martedì 31 luglio 2007

Concorso "Don Luigi Riva" 10-10

Quinto Concorso di Poesia "Don Luigi Riva"

REGOLAMENTO

• ART. 1: E' indetto il quinto concorso di poesia a tema libero dedicato a Don Luigi Riva, riservato a tutti i cittadini residenti nei paesi facenti parte dell'Unione Europea.

• ART. 2: Ogni poeta può partecipare con un numero di poesie che varia da un minimo di 1 ad un massimo di 3.

• ART. 3: Sono ammesse poesie in tutte le lingue ufficiali dell'Unione Europea e in dialetto.

• ART. 4: Tutte le poesie scritte in una lingua diversa dall'italiano dovranno essere accompagnate da una traduzione in lingua italiana.

• ART. 5: Le opere dovranno pervenire entro il 10 ottobre 2007 esclusivamente in formato digitale (file Word o file .txt, no pdf) per via telematica al seguente indirizzo di posta elettronica: la_combriccola@libero.it; oppure è possibile inviare le poesie tramite floppy disk, CD o DVD per via postale, (avendo cura di salvare i componimenti nei formati sopra descritti), a Elia Ilaria, Via Cavour 66 – 21020 Bregano (Va). L'invio dovrà contenere le generalità e i recapiti del poeta (Nome, Cognome, Data di Nascita, Indirizzo, Telefono). Nota: poesie pervenute solo in forma cartacea non verranno prese in considerazione.

• ART. 6: La quota di partecipazione è fissata in € 8 (a parziale copertura delle spese di organizzazione e di segreteria) da versarsi entro il 10 ottobre 2007 tramite vaglia postale intestato a: Elia Ilaria, Via Cavour 66 – 21020 Bregano (Va). Eventuali ritardi nel pagamento escluderanno di fatto il poeta dalla partecipazione al concorso (farà fede il timbro postale).

• ART. 7: Per giudicare le poesie verrà nominata una Commissione composta da 4 membri più un Presidente.

• ART. 8: La Commissione assegnerà un primo, un secondo e un terzo premio. Sono altresì previsti premi per il "più giovane" e il "più anziano" partecipanti al concorso.

• ART. 9: Il giudizio della Commissione è insindacabile.

• ART. 10: A tutti i partecipanti verrà assegnato un attestato di partecipazione.

• ART. 11: “La Combriccola” si riserva il diritto di pubblicare i componimenti pervenuti.

• ART: 12: La premiazione avverrà durante una serata di gala organizzata da “La Combriccola” entro la fine del mese di novembre 2007.

• ART. 13: Tutti i poeti partecipanti verranno avvisati sul giorno e sull'ora della cerimonia di premiazione.

• ART. 14: Nel caso in cui un poeta, la cui poesia risulterà vincitrice di uno dei premi, non si presentasse alla serata di premiazione, potrà comunque ritirare il premio entro 30 giorni dalla data della cerimonia di premiazione contattando “La Combriccola” all’indirizzo e-mail sopraccitato. Nel caso in cui il poeta non contattasse “La Combriccola” entro i suddetti 30 giorni, egli perderà ogni diritto sul premio, il quale rimarrà di proprietà de “La Combriccola”.

La partecipazione al "Quinto Concorso di Poesia - Don Luigi Riva" implica l'accettazione completa ed automatica di tutte le clausole riportate nel presente Bando.

"da dentro il quadro la forma senza senso" (Mauro Ferrari)


NIPOTI

Svaniranno
lenti come foto infradicite:
incontri sempre più radi,
un nome che sfugge, tre mesi
e una notizia scarna, la visita
di una nipote; sei mesi, un paio d’anni
a incespicare imbarazzati
in un volto, un nome
o un indirizzo che ha perso significato,
ridotti a voce di chi ancora vive
un poco, poco, e poco a lungo.
Il ricordo di un gesto peculiare,
un ninnolo comparso sul termosifone,
fuori moda e sempre più ingombrante
che svanirà nel nulla o nell’ammasso
che ogni giorno ci sparisce dalle mani
per rintanarsi chissà dove -
un mondo trasparente
parallelo al nostro, intoccabile
e inaccessibile a chi progetta e ancora
spera, con lumi fiochi e fiori marci.

(Nel fango, le mani ingombre di cose,
la vecchia radio rossa, un ninnolo, tre foto,
fango e polvere, un camioncino verde,
giocano i nipoti a reinventare il mondo,
a dare un seguito alle strade
un giorno ad ogni giorno.)

(Da: Il poco cielo che ci guarda, Fiori di torchio, Seregno 2006)



TRIDIMENSIONALE
Meditazione su un quadro immaginario II

Come rappresentare su una superficie
e fra i confini esatti della cornice
un marmo levigato a specchio
cangiante di colore, forma e senso
da ogni lato – alieno all’intelletto
quanto più si sforzano i sensi
e cozzano e rimbalzano?

Così ha risolto il pittore,
nel suo pensiero avviluppato:
due sguardi ammirano
da dentro il quadro la forma senza senso
dandole una direzione – a destra un giovane
serenamente assorto su quell’atomo che vede
e dietro, in emersione dietro al marmo
occhi arrossati e mani levate, forse un suo padre
o il se stesso più vecchio, che ha visto e sa.

*
Oh certo, molta speranza, infinita speranza, ma non per noi.
(F. Kafka)

Avrebbe detto, lei dagli occhi glauchi
e dalle vele bianche, “Gli occhi, quello
era oltre il muro e tornerà
oltre ogni perdita a guardarci in viso,
posandoci una mano sulla spalla
e invitandoci a resistere
perché potremmo farcela
se non adesso un domani,
persino noi per cui non c’è speranza
alcuna, dell’infinita
che altri occhi invocano” –

avrebbe detto quello, certamente;

cos’era infatti quel raspare oltre la porta
se non una certezza ingenua
per i suoi occhi già pronti a cedere
credendo il vero – o ciò che sembra?

(Ad occhi chiusi era un respiro che tornava
a riprendersi un corpo, per restare;
nella più piena luce invece della ragione
solo un rantolo nel rigirasi insonne, e il nulla.)




Sampdoria-Inter 0-3

Tre a zero il finale, due a zero già al ventesimo:
abbiamo vittorie, persino adesso
che entrambi non crediamo in gong definitivi

divisi come siamo dal muro della vita.

E dire che anche un’altra grande Inter
nel vecchio stadio claudicante
aveva faticato - quella dei tedeschi
e di Ferri “perfetto“, dicevi,
sempre in anticipo sul tempo
come il Scirea dei versi di Mussapi –
immaginati questa sublime perfezione
senza passi falsi e cedimenti...

Ci hai lasciati, e dopo anni
l’Inter vince ancora, quasi un riscatto postumo
per noi che abbiamo miti poveri,
per te che non hai visto il comunismo
giusto e ingenuo delle tue speranze –
e manco ripulita un poco
quest’Italia fetida, che alzi la testa
dalla sua merda;
e le leggende
più non mi attraversano
come un gran vento che spazza via,
neppure quelle di vittorie più importanti
(e tu lo sai, ed io lo so).


Questi versi ci presentano "divisi come siamo dal muro della vita": uno sguardo sconsolato, forse lievemente improntato al sorriso tra il malinconico e l'ironico ("e le leggende / più non mi attraversano"), eppure capace di farci reagire, di non lasciarci cadere nella melma, di stimolarci a una responsabilità delle lettere in cui possa esserci una sorta di riscatto per questa realtà certo non esaltante ma ricca pure di inattese possibilità ("occhi arrossati e mani levate, forse un suo padre / o il se stesso più vecchio, che ha visto e sa.").

Mauro Ferrari (Novi Ligure 1959) è direttore editoriale delle Edizioni Joker, da lui fondate nel 1994, direttore del semestrale di cultura letteraria «La clessidra» e Presidente della Fiera dell'Editoria di Poesia di Pozzolo, che ha avuto la prima edizione nel 2007. Ha pubblicato le raccolte poetiche: Forme (Torino 1989); Al fondo delle cose (Joker, Novi 1996); Nel crescere del tempo (con l’artista valdostano Marco Jaccond, I quaderni del circolo degli artisti, Faenza 2003); Il bene della vista (Joker, 2006, che raccoglie anche la precedente plaquette). Ha partecipato con quattro racconti alla silloge Storie da Novi (ivi 1994); ha inoltre pubblicato saggi di poetica, Poesia come gesto. Appunti di poetica, Joker, Novi 1999. È presente nell'antologia fiamminga della poesia italiana Het stuifmeel van de sterren (Il polline delle stelle, a cura di Gemain Droogenbroodt, Point, Ninove 2000), nella monografia sulla poesia italiana contemporanea (n. 110) della rivista francese «Po&sie» e nell'Antologia della poesia ligure Voci di Liguria (Manni, 2007) curata da Roberto Bertoni e Roberto Bugliani, dell'Università di Dublino.
Come critico ha collaborato all’Annuario di poesia Castelvecchi. Con Alberto Cappi ha curato L’occhio e il cuore. Poeti degli anni '90, sulla poesia delle ultime generazioni (Sometti, Mantova 2000); ha collaborato alla silloge critica Sotto la superficie. Letture di poeti italiani contemporanei (Bocca, Milano 2004); ha curato la sezione inglese dell’antologia della poesia europea La voce che ci parla (Bottazzi, Suzzara 2005), in cui figura come poeta nella sezione italiana. È nella Redazione del sito web La poesia e lo spirito. Figura nella Giuria di alcuni Premi nazionali.
Nel settore dell'anglistica si è interessato di Conrad, Tomlinson, Hughes, Bunting, Hulse, Paulin e diversi altri poeti contemporanei. Suoi testi e interventi sono apparsi su «Altri termini», «Atelier», «clanDestino», «Coscienza storica», «Erba d’Arno», «Esperienze letterarie», «Galleria», «Graphie», «Hebenon», «Hortus», «Il Cobold», «Il lettore di provincia», «La Rocca Poesia», «Poeti e poesia», «Quaderno», «Steve», «Testuale», «Versodove», «Zeta» e, all’estero, «Y.I.P. - Yale Italian Poetry», «Gradiva», «Meja Ponte» (Brasile), «Po&sie» (Francia), «Cuadernos del Matematico» e «Empireuma» (trad. di Emilio Coco, Spagna), «Révista» (Spagna).

Guido Monti vince!

Con la raccolta Millenario Inverno, Guido Monti ha vinto la sezione opera prima del premio Contini Bonacossi.
La premiazione avrà luogo il 9 settemre prossimo.
Complimenti e buona continuazione!

mercoledì 25 luglio 2007

Poeti a Cormons 27-7


Venerdì 27 luglio, verso le nove, a Cormons in via Matteotti (non ne sono proprio sicuro, comunque di fronte alla Libreria Rebus), ci sarà una lettura di testi e poesie con, in ordine casuale:

Renzo Furlano
Elena Vesnaver
Francesco Tomada
Giovanni Fierro

Potrebbe essere una buona occasione per combattere l'afa di luglio con un bicchiere fresco di vino.
Se ci siete...

ciao
francesco

lunedì 23 luglio 2007

Della traduzione poetica


di Marco Scalabrino


Nat Scammacca (poeta, narratore, fondatore nel 1968 dell’ANTIGRUPPO), i cui testi ho avuto il privilegio di volgere in Siciliano (POEMS PUISII – 1999), ebbe a scrivere che la poesia “pigghia tantu di ddu spaziu nna lu chiù nicu di li cucchiarini chi ci vulissiru misati sani pi travirsàrilu di punta a punta”. E Stanley H. Barkan (poeta ed editore newyorchese) ha puntualizzato: «Translation is really transmutation. The important thing is for the poem to be a poem in the target language».
Il traduttore assolve a entrambe le attribuzioni, soddisfa entrambe le condizioni: attraversa ovverosia “il cucchiaino” e lo riconsegna mutato eppure indenne nella lingua di destinazione. «Tradurre poesia – asserì peraltro Eugenio Montale – è uno dei possibili modi di fare poesia originale».
Ecco quindi consumarsi, per l’ennesima volta, l’atavico, irrisolto dilemma: DELLA FEDELTÀ DELLA TRADUZIONE. Della fedeltà alla parola, dell’asservimento alla materia? O della fedeltà al pensiero, dell’anelito all’essenza? Distinzione nota, da Voltaire in poi, come l’opposizione tra traduzioni “brutte e fedeli” e “belle ma infedeli”.
In realtà, non credo valga la pena ulteriormente attardarsi su questo logorato topos. La soluzione al dilemma ritengo sia scontata: la devozione all’uno e all’altro aspetto. E non tanto per codardia, per serafica salomonicità; quanto perché stimo che il traduttore debba praticare il proprio “ufficio” nel rispetto della originalità dell’autore, al contempo convogliandone la lettera e catturandone lo spirito. Ma non una devozione pedissequa, precostituita, giacché come ha rilevato Luca Guerneri «il confronto e il dialogo con l’altra lingua diventa spesso un braccio di ferro con la propria». La percentuale – se così vogliamo definirla – della fedeltà all’una, la parola, e all’altra, l’essenza, è dunque variabile; è da valutarsi circostanza per circostanza. Deve esserlo! In funzione del risultato ultimo: la Poesia. Risultato che non lasci trasparire il lungo studio e il grande amore che sono stati necessari; che induca anzi il lettore alla considerazione che le poesie sembrano essere state concepite in Italiano o (nel nostro caso) in Siciliano.
Tradurre poesia è impresa nella quale è bello, gratificante, necessario riuscire. Ciò perché la traduzione (questa poco considerata, forse, faccia della letteratura) è per forza di cose re-invenzione in certa misura del testo originale, è una sorta di passe-partout che ci introduce a un diverso trip letterario, è uno star-gate che ci spalanca l’altrui universo. Un universo composito, intriso di mito e radicato parimenti nella attualità, crudo e allucinante e altresì tenero e sognante, un universo che se per taluni caratteri rinveniamo sotto casa, per taluni altri ci svela spaccati, scene, luoghi esoterici e misteriosi: la Poesia di ogni latitudine, di ogni lingua, di ogni vocazione.
«La traduzione di poesia – scrive Salvatore Riolo – non è impossibile (come invece da talune parti si sostiene) ma è un’operazione delicata e complessa, che implica assai spesso complicati problemi teorici e pratici non sempre di facile soluzione. Le difficoltà, anche le più gravi e le meno sormontabili, non devono, però, indurre il traduttore ad arrendersi di fronte a esse, ma devono costituire lo stimolo e il punto di partenza per la ricerca di nuove e più avanzate strategie traduttive. In alcuni casi in cui la traduzione risultasse impossibile, se eseguita alla maniera tradizionale si può ricorrere in alternativa ad essa alla trasposizione, al rifacimento, alla parafrasi, alla parodia, all’imitazione e all’adattamento»; operazioni caratterizzate tutte – secondo lo studio di Franco Fortini – dall’assunzione del dato da tradurre quale «struttura di riferimento o significante, per un’opera nuova».
«Un concetto – assevera Attila József – è lo stesso sia per un filosofo cinese che per uno ungherese o inglese. Chiunque in realtà può esporlo con le proprie parole. Il concetto quindi, in quanto spiritualità, è dell’umanità intera. Ogni filosofia infatti è traducibile in ogni lingua, perché importante è che vi sia concordanza concettuale, non verbale e se in una lingua non vi fosse una parola specifica per un concetto, noi possiamo sempre parafrasarlo ed esprimerlo, ciò nonostante, perfettamente. Quando traduciamo poesie, noi diamo loro una nuova forma mediante la visione della nostra propria nazione».
Alba Olmi, nel suo saggio “Estudos de Traduçao numa perspectiva Teórico-Crítica e Interdisciplinar”, delinea, tra l’altro, alcuni aspetti insiti alla traduzione: 1) l’affinità fra il traduttore e l’autore dell’opera tradotta, 2) i vantaggi e gli svantaggi connaturati al passaggio da una lingua all’altra; elabora delle considerazioni illuminanti: 3) è l’opera stessa da tradurre a suggerirci i percorsi, 4) i versi più belli del mondo diventano insignificanti o insensati una volta infrantane l’armonia o la musicalità; e, soprattutto, afferma: 5) l’iniziativa personale richiesta al traduttore, 6) che si tratta di una trasposizione di testi (non di parole o frasi) da una cultura all’altra.
«Il traduttore – asserisce felicemente Paul Ricoeur – forza da due lati: forza la propria lingua a rivestirsi di estraneità e la lingua straniera a lasciarsi de-portare nella sua lingua materna. È una prova che si può superare solo se si accetta che in questo tragitto qualcosa si perda, qualcosa debba diventare oggetto di rinuncia. Si deve consentire a perdere la pretesa di autosufficienza della propria lingua materna, ma si deve anche saper rinunciare a una traduzione totalmente adeguata, a una reduplicazione dell’originale. Perché non solo i campi semantici non si sovrappongono, ma le sintassi non sono equivalenti, l’andamento delle frasi non veicola le stesse eredità culturali. Ad onta del carattere conflittuale, il traduttore potrà trovare la sua gioia in quella che vorrei chiamare l’ospitalità linguistica, nella quale il piacere di abitare la lingua dell’altro è compensato dal piacere di ricevere presso di sé, nella propria casa di accoglienza, la parola dello straniero».
«Nel determinare il valore delle traduzioni – ribadisce ancora Salvatore Riolo – si dovrebbe giudicare la traduzione in sé e per sé e non già, come si finisce inevitabilmente per fare, in rapporto al testo di partenza».
Oggi si tende a rivalutare la traduzione riconoscendole sia il carattere di opera intellettuale che di opera di creazione «benché – riscontra in proposito Georges Mounin – derivata da un’altra opera, da quella cui meglio del termine “opera originale” si addice piuttosto il termine di “opera prima”, poiché anche la traduzione è opera originale».

venerdì 20 luglio 2007

Incontri internazionali di poesia, Sarajevo 28-30 settembre

Cari amici,

dal 28 al 30 di settembre si svolgerà la sesta edizione degli Incontri internazionali di poesia di Sarajevo.

Il progetto, è organizzato in memoria del grande poeta bosniaco Izet Sarajlic, presidente onorario di Casa della poesia e scomparso nel maggio del 2002.

Gli Incontri internazionali di poesia hanno l'obiettivo di riportare la grande poesia internazionale a Sarajevo e contribuire a ricollocare la città in un circuito culturale internazionale come merita la sua storia e la sua tradizione.
Si tratta di un evento magico ed unico nel panorama internazionale e quindi un'esperienza da vivere e condividere,

L'intera manifestazione si svolgerà con una struttura bilingue e quindi comprensibile agli spettatori italiani e a quelli bosniaci, serbi, croati, ecc.

L'evento è curato dalla Casa della poesia ed è organizzato dall'Ambasciata italiana di Sarajevo, con la partecipazione di una serie di enti pubblici e privati di vari paesi.

Nel corso dei tre giorni: readings con poeti di varie parti del mondo, seminari, proiezioni, visite guidate.

Così come negli anni passati, un viaggio porterà a Sarajevo, oltre a poeti e musicisti, giornalisti, amici, appassionati di poesia e "viaggiatori consapevoli", per gli Incontri e per visitare la bellissima città. Un primo gruppo partirà come al solito in bus da Trieste, un altro (auto o bus) da Salerno (Bari-Dubrovnik-Sarajevo).

Si tratta di una prima nota informativa per consentire di organizzarsi e nel modo migliore.

Vi invitiamo a far circolare questo comunicato e siamo naturalmente a disposizione per ogni chiarimento e informazione.

Saluti cordiali


Sergio Iagulli
Multimedia Edizioni / Casa della poesia
tel. 089/951621 - 347/6275911

Nuova di Vincenzo Celli

qui

giovedì 19 luglio 2007

Premio "Capoliveri Haiku"


Premio Internazionale di Poesia (scadenza 31/07/07)

Il Premio “Capoliveri Haiku”, promosso dal Comune di Capoliveri in collaborazione con Il Parnaso di Giorgio Weiss, viene esteso nella presente edizione 2007 agli italiani all’estero ed ai cittadini dei Paesi dell’Unione Europea.

Il Regolamento prevede che gli haiku in concorso:
- rispettino la forma poetica di una strofa, con o senza titolo, composta di tre versi, il primo e il terzo quinari (ossia di cinque piedi) ed il secondo settenario (di sette piedi);
- abbiano per tema l’ambiente marino, con le sue coste, spiagge, imbarcazioni, fauna, flora, personaggi reali o leggendari;
- siano scritti in lingua italiana oppure in altra lingua madre.

Le composizioni (al massimo cinque haiku per ciascun concorrente) devono pervenire, entro il 31 luglio 2007, all’indirizzo di posta elettronica giorgioweiss@libero.it oppure per posta ordinaria a:

Concorso Haiku
Assessorato alla Cultura del Comune di Capoliveri
Piazza del Cavatore, 1
57031 Capoliveri (Isola d’Elba) (LI)

Gli autori classificati ai primi dieci posti saranno premiati con l’alloggio per una settimana in una camera per due persone in alberghi o residence di Capoliveri nel mese di maggio 2008. Verrà inoltre pubblicato un volume contenente gli haiku dei vincitori e di altri cento poeti selezionati.

I risultati del Premio saranno visibili entro il 15 agosto 2007 nel sito www.giorgioweiss.it e saranno oggetto di letture ed interventi critici nel corso di una delle serate della sesta edizione del “Festival Internazionale Le Voci della Poesia”, che è in programma a Capoliveri dal 1° al 5 settembre 2007 con una serie di spettacoli teatrali di ispirazione poetica, canzoni d’autore, recital e premi di poesia.

Catasto ed altra specie su Nazione Indiana


alcune poesie di Antonella Pizzo
sono commentabili qui > Nazione Indiana

mercoledì 18 luglio 2007

Invito a cerimonia in memoria di Titta Abbadessa 28-7

Nota a Offida 27-7

Dediche su «TuttoStampacchia»


Il giornale scolastico del Liceo classico/scientifico “Stampacchia“ di Tricase (LE) ha pubblicato alcune poesie di Enrica Musio (cliccare l'immagine per ingrandirla).

Nuova di Luigina Bigon

qui

L’analisi di infinite conseguenze (Marco Zavarini)



Fuga, ascolto

Corro più veloce
dell'urlo che sgorga
dalla mia ferita


Danzo intorno all'abisso
a cui sono affezionato


(per aiutarmi, ti cresco)


Consacro lo squarcio
con te, nell'eterno ritorno



(mentre tu mi tieni per mano)


Si fa pieno questo silenzio
mentre ascolto il mio lamento
Parole temute
si dissolvono lentamente


Sotto ai miei piedi
si richiude
la terra


Il contatto è sereno
il mio ventre non geme
il mio corpo riparte
insieme ai passi dell'anima


***


Quest'ordine apparente
sovrasta strati tangenti

Pochi punti realizzano
intersezioni

***

Ignari portatori
antropomorfi
della staffetta evolutiva
ripieghiamo
tra le nostre membra
ogni significato

Indolenti barlumi
gli appagamenti
di libertà ipnotizzate

Ci restano
i gomitoli,
da tenere stretti
nella pancia sbranata
dalla solitudine originaria


***

Cambiamenti

Deviare per riaprire
al nucleo freddoloso
speranze di affinità

L'arbitrio eleva
lo sguardo, ad esistere
sopra i labirinti della specie

***

Processiamo segmenti
disponendo scatole cartesiane
in attesa traiettoria
schiva di presunti imprevisti

Ruah
Attraversi le dimensioni
senza distanze
dello spirito
Scoperchi
l'ortogonalità

***

1.
Ogni perdita rende evidente
l’equilibrio precedente

(ogni istante conosce
la sua negazione)


2.
Binario morto

Mi metti in tasca l’orario
ma null’altro mi spingerebbe
a salire
sul tuo ultimo treno


3.
Destino

Passi ripercorsi
per cambiare direzione
sfidano scambi arrugginiti
che si prendono gioco
della nostra ossessione


4.
Imprevisto cortocircuito
per incertezze scoperte
le tue parole
Scintilla generatrice
di nuovi equilibri


5.
Eden

Costantemente tormentato
cerco la libertà
dalla nudità
del dualismo ragionato


6.
Desiderio

I tuoi occhi chiedono
la rottura di un velo
e l’assoluzione dalla
complicità


7.
Tempi

Battiti di orologi ottusi
reprimono la naturalezza
delle armonie variabili
del mio cuore


8.
Stasi

L’analisi di infinite conseguenze
paralizza
la verità di un’intuizione


9.
Uscita

A pochi battiti di palpebre
dalla tensione compulsiva
potrebbe aspettare
la temuta libertà


10.
Solo il dinamismo
dell’incertezza
mi sveste
della pelle da vecchio


11.
Quando i tuoi passi
hanno la ricchezza
delle stagioni
mantengo lo sguardo
rilascio un istante
La lacuna mi invita
ad esplorare
il substrato
della compassione


12.
Lampade rovesciate
invertono ombre
denudano
mezze verità


13.
Ritratto

Parole sincere
bruciano il tuo
infedele ritratto
Rianimano le correnti
sopra ceneri sudate



14.
Castelli di cenere

Per nulla illuminato
approfitti dei limiti
tuoi e degli altri
Ritagli
quadri orfani
su tele rubate

**

Tendi la mano
per scaldarti lo scheletro
Raccogli scintille di
anime che provochi
Poi ti sbarazzi
delle solite ceneri


15.
La terra è piatta

Spesso la paura adulta
cancella i primi passi
Fatti da esploratori


16.
Vendetta?

Ho subito un’infezione
che non voglio ricambiare
Romperei le barriere
del contagio


17.
Non sempre prima di stappare
speranze
immagino
il sapore dei vini


18.
Percezioni incomprese
accumulano tossine
nell'anima
rendendo caotico
l'agire



Queste poesie-lampo di Marco Zavarini si segnalano per la freschezza e la leggerezza pungente degli aforismi che ci spinge a rileggerle e a memorizzarle. Lo stile ci ricorda quello dell'ultima raccolta di Daniele Bottura.

martedì 17 luglio 2007

Poeti romagnoli e Baudelaire 11-8


CIRCOLO CULTURALE GIORDANO POLLINI
IN COLLABORAZIONE CON L’AZIENDA BIOLOGICA “LE CRETE DI MONTENOVO”

NELL’AMBITO DELLA RASSEGNA
BORGO SONORO 2007

I 150 ANNI DE “I FIORI DEL MALE” DI CHARLES BAUDELAIRE 1857-2007

SABATO 11 AGOSTO 2007 MONTELEONE PIAZZA BYRON ORE 19,30

POETI ROMAGNOLI

LETTURE DALL’ANTOLOGIA
POETI ROMAGNOLI D’OGGI E CHARLES BAUDELAIRE
(A CURA DI FRANCO POLLINI, SOCIETÀ EDITRICE “IL PONTE VECCHIO”, 2007)
E DALLE OPERE DI CHARLES BAUDELAIRE, IN PARTICOLARE LE POESIE DEDICATE AL CREPUSCOLO, AL CIELO, ALLA LUNA.


LEGGONO POETI ED ATTORI

CIRCOLO CULTURALE GIORDANO POLLINI - VIA RENATO SERRA,15 SAN MAURO PASCOLI (FC)

Inediti di Franca Mancinelli

nel blog di Stefano Guglielmin

Nuove foto dei fariani al Festival


v. qui

Su Interrail di Stefano Sanchini


recensione di Vincenzo D'Alessio
nominato il 2 giugno 2007 Cavaliere dell'Ordine “Al merito della Repubblica Italiana"

Affrontare la lettura, la disamina, di una raccolta poetica che spazia accostandosi alla parola nei termini che seguono: «Io delle parole mi son fatto amico / e ogni tanto ci gioco, (…)» (p. 74) non è poi così semplice, anzi diviene quello che Davide Nota, nella pare introduttiva, definisce: «Profanare il tempio della banalità di massa con lo scandalo della poesia.»
Lo stesso autore, nella Premessa, mette mano alla raccolta definendo in pieno quanto Davide Nota ha sottolineato: «Questo libro vuole essere una provocazione contro l’autorità nascosta dietro la parola…» (p. 8). Ma la parola ricercata dal poeta, attraverso la Poesia, qual è?
Ci vengono in soccorso i versi a p. 85: «La parola: / strumento nato dal brusio del fuoco / e dal silenzio dei pesci.»

Il resto qui

lunedì 16 luglio 2007

2 nuove di Giovanni Aiello

qui

Specchio poetico da Vocativo


commenti qui

«Se il mondo dei poeti sconta un’autoreferenzialità cronica e, di conseguenza, un’attenzione ridotta al lumicino è forse perché, come scrive Pietro Pancamo, «quel mondo non riesce mai ad accorgersi sul serio dei problemi che patisce». Questo destino ineluttabile (nemmeno più in grado di offrirci una presentabile tragedia, ormai, al massimo una modesta pantomima con canovacci mandati malamente a memoria), beninteso, va condiviso con l’ambito della critica, accademica e non. I capponi di Renzo, del tutto ignari dell’approssimarsi della fine, continuano a beccarsi (Manzoni in questo libro vi entra per una porta che verosimilmente mai avrebbe sognato di varcare) e anche noi qui, in ambasce su di un altro palcoscenico, siamo troppo impegnati in colluttazioni da poco per poter finanche conservare una residua speranza, non tanto di un intendersi tra gli attori, quanto della venuta di un deus ex machina che ne scongiuri l’esito nefasto.

Forse partire da un dialogo privo di preconcetti tra poeti e poi coinvolgere anche chi di questi, una volta, ne decretava il successo, potrebbe essere la conditio sine qua non per contribuire ad una distensione degli animi e favorire un rilancio non effimero della poesia.» (dalla postfazione La disposizione all'ascolto di Luigi Metropoli).

Massimo Pasqualone vince!


Il poeta francavillese Massimo Pasqualone, docente universitario e giornalista, è il vincitore per la regione Abruzzo del Premio Biennale Nazionale di poesia dialettale "Guido Modena" di San Felice sul Panaro.
Per la poesia dialettale Aspitteme ha ricevuto il premio "G. porto" di Pianella; inoltre domenica 5 agosto riceverà a Capestrano, nel Castello Piccolomini, il Premio Guerriero di Capestrano 2007 per la saggistica teologica-religiosa per il saggio "L'uomo e i suoi problemi alla luce di Cristo, edito dall'Issr San Pio X di Chieti-Vasto, nell'ambito della seconda edzione del Premio internazionale di Archeologia e Cultura Guerriero di Capestrano.

Complimenti e ad maiora!

Pentapoeti 16-7



Ass. cult. "Licenze poetiche"
www.licenzepoetiche.it

Spilli appuntati (Vincenzo Celli)

qui

Su Il cantiere ed altri luoghi di Angelo Mundula


recensione di Maria Rosa Panté


Mentre il Cantiere mi forgiava

Il cantiere e altri luohgi si intitola l’ultima raccolta poetica di Angelo Mundula, pubblicata da Carlo Delfino Editore nel 2007.
Gli “altri luoghi” che compaiono nelle liriche sono la poesia stessa, la memoria, la società, la fede. Luoghi non luoghi come pure il Cantiere, che, pur essendo uno spazio fisico e reale, assume le caratteristiche di un luogo altro, dilatato: il contenitore, in un certo senso, degli altri luoghi.
Le poesie sul Cantiere, ricordo dell’infanzia e della prima formazione, sono disseminate lungo la raccolta come un pensiero che ritorna, come lo sfondo, la radice delle altre poesie, degli altri temi.
Dal cantiere, Mundula, esce ed entra in quanto luogo privilegiato della memoria. Il Cantiere ora è in disarmo, ma non la poesia, non la ricerca inesausta di Dio che, in alcune liriche si fa drammatica, (Quante colpe p. 37: “È la colpa la colpa la nostra persecuzione / il nostro male mai domo. Nessun uomo è / uomo se non ne sente il peso, / il terribile suono”); in altre, invece, fiducioso abbandono (Del silenzio p. 77: “amo il silenzio ov’è nascosto Dio”).
Dal Cantiere il poeta vede il mondo, critica spesso la società che lo circonda per il suo materialismo, per la sua lontananza da Dio (L’astuccio degli occhiali p. 76: ”Ma / per chi ha peso l’anima neppure l’interessato / si mette in moto neppure lui fa qualcosa / per ritrovarla. Sembra così facile farne a meno / in questi tempi di amore ad oltranza / per le cose di nessun conto”).
Nel suo percorso Mundula compie e approfondisce la ricerca dell’essenza della poesia, il senso della parola poetica e insieme la ricerca, mai consolatoria, ma direi al tempo stesso trascendente e quotidiana, di Dio.
A Dio, il poeta, chiede disvelamento, ma anche il dono della semplicità. Bellissima è l’invocazione della poesia Notte dell’anima (p. 23): “O Signore non circondare la mia vita / di troppi enigmi”.
Che è poi il rischio del poeta, quello di lasciarsi andare ai dubbi, di essere una zattera in balìa delle onde (l’immagine del naufragio, della navigazione, topos poetico per eccellenza, è nella raccolta del sardo Mundula un ulteriore aggancio con la sua terra, la sua storia).
Nella memoria determinanti sono gli affetti e dunque si celebra il ricordo degli amici ormai morti, ma nel contempo la festa per un anniversario, per una nascita, per l’amico di sempre…
Di tutti i temi, in particolare mi ha colpito la profondità, la precisione chirurgica con cui Mundula parla della poesia, della parola poetica, del poeta, quindi di se stesso (Grande poeta p. 59 il cui grido è “inascoltato, inatteso, imprevedibile”).
La parola poetica è Parola sospesa (p. 26), parola inevitabile, in bilico, parola che muta (sé e il mondo), “(…) ma quanta / gioia e sofferenza è il verbo / quando si spicca dall’anima / e riflettendosi riflette il nostro / firmamento l’eterno scompiglio”. Chi scrive poesia sa che la parola “si spicca” dall’anima come un frutto, che cade naturalmente, ma quanta fatica gioiosa per produrlo!
Però il dramma del poeta è tutto concentrato in pochi bellissimi versi: Del fare (p. 39). in questa lirica Mundula, come presumibilmente ogni vero poeta, rimpiange il fare, l’agire, la capacità di vivere per l’altro. Lui però è un poeta: “un uomo impastoiato dalla parola / da questo antico suono che mi strugge. / Vado cercando vita ove la vita fugge”.
Nella sua ricerca del senso dell’esistenza, della morte (una morte spesso presente), nella sua volontà di indagare, dire la sua fede, Mundula inevitabilmente si scontra con L’inspiegabile (p. 38) che è “il sale della vita”. La conclusione amara e pure, a mio avviso, non disperata, ma dinamica è: “Il nostro vero approdo è il naufragio”.
La poesia di Mundula è sempre tesa ad altro; apparentemente facile da intendere, risveglia emozioni profonde e lancia semi di riflessione, oltre la parola, pur molto sorvegliata e sempre altamente poetica.
Lo stile ricco di rime interne, assonanze, allitterazioni è molto musicale, cantabile senza mai cadere in un ritmo prevedibile. Basti analizzare il tessuto fonico e retorico che si trova già fin dalla lirica di apertura Riu Mannu (p. 7), dove si trovano assonanze (perde / erbe), consonanze (perse / perdo), similitudini (le tue sponde come se fossero date).
Da ultimo vorrei sottolineare una vena di intelligente e lucida ironia, ed autoironia, (Sopravvivenza p. 25), dote che da sempre aiuta a vivere. Il libro è, dunque, così denso di motivi che ognuno troverà il percorso di lettura a sé più agevole e godibile.

Parola e immagine 4


di Bernardo M. Gianni (l'articolo precedente qui)

«Passare un ponte, traversare un fiume, varcare una frontiera, è lasciare lo spazio intimo e familiare ove si è a casa propria per penetrare in un orizzonte differente, uno spazio estraneo, incognito, ove si rischia – confrontati a ciò che è altro – di scoprirsi senza “luogo proprio”, senza identità. Polarità dunque dello spazio umano, fatto di un dentro e di un fuori. Questo “dentro” rassicurante, turrito, stabile, e questo “fuori” inquietante, aperto, mobile, i Greci antichi hanno espresso sotto la forma di una coppia di divinità unite e opposte: Hestia e Hermes. Hestia è la dea del focolare, nel cuore della casa. Tanto Hestia è sedentaria, vigilante sugli esseri umani e le ricchezze che protegge, altrettanto Hermes è nomade, vagabondo: passa incessantemente da un luogo all’altro, incurante delle frontiere, delle chiusure, delle barriere. Maestro degli scambi, dei contatti, è il dio delle strade ove guida il viaggiatore, quanto Hestia mette al riparo tesori nei segreti penetrali delle case. Divinità che si oppongono, certo, e che pure sono indissociabili. È infatti all’altare della dea, nel cuore delle dimore private e degli edifici pubblici che sono, secondo il rito, accolti, nutriti, ospitati gli stranieri venuti di lontano. Perché ci sia veramente un “dentro”, bisogna che possa aprirsi su un “fuori”, per accoglierlo in sé. Così ogni individuo umano deve assumere la parte di Hestia e la parte di Hermes. Tra le rive del Medesimo e dell’Altro, l’uomo è un ponte».

Sono queste le parole, trascritte sul ponte che collega Strasburgo a Kehl, con cui il grande studioso di cultura greca antica Jean-Pierre Vernant, morto nei primissimi giorni del corrente anno, salutava nel 1999 il cinquantesimo anniversario del Consiglio d’Europa. Esse paiono voler vaccinare anche noi credenti in Cristo e nel suo Evangelo dalla rischiosa e illusoria tentazione di arroccare la nostra esperienza di fede nel munito fortilizio dell’identità e dell’appartenenza. Queste ultime sono sì salutare versante della nostra vita ecclesiale, ma solo nella misura in cui non meno praticato è il versante opposto, quello di un’altrettanta radicale e fiduciosa estroversione, mutua esperienza cioè di apertura e accoglienza dell’altro, e dunque di conseguente riformulazione di tutto ciò che è il nostro essere e conoscere.
Dinamiche faticose, certamente, come faticoso è un siffatto crinale che solo però pare garantire approdi fruttuosi ai nostri itinerari che di necessità sono oggi tracciati sulla fluida e multiversa instabilità della «modernità liquida» (Bauman) in cui viviamo. Solo una comunità che non faccia dell’identità e dell’appartenenza un feticcio totemico può infatti arginare l’imperante cultura dell’individualizzazione di tutti i legami sociali, che per suo carattere è cultura costantemente ostile a qualsiasi negoziazione delle differenze ed esposta al rischio di una uniformità e di una solitudine esclusive ed aggressive, solo in apparenza autosufficienti e comunque incapaci di ascolto e relazione.
Un crinale che si fa ponte: ovvero l’approdo che non è mai approdo, la meta che non è mai meta. È proprio nell’immagine del ponte che trova l’evocazione simbolica più suggestiva un’esperienza di fede radicata nella traditio, ma al contempo aperta al futuro: introversa custode del proprio patrimonio culturale, nello stesso istante è estroversa testimone, con la forza indomita dello Spirito, di un annuncio destinato a ogni cultura e a ogni persona. Ne è ulteriore, feconda e irrinunciabile trascrizione simbolica la liturgia eucaristica, sorgente e culmine di una rinnovata testimonianza di vita nuova nel Signore Gesù: intimo spazio di concentrazione di noi in Lui e di Lui in noi, nello stesso tempo è manifestazione al mondo, con gesti e parole efficaci, della sua legge di carità donata alla storia e alla moltitudine che vi dimora. Nel 1994 ci aveva infatti così ammaestrato Giovanni Paolo II:

«L’eucaristia ci indica la strada maestra. È la strada del servizio, che esclude ad ogni livello – nella società, nella politica, nell’economia – la logica perversa della sopraffazione. È la strada della solidarietà, che pone i talenti e le risorse degli uni a vantaggio degli altri, e di tutti gli altri, tanto più preferiti quanto più bisognosi e provati. È la strada dell’unità, sì quell’unità organica che si costruisce gettando ponti tra le diversità in un orizzonte di tolleranza, di fraternità, di pace».

Exodus 27-7

Sulle tracce di chi semina parole 14-7


fotoracconto qui

venerdì 13 luglio 2007

Su Bitume d'intorno


Riportiamo qui l'inizio della bella e acuta recensione di Massimo Sannelli che potete leggere nella sua completezza ne La poesia e lo spirito


Questo libro è un ragazzo. Luca Ariano, Bitume d’intorno

«Luca Ariano è nato nel 1979 a Mortara (PV)», «nel 1986 si è trasferito con la famiglia a Vigevano». No, nessuna traduzione genealogica, ora: la «linea lombarda», la fedeltà alle cose, il linguaggio severo di Sereni, la praticità lombarda, e tutte le altre ovvietà.
In primo luogo: Bitume d’intorno è costellato di citazioni, varie come il mondo (da Pavese a Corto Maltese – con la normalità che è propria dei giovani più giovani di me: per i quali, giustamente, TUTTO E’ PASSATO. Perciò: tutto è storia e cultura; e, se serve, è valido: ogni testo avrà il suo esergo magistrale, che può essere tanto De Gregori quanto Rutilio Namaziano. Né il primo è troppo basso né il secondo è troppo alto; e se Teresio Olivelli dice meglio di Platone, sarà citato Teresio, non Platone). Solo vent’anni fa il citazionismo sarebbe stato un espediente estetico, in nome del post-modern e dell’antilirismo: ci fu Voce e ci fu Baino (e c’è Biagio Cepollaro: che poi fu ferito dalla realtà, nel suo stesso corpo; e mutò la maniera). Oggi Luca Ariano cammina sulla via di una conoscenza naturale, senza enfasi da sudate carte e maledizioni febbrili alla Natura: come un bravo studente che ha le sue auctoritates e le divora, e come il lettore dei libri allegati ai quotidiani. Così esiste un percorso scritto e vario, che traduce una formazione onnivora – e non dogmatica. Dunque non posso aggredire con i miei dogmi ciò che vedo, ora: questo libro è un ragazzo. Non è il libro DI un ragazzo: QUESTO LIBRO E’ – ripeto – UN RAGAZZO. (…)

il resto qui

giovedì 12 luglio 2007

Fariani al Festival 14-7



letture itineranti Sulle tracce di chi semina parole

Aiutiamo Gramos


(da Acme del pensiero)
Ho bisogno del vostro aiuto cari blogger! Concedetemi due minuti.


Gramos Gashi è un bimbo kosovaro di 11 anni che nel 1999 è giunto in Italia con un volo militare nella speranza di capire la ragione del suo corpicino malato: gravi problemi renali ed epatici, rarissima malattia metabolica: la tirosinemia.
La cura continua che Gramos deve affrontare comporta una dieta a basso contenuto di proteine, una somministrazione di vitamina D e soluzioni di sali minerali contenenti calcio e fosforo, e un farmaco peculiare prodotto a Parigi dalla ORPHAN che ha un costo elevatissimo.
In un anno solare v’è la necessità di circa 22.000 euro per le cure e soprattutto per non lasciare Gramos con la quasi certezza di una degenerazione cancerosa del fegato, oltre ad un grave danno renale che lo porterebbe al rachitismo.
Gramos ha bisogno del nostro aiuto per vivere sereno, molti si stanno industriando per aiutarlo, facciamo sentire anche la nostra voce. Le donazioni saranno gestite dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
Chi si occupa di questo caso è l’Associazione S.o.S. Infanzia nel Mondo Onlus, Via Stazzo Quadro, 52, 00060, Riano (Roma).
Chi volesse fare una donazione: c/c bancario 3383/85 Banca di Credito Cooperativo di Riano – abi 8787 cab 39350 cin X. Ricordate la causale: PRO GRAMOS.
Se volete maggiori informazioni per la trasparenza o solo per conoscere meglio la storia di Gramos chiamate Miriam (349.1953550) o Antonella (333.9382824) oppure scrivete a: sosinfanzianelmondo@tiscali.it


Vi chiedo di riservare un piccolo spazio in un vostro post per diffondere la notizia, Gramos ha bisogno del nostro aiuto. Vi ringrazio per la collaborazione.
Questo caso lo abbiamo conosciuto ieri sera alla prima Notte Bianca della Solidarietà, della quale vi parlerò domani.

Vera a Mestre



Giovedì 12 luglio 2007, alle ore 21.00, presso la
Biblioteca Civica di Mestre, in Via Miranese 58,

Ritmi brasiliani

Strofe pluripremiate della poetessa Vera Lucia de Oliveira
e chitarra di José Alberto Chicayban.
Presenta Vera Horn

___________________________________
Claudio Maccherani
Via della Magnolia, 7 - Ripa - 06134 Perugia
Tel: 075 602598
mail: clamacc@tin.it
Internet: http://xoomer.alice.it/cmaccher

mercoledì 11 luglio 2007

Ricordando Eugenio Miccini


a due voci DAVIDE ARGNANI e ANNA PALMA

SE VUOI ESSERE POETA

Se vuoi essere poeta
trasforma ogni dato
in un predicato:
dal tuo gettarti
a capofitto nel mondo
al gettarsi del mondo
a capofitto in te.

EUGENIO MICCINI è morto martedì 19 giugno 2007 a Firenze, sua città natale. Giovedì 21 giugno, alle ore 15, nella Basilica fiorentina della Santissima Annunziata hanno avuto luogo i funerali alla presenza di amici ed estimatori. Ci eravamo conosciuti nel 1976 a Firenze, in occasione di mostre, poi, insieme a Lamberto Pignotti, in occasione della rassegna di poesia visiva “Originali” – Biblioteca Comunale Centrale di Firenze - alla quale ero stato invitato a partecipare, rimanendo in contatto e in ottimi rapporti d’amicizia e di collaborazione fino a pochi anni fa.

Eugenio Miccini è nato a Firenze il 22 giugno 1925. Ha compiuto gli studi in Seminario appassionandosi soprattutto alla Filosofia greca e alla Letteratura Latina, influenza umanistica che caratterizzerà tutto il suo lavoro dagli anni ’70 in poi; laurea in Pedagogia. Inizia una complessa attività di pubblicista e di militanza letteraria, collaborando a varie riviste come Quartiere, Letteratura, Il Menabò e pubblica alcuni libri di poesia lineare e vince vari premi. È dal 1962 che inizia a dedicarsi alla poesia visiva e proprio l’anno successivo, 1963, fonda a Firenze il “Gruppo 70” con Lamberto Pienotti e Luciano Ori dando vita all’esperienza della Poesia Visiva in Italia. Da lì in poi sono anni intensi caratterizzati da un forte impegno ideologico e dall’organizzazione di mostre, spettacoli, dibattiti e pubblicazioni sulla poesia visiva. Nel 1963, ancora a Forense, organizza il Centro Tèchne pubblicando l’omonima rivista con i relativi ‘quaderni’ di poesia visiva. Poi mostre e rassegne in Italia e in quasi tutti i paesi del mondo, con grande successo.


DAVIDE ARGNANI: CON EUGENIO MICCINI IN ROMAGNA

Qui mi soffermo a dare testimonianza ricordando gli ‘avvenimenti’ realizzati insieme negli anni ‘80 e ‘83 in Romagna, con la collaborazione e la partecipazione attiva di Gian Ruggero Manzoni, Carlo Marcello Conti e il contributo delle Istituzioni locali, tra Forlì, Brisighella Imola e Lugo di Ravenna. E Ravenna è da ricordare anche perché Miccini ha insegnato per diversi anni (1989 in poi) presso l’Accademia di Belle Arti, lasciando un segno proficuo del suo insegnamento.
Mi piace proseguire nel mio ricordo riportando un ‘riassunto’ degli incontri e delle esperienze verificatesi a Forlì proprio nel 1980, all’inizio di una esperienza didattica e culturale che qui in Romagfna si perpetuò fino al 1983, quando la ‘rivoluzione’ culturale e quella visiva della poesia si trovavano ai massimi livelli storici, quando cultura significava ancora confrontarsi con la gente del mondo. Tutto inizia il 3 maggio 1980 con:

PROGETTO 80-MOSTRA DI ‘POESIA VISIVA’ A FORLÌ
Sabato 3 maggio 1980 a Forlì, un giorno di incontri al Centro Culturale ‘Nuovo Ruolo’ con Eugenio Miccini alla Mostra di Poesia Visiva ‘Progetto80’ organizzato a cura di Davide Argnani e Erio Sughi.
Sul manifesto della mostra stava scritto che sarebbe stato presente per l’intera giornata EUGENIO MICCINI per parlare appunto dell’argomento.
Di lui nessuna indicazione particolare: né la sua attività, né i suoi titoli, né la provenienza. La gente che ha letto questo nome spesso è passata oltre, forse, senza far caso; coloro che hanno visitato la mostra (numerosi) hanno certamente avuto la possibilità di poter osservare alcune sue opere che spiccano fra le altre per impegno ideologico e per capacità artistica. All’ora indicata si presenta puntuale; persona dimessa, ma subito gran toscano.
Già da un’ora erano presenti due classi del Liceo Scientifico di Forlì con alcuni loro insegnanti che avevano percorso l’itinerario della mostra scrutando ogni pezzo con interesse, o con ironia, o con stupore, o anche con incomprensione.
Eugenio Miccini comincia subito a parlare agli e cogli studenti, per continuare poi nel pomeriggio con un pubblico diverso, interessato e intenzionato a porre domande ben precise. E sono ore di un parlare piano, lineare, chiaro, di vasta competenza culturale, un parlare che percorre con confronti, citazioni, chiarimenti, spiegazioni le ere culturali dell’umanità. Si sente subito che non è un Intellettuale, cioè un trasmettitore di cultura, ma un uomo di cultura, perché la cultura per lui si identifica con la vita e dalla vita trae gli stimoli per ogni approfondimento culturale. La cultura nasce dalla vita e la vita dalla cultura. La carne si fa cultura e la cultura si fa carne. È bandito ogni esercizio intellettualistico.
Al centro di tutto il discorso di Miccini c’è il concetto di ‘attualità’ della poesia visiva e più in generale di ogni forma di espressione artistica. Nel senso che ogni espressione artistica, per essere credibile e comprensibile, deve essere profondamente ed intimamente legata alle forme culturali del proprio tempo ed usare i mezzi espressivi che quella cultura e quel tempo offrono. Di qui le conseguenze: che le reiterazioni, le memorizzazioni, le imitazioni, i vari «neo», i recuperi degli intimismi sono gli esercizi spirituali di coloro che vivono passivamente la realtà senza conoscerla o di coloro che del proprio io fanno l’epicentro dell’Universo; che invece ogni momenti nuovo nell’Arte, e nella Cultura in generale, parte da un azzeramento rispetto alla cultura precedente. Ma è indispensabile conoscere bene «tutta» la Cultura precedente per un nuovo assetto e per nuove proposte. Con ciò Miccini affronta un concetto per affermarlo più volte nel corso del suo discorrere: la Cultura comprende tutte le manifestazioni e le espressioni umane: le scienze esatte e il lavoro dell’operaio, la filosofia e i movimenti del corpo, il lavoro del contadino e l’attività politica. Questa visione globale della Cultura è tipicamente moderna, epistemologica, e per molti versi rivoluzionaria: in primo luogo perché rompe e respinge gli schemi tradizionali della competenza per materia e la concezione feudale della detenzione del sapere; poi perché annulla il concetto di specializzazione per competenza tipico delle civiltà fortemente industrializzate e strutturate per oligarchie economiche.
Un discorso che tende decisamente alla democratizzazione della cultura; un’indicazione di metodologia culturale che impone al vero uomo di cultura di affondare lo sguardo e l’intelligenza in tutti i settori della realtà del presente e in quelli del passato che spiegano il presente.
Se il discorso-dialogo di Miccini ha ruotato per molte ore attorno a questi perni, esso non ha mancato di affrontare altri argomenti, man mano che l’occasione si offriva, in modo comprensibile a tutti.
Un momento di incontro, questo, di discussione e di interpretazione non solo della poesia visiva che ne ha offerto lo spunto, ma anche di altri fenomeni della realtà culturale attuale; un momento di chiarificazione, piano e pacato, concreto e preciso: un momento di ricerca.


ANNA PALMA: CON EUGENIO MICCINI FRA TESI E DIDATTICA

IL NUOVO

Se volete il meglio
ad azione persistente
praticate il nuovo
(la più prodigiosa
avventura dell’uomo).
Il futuro fa gli onori di casa.
La genuinità si chiama novità.
Investite anche voi con fiducia:
dove la città si rinnova c’è
una sicurezza in più.


Eugenio Miccini ci ha lasciati, ma non tutto di lui è scomparso, ci resterà maestra la sua Poesia Visiva e guida la stella rossa del suo Firmamento, “Sic erat in fatis?” Tutto il suo repertorio artistico, non solo una consolazione, ma anche un‘importante eredità culturale formativa!
Di lui, come mio insegnante, ho dei ricordi guida molto intensi e significativi a partire dal periodo in cui frequentavo l’Accademia. Era il 1989 quando nella Loggetta Lombardesca di Ravenna, dov’era l’Accademia di Belle Arti, si udì la voce del Direttore che il corso di Didattica delle Arti Visive sarebbe stato tenuto dall’artista Miccini. Il mattino in cui stava per aver luogo la prima lezione per noi studenti iscritti, lo incrociammo nel corridoio; aveva un aspetto molto semplice ed esteticamente informale, contraddittorio alla figura del classico professore. Subito dopo in aula ascoltammo la sua prima e piacevole lezione.
Miccini si rivelò un professore eclettico per eccellenza e con grande carisma comunicativo, sapeva coinvolgere noi studenti nella sfera emotiva-cognitiva delle arti, curandosi umilmente dei nostri interessi culturali. Nello stesso periodo, lo conoscemmo come artista, io in particolare mi cimentai in uno studio su di lui, con una tesi alla fine del quadriennio accademico, dal titolo: “Eugenio Miccini e la Poesia Visiva “, nella quale mettevo in evidenza la sua poetica, sempre coerente con la sua personalità artistica, di giudizio ideologico, critico-analitico, trasversale-multidisciplinare.
Un aspetto interessante di Eugenio Miccini è infatti la modalità di indagine interdisciplinare dei contenuti culturali, attraverso i mezzi linguistici di parole e immagini come ricerca umanistica del divenire storico, raggiungendo un risultato finale di “Super-Io” delle arti e delle sue Ideologie. In tutte le sue opere, il fruitore coglie uno stato di perorazione nei significati ricavati da una sintesi fra spazialità dell’immagine con la sua ambiguità, e temporalità della parola con la sua logicità.
Miccini è stato per ben quattro volte alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, invitato dai critici più noti, Renato Barilli, Gianfranco Bettetini, Daniela Palazzoli, Arturo Schwarz e da Bonito Oliva, nelle cui singolari occasioni ha presentato alcuni temi stimolanti fra i gruppi di opere della sua produzione artistica, dei collages delle “Definizioni”, dei “Rebus”, degli “Ex-Libris”, dei “Diagrammi”, della “Poesia trovata”, di “Rizomata”, del “Piano regolatore insurrezionale”, di “Eros ed Ares”, di “Poetri gest into life”, ecc. riconosciuto personaggio importante di un’arte intelligibile e universale.
Miccini è stato significativo per me; nella mia vita culturale un grande Maestro, seguito con entusiasmo anche nel periodo post-accademico; l’ho visto operare direttamente nelle rassegne degli spettacoli di Poesia Visiva, ricordo l’evento internazionale dei Poeti Visivi nei Musei di Spoleto del 1995, dal titolo: “Poesia Visiva e dintorni” (l’ultima Avanguardia), dove lui mi invitò rendendomi partecipe in quel gruppo di performances. Mi ha reso partecipe in tante altre sue occasioni di mostre personali e collettive, in altre città italiane, oltre a quella dell‘ultima Biennale veneziana del 1993, in cui esponeva cinque opere emblematiche, dai titoli: “Liber“, “Anche il silenzio è parola“, “Il mare, romanzo“, “I segni in cerca di identità con le cose del mondo, scrivere è un‘avventura“, “Rizomata“.
L’atteggiamento di Miccini nei miei confronti è sempre stato quello di appagare una mia esigenza continua di ricerca e formazione artistica e dal cui rapporto fortemente empatico di maestro-discepola si sviluppò quel valore di un’amicizia profonda e leale. Ho frequentato prima la sua casa di Verona, trasferitosi da Firenze durante il periodo di insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Verona, poi la sua casa di Firenze; ho conosciuto la sua famiglia, il figlio Alessandro, il quale è sempre stato al suo fianco, seguendolo nelle sue mostre e collaborando in tante altre occasioni con lui. Miccini è sempre stato coinvolto nella mia professione di insegnante, interessato all‘aspetto educativo-didattico nelle mie ricerche dei laboratori artistici, scolastici ed extrascolastici con ragazzi e bambini: in particolare al mio utilizzo (con metodo micciniano), di una didattica interdisciplinare guidata dall’arte e di cui, le esperienze di Poesia Visiva risultano le più efficaci e le più efficienti, come mezzo educativo, di indagine (attraverso l’esperienza), di conoscenza e di apprendimento. Durante l’occasione di un mio laboratorio organizzato nel carcere di Forli, di pittura e Poesia Visiva, sortito poi nella mostra a Palazzo Albertini, nell’estate del 1995 e dal titolo: “La Pittura Attenuante”, richiamato dalla Custodia Attenuata Tossicodipendenti, Miccini visitò i ragazzi, oltre alla mostra in cui emergevano parecchi loro disagi. Propose loro di seguire un principio spesso ricorrente nella sua Poesia, sollecitandoli all’esperienza dell’arte, come mezzo, arma, attraverso cui combattere il sistema dei disagi individuali e sociali. In quella occasione, ho potuto vederlo direttamente sotto il profilo di Educatore, nello scuotere le coscienze di questi giovani caduti in trappola. Proprio il suo profilo di Educatore e Guida, militante dell’arte d‘Avanguardia, connota tutta la sua Poesia in un senso profondamente ideologico, etico-filosofico e al tempo stesso estetico dell’esperienza, visivo-sensitiva, lasciandoci l’eredità altamente fertile della Poesia Visiva, risultando uno strumento esemplare di indagine attraverso cui giungere alla “coscienza” delle problematiche della condizione umana.

(a cura di Davide Argnani)


DAVIDE ARGNANI, poeta e critico, è nato il 4 giugno 1939 a S. Maria Nuova di Bertinoro (FC). Dal 1953 vive e lavora a Forlì. Opere pubblicate:
Poesia: Ogni canto è finito (Todariana, Milano 1972), La città mugolante (Presentazione di Giorgio Bárberi Squarotti, Ed. Forum, Forlì 1975), Nulla su tutto meno uno - ricerca sulla scrittura murale in collaborazione con Erio Sughi (MDM, Forlì 1978), I lager fra noi (in proprio 1978), Passante (Nuovo Ruolo, Forlì 1987), La casa delle parole (Presentazione di Roberto Roversi, Ed. Ellemme, Roma 1988), La festa degli alberi in collaborazione con Daniela Palmas (Ed. Pagine Lepine, Frosinone 1997); Stari Most (presentazione di Maurizio Pallante, testimonianza di Predrag Matvejevic, illustrazioni di Dinko Glibo; versione in croato (Lucì Zuvela), in tedesco (Francesca de Manzoni) e in inglese (George Peter Russell), 1ª edizione 1998, 2ª edizione 1999, Editore Campanotto, Udine. Si interessa di poesia visiva e ha pubblicato: Pianeta spaccato (Presentazione di Eugenio Miccini, Ed. Campanotto, Udine 1982), Diàclasi beante (id. 1983). Negli anni settanta-ottanta ha partecipato a numerose mostre e rassegne di poesia-visiva in Italia e all’estero. Sue opere sono riprodotte in molti cataloghi d’arte visiva e sono presenti in numerosi musei e centri di documentazione d’arte multimediale in Italia e all’estero. Inoltre ha curato le seguenti opere monografiche e antologiche: Poeti a dibattito - interviste con poeti, critici e scrittori italiani (Quinta Generazione, Forlì 1978), Anna. Un poemetto per il bicentenario del poeta americano Irving Stettner con traduzione di E. Sughi (Forum 1979); Pelàsgi, i poeti romagnoli in lingua, in collaborazione con G. R. Manzoni e introduzione di Valerio Magrelli (Ed. Maggioli, Rimini 1985); Motus e Ingranaggi - ricerca sulla poesia operaia, in collaborazione con Roberto Roversi - (Edizioni Lavoro, Roma 1987-88); come critico d’arte, oltre a numerosi articoli e presentazioni, ha curato il catalogo monografico sulla pittura di Pietro Cimatti in occasione della mostra organizzata dal Comune di Forlì nel 1992, su iniziativa del centro culturale L’Ortica.
Ha collaborato e collabora a varie riviste letterarie fra cui: «La Fiera Letteraria», «Fermenti», «Quinta Generazione», «Uomini e Libri», «Logos«, «Prospetti», «Il Subbio», «Il Lettore di Provincia», «Stroker», «Galleria», «Zeta», «Lettera», «Pianura», «Fiera», «Cartolaria», «Hortus», «Arenaria», «Porto Franco», «La Nuova Civiltà delle Macchine», «Le Voci della Luna», «Astolfo», «Risvolti», «Gradiva»… Dal 1993 dirige la rivista letteraria «L’Ortica». Nel 1979 a Forlì ha fondato il Centro Culturale ‘Nuovo Ruolo’ per la poesia e, dopo il suo scioglimento, nel 1991 ha fondato, insieme a un gruppo di poeti e artisti, il Centro Culturale ‘L’Ortica’ per la poesia, l’arte e la letteratura, tuttora in piena attività.


ANNA PALMA, nata a Ceglie Messapica nel 1960. Si trasferisce in Romagna nel
1975, dapprima a Faenza dove riceve i primi rudimenti di poesia attraverso
l'amicizia di Marta Bener, scrittrice di poesia contemporanea, poi a Forlì
dove consegue il diploma magistrale;lavora come pubblicitaria. Nel 1984
frequenta il gruppo di Aut-Art che ruotava attorno alla figura del pittore
Guerriero Cortini, all'interno del quale confronta le sue riflessioni
linguistiche e filosofiche, condividendo uno studio in cui sperimenta alcune
esperienze pittoriche. Nel 1988-89 frequenta l'Accademia di Belle Arti di
Ravenna dove incontra Eugenio Miccini al corso di Didattica delle Arti
Visive,formandosi all'interdisciplinarità micciniana con uno studio e una
tesi finale sulla Poesia Visiva. Nel 1994 riprende le esperienze di
insegnamento, del 1987, come precaria, sperimentando in carcere un insegnamento
rieducativo attraverso l'arte e nei vari ordini di scuola sperimenta il
metodo di una didattica artistica interdisciplinare. Ha spesso contatti e
confronti con il suo Maestro, partecipando alle rassegne di Poesia Visiva
dove conosce Lamberto Pignotti ed altri autori visivi italiani e stranieri.
Si abilita alla scuola secondaria di primo e secondo grado; organizza
laboratori scolastici ed extrascolastici sull'arte,sul teatro e mostre
didattiche per bambini e ragazzi. Attualmente vive a Cattolica portando
avanti esperienze artistiche personali di poesia visiva e pittura dedicandosi
al contempo alla ricerca di indagine del rapporto fra arte e pedagogia.

martedì 10 luglio 2007

Licenze poetiche. Slam!

Sono aperte le iscrizioni
per la III Edizione del
Poetry Slam di Macerata!

Se volete partecipare all'unica gara tra poeti della Provincia di Macerata,
scriveteci all'indirizzo: licenzepoetiche@email.it



Ass. cult. "Licenze poetiche"
www.licenzepoetiche.it

Brani di In cerca a Sottomondo


Potete leggere alcune poesie tratte da In cerca nel sito Sottomondo
Ringrazio i curatori.
Alex

venerdì 6 luglio 2007

“Io” I (Diletta Saracino)

1.

L’angolo della scrittura
non esiste,
è solo un anfratto della mente,
un ripostiglio in disuso
che ho – di nascosto – risistemato.
Ma il suo accesso è
A Te interdetto
e non cercarlo
che non puoi trovarlo,
l’angolo delle parole ballerine
l’angolo
delle parole canterine.
L’angolo della scrittura,
l’angolo
nella mia mente.


2.

Come sempre
troppe penne sul tavolo per scrivere
che ogni giorno è uguale
pieno solo
della stessa voglia grigia del niente
del giorno prima.


3.

Contrabbando sogni
commercio in parole
ma non sono un buon acquisto
neanche sul mercato nero.


4.


Io ho lavorato finora.
Fuori.

È dentro
che non voglio lavorare.

È per me che non voglio faticare
e quindi guadagnare
giorni migliori
verità
calore.

Il saldo del conto
alla fine del mese
sale,
ma dentro
dentro
è sciopero perenne, abituale.



5.

Io appartengo alla terra di mezzo
non indosso divise
e non porto bandiere,
sostengo una causa
e poi un’altra e un’altra ancora
tuttavia per nessuna
combatto davvero.
Resto in superficie
e non scendo mai
consapevole
in profondità,
perché degli abissi ho paura
perché una volta
ho gettato gli occhi nel mio
e quando li ho ripresi
non erano più gli stessi.
E ora quando mi guardo allo specchio
– raramente e solo per necessità –
so bene che non sono intera
e neanche integra
so bene di non appartenere
a nessuna persona
a nessuna causa,
perché non appartengo
prima di tutto a me stessa.


6.

Io me la so cavare
senza mio padre
senza delegare
senza mia madre.

Io me la so cavare
senza di te,
senza sperare
miracolose guarigioni
senza fuggire
dalle mie cattive azioni.

Alla mia festa
decido io la musica
decido io chi entra
decido io chi esce.


7.

Per amore o contratto
nessuno ti tiene,
perché nessuno
deve tenerti.
È tua l’altalena
e tu decidi
quando salire
e quando scendere,
se gettare gli occhi al cielo
o chiuderli
– saracinesche serrate al vento –
al tempo di là
che è diverso
dal tempo di qua.
Mani strette attorno alle catene,
coordinate esatte
per la spinta veloce delle gambe.

È vero
nessuno tiene
ma così tu voli
da sola.


8.

Tira fuori i denti e combatti
per quello in cui credi
o solo
per quello che senti.

Combatti.


9.

Un buco nel cuore,
per principio
per sua finalità naturale,
non ha scale.

È fatto per precipitare
e poi non si risale.


10.


C’è un modo giusto d’amare
e uno sbagliato.
Il tuo è giusto
il mio
sbagliato.
Il tuo produce
il mio
distrugge.
Il tuo semina,
il tuo
raccoglie.
Il mio è arido
il mio è vuoto.
Il mio disperde
Essendo volatile di natura
Essendo
di forma pura.

Con il tuo si creano famiglie
di pensieri e di radici,
con il mio si resta soli
seppure insieme.

Il tuo è sano
il mio
è malato.


11.
Lezione n. 1

Raccontarti della mia pena
è semplice
e io ho un vocabolario
davvero misero,
davvero limitato.

Da piccola non sono stata amata
e da grande, amata,
non ho amato.
Nessuno me l’ha insegnato

o meglio dirò
“Non ho imparato”.


12.


Il limite ha forma
spessore
colore.

Il limite è vivo
respira
si muove.
E quando parla
dismette
rovina
devasta.

Il limite è mio
e diverso anche tuo.

Il limite uccide
distacca
allontana.

Il limite è
informe
spazio
incolore.


13.


Parlami di me,
Raccontami.
Perché non so chi sono,
perché nello specchio non mi riconosco:
una
estranea invadente
abita il mio corpo.


14.


Che strana tinteggiatura
ho scelto per la mia stanza.
Senza stelle e senza il cielo
il buio così è pieno.
La mia pena così non ha fondo
senza luccichii d’emergenza,
appigli luminosi per riposare.


15.


Mi scopro in buona compagnia
io e il mio silenzio
io e la mia pena,
con la quale vado a braccetto.
Non più estranea
Lei adesso è ben contenta
di non viver relegata in un cassetto.
Scoperta,
respira finalmente
e come per magia s’acquieta,
incredibilmente.
Lieve è la mia pena
e dolce
il mio silenzio.


16.

Arde il fuoco solitario.
Nel regno quotidiano
di vitale valore non è sempre
impastare nero su bianco
ma colore su colore
di voce su voce e di silenzio.

Incandescente.
A tratti priva di scrittura.
Così ora mi garantisco l’esistenza.


17.
Lezione sugli elementi

Sui bracieri,
in fondo alla gola
prendono fuoco le parole,
con poco vento
con scarso mestiere,
una fiamma da niente
senza valore.

E la mia pelle scintilla
scintilla alla vista
ma cela l’inganno.
Al tatto rivela
che è fatta di scaglie
di scaglie di ghiaccio.



Una sequenza-confessione questa di Diletta Saracino: “sostengo una causa / e poi un’altra e un’altra ancora / tuttavia per nessuna / combatto davvero. / Resto in superficie (…)“; una confessione in parte riassuntivo dello sfinimento pseudoatarissico di noi abitanti dell'Occidente. C'è però anche una consapevolezza della situazione che è una base da cui ripartire: “Il limite è vivo / respira / si muove.“; “una / estranea invadente / abita il mio corpo.“

3 nuove poesie de Leela Marampudi

qui

giovedì 5 luglio 2007

Sulle tracce di chi semina parole 14-7




Sabato 14 luglio 2007 dalle 21.30 alle 24.00

nei giorni e nell'ambito del Festival delle Arti

Percorso con poeti e narratori per le vie di Santarcangelo: il piacere dell’ascolto e quello del cammino per riflettere
v. fotoracconto

Itinerario (v. per dettagli e notizie sugli autori il pieghevole)

Palco piazza Ganganelli (leggono Stefano Sanchini, Chiara De Luca, Subhaga Gaetano Failla, Caterina Camporesi)

Grotte Teodorani (leggono Helene Paraskeva, Andrea Parato, Ardea Montebelli)

Monte di pietà (leggono Patrizia Rigoni, Luca Ariano, Natascia Ancarani e Alex Celli) e segue dibattito aperto.

Partecipazione libera e gratuita

Per info: Biblioteca Comunale
Via Cavallotti, 3
47822 Santarcangelo di R. (RN)
Tel e Fax 0541 356299
www.biblioteca.comune.santarcangelo.rn.it
biblioteca@comune.santarcangelo.rn.it

mercoledì 4 luglio 2007

Nuova poesia 2007

Aperte iscrizioni selezione “Nuova poesia 2007”


Palermo, 4 luglio 2007 – Sono aperte le iscrizioni alla selezione “Nuova poesia 2007” organizzata dalla casa editrice La Zisa (www.lazisa.it) di Palermo finalizzata alla pubblicazione di un’antologia poetica. La composizione inedita va inviata per posta a: La Zisa Comunicazione soc. coop, via Marchese di Villabianca 120 – 90143 – Palermo; o via e-mail: presidente@lazisa.it. Per informazioni: cell. 3284728708; e-mail: stampa@lazisa.it o presidente@lazisa.it

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Addetto Stampa: Davide Romano
cell. + 39 3284728708
stampa@lazisa.it
www.lazisa.it

Spaventapasseri (Paola Castagna)

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martedì 3 luglio 2007

Gianmaria Giannetti (Stefano Guglielmin)


Ho incontrato Gianmaria Giannetti ne La coda della galassia, l'antologia curata da A. Ramberti per Fara, che contiene altre chicche di cui parlerò ancora. Per intanto: Giannetti, in questi versi, mette nel cono di luce Vera Blu, vecchia barbona della stazione di Bologna, sorella degli immobili vagabondi beckettiani. Di sé, lei dice: amo ripetere, amo dimenticare e fa pensieri sulla divinità assai intriganti: dio è sorto dall'uva dei campi......dio ha la velocità di un pavimento.


"poi alle 24.01: - lei la lei come cascata nella pancia, lei la braccia l'aria, lei della poltiglia si muscola, lei maschia e cadavere, lei gregge e foresta, lei giganteggia nana, lei matta, lei sputtana e sputacchia il sole nero al più nero, lei si gode di lei."


"Le tue mani consorte verso il punto luminoso covano un fiordo. Mani consorte di lei sporche, detrito di lei, di lei atomo, di lei atollo. Lei è la lei, e si monda di cenere e si stende alle nuvole e ha i polsi di spazio, e nelle vene i suoi fiumi.

....................................... Lei dona uova al divino. Vera mettiti i guantini bianchi, le scarpette rosse, vai alla stazione e grida, grida Vera un po' il vero un po' il falso."

...

e io Vera Blu avanzo alla collanza ancorpiù della mia morte della mia non morte, odio la vicinanza odio la lontananza, vivo forse?

il resto dell'articolo qui

Il blog di Stefano Guglielmin è linkato nelle Rotte a lato.

Haiku in web TV

L'Editore DeArt in collaborazione con Cascina Macondo sta progettando una Televisione Web.
Vi invitiamo a collegarvi al sito
www.videohaiku.eu
deart.tv
www.cascinamacondo.com


mercoledì 4 luglio alle ore 22.00.
(GMT + 1,00)

Sarà una trasmissione in diretta, sperimentale, sulla poesia HAIKU.
Abbiamo bisogno di fare un test sulla qualità dell'immagine, sul sonoro,
sulla chat che si potrà usare in contemporanea.
Vi saremo grati se vorrete segnalarci disfunzioni o pregi.

Argomenti trattati nella trasmissione:
- la Conferenza Europea sull'Haiku dell' 8-9 giugno in Svezia a Vadstena
-intervista a Shokan Kondo e altri Hajin
- lo spettacolo "HAIKU" alla rassegna del teatro di figura di Pinerolo, intervista ad Antonio Panzuto
- immagini della cottura Raku alla premiazione del Concorso Internazionale Haiku di Cascina Macondo anno 2006
- piccoli passi haiku
- varie

in studio in diretta NET.TV:
Paolo Luino, Pietro Tartamella, Annette Seimer, Michele Bertolotto

un grazie per l'attenzione
la redazione

CASCINA MACONDO
Centro Nazionale per la Promozione della
Lettura Creativa ad Alta Voce e POETICA HAIKU
Borgata Madonna della Rovere, 4
10020 Riva Presso Chieri - Torino ˆ Italy
tel. 011-9468397 - cell. 328 42 62 517
info@cascinamacondo.com

lunedì 2 luglio 2007

Salvaguardare il tempo e l’assenza: un’ipotesi per la poesia contemporanea


di Mimmo Cangiano

(anche una possibile risposta alle domande di Daniele Borghi)

Pensare di poter istaurare una reale comunicazione con il lettore è, perdonatemi la franchezza, un atto un po’ ingenuo che sottintende al fondo una paura e, di conseguenza, un risvolto autoritaristico per contrastare quella paura. Pensare ad una “parola” (poetica o no) che arrivi intatta dall’altra parte, all’orecchio del lettore, che si faccia “comunicazione” (nel senso in cui mi pare la intende Borghi) sottintende un desiderio di immobilizzazione coatta del pensiero, un desiderio che oscilla fra il semplice e il violento.
Borghi ha ragione a mio parere a parlare di “onanismo”, ha torto a parlare di “disinteresse”. Ha torto, mi spiego, solo nel caso in cui non è in grado di rintracciare “la linea che separa ciò che è vero in virtù di uno stato del mondo e ciò che è vero in virtù del significato dei termini”. Se è in grado di far ciò, se è in grado cioè di dimostrare che non è vero che nei rapporti umani il primo principio di falsificazione proviene proprio dal linguaggio, cioè dal tentativo coatto di immobilizzare la vita (aperta) in forme (chiuse), allora il mio discorso decade e non vale la pena continuare a leggere.

Ma se, come credo, il linguaggio è solo uno strumento convenzionale (e le convenzioni sono certo importanti in questo nostro frammentato tempo) mediante il quale “ci capiamo” per gradi di approssimazione, il mito della “comunicazione” è un falso mito, e sottintende, come dicevo, da un lato il desiderio un po’ alla Candide di “comunque ci capiremo”, dall’altro, l’ansia (questa sì violenta) di fissare punti fermi, oggettivi, necessari alla speranza di una comunicazione.
Lungi da me l’idea di intraprendere un discorso nichilista contro la comunicazione, non si tratta di questo: si tratta di comprendere bene i limiti di questa comunicazione per poterla riproporre nella sua variante più tollerante, più aperta, più debole, e quindi più contingente.

Quando Perelà (l’anno è il 1911) arriva in città, la gente si affanna a cercare di capire chi sia, si affanna a cercare di definirlo, si affanna cioè a cercare un punto fermo (ovviamente il proprio) mediante il quale possa “comunicare” con lui. Ecco che l’ansia di comunicazione sottolinea ancora una volta l’ansia di un’appropriazione, di un possesso, della volontà di “incarcerare” la molteplicità dell’altro per ridurla alla propria unità significante. Ma Perelà è di fumo, le parole non sono in grado di afferrarlo, di ingabbiarlo. Le parole, questo ci insegna il romanzo di Palazzeschi, sono puramente potenziali. Hanno sì un loro valore, ha sì senso usarle, ma ricordando che Perelà (l’oggetto che le parole vogliono afferrare) è “leggero, leggero, leggero”.

Le pecche della poesia contemporanea (e di certo non mancano) vanno, credo, ricercate altrove. E vanno ricercate in primo luogo nell’assenza di “consapevolezza” e di “problematicità” che guida la mano dei poeti. Mai come ai nostri giorni si era assistito a un tale scollamento fra la poesia e le altre aree culturali, mai come ai nostri giorni ci si era comodamente adagiati in stilemi intellettuali di così basso profilo: misticismo a buon mercato, culto di un’eticità totalmente slegata da quello che è il tradizionale modus operandi della produzione poetica, religiosità d’accatto che se pure ha buon gioco nel trovare fruitori lascia sgomenti per la “faciloneria” che porta con sé, mito di un corpo tragico a cui è stata sottratta qualsiasi valenza ironica e popolare che ne sottolineasse una reale continuità con un’azione (politica? trasformativa?) di indagine sulla realtà.

Non so se la poesia stia realmente morendo, di certo ce la sta mettendo tutta. Ma devo dire in conclusione, cercando anche di spiegare il titolo di questo breve intervento, che le note positive non mancano. “Salvaguardare il tempo e l’assenza” vuol dire salvaguardare, senza nascondersi la realtà, una situazione di vuoto nel quale il poeta si trova ad operare, un “vuoto attivo” (per riprendere un celebre affermazione di Anceschi) in cui si trovano ad operare tanto autori che cercano di “puntellare le rovine coi frammenti”, tanto autori che non cercano di “puntellare” niente.

Molti degli autori (per lo più giovani) a cui sto pensando sono, si direbbe, degli “epigoni”, ma la definizione deve perdere la sua connotazione negativa, perché non possiamo più considerare la Storia secondo le categorie moderne di “novità e superamento”. L’epigonismo è infatti la vicenda di colui che si muove fra i frammenti della metafisica e del nichilismo, l’epigonismo è un modo (nuovo) di essere al mondo, con tutta la coscienza storica che il soggetto si porta dietro. Il movimento dell’epigono non guarda a un solo maestro, guarda a un proprio canone e ad una propria tradizione “canonizzata”, “formalizzata”, di cui però conosce benissimo l’arbitrarietà. La sua “scelta” è sin dalla partenza macchiata da un’epochè, il suo movimento nella tradizione è il segno che è pronto a nutrirsi di tutto, a fagocitare tutto, ad orizzontalizzare, in sé, tutto.

La “vita”, di cui tanti si riempiono la bocca (quante volte abbiamo sentito il motivetto “una poesia più vicina alla vita”?), è in questi autori che si ritrova. Non si trova nei sedicenti difensori di una poesia “semplice” o volgarmente magmatica, si trova, cerco di spiegarmi, in questi poeti-critici sempre pronti a porre dei dubbi, sempre pronti a giocare la propria partita su un palcoscenico traballante e senza punti fissi. Autori capaci di fare i conti con la vita, che vuol dire, tragicamente, fare i conti con il movimento, cioè con una critica continua e a tutto campo.

Si dirà che porto acqua al mio mulino, è vero solo in parte, perché non si tratta qui di difendere una poesia-critica di tipo “debole”, aperta, contingente, ironica, giocosa o disperata nella sua “frammentarietà” (Ariano? Baldi? Gezzi? Santi? Guglielmin? Nacci? Fantuzzi? Simonelli?), si tratta di difendere qualsiasi tipo di poesia che, pur andando poi da tutt’altra parte (Giovenale? Orgiazzi? Temporelli? Massari?) ha con questa contingenza fatto i conti.