombres du miroir rouillé et te perds
dans les pas d'autrefois les souvenirs blancs ou noirs
l'odeur entêtée du lilas enfermant le couloir
comme une chambre à jamais close où défilent
un par un les morts aimés et les autres .
par exemple celui-là qui s'en fut en Abyssinie
étreindre une rose vive — peine perdue — et cet autre
pour l'amour d'un cheval, qui devint fou, tous
tu les rassembles autour de la table
comme les seins, la tête, les jambes, les deux ailes
de la maison, sans oublier ce qui fut la part de chacun :
l'eau, le sel, le sucrier et la vaisselle
- et le temps passe ainsi, le feu s'est éteint
les ombres ont repris leur face inconsolable
Patience ! tu reconstitues pour les bois qui geignent
et pour la comptine muette de l’escalier
pièce à pièce, ce puzzle si longuement brouillé :
la vie d’une cuisine en province.



I vagabondi


Questo grande corpo spalancato prima dell’alba e che la notte
non chiude mai del tutto oh cucina d’infanzia
se lo consegni è passo dopo passo
a quelli che, nell’ombra come noi,
acconsentono a morire lontano dai tuoi fuochi, sulle strade
in mare o più in alto delle nuvole, dopo aver superato
la barriera e spezzato le ultime immagini
che li tenevano per i capelli.
Furono i tuoi ospiti improvvisati, i tuoi operai
dell’ultima ora, questi amanti che la pioggia porta via
con la sabbia dei lampi
verso un mare più vasto e inutile, e tutti
sostenendo che l’impalcatura del sogno è caduta
con la notte, e non resta che attendere
tutti, si ricordano il tuo ventre, le tue ginocchia
i tuoi occhi fuggiti nella dolce luce d’inverno
il tuo calore di cagna
e del tuo giardino pieno di muschio dai profumi intrecciati
come i boccoli degli angeli nell’abetaia di
mezzanotte.
Oh memoria, bella prigioniera del vento
che nessuno nella sua disfatta disfa
perfino se ha perduto il nome e la donna e la follia
memoria, nostro unico bagaglio in questo luogo senza radici
(ma che altro opporre all’angoscia che ci serra
gli uni contro gli altri, eppure tutti estranei
e ben più solitari di un bosso crocifisso
nell’estate infernale dei granai, sì, quale altro filo
per non cedere nel labirinto
all’arida esistenza delle mummie?)

O cucina tanto aperta e così calda nel tuo dolore
da sempre, per tutto il tempo, da poter dire
Andate
a vedere altrove se io là ci sono, in un moto di stizza
sappiamo che tu sei là, che aspetti come la notte
l’esaltazione delle voci, delle grida e la tavolata
dove, come un cuore ben attaccato al mestolo che versa
la primavera nei piatti, sorridi
alle ombre dello specchio arrugginito e ti perdi
nei passi di allora i ricordi bianchi o neri
l’odore persistente dei lillà a sbarrare il corridoio
come una stanza chiusa per sempre dove sfilano
uno per uno i morti amati e gli altri
per esempio quello che se ne fuggì in Abissinia
ad abbracciare una rosa viva – pena perduta – e quell’altro
che divenne pazzo per amore di un cavallo, tutti
li raduni attorno alla tavola
come i seni, la testa, le gambe, le due ali
della casa, senza dimenticare quella che fu la parte di ciascuno:
l’acqua, il sale, la zuccheriera e i piatti
- e il tempo passa così, il fuoco si è spento
le ombre hanno ripreso il loro viso inconsolabile
Pazienza! Ricostruisci per i boschi che gemono
e per la conta muta della scala
pezzo per pezzo, questo puzzle rimasto così a lungo confuso:
la vita di una cucina in provincia.



SUR LA TERRASSE


La porte de rubans que balance la brise
est la seule fontaine abreuvant
d'un peu d'ombre lingère
la cuisine qui ouvre sur la terrasse
où cuit depuis midi le pain de la lumière.
(Le soleil lui aussi s'est changé en statue)
On perçoit seulement les petits coups de bec
des derniers oiseaux invisibles
sur la croûte sonore.




IN TERRAZZA


La porta di nastro che bilancia la brezza
è la sola fontana che abbevera
con un po’ d’ombra di biancheria
la cucina che si apre sulla terrazza
dove da mezzogiorno cuoce il pane della luce.
(Anche il sole si è trasformato in statua)
Si sentono solo i colpetti di becco
degli ultimi uccelli invisibili
sulla crosta croccante.




Le jardin est entré dans la cuisine
avec le cheval ivre et le ruisseau lontain
parce que la table était ouverte
à la page la plus blanche de l’été
là où convergent toutes ces routes
que tisse le poème
pour l’aveugle immobile
mains posées sur le bois
la pointe du couteau fichée dans la mémoire.




Il giardino è entrato in cucina
con il cavallo ebbro e il ruscello lontano
perché la tavola era aperta
alla pagina più bianca dell’estate
là dove convergono tutte le strade
che intesse la poesia
per il cieco immobile
con le mani posate sul legno
la punta del coltello conficcata nella memoria.




COLLINES


À quoi bon fuir l'été venu vers une mer
bien à l'ancre dans son lit
quand rester immobile au creux du chemin semble
une manière de navigation et que déjà réunir
tes doigts sous le front te sacrent capitain
qu'il suffit de peu un coup de vent plus sec
gonflant ton paletot et de trouver comme autrefois
la force de siffler en baissant les paupières
pour voir sortir du port le village à tes pieds
tous ces gens sans histoire sous le linge qui vole
debout et saluant sur le pont dérisoire
ce pays qui te tient comme un regard d'ami.




COLLINE


A che pro fuggire l’estate venuta verso un mare
ben ancorato nel suo letto
quando restare immobili sul fondo del cammino sembra
un modo di navigare e il solo unire
le dita sotto la fronte ti consacra capitano
perché basta poco un soffio di vento un po’ più secco
che ti gonfia il cappotto e trovare come un tempo
la forza di soffiare abbassando le palpebre
per veder uscire dal porto il villaggio ai tuoi piedi
tutta questa gente senza storia sotto il panno che svolazza
in piedi e salutando sul ponte beffardo
questo paese che ti tiene come uno sguardo d’amico.



LES HEURES


Comme la neige entre les pas de l'inconnu
la maison respire entre les heures
frappées sur le cadran nocturne
respire, écoute, aspire à l'éternel écho
des voix tues qui montent des jardins
tremble et respire, comme la buée
au carreau froid, la vie qui s'évapore
tandis que le dormeur près du toit
mesure à grands coups d'ailes immobiles
la mer assujettie entre ses tempes.




LE ORE


Come la neve tra i passi dello sconosciuto
la casa respira tra le ore
battute sul quadrante notturno
respira, ascolta, aspira all’eterna eco
delle voci uccise che risalgono dai giardini
trema e respira, come la rugiada
sul vetro freddo, la vita che svapora
mentre chi dorme vicino al tetto
misura a grandi colpi d’ala immobile
il mare imprigionato tra le tempie.



DIMANCHE

La cloche du beurrier ancien dans le soleil d'octobre
est une église oubliée sur la table des hommes
Elle rassemble autour d'elle les miettes éclatantes
du cœur qui a vécu son heure de gloire
dans le partage et l'apaisement des cris
pépites qu’une main sèmera sur le gazon bleu
pour les oiseaux les insectes les dieux invisibles
qui portent la lumière au creux des arbres immobiles
et dans l'espace ouvert la nuit entre nos songes




DOMENICA


La campana della vecchia burriera nel sole d’ottobre
è una chiesa dimenticata sulla tavola degli uomini
Raduna attorno a sé le briciole splendenti
del cuore che ha vissuto la sua ora di gloria
nella condivisione e il placarsi delle grida
pepite che una mano seminerà sul prato blu
per gli uccelli gli insetti gli dei invisibili
che portano la luce nelle cavità degli alberi immobili
e nello spazio aperto la notte tra i nostri sogni