sabato 31 marzo 2007

AUTOCOSCIENZA: Una ricognizione su Letteratura e Internet


L’ATTENZIONE
il numero 7 è online!


Testi di: Fabiano Alborghetti – Matteo Fantuzzi – Marco Guzzi - Mara Macrì – Gian Ruggero Manzoni - Massimo Ogiazzi - Antonella Pizzo – Alessandro Ramberti - Massimo Sannelli



www.lattenzione.com

rivistalattenzione@livecom.it

giovedì 29 marzo 2007

Patrizia Rigoni vince Fiur'lini 2007



Patrizia Rigoni, da noi pubblicata con la raccolta Andatature in 3x2 ha vinto con la silloge Distanze astrali la sezione poesia del concorso internazionale Fiur’lini 2007. Fra i finalisti anche Luigi Nacci un altro autore presente nelle pubblicazioni Fara. Complimenti e ad maiora!

Associazione Italiana
Premio FIUR’LINI
Postbus 1169 , NL 2280 CD Rijswijk Nederland
tel. +31 651557075 Fax +31 70 3960574


Ai partecipanti al premio Fiur'lini 2007

Den Haag, 27 Marzo 2007

A conclusione dei lavori, anche quest'anno impegnativi e complessi dato l'elevato numero degli elaborati esaminati, la giuria ha premiato:

Patrizia Rigoni di Trieste per la poesia,
Daniela Raimondi di Londra per la prosa,
Cristina Bellemo di Bassano del Grappa per la sezione 'Il Piccolo Principe'

ed ha conferito una menzione speciale a

Leonardo Pappalardo per "Pandemonium", Carlo Tassini per "Lo spettacolo di Jack Talento" , Agostino Rocco ed Emanuele Boccardo per il racconto illustrato "Pilo"

Sono risultati finalisti:
Sez.A: Bruno Bianco, Cornelia, Maria Rosaria Fonso, Giulia Maria Giardini, Giuseppe Pace, Massimiliano Rescigno, Alessandro Scarpellini, Maria Maddalena Signori
Sez.B: Oreste Bonvicini, Marco Di Pasquale, Patrizia Filia, Luigi Nacci, Daniela Raimondi, Paolo Sangiovanni
Sez. Il Piccolo Principe: Anna Bani, Gabriella Biglia, Mario Malgeri, Giuseppe Pace, Rosalba Perrotta, Giuseppina Ranalli, Elena Vesnaver

Il Premio Valentina D’Arrigo è stato vinto da Matteo Pasquini di Coriano (Ravenna).

A loro ed anche a tutti gli altri, meritevoli se pur non scelti, vanno i nostri complimenti ed auguri.

La premiazione avrà luogo la sera di domenica 13 maggio al Literair Theater Branoul (Maliestraat 12, Den Haag).
Nell'ambito della manifestazione, il giorno precedente, sabato 12 maggio, avrà luogo un pomeriggio letterario durante il quale ogni partecipante a questa edizione del premio Fiur'lini (e non solo i premiati) avrà l'occasione di presentare le proprie opere edite.
Per rendere nota la vostra partecipazione siete pregati di contattare la segreteria di Forum oppure Lucia Chini (Tel.+31 70 3960592, Fax +31 70 3960574, E-mail: luciachini@wanadoo.nl).

Sperando di potervi incontrare e conoscere tutti, vi salutiamo con un cordiale “a presto”.

Lucia Chini (Responsabile del Premio Fiur’lini) Nildo Ciarelli (Presidente, per il C.D. di Forum)

Mario Luzi a S. Miniato (di Bernardo M. Gianni)


Ricevo e sono lieto di postare questo messaggio di padre Bernardo

Carissime amiche e amici di San Miniato al Monte,
alcuni di Voi sono forse già al corrente che nell'arco di qualche anno il genio poetico di Mario Luzi ha regalato a questo luogo alcune stupende liriche. In particolare una, intitolata "Siamo qui per questo", scritta alla fine del 1997, è parsa a me e all'amico Hans Honnacker un testo di grande bellezza e significato, capace di aiutarci nel rileggere il significato di San Miniato nel suo vitale rapporto con la città.
Hans ed io abbiamo voluto pertanto dedicare alcune pagine per una sistematica riflessione su quei versi e sul contesto culturale, storico, spirituale e letterario entro il quale sono stati creati, credendo così di fare qualcosa di utile per tutto coloro che amano la poesia e amano San Miniato al Monte.
Vorrei ora sottoporre alla Vostra benevola lettura queste pagine, che vogliono soprattutto essere un modesto e grato omaggio a Mario Luzi e alla sua memoria.
A voi tutti il nostro grazie e un caro saluto
bernardo

Anticipo qui il testo della lirica in questione, intitolata appunto "Siamo qui per questo":

Ricordate? Levò alto i pensieri,
stellò forte la notte,
inastò le sue bandiere
di pace e d'amicizia
la città dagli ardenti desideri
che fu Firenze allora ...
Essere stata
nel sogno di Lapira
"la città posta sul monte"
forse ancora
la illumina, l'accende
del fuoco dei suoi antichi santi
e l'affligge, la rode,
nella sua dura carità il presente
di infamia, di sangue, di indifferenza.

Non può essersi spento
o languire troppo a lungo
sotto le ceneri l'incendio.
Siamo qui per ravvivarne
col nostro alito le braci,
chè duri e si propaghi,
controfuoco alla vampa
devastatrice del mondo.
Siamo qui per questo. Stringiamoci la mano,
sugli spalti di pace, nel segno di San Miniato.


Per informazioni sui testi potete contattare
padre Bernardo Francesco Maria Gianni, O.S.B. Oliv.
Abbazia di San Miniato al Monte Monaci Benedettini di Monte Oliveto
Le Porte Sante, 34
50125 Firenze
lectio.divina@gmail.com

lunedì 26 marzo 2007

Su Pietrisco di Alessandro Ramberti


Recensione di Antonella Pizzo


«Il pietrisco mi fa pensare al mio vecchio impiego, più di 30 anni fa, appena diplomata, lavoravo come piccola ragioniera indifesa in una ditta che aveva un grande frantoio, assieme alle altre cose producevano un pietrisco che a seconda della grossezza veniva chiamato pietrisco del 2, pietrisco del 3. So quindi che col pietrisco e il cemento si fa una malta e si fa la gettata per fare pilastri, solai, si costruiscono anche le strade, ma non le grandi strade, le autostrade anonime e senza anima, quelle strade i cui non ci fermiamo quasi mai o se lo facciamo è solo per andare in bagno o prendere un caffè alla stazione di servizio, ma strade di poderi, strade interne, strade intime, le nostre, strade a nostra misura, si rendono i percorsi accidentati e sterrati accessibili e percorribili a tutti. Il pietrisco sono le parole…»

il resto della recensione qui

Quali sono le forme del senso?


Posto volentieri questo annuncio giratomi fa Filippo Ranchio di Semi-filosofici. L'incontro ha luogo a Venezia.

"Aria nuova (e meno ego)" (Davide Rondoni)



Su «Avvenire» di domenica 25 marzo 2007, sezione Agorà, Davide Rondoni dedica la pagina 3 alla poesia emergente (in particolare vengono presentati Maddalena Vicini, Mariarita Stefanini, Corrado Benigni e Pietro Federico. Sono lieto riprodurre lo scritto di overview preceduto da queste parole: «Si affaccia una generazione che non ha paura di pensare poetando e privilegia un fresco "noi" all'abusato io dei loro predecessori. Rumina i modelli – ormai classici – del Novecento italiano e anglosassone, ma reinventandoli attraverso forme e contenuti contemporanei»

Il titolo completo della pagina è:

Aria nuova (e meno ego), sono i giovani Poeti

Marco Bottoni premiato a Savona



Marco Bottoni con la raccolta di racconti Sullo stesso treno si aggiudica il Terzo Premio assoluto del concorso Priamar indetto dal Lions Club Priamar di Savona, sezione narrativa edita. Complimenti a un altro fariano vincente e buona continuazione!

sabato 24 marzo 2007

Su L'infanzia vista da qui di Francesco Tomada


Editrice La Quercia, via Locchi 9, Gorizia, 2006 (ristampa), pp. 96, s.i.p.

Una versificazione distesa e vissuta caratterizza la raccolta di Francesco Tomada, n. 6 della collana «Sottomondo», una scrittura capace di porci i nodi vitali non come mero sfogo, ma come discreta condivisione di umanità (l'essere figlio e padre, fratello e sposo, amico e comagno, il condividere e il disperdere… uno sguardo solidale e attento, un fare anima umile ed empatico con il lettore):

«… se lo sguardo ha spazio siamo tutti viaggiatori…» (Nelle camagne dietro Cormons, p, 26)

«… e non sai dove prosegue
l'infinito

se dentro o fuori o semplicemente ti attraversa» (Astronomia privata, p. 37)

«Sei tu fra noi due che porti il vuoto nel ventre
e quando facciamo l'amore non so
se il mio sia scavare o colmarti…» (La divisione dei beni, p. 57)

«Smetterò di fumare. Quest'anima che brucia negli
angoli come si fa con la carta perché sembri antica…» (p. 66)

(Ad Aquileia con Giordano)
«Cammini saltando sulla mia
ombra. Grazie a Dio calpesti
il mio spirito buio, ti volti
e mi dici "per me fermi
il sole".
Ho pianto, ma
dopo.» (p. 71)

«… come sembrava impossibile morire di parto
nell'anno duemila di Dio

pesavi di meno di questo cognome che oggi
io porto da solo… (a Stefania, finalmente, p. 78)

Ecco, frammenti di un racconto articolato in cinque sezioni (Disedifici, I grani di riso, La famiglia, Un'ora e non oltre, L'infanzia vista da qui) che contengono poesie che non mi sono permesso di lacerare (anche i lacerti qui sopra si apprezzano meglio nel luogo in cui sono incastonati) per riprodurne qualche verso, data la loro riuscita e necessaria compattezza, ad esempio: Hanno arato i campi stamattina, (senza titolo) di p. 39, Padre madre vi riunisco almeno in una possibile poesia, Fastfood, So come muoiono le farfalle, Tibet…
È questo davvero un libro che lascia traccia, appena qualche ridondanza prosastica forse limabile, ma Francesco sa toccare la lira nel modo giusto e senza orpelli retorici o sentimentali. Lo sguardo del fanciullo adolescete che è in noi lo sentiamo vero e coinvolgente.

Francesco Tomada è nato a Udine nel 1966 e vive a Gorizia.

giovedì 22 marzo 2007

Su Mai - Linkami l'immagine (Salvo Ferlazzo)


Mai - Linkami l'immagine
di Leonardo Marini - Carmine De Falco
Anno 2006 - Fara Editore
Prezzo € 12 - 128 pp.

Recensore: Salvo Ferlazzo
Ricevuto: 24-03-2006
Recensito nel sito di Progetto Babele


Alla fine del libro, i due autori deflagrano nella mente di chi ha letto il loro libro, instillandovi il dubbio se il quadro complessivo dei paesaggi, delle figure, delle situazioni, dei dialoghi, sia la meta o invece non rappresenti il percorso per arrivarci.

Lungo questo percorso, si intravedono le radici dei due autori, alle quali qualcuno rimane attaccato; qualcun altro, sradicato, cosmopolita, si abbandona ad una erranza forte, decisa, mitigata soltanto da immagini che sostuiscono una catena di sensazioni a volte fredde, distorte, indifferenti.

A volte trasmettono la sensazione di sentirci tutti cittadini del mondo, con la passione febbricitante di lanciare il cuore al di la dell’ostacolo, in un impeto insaziabile di libertà.

Intangibilità delle parole, compostezza policroma delle immagini.

Il libro e le sue storie si muovono tra una profonda coscienza della propria appartenenza ad un mondo, che è la terra che diventa dimora scuola, residenza; e la consapevolezza dell’eredità che quel paese, quella gente sono in grado di trasmettere ai protagonisti, persino al lettore.

Sotto la “t” di terra si muovono personaggi infarciti di dubbi, errori di sintassi, che ne fanno quasi un mito agostano, quando tutti vanno al mare, inteso come acqua, principio di ogni cosa.

Fine aurorale. Cupio dissolvi. (…)

(il resto della recensione di Salvo si può leggere qui

Intervista a Carla De Angelis (Stefano Martello)


Sono lieto di riprodurre questa intervista apparsa in Diritto.it
15/03/2007

Stefano Martello intervista Carla De Angelis, autrice di Diversità apparenti – Un’esperienza, una prospettiva, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2007

Carla, hai deciso di mettere su di un foglio di carta quella che è la tua esperienza quotidiana; da che cosa è nato questo desiderio e, soprattutto, quale è l’obiettivo di un testo come il tuo?

Carla De Angelis: Non so se era un desiderio quello di mettere su carta la mia esperienza quotidiana, forse o quasi certamente la mia necessità di scrivere è prevalsa sul riserbo di un privato speciale; spero di non aver superato quel filo sottile che separa uno scritto che vuole suscitare curiosità e domande da un noioso diario.
Infatti l’obiettivo è proprio quello di indurre chi legge a porre altre domande e, dopo aver letto il libro, avere una visione non buonista nei confronti della diversità.


In un solo anno hai pubblicato ben due libri (il primo, Salutami il mare, di poesie ed edito da Fara; una scelta apparentemente rischiosa, ma anche vantaggiosa se si riesce a configurare questi due testi (che parlano dello stesso argomento, sia pure con modalità di scrittura diverse) in maniera sinergica. Ne vuoi parlare?

C.D.A.: Salutami il mare mi emoziona. Ero al telefono con una cara amica di Rimini, mi raccontava che chiusa la telefonata sarebbe andata a fare una passeggiata al mare, le ho detto: “Salutami il mare”. Tornata a casa non ho potuto fare a meno di pensare agli anni nei quali passeggiavamo lungo il mare di Rimini e al porto, lei con le ciabatte in mano ed un sorriso che ho portato con me negli anni. Così è nato il libro che insieme alle emozioni di questa amicizia ha catalizzato tutto il resto. I due testi sono complementari, nella poesia c’è la necessità di dire e non dire, lasciare che il lettore intuisca e conformi secondo la propria personalità ed esperienza le parole che legge. Diversità Apparenti è scritto in forma di dialogo e, anche se appare semplice, pone interrogativi rispetto alla società e alle priorità che attualmente viviamo. Ho la sensazione che non ci stiamo preoccupando troppo del domani, ma stiamo vivendo pensando all’immediato; questo non facilita, ma soprattutto non promuove i rapporti tra la gente. Mentre il primo libro ha una espressione poetica che nasce spontanea, il secondo pur essendo dialogato è estremamente sincero sia nelle richieste che nelle risposte e pertanto si integra perfettamente con il primo. Il filo conduttore, in fondo, è identico.

Nella tua sfera artistica non c’è solo la scrittura lettura ma anche la ceramica, ad esempio. In che modo ritieni che diverse forme artistiche possano essere veicolate per aiutare un unico argomento?

C.D.A.: La scrittura è stata la mia prima espressione artistica, l’ho lasciata in disparte per molti anni e mi sono rivolta alla terra che mi permetteva di plasmarla in quello che volevo; in più insegnandola ad altri ho avuto modo di stare a contatto con la gente, e da quello che fa, per esempio, o dai colori che usa ho imparato molto, anche ad aiutare chi aveva problemi. Qualsiasi forma di arte permette all’individuo di esprimersi senza freni, anche se l’autore ritiene di essere cosciente e padrone delle proprie creazioni. Quindi, ritornando alla scrittura, spesso le mani o la penna vanno per proprio conto e svelano molto più di ciò che si vorrebbe. E’ in questo senso - facendo conoscere agli altri realtà diverse - che si può aiutare un unico argomento.

Andremo a presentare il libro nelle scuole di Roma; è una cosa che mi entusiasma e mi spaventa nello stesso momento. Come credi sarà possibile riuscire a trasmettere un argomento così vasto e doloroso e delicato ad un giovane di 17 anni che – e forse è giusto così – pensa solo a come “svoltare” la propria serata?

C.D.A.: Stefano hai ragione, è entusiasmante, ma anche molto impegnativo andare a presentare il libro nelle scuole di Roma. Sono convinta che i giovani non hanno solo il problema della “serata”, sacrosanto diritto per la loro età. Sono lontano dalla loro età e per ragioni oggettive non ne frequento molti, ma per quel poco che vedo sono curiosi. Le associazioni di volontariato sono piene proprio di ragazzi che vanno dai sedici in su; trasmettere un argomento così vasto serve loro per fotografare una realtà che li coinvolge anche perché, terminati gli studi, dovranno affrontare un mondo del lavoro che in questo momento non sembra offrire molte occasioni. Forse alcuni dovranno tenere ciò che hanno imparato con lunghi anni di fatica solo come bagaglio culturale e poi svolgere un lavoro diverso; dovranno confrontarsi con un mondo che non mai regalato (soprattutto ora) niente a nessuno, e nel libro ce n’è per tutti. Non mi porrò certo come portatrice di chissà quali verità o soluzioni di vita, saranno invece - loro non ancora smaliziati dall’esperienza della vita - ad offrirmi motivi e parole per raccontare differenze, esperienze e scelte operate nel corso degli anni.

Il libro è uscito a dicembre; cosa ti ha stupito, in questi primi mesi di promozione del testo?

C.D.A.: Devo essere sincera? L’interesse forte delle associazioni che si occupano del problema: in alcuni casi hanno fatto una intensa autocritica e non si sono mai sottratte al dialogo ed al confronto[1]. Ma anche – sia pure in negativo – il disinteresse delle istituzioni. Già ti vedo sorridere, ma non è una questione di ego così cara alla categoria degli scrittori o degli artisti; è solo che pensavo ad un cenno, ad un incoraggiamento. Chissà, forse questo incoraggiamento verrà nel futuro e comunque non vorrei che il Lettore pensasse che ho scritto questo libro per ricevere complimenti.
Le ragioni – e tu lo sai – sono molto più complesse così come complessi e a medio lungo termine sono gli obiettivi.
È un inizio, tutto qui.



[1] Presentazione di Diversità apparenti alla Culture Factory di Roma della Fondazione Eni Enrico Mattei, 19 gennaio 2007. Alla presentazione sono intervenuti, oltre all’Autrice, Stefano Martello (curatore del testo), Angelo Liscia (Counselor delle famiglie degli utenti nel Centro Sperimentale per l’Autismo) e Oliviero Mascarucci (medico).

mercoledì 21 marzo 2007

Diario di un altro (Daniele De Angelis)


Ricevo da Davide Nota questo messaggio che sono lieto di postare.

Cari amici,
vi comunico l'uscita della prima raccolta organica di poesie di Daniele De Angelis (1981), "Diario di un altro", Otium Edizioni, con una prefazione di Francesco Marotta.
Daniele De Angelis dimostra di aver fatto personalissimo tesoro
dell'esperienza de "La Gru" offrendoci con questa opera prima una poesia
dialogica, di alterità e realtà, teneramente cruda. Un'opera, e un autore,
di cui si dovrà parlare.
Vi consiglio di procurarvi questa plaquette di nuovissima poesia italiana
presso www.otiumedizioni.com e a giorni presso www.ibs.it
Buona lettura.

D.N.



-.l'ho visto steso lì,
con le braccia gettate, piegate attorno al water
come ad afferrare
la gamba di un gigante, oppure una boa.
.e quella maglietta e quei jeans
contro le mattonelle lucide, più chiare
dei capelli.e poi
quella vena 'ngrossata
che sicuro l'hanno ammazzato, che lui al massimo
la spacciava.l'età di mio fratello ci aveva.-
e s'è fermata;
io, non ho risposto nulla.

Poi, al supermercato facevo la spesa
e dalle parole che ricordavo
tiravo fuori quella scena, come a comporre una foto,
fino a vedere una nuca bionda
senza faccia
(il volto
un particolare mancante).

martedì 20 marzo 2007

La luce di Cristo nella spiritualità ortodossa 23-25 marzo


SAE – Segretariato Attività Ecumeniche
CONVEGNO DI PRIMAVERA

LA LUCE DI CRISTO NELLA SPIRITUALITÀ ORTODOSSA
Verso l’Assemblea Ecumenica di Sibiu

RIMINI, 23-25 MARZO 2007


VENERDÌ 23
Arrivi e sistemazione


SABATO 24

9.00 Apertura del Convegno

9,15 Meditazione
ATHENAGORAS FASIOLO (Archimandrita greco-ortodosso)

10.00 I tratti fondamentali della spiritualità ortodossa

SILUAN SPAN (Vescovo vicario per l’Italia della Metropolia ortodossa romena dell’Europa Occidentale e Meridionale)

15.00 Antropologia e mistica del cuore nella tradizione ortodossa
NATALINO VALENTINI, (Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli” di Rimini, docente all’Università di Urbino)

17.00 “Lo sguardo dell’altro su Cristo”, tra Oriente e Occidente
ELIA CITTERIO (Sacerdote cattolico, studioso della filocalia)
CATERINA DUPRÉ (Pastora valdese, esperta di ortodossia)
VLADIMIR ZELINSKY (Sacerdote ortodosso russo, docente all’Università di Brescia)


DOMENICA 25

9.00 Meditazione
ARRIGO BONNES (Pastore della chiesa valdese di Rimini)

10.00 ASSEMBLEA DEI SOCI SAE



SEDE DEL CONVEGNO
Hotel Corallo, Viale Vespucci 46, 47900 Rimini. Tel. 0541.390732-391270. L’hotel è privo di barriere architettoniche ed è dotato di stanze attrezzate. I lavori pomeridiani di sabato 24 avranno luogo presso la Sala “Oratorio degli Artisti”, (Rimini Centro, via dei Cavalieri 12, retro chiesa del Suffragio). Domenica mattina, per chi lo desidera, sarà possibile partecipare alla celebrazione della Messa alle ore 8.00 nella chiesa dei Salesiani, a un centinaio di metri dall’Hotel Corallo.


Info: SAE – 20122 Milano P.za S. Eufemia 2, - Tel. 02.878569 - Fax 02.89014254
E-mail segreteria@saenotizie.it


DIOCESI DI RIMINI
Commissione Diocesana per l’Ecumenismoe il Dialogo interreligioso

DOMENICA 25 MARZO 2007 ORE 16,30
PRESSO LA COMUNITÀ “PICCOLA FAMIGLIA DELL’ASSUNTA”
(Chiesa Parrocchiale di Montetauro – Ospedaletto di Coriano)
a margine del CONVEGNO del SEGRETARIATO ATTIVITÀ ECUMENICHE sarà presentato il volume (dedicato alla Spiritualità ortodossa in preparazione all’Assemblea ecumenica di Sibia) che raccoglie i principali scritti (tradotti per la prima volta in italiano) dei Padri spirituali del celebre Eremo russo di Optina Pustyn:

ICONOGRAFIA DELL’ANIMA Voci del grande Eremo russo
(a cura di Luciana M. Mirri, tr. di Rossella Zugan)
Edizioni Paoline, Milano 2007.

INTERVENGONO
- Prof.ssa LUCIANA MARIA MIRRI (Curatrice della raccolta, studiosa di Patristica e Spiritualità bizantina)
- padre ELIA CITTERIO (Studioso di Letteratura spirituale e monastica orientale)
Coordina il prof. NATALINO VALENTINI (Direttore dell’ISSR “A. Marvelli”)

Optina è stato il punto di irraggiamento dell’esperienza della starčestvo (paternità spirituale), un vero e proprio “vivaio” della cultura russa che ebbe una forza di attrazione spirituale irresistibile. I testi dei Padri id Optina rivelano con profonda semplicità la feconda sapienza dello Spirito, il loro singolare
dono di apostoli di luce e seminatori di sapienza nel mondo.

Info: isrmarvelli@libero.adhoc.net

lunedì 19 marzo 2007

Chicken Breast e don Chisciotte



Grazie alla solerte organizzazione di Corrado Giamboni (Massimo Pensante, come farapoeta) si è svolto nella scuola media di Goito (MN) un incontro con Alex Celli, autore di Chicken Breast, di alcuni esilaranti racconti pubblicati in Antologia Pubblica e del seguito del primo romanzo: La Compagnia S.E.
Pubblico alcune foto che mi ha gentilmente girato Corrado.

Chiara Daino, La Merca (Sannelli e Ricciardi)


La privazione volontaria del cibo parifica il cibo all’orrore (Bacon disse che solo un pervertito può ammirare un animale macellato) o indica una mancanza? E’ facile dire che si tratterebbe della mancanza d’«amore»: il fatto è l’amore ha troppe forme – «tra uomo e donna, tra uomo e uomo, tra donna, fra genitori e figli» – (Chiara Daino, La Merca, Fara, Rimini 2006) per essere oggetto di una sola mancanza, oggettivata in un solo modo. Perché Anna – di cui «il Signore aveva reso sterile il grembo» (I Sam., 1, 6) – «non voleva prendere cibo» (1, 7)? Qual è il rapporto tra la sua sterilità e la sua anoressia? La risposta è nei sussurri di Èlkana, che «la amava» (1, 5): «Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?» (1, 8). (…)

La recensione completa in microcritica di Massimo Sannelli.

*****

Chi sono?
Dove sono!
Dove vanno.

Sottile il libro della Daino, come la protagonista, buco nero in una galassia di personaggi esangui che ha esaurito l’energia vitale e sta implodendo. Energia che attrae e respinge come un orrido che chiama al lancio di sé, dal volo allo schianto d’ossa che si sentono suonare,tinnanti gemiti rifiutati, le dita nelle orecchie per non sentire la catena e la palla del fantasma che agita nei movimenti felini, negli scatti d’ira, l’urlo muto di chi è nato a forza sbagliando il bersaglio della stella buona/bella che lo attendeva poco più in là, come se si potesse forzare una gemma a fiorire, un mandorlo a donare il suo profumo sotto la neve, senza distruggere l’universo intero. (…)

La recensione completa di Elena F. Ricciardi in La poesia e lo spirito.

domenica 18 marzo 2007

Una recensione di Pietro Pancamo a Philologia Pauli


Sono lieto di riprodurre la densa lettura di Pietro Pancamo al libro di
Massimo Sannelli, Philologia Pauli. Il corpo e le ceneri di Pasolini, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2006


A luglio del 2006, è uscito a Santarcangelo di Romagna (per i tipi della casa editrice Fara, sagacemente guidata da un promotore culturale di “specchiata” passione quale Alessandro Ramberti) un saggio intitolato Philologia Pauli. Il corpo e le ceneri di Pasolini. Si tratta indubbiamente di un volume esemplare, il cui autore (il critico e poeta Massimo Sannelli, notevolmente apprezzato nel nostro Paese) investe ed investiga con intensità amorosa — di sicuro filiale — un accadimento chiave, consumatosi all’idroscalo di Ostia Lido nel novembre del 1975, quando Pier Paolo Pasolini perì in circostanze controverse, e a tutt’oggi da chiarire a pieno, nelle quali Sannelli, dopo aver confrontato — spinto da meticolose intuizioni — le opere dello scrittore bolognese con le cronache giornalistiche del delitto, scorge il compiersi annunciato, se non forse ineluttabile, di un destino tanto mi(s)tico quanto presumibilmente cri(s)tico. È dunque la morte di Pasolini una resurrezione sottotraccia, deputata a configurarsi come focolaio di purificazione o, magari, contagio sublime da propagare salvifico ad un’intera società in crisi? Sannelli ne sembra convinto: non a caso in Philologia Pauli, subito passa a conficcare (meglio: incarnire) nella materia mobile di un ragionamento dinamico — che riassume per sommi ma salienti capi (anche d’accusa, talora) i cardini, il passato (recente o lontano) e l’anima attuale della poesia italiana — la sonda di uno sguardo compenetrante e sintetico, nobilmente capace di ricostruire con precisione filologica l’afflato quasi messianico di una morte prolifica, agilissima a suggerire nuovi sentieri di ricerca e a tramutarsi, transustanziarsi nonché trasumanarsi, per Sannelli, in un terreno d’indagine polisemica nel quale scavare con assidua maestria, ricorrendo sempre (è ovvio) agli strumenti poetici d’una snella, acuminata incisività analitica, che rapida discende nel suo trivellare, sino a raggiungere infallibilmente la verità (al solito celata nel profondo, come... Petrolio).

A postillare e chiudere il libro (in un certo senso, quindi, ad allungarlo ed accorciarlo insieme) ecco poi una breve coda lirica, costituita dalle venti poesie della plaquette Il mese Giugno: in essa un sistema ben strutturato di silenzi ellittici — tutti imperniati sugli effetti stranianti di una “drammatica grammatica” — conferisce ad ogni testo la conformazione ansimante e diluita, tipica del frammento. La piccola silloge risulta insomma franta (... e franca); inoltre, scandita frequentemente da una serie sincopata di pause ed enjambement, si rivela caratterizzata da un susseguirsi di brani, i quali (in apparenza slegati, disomogenei e ciascuno “puntato” in una direzione diversa) ingaggiano l’un con l’altro, a livello tematico, un fitto gioco impalpabile (o “cannoneggiamento” nascosto e in sordina) di rimandi continui — vale a dire tangenze innumerevoli —, ricompattandosi così, proprio in virtù di queste ultime, in una sorta di cangiante unità ondivaga, al tempo stesso rapsodica e coerente. Ma a doverla ricostruire — secondo un metodo che (prontamente spiegato a pagina 194, al termine o culmine della raccolta) si risolve nel saltare e correre di nesso in richiamo, per riassemblare la moltitudine vuoi erratica vuoi sminuzzata degli echi in un flusso piano, liscio e coeso — è pur sempre il lettore, quasi che Sannelli desiderasse tacitamente invitarlo (per “rinverdire” e perciò omaggiare il Pasolini degli Scritti corsari) a rimettere in ordine e organizzar il caos veggente dell’ispirazione, come del pensiero.

Pietro Pancamo cura il sito L(’)abile traccia, collabora con «La Mosca di Milano», è è caporedattore per la poesia del trimestrale elettronico «Progetto Babele»: Suoi testi (ovvero articoli, racconti e poesie) sono usciti su diverse riviste, anche internazionali. Compare, con vari componimenti, nelle seguenti antologie: Geografie poetiche (a cura di Walter Mauro, Giulio Perrone Editore, Roma, 2005), Wiki Poesia - Volume 1 & 2 (Nuoviautori.org, Roma, 2006) e Via Agra. Incontri, sogni e altre fatiche di donne (Giulio Perrone Editore, Roma, 2007). A giugno del 2005, per i tipi della casa editrice LietoColle di Faloppio (Como), ha pubblicato Manto di vita, un volumetto di poesie recensito fra l’altro dal trimestrale «Atelier» e dal critico letterario Gianmario Lucini.

venerdì 16 marzo 2007

Cammina cammina (Guido Monti)


L’inselvata storia


Cammina cammina
erano albe quelle di là
o la notte che veniva

camminavo o
forse no

solo gli
occhi mi correvano

ai flussi
dei cerchi dei tempi
nei salti nei giochi,
nelle parole dei
padri

io di qua,
fisso quelle
giravolte d’occhi di là
aggrappato al silenzio
a una roccia,
ai rami neri
di alberi leggeri

era roccia?
tomba sembrava di più,
le venature del
noce o
mie volontà
creano un venir di pupille
negli orizzonti lignei

buonissime guardano
silenziosissime non dicono

chi è?
questa tomba
o questa
sua forma?


cammina cammina

ripeteva nelle sue
fiabe antiche

***

Il fuoco,
quello di prima saltato tra
i camini poveri e gli
stanchi volti addossati
muoveva
piccole ombre
confuse ai fumi
tra legni e allori in croce ai focolari

E il suo viso o già
l’ombra ardeva quieta con lui
il fuoco,
e le ciglia sfogliate
dall’ardesia di fiamma
gli ridevano

Assieme stuzzicavamo
abeti infuocati
coi ferri lunghi,
giocavamo al corri
e fuggi tra ponti di
cenere e brace

Coi ferri incandescenti
linee a rosso di
esili ballerine tra
incendi e buio di carboni
camminavamo

Camminavamo
tra l’inferno di
fuoco dei tizzoni
e quel gioco

Col ferro più piccolo
lo seguivo lo
tra
i poveri camini
e il suo stanco volto
fatto calore
silenzio

***


Fredda


I

basse gli s’impastano al
senso
luci d’auto
rigate tra strade di
nessuno,
serpeggiar d’anguilla tra
l’umido di nebbie e quel
passo fiacco
uscito dall’amore spoglio di
una stanza


le scese da
quegli occhi segreti e ubiqui
il corpo
candela giovane
corpo delle sue
mie brame


II

s’oscura più in là
lenta poi
la luce d’ala dei lampioni
mangiata dal buio
che trascina nell’espandersi
quel suo cammino d’onda ai lati di
periferiche sventrate


dalla bocca accesa a rossetto
uscirono tra
l’uscio socchiuso e le mie spalle
rivolte al ripido delle scale
certe ultime parole
dicevano di
un padre con cui parlava ma
solo
nel piccolo cimitero
della sua terra lontana

***

Millenario inverno (voci)

Tra le nevi di fuori a notarle
luci d’ovatta
giocavano a
entrar da finestre
bagliori di
intelligenze trasparenti
d’ogni tempo e latitudine
sfogliavano le pareti d’ombra
bagnavano a bianco
i letti di noi
i visi di noi
animavano la parola di lui
di fiaba
arrampicata tra noi




"era roccia? / tomba sembrava di più": una poesia di flusso ben giocata sull'equilibrio di versi lunghi e brevi con una notevole capacità di farci entrare in una pellicola sospesa nel tempo e trapunta di simboli e visioni sensibili: " basse gli s’impastano al / senso / luci d’auto"

Guido Monti è nato a S. Benedetto del Tronto (AP). Ha compiuto gli studi universitari a bologna, dove vive. Ha collaborato con il Centro di poesia dell’università di Bologna e alla creazione di due progetti televisivi di natura culturale per il canale satellitare sat 2000 dal titolo “la storia le storie” e “parolà”.
Svolge anche l’attività di operatore sociale. La sua opera prima, Millenario inverno è uscita nei Quaderni «Fuoricasa» diretti da Alberto Bertoni (Book Editore 2007) ed ha vinto la sezione opera prima del premio Contini Bonacossi (cerimonia il 9 settembre 2007). Alcune rige di recensione sono apparse su «Repubblica» sez. Bologna del 20 luglio scorso pag. 17.

giovedì 15 marzo 2007

Non era nessuno… (Andrea Parato)


Francesco ne ha viste di cose. Il paese povero, la guerra
quando era ancora ragazzo. È cresciuto in fretta. a
diciassette anni guidava già i camion per l'esercito:
quante bombe sulla testa! Camion pieni di cibo per i
militari come lui, tutti ragazzotti sparsi per l'Italia. Una
volta è partito per la Sicilia scortato dai tedeschi ed
è tornato a Roma accompaganto dagli americani. E così si
è preso un foglio con scritto sopra in una lingua
sconosciuta: alleato e liberatore. Ma non ha mai ucciso un
uomo. E poi è tornato a casa, dove c'era bisogno di
ricostruire. Nella campagna, nella casa contadina, dopo aver
visto il mondo e la capitale. E ha costruito, per sé e per
Teresa, ha piantato file di cipressi e pini e pioppi che
sono cresciuti e diventati alti, imponenti e vecchi, nelle
case dei vicini. Così Francesco ha vissuto con Teresa e ha
continuato a guidare il camion per portare mattoni per
costruire altre case. E ha continuato a zappare la terra,
mentre tutti gli dicevano che poteva fare altro che togliere
le erbacce con le sue grandi mani nude. Non era nessuno… E
la vita scorreva placida e onesta, con il saluto in piazza e
la messa la domenica. Uomo giusto, dicevano alcuni. Ma
questo non basta per evitare la sofferenza: una figlia
giovanissima, prima vittima di un male che avrebbe poi
colpito tante ragazze. Una figlia sparita senza nenche
capire il perché della malattia. E Francesco non borbotta,
non impreca. Conserva tutto nel suo cuore, che un giorno,
troppo affranto, cede e si ammala. Nessuno se ne accorge, e
lui continua a zappare e seguire il ritmo delle stagioni.
C'è un'altra figlia, ci sono i nipoti da tirare su. E una
esistenza quotidiana convissuta col dolore. Ma Francesco,
vecchio ulivo, asciutto come il noce, grinzoso come la
terra, continua il suo lavoro nel campo, con la pioggia e
col vento. Una mattina come le altre, sente che le gambe non
lo reggono più: ha ottantaquattro anni, e non pronuncia un
lamento. Solo una lacrima gli sfugge dagli occhi. Il resto
è come un sogno, un mese di ospedale, incoscente e
immobile, una lotta a guadagnare il respiro, senza un grido,
a volte con un sorriso ingenuo da bimbo sdentato.
Francesco era mio nonno. Mi ha visto crescere, mi ha
insegnato a non temere il silenzio e a parlare con gli
alberi. Quando affrontavamo un lavoro impegnativo o
sgradevole storceva il naso aquilino, poi mi diceva: "ah
di', cosa ci vuoi fare?", si rimboccava le maniche e si
metteva al lavoro.

Pubblico voltentieri questo sobriamente intenso, partecipato e bel ricordo di Andrea Parato

mercoledì 14 marzo 2007

L’amore non esiste, esiste il tempo (Alessandro Seri)

FILASTROCCA DEL BENE

Appare naturale fare il bene
nella speranza di sapersi ascoltare
nel dire – ti voglio bene –
e sentire che il bene di cui ti suona voce
è verità comune e non menzogna atroce.

Che il bene riceva soffio ad ogni ora
un poi e un prima esso raccolga,
e un sempre per sempre sia l’aria buona
e pure il freddo dona favori
quando risponde al correre delle stagioni.

Sarà bene spiegare che a fare
il bene ci si guadagna tanto
poco più in là però c’è la gramigna
del male che te strigna, t’empaurisce
il bene e il male, più il male, quando
è forte che fa male, il bene
che te lo senti dappertutto dentro e fòri.

Per i figlioli, per chi non torna,
per tutta quella gente che non parla,
il bene delle mani tese, delle cascate,
del caldo in macchina d’estate
il bene dei letti dove resta l’odore
il bene, per chi ci crede, della resurrezione.

Un bene serve per campare
perché se non lo senti il bene che campi affare
di stato e anche di più,
sto bene che non sai spiegare
che oggi se lo fai sembri coglione.

Eppure il bene è umano quanto il male
solo non fa notizia, non gode di attenzione
il bene cedere posto quando serve, piangere un poco,
giocare a nascondino, farsi trovare.

Sotto il tappeto il bene non ci dovrebbe stare
e invece a forza di non pensarci,
a forza di non essere sinceri,
di usare la furbizia e la competizione
a forza di mercato e di mercificare
il bene ha salutato, lo si è lasciato andare.

Ora io lo ricerco il bene
nelle cose minute
nelle stanze che non pensavo
vi fossero destinate
io lo rivoglio il bene
lo voglio come un diritto
per questo sono tante
le volte che l'ho scritto.



****


I

Se manca, e manca certo, qualcosa manca
l’esito indifferente dell’azione
lanciato per estetica di ribellione,
che manca un po’ di ribellione
urtando il rullare d’un tappeto
che marcia indietro e ci fa marmo.
Al più la spinta manca
alla follia del dopo curva
sotto le vesti al centro
mentre si fa distanza e vicinanza
piazza di chiesa nuova lontananza



II

In mezzo al letto come al mare
ci stan due piedi piccoli che dormono
si spostano con logica d’assenza
al battere costante delle imposte
un fiato appena nato scosta nell’ordine dei giorni
un capomastro morto sul dorso dell’inverno
e le mie ali storte s’invecchiano
spellate tanto sulla schiena non le guardo
l’eredità che lascio è solo tempo perché
l’amore non esiste esiste il tempo
poche menzogne un cesto di panni sporchi
la luce accesa di cento notti insonni
a mendicarmi gli occhi ed il coraggio



III


Non è folklore tutta quest’aria di bandiere
illuminate per un po’ sui volti della gente
tra il suono delle trombe di auto scheggiate
apposta coi musi pinti di tempera italiana.

Anche noi esultiamo, Riccardo, mentre
nel buio concesso all’iride ti cullo che
t’addormenti e proprio non pesa stanotte
la gioia della festa e non disturba



"l’eredità che lascio è solo tempo perché / l’amore non esiste esiste il tempo": un approccio realistico intriso di una amorevole disullusione che porta comunque a giocarsi nello spazio che la storia ci dà. Belli gli endecassillabi sparsi con discrezione in questi versi a ricordarci che la poesia non può vivere senza musica e senza il suono equilibrato delle lettere che può sorprenderci con arsi inattese e metafore nuove come "quest'aria di bandiere".
Alessandro Seri è nato e vive a Macerata. Ha pubblicato: E mi guardi con gli occhi di un gatto nero (Blu di Prussia Editore, 1998); il racconto "Alienor d'Alpais" (Blu di Prussia Editore, 1999) incluso nell’antologia Temi d'Autore. È presente nelle antologie L'apparecchio di Junior (Editrice Zona, 2002), Nodo Sottile 3 (Crocetti, 2002) e L'opera continua (Giulio Perrone, 2005). Nel gennaio 2006 è uscito con Pequod Rampe per alianti. Sue poesie si trovano in: «Piccole Città», «Hortus», «Atelier», «Poesia» e sulla rivista web «Ulisse» (LietiColle editore). Suoi testi sono stati utilizzati per la pièce teatrale Quattro. Ha scritto per il «Corriere Adriatico», «Il Messaggero» e per il mensile «La Prima». Ha curato per otto anni la sezione letteraria del Festival "Artistrada" di Colmurano ed ha ideato il premio letterario Poesia di Strada del quale presiede la giuria. Cura le attività letterarie per il Comune di Macerata. Collabora con le riviste: «Buon Gusto», «La voce delle Marche» e «Culturama».

lunedì 12 marzo 2007

da Santa Cruz de la Sierra (Barbara Magalotti)


(i precedenti interventi qui)

Un bell’impatto scendere di quota dai 4000 metri di La Paz ai 300 di Santa Cruz… e con l’aereo poi… Un vero e proprio tuffo nel clima equatoriale: palme, case basse, gente in cannottiera e calzoncini e finalmente… il caldo! Il tanto sognato caldo! Le temperature variano dai 28 ai 40 gradi, a seconda delle nuvole… Oriente boliviano: un altro mondo,altro clima, altri ritmi, altra realtà, altra mentalità… e anche altre fisionomie. Non più i visi secchi e sfilati degli andini, cotti dal sole delle alte quote, il carattere un po’ chiuso, timido, riservato degli indios, la silenziosa
laboriosità dei paceños… qui siamo alle porte dell’Amazzonia, verso il Brasile; i ritmi sono pigri, la gente è chiacchierona e sfrontata… è la terra delle belle donne, dai sederi e le panciotte floride, dalle caratteristiche somatiche più morbide, rotonde… infatti qui ho riscosso un gran successo, visto la mia nota rotondità!!! Ma Santa Cruz de la Sierra è anche la zona dell’intolleranza e del razzismo aperto verso gli indios, verso le “culture antiche”, verso tutto ciò che richiama al passato e alle vecchie tradizioni delle culture cosiddette “originarie” quechua, aymara,
guaranì… proprio quelle che sull’Altiplano sono così rispettate, amate…
E chiaramente, da queste parti, Evo Morales non è molto amato… sarà perché ha requisito/sequestrato ettari e ettari di terreno ai grandi ricchi latifondisti e li ha divisi tra centinaia di campesinos? Il mio cuore è un po’ paceño, per cui soffro un po’ nel sentir parlare male del mio amato Altiplano delle Ande… non oso immaginare come si possano sentire quelle persone che per un motivo o per l’altro, si siano dovute trasferite dall’Altiplano a qua… insomma… è il classico atteggiamento dei leghisti verso i nostri meridionali: tale e quale! Ma a parte questo, Teresa
Cremonesi
mi ha accolto con una gentilezza e una carineria squisiti: la mia
nostalgia per La Paz e il carcere San Pedro è stata stemperata soavemente dalla presenza di questa dolce, cara donna, che mi ha ispirato subito simpatia, stima e profondo affetto… non so perché, ma è un po’ come se la conoscessi da tanto tempo e la sento tanto vicina al mio modo di essere e di vivere… la “Casa del Almendro” è un centro educativo e di aiuto alle famiglie, situato in un quartiere molto povero alla periferia di Santa Cruz de la Sierra. Il centro oggi comprende tre classi pre-scolari per bambini da 1 ai 6 anni, dove bimbi con varie problematiche neuropsichiatriche e
bambini normali sono inseriti insieme. Teresa è una donna eccezionale, una mente sempre in fermento, che con la sua professionalità, il suo talento, la sua ferma determinazione, ha saputo creare un punto di riferimento alternativo e assolutamente funzionale per le famiglie più povere del quartiere, con profonde problematiche sociali, non ultime quelle causate dalla presenza in famiglia di una o più persone con handicap fisico o psichico.
Oltre alle educatrici delle tre classi, sono presenti in questo centro: uno psicologo, una fisioterapista, una psicomotricista per la stimolazione precoce, una coordinatrice e chiaramente il personale di cucina. Inoltre è stato avviato un forno, all’interno del quale lavorano 4 donne. Il forno produce pane e prodotti dolciari che vengono distribuiti ai negozi alimentari del vicinato, aiutando la sostenibilità del progetto. La cosa bella e veramente positiva è l’obiettivo che Teresa si è preposta e
che sta brillantemente attuando: aiutare le famiglie a farsi carico in maniera sempre più autonoma dei propri figli, indirizzandole verso modalità più idonee di interazione con i bambini indicando i servizi socio-sanitari ai quali rivolgersi in caso di bisogno, aiutare le famiglie a non considerare i bambini con handicap come irrecuperabili, ma come persone con il diritto di raggiungere il massino livello di sviluppo e grado di autonomia, attraverso le stimolazioni più personalizzate ed idonee al proprio caso. Teresa considera la “Casa del Almendro” come una “casa”, non una scuola o un istituto, una casa dove i bambini, normali e con deficit insieme, apprendono e vivono esperienze educative nuove e diverse da quelle che vivono nel loro ambiente familiare, un ambiente dove si possono relazionare, dove possono interagire ed imparare a vivere insieme, conoscendosi l’uno con l’altro, conoscendo i loro contesti diversi, manifestando liberamente la propria unicità, la propria diversità fisica, economica, sociale, imparando a convivere con quella degli altri. E la cosa bella è che per davvero questa casa è frequentata da famiglie di estrazione sociale e livello economico molto diversi. Questo è veramente eccezionale qui in Bolivia, e dovrebbe essere di esempio e stimolo per la creazione di tanti altri centri come questo.
Con Teresa, pensiamo a come sfruttare la mia permanenza qui a Santa Cruz. Mi propone di aiutare lo psicologo. Ok, ci sto! Siccome da quest’anno si sono aperte due classi in più (ogni classe, di 25 bambini), propongo allo psicologo di organizzare i colloqui con le famiglie dei bambini iscritti per la prima volta al centro, anche per verificare i casi problematici o con maggior bisogno di sostegno. Mi metto subito all’opera e nel giro di qualche giorno comincia la lunga serie di colloqui con i genitori. E durante i colloqui con queste mamme e questi padri, mi capita spesso di ascoltare storie veramente tristi, dure, difficili: famiglie divise, distrutte dalla
povertà, genitori che abbandonano i figli, gente che se ne va per anni a lavorare in paesi lontani, lasciando i figli ai nonni o agli zii, padri e madri incapaci di sostentare la famiglia a causa della disoccupazione, donne costrette a subire violenza, altre a convivere tristemente con l’alcolismo dei mariti… e di nuovo mi viene da pensare alla realtà italiana, a quante volte e come ci lamentiamo per cose futili, ridicole, ma veramente ridicole, a quanto ci facciamo prendere dal nostro egoismo etnocentrico, e non apriamo gli occhi e le orecchie su un mondo intero che trasuda povertà, dolore, ingiustizia… di fronte alle lacrime di una madre stanca,
disperata, sofferente, mi sono sentita piccola, inadeguata, e mi sono chiesta ancora una volta “Cosa possiamo fare perché questa terribile differenza economica tra il Nord e il Sud del mondo sia un po’ meno abissale e vergognosamente distruttiva per il pianeta”; e ancor più piccola mi sono sentita davanti al suo “Gracias Doctora! Ha sido un gusto hablar con usted”, e lo stomaco mi si è stretto per tutto il pomeriggio…
Adesso sono in fase di rielaborazione di tutte queste storie di vita… sto trascrivendo i dati raccolti al computer. Se tutto va bene, per la fine della mia permanenza qui, si riuscirà ad avere un data-base completo di tutte le famiglie che frequentano il Centro e poter così focalizzare l’attenzione e l’azione sui casi più urgenti. Non è molto, e avrei voluto fare molto di più, ma almeno qualcosa di concreto, seppure qualcosa di piccolo, forse l’avrò lasciato a Teresa e al suo splendido centro.
Parlando di salute… Chiaramente, appena arrivata, non poteva mancarmi qualche disturbo fisico: la terribile “Sindrome della Mongolfiera” non ha perso tempo a manifestarsi in tutta la sua orribile potenza, probabilmente a causa del forte sbalzo di temperatura e di quota: mani, gambe, faccia, corpo gonfi per diversi giorni, e una strana stanchezza che non riuscivo proprio a spiegarmi, vista la relativa inattività rispetto ai ritmi paceños e le camminate chilometriche in altura a La Paz. Per curiosità Teresa mi propone di misurarmi la pressione, e lì capiamo il perché del mio torpore mortifero: 48 di minima e 69 di massima, praticamente ero morta e non lo
sapevo!!! Con Luca, un volontario che presterà servizio qui per un anno, andiamo al “Centro de Medicina Natural”, gestito da alcune suore brasiliane, che curano con la fitoterapia: insomma mi trovano di tutto, ma la cosa più bella è stata che una delle suore mi ha guardato un attimo negli occhi, mi ha toccato un secondo la schiena e ha subito sentenziato “Presion baja!” e un’altra ha cominciato a scrivere una serie interminabile di disturbi che secondo loro avrei dovuto curare… morale: due borse piene di erbe, gocce, pillole, sciroppi, e un sacco pieno di terra. Cosa ci dovevo fare con la terra, mi chiederete voi: bella domanda, ma la risposta è molto lunga… 10 giorni di fila, di impacchi e cataplasmi di terra da mettere sulla schiena e da tenere addosso per 4 ore, con degli stracci/bende di cotone… È STATO UN INCUBO!!! Una prigionia che mi ha costretta in casa per 10 giorni con la ormai familiare sensazione di essere un “omino Michelin”, e la terra poi, che dopo un paio d’ore cominciava a seccarsi e mi cadeva nelle mutande, in mezzo alle chiappe, facendomi vivere dei “deja vu” (si scrive così? boh! Comunque avete capito!) lontani nel tempo, almeno quanto lo era il ricordo dei pannolini e delle cacate addosso!!! E poi: niente formaggio ne latte ne latticini, carne, uova, bevande gasate, alcol, per 15 giorni, direte voi: finalmente sei riuscita a dimagrire! Ma neanche per sogno! È vero che non potevo mangiare tutte quelle cose, ma per compensare,mi “scrafognavo” delle camionate di riso o cous-cous, da scoppiare… Insomma, ho fatto le mie cure e devo dire che almeno la “Mongolfiera” è volata via, ma la ciccia… è aumentata!!!
I giorni passano e, mentre in Italia c’è San Remo, qui in Bolivia e in America Latina tutta, arriva il carnevale, e per me comincia il rimuginamento sulle strategie più idonee a non farmi gavettonare!!! Mi salvo un po’ per via del fango da mettere addosso e che mi costringe in casa, un po’ con le pioggie che purtroppo continuano a cadere inesorabili e dunque non richiamano troppo la voglia di uscire. A carnevale la scuola rimane chiusa per 4 giorni e con Luca si era pensato di andare a fare quel
famoso giretto a Vallegrande e a La Higueira, a visitare i luoghi che hanno visto la morte del Che, ma le pioggie, che da quando sono partita non sono mai cessate, hanno causato disastri in tutta la regione. Al di la’ del viaggetto, che forse, un giorno potremo rifare, la situazione è veramente tragica: circa 300.000 senza tetto, tra la regione di Santa Cruz e del Beni, migliaia di case trascinate via, ettari ed ettari di coltivazioni distrutte, migliaia di capi di bestiame uccisi dalla furia dell’acqua… il paese è in ginocchio, tristezza e impotenza davanti alle immagini di
devastazione proposte dalla televisione e dai giornali.
La domenica prima del martedì grasso, io e Luca decidiamo di andare a fare una piccola escursione al villaggio di Cotoca, visto che ha fatto capolino il sole: il paesino è carino, colorato e festante, con bande musicali e donne in abiti tradizionali che ballano per le strade. Stranamente riusciamo ad arrivare indenni fino alle 5 del pomeriggio, quando decidiamo di rientrare… ed ecco il primo colossale gavettone (un gigantesco secchio d’acqua) che mi arriva da dietro, bagnandomi fin nell’anima… e di lì cominciano a prenderci di mira in tutti i modi: schiuma, acqua, palloncini con acqua colorata: sorrido e non faccio resistenza,tanto a che serve?
Stiamo quasi per arrivare a prendere un taxi, quando un gruppo di persone, sedute con le loro sedie sulla strada, ci chiama e ci offre vino. Secondo voi io non ci vado??? Mentre Luca chiacchiera con alcuni ragazzi del gruppo, io faccio conoscenza con la signora Cristina e suo marito Pedro e chiacchieriamo fitto fitto, ridendo, scherzando e continuando a sbevazzare… chiaramente non mancano allusioni al solito discorso “marito e figli”, ma ho cercato di non entrare troppo nei particolari, anche se loro
non erano per niente contenti di lasciare a metà il discorso… Bene, per farla breve, è finita che ballavamo in mezzo alla strada, mezzo ubriachi con questa gente, completamente bagnati fradici e con le faccie pitturate di rosso con il lucido da scarpe… bello, divertente e veramente gustoso riuscire ancora ad entrare in sintonia con degli sconosciuti e godere insieme di un momento di festa senza tante formalità! Cristina mi dice in un orecchio che spera che un giorno torni in Bolivia con mio marito, poi mi abbraccia forte: sono commossa, ma mi viene anche da ridere… Lei e
Pedro ci invitano a pranzo per il giorno dopo: “Siete i benvenuti!”… che bello, c’è ancora il posto per la condivisione e l’apertura al nuovo, nonostante la povertà…
Come già saprete verso i primi di marzo mi scadeva il permesso di soggiorno per cui ho dovuto progettare un mini-tour fuori dal paese. Avevo pensato al Brasile, ma i disastri causati dalle pioggie hanno devastato tutte le vie di comunicazione da Santa Cruz verso qualsiasi destinazione, tranne una: Yacuiba, al confine con l’Argentina… e va beh, i gauchi non è che mi stiano molto simpatici, con quell’aria da “Noi sì che siamo bravi! Siamo i migliori!” (insomma, se la tirano un po’ troppo per i miei gusti), tant’è, ho dovuto adeguarmi alla situazione. Bene: parto col mio bus e mi
faccio una notte intera (circa 10 ore) di viaggio arrivando a Yacuiba verso le 5 di mattina. Appena scendo alla terminal di Yacuiba, vedo un ragazzo con lo zaino e il sacco a pelo che guardava nel vuoto, così gli chiedo se vuole dividere a metà il costo del trasporto fino alla frontiera argentina: detto fatto. Non so quanto avrebbe aspettato ancora guardando nel vuoto, cotto com’era. Con il ragazzo (un argentino di Buenos Aires) facciamo delle belle chiacchiere, e decidiamo che, visto che anche lui vuole prendere il cammino per Tartagal e passare da Aguaray, magari potremmo trascorrere la giornata insieme. Arrivati alla frontiera boliviana usciamo insieme e ci dirigiamo verso quella argentina, ma mentre lui chiaramente viene fatto passare
immediatamente, io devo fare una fila per i controlli di rito. Il ragazzo (del quale non so neppure il nome!) mi dice ingenuamente “Ti aspetto di là!”, anche perché la fila non era poi tanto lunga! Almeno così sembrava! Morale della storia: ho aspettato 5 ore e mezza! 5 ORE E MEZZA! Vi rendete conto??? Non mi era mai successo, e la cosa più schifosa è che i poliziotti facevano passare molto velocemente chi pagava la mazzetta (venti pesos argentini, per la cronaca): è stata un’esperienza veramente brutta.
Donne con bambini che piangevano, con pacchi pesantissimi da portarsi appresso, anziani stanchi e tanta, tanta gente stanca e provata da viaggi pesantissimi… e la fila che invece di sfoltirsi si allungava sempre di più. Ad un certo punto, devono essere state le 8,30 o le 9,00, vedo il ragazzo argentino che era ancora dall’altra parte ad aspettarmi, gli ho letto in faccia la vergogna, poi con un sorriso gli ho fatto cenno di andarsene, che non era il caso che mi aspettasse ancora, lui un po’ con la coda fra le gambe si è allontanato: insomma ragazzi, i poliziotti boliviani hanno fatto una figura da splendidi in confronto! Per farla breve dalle 5 e mezza che mi ero messa in fila, sono riuscita ad entrare in Argentina alle 11,00… stanca morta (e anche un po’ incazzata) me ne vado a cercare un bus fino ad Aguaray. Raggiunto il villaggio mi cerco subito un hostal. MISSION IMPOSSIBLE!!! Finalmente arrivo nell’unico albergo del pueblo: una vera bettola (scarafaggi, pulci e acari nel materasso compresi!), ma ero talemnte stanca che non mi sarei più messa su un autobus
neanche se mi pagavano una mazzetta di 20 pesos!!! Comunque, dopo una dormitina, mi sono fatta una bella passeggiata nelle campagne circostanti… ad un certo punto ero su un sentiero in mezzo ad un quasi-bosco e, puf! Mi ritrovo in mezzo ad un gruppo di cavalli al pascolo… cavalli al pascolo!!! Che meraviglia, che belli! Saranno stati
almeno una ventina, di tutti i colori, e la cosa ancor più bella è stata che non avevo paura di camminare in mezzo a loro: è stato un vero contatto ravvicinato; non mi era mai capitato prima di “attraversare un corridoio di cavalli”; è stato quasi un sogno! Questo è uno dei ricordi piu’ belli di questo viaggio, del quale però non ho neppure una foto! Il giorno seguente sono andata a visitare Tartagal, un paesino a 30 chilometri da Aguaray.
Salgo sul bus e mi metto le cuffie per ascoltare un po’ di musica – chiaramente, l’unico chico de la calle ubriaco presente sul bus (ma anche nel raggio di 100 chilometri, suppongo!) , si e’ alzato dal suo sedile e si è venuto a sedere vicino a me: ”Hola! Que te llamas?” “Barbara y voz?” “Jorge, me llamo Jorge” “Hola Jorge como estas?”… ha cominciato a “molestarmi” (in senso buono!) come poteva: prima mi toglie le cuffie e vuole sentire la musica anche lui, poi mi controlla tutti i braccialetti,
poi mi vede la collana con la pietra che mi ha fatto personalmente e regalato Anita, la mia adorata nipotina, e mi fa i complimenti, infine mi tocca gli orecchini e mi fa un ok col pollice, che mi fa sganasciare dalle risate, ma ancora non aveva visto il tatuaggio! A questo punto è l’apoteosi dell’approvazione! Mi chiede quanti anni ho e salta sul sedile quando gli dico “Este agosto voy a cumplir 40 años!” non ci crede, vuole vedere un documento, poi si rassegna, ma ancora ha qualche dubbio… Jorge
invece ha 18 anni. Gli chiedo un po’ di lui, così comincia a raccontarmi di sé, di come sia scappato di casa, di quanto soffre per la situazione di tensione che vive in casa con i suoi: gli dico che dovrebbe bere di meno, che gli fa male, che se vuole “cercare la sua strada” deve mantenersi sobrio, ma lui alza le spalle, però non se la prende, mi fa un sorriso bellissimo, mi fa una tenerezza incredibile, col suo puzzo di alcol, i pantaloni lerci e la maglietta sporca di non so quanti giorni di
vagabondaggio. Il bus continua la sua strada facendoci dondolare in mezzo alla campagna e Jorge si addormenta con la testa appoggiata alla mia spalla, la spalla di una sconosciuta. Arriviamo a destinazione e Jorge mi dice: “Stai attenta Barbara! Tartagal è pericolosa!” “Più o meno come Lima?” gli chiedo sorridendo e dandogli i tre panini che avevo nello zaino.
Lui per tutta risposta mi abbraccia e mi dà un bacio sulla guancia, poi si toglie uno dei suoi braccialetti e me lo mette: io commossa lo ringrazio; si allontana un po’ barcollante e io lo guardo sparire dietro alla terminal bus, andare incontro al suo destino…
Per cena, alla sera mi sono fermata sempre in un chiosco vicino alla plaza del pueblo, dove la Señora Carmen cucinava a prezzi stracciati della carne buonissima e dei panini con la frittata che tuonavano… insomma, non mi sono fatta mancare niente, come al solito! Chiaramente la signora mi ha cominciato a raccontare tutta la storia della sua vita: del marito, che dopo tanti anni di matrimonio l’ha lasciata per una ventenne e di lei, che in fondo l’aveva perdonato, perché ha capito che era veramente innamorato della giovane… e poi di nuovo la stessa domanda di sempre (ormai
l’aspettavo al varco): “Ustedes no tene hijos?”. Il mio primo pensiero è
stato: “BASTAAAAAAAAAAAAAAA!!!” e invece le ho risposto molto dolcemente, perché tanto dolcemente proprio lei mi aveva aperto il suo cuore condividendo con me, una perfetta sconosciuta, i suoi sentimenti di donna amareggiata e ferita. E la cosa stupenda è stata la frase che mi ha detto salutandomi l’ultima sera: “Cara Barbara. Nonostante il dolore che provo, la sai una cosa? Non c’è un cosa più bella che amare qualcuno! Risposerei il mio ex marito 100 volte, perché siamo stati veramente felici insieme!” mi ha fatto venire le lacrime agli occhi, quella donnona grassotta e tanto brava a cucinare, con l’amore per la vita, per l’innamoramento senza veli, senza
compromessi. E il suo saluto finale? Dai che ci arrivate da soli! “Spero che un giorno torni qui ad Aguaray con tuo marito a mangiare da me!” … e cos’altro mi poteva dire???
Sono rientrata a Santa Cruz già da qualche giorno e mi sono rimessa ad inserire le informazioni raccolte durante i colloqui con le famiglie. Di tanto in tanto ho ricevuto le telefonate di Sergio, che aveva voglia di fare due chiacchiere e mi raccontava di come sta andando a scuola, e poi le telefonate dei detenuti del San Pedro che mi chiedono insistentemente quando tornerò a La Paz e molto ironicamente mi dicono: “Ti sei dimenticata di noi??? Ti sei fatta fare il lavaggio del cervello dai Cambas (i cruzeños)!!!” facendomi sorridere di tenerezza, poi si passano il telefono
l’uno con l’altro per mandarmi personalmente i loro baci… io credo di essere veramente fortunata. Davvero. È una emozione così bella quella che mi fa provare il rapporto con questa gente! e mi accorgo che il tempo, questa grande opportunità di crescita, corre in fretta, per voi e per me… e lascia i suoi segni forti nel cuore di chi vive intensamente… è bello “ascoltare dentro” i doni e i frutti del tempo che trascorre, dell’esperienza che si sedimenta e mette nuovi e inaspettati semi di
coscienza, come il vento che soffia forte, che attraversa le campagne, raggiungendo le montagne, facendo ondeggiare le cime degli alberi, sollevando la sabbia delle spiaggie, attraversando immensi mari e increspando le sue masse d’acqua, dando energia e forma ad un meraviglioso gioco di onde… sfiorando mille e mille visi, mille e mille storie, mille e mille destini, che, se solo lo vogliono, trovano se stessi immergendosi nella grande avventura della vita.
Vi abbraccio forte: Barbaridad

sabato 10 marzo 2007

Su Lasciami così di Giovanni Fierro


(Gorizia, sottomondo, 2005 (ristampa), pp. 92 (sip)
Prefazione di Francesco Tomada, quarta di copertina di Mario Benedetti)

recensione di AR

“Il buon senso / è conficcato negli errori / che tu ed io / non siamo stati capaci / di evitare”: è la prima strofa di Respiro, a p. 80, e credo possa dare il la a questa raccolta intrisa di etica saggezza, che potremmo sottotitolare Diario di un cittadino consapevole (dei suoi limiti e di quelli che la storia privata e sociale ci impone e alla responsabilità di cui ci fa carico). Il poeta Fierro non è un distaccato supervisore dei fatti, né una voce portata a facili lirisimi autocommiserativi, ma un compagno di cammino capace di ascolto, capace di farsi e farci domande, di fare il punto (con misura e senza cadere nell’enfasi retorica). Ad esempio in una poesia ispirata agli stupri etnici in Bosnia si chiede: “… come potevo mostrami uomo // al pensiero che anche qui uomini / hanno lasciato dentro donne / non seme // ma sputi” (La forza e no, p. 70). E in Sarajevo città confessa: “Scopro che ho l’inadeguatezza di chi arriva tardi / e vuole trovare le parole giuste / quando non servono più.” (p. 67). L’umanità del Nostro si esprime con immagini che non passano inosservate: “la vita si muove così // poi è il destino che sa puntarsi / all’inguine” (Conversazione rinviata, p. 34); “attraversare la vita / sarà nuovamente un atto d’amore // e non semplicemente / un lento sfollare” (Questi giorni, p. 32); “Adesso il giorno si fissa al tempo con il chiedo del sole” (Viaggio, p. 27); “Ho un corpo / (…) che un giorno mi abbandonerà / (…) Lascerà la mia anima / in rilievo / come l’innervatura di una foglia” (Da un seme, p. 22); “Penso solo alla neve / a come tiene a sé l’impronta dei passi” (Dopo, p. 19, intensa fotografia del nostro transito).
Sì, questo è davvero un bel libro, con rare cadute di tensione o ridondanze e uno sguardo in amorevole equilibrio fra scetticismo e bellezza, fra desiderio e dolore… e infatti le stesse parole dovrebbero essere costrette “in un diamante / di gelo // fino a spaccarle / per vedere se ha / un senso credere / che difendano / un nocciolo” (Ricerca, p. 17). Forse è questa la funzione della poesia: ci aiuta a ricercare quel grumo di senso che a volte, nel quotidiano parlare, ci sfugge.

giovedì 8 marzo 2007

La mia pelle non conosce questa stanza (Sandro Montalto)


A Silvia

Seno e senso del mio vibrare,
inneggio al tuo fluire con collage di parole
lavando l’opacità di taciti abbandoni
vasti come l’impensabile buio del non-tu:
invisibile coltello l’ipotesi di un tuo andare,
anatema per il mio timoroso stare un tuo “no”.

Madrina di attimi come esplosioni,
ardire di metafore a temere il bruciore –
rogo che vivifica la carne altrimenti spenta:
unisciti a me in questo osannarti
carico di grati silenzi in fiumi di parole
annodati alle tue caviglie, e solo così liberi.

***

Lettera

Saranno mille anni, se vuoi, ma noi
andremo ancora incontrandoci negli spazi
resistenti al ribasso, tra orbita e orbita,
ancora una volta capaci di vederci.

Le mie ombre confabulano con i tuoi colori,
abitiamo la terra e il cielo scambiandoci le parti.

Troppo ho temuto che finisse ciò che iniziava,
ecco che ora ti conosco a voce, vale
riscrivere mille lettere se un aggettivo
rimanda a un tuo sguardo, unghiata amica:
ancora ti scriverei, certo del tuo essere in me.

***

Pulvis

Arsura dei sassi, sola si sbriciola
la morbidezza di una coperta di polvere
che imita l’erica e sale, ma giunge al buio.
La mia pelle non conosce questa stanza
che domino nella mappa della sua cultura,
non so l’ora in cui il piede schiaccia l’ombra
di una presenza fuggita nelle anse del tempo.
Rimane un vuoto, sugli scaffali affollati di relitti
di pensiero: passa l’idea di un cubo nero
che adombra la distrazione dei sensi mentre altra pelle
urlava, esigeva. Il sonno dello sveglio ha tramato
coperto il chiodo che batte contro l’osso e l’occhio
che vede parole e ignora i profumi. Avrò occhi
fin negli spigoli, l’usura dei sogni prescritti
sarà mondata. Lo so, sei egregia memoria
e pieghi di scatto, ma un singhiozzo severo
può cadenzare l’intreccio di fili non sperati.

***

Nuvole a catafascio


Nuvole a catafascio, oggi, nell’azzurro degli occhi.
fragili prospettive s’affastellano e germinano nomi rocciosi
in ogni atto germinante dissoluzioni distratte; opaca,
l’esistenza va oscillando tra fonte e fonte, verbalità
sopraffanno la confezione di petali a precipizio… – Ecco!,
qui fiorisce il mio sguardo straziato di dolcezza.



La immaginifica carnalità amorosa/dolorosa e la sintesi verbale (a base di versi-stoccate) di queste poesie inedite mi ricordano l'analoga "passione" (che diventa poi passione spirituale) di Paola Castagna. Anche Sandro Montalto si cala infatti nella vita con un lirismo purificato ed essenziale: "Seno e senso del mio vibrare, /
inneggio al tuo fluire con collage di parole…"
Sandro Montalto è redattore delle riviste «Il Segnale», «La Clessidra» e del sito «Poetry Wave», consulente per l’Italia della rivista internazionale «Hebenon». Svolge attività critica su molte altre riviste nazionali e internazionali, tra le quali «Poesia», «Testuale», «Atelier», «Téchne», «Cultura & Libri», «Bloc notes», «Testo», «La Battana», «Pòiesis», «Alla bottega», «Punto d’incontro» e «Poiein», oltre che in volumi collettanei. Scrive anche su alcuni giornali («Il Domenicale», «Corriere di Como»). Dirige una collana di prosa e poesia e una di aforismi presso le Edizioni Joker.
Ha pubblicato scritti di argomento musicale su alcune riviste specializzate («Musicheria», «SuonoSonda»). Ha scritto diversi testi teatrali. Scrive anche di enigmistica. Queste le sue pubblicazioni in volume: Scribacchino, Joker, Novi Ligure 2000 (poesia); “Compendio di eresia”, Joker, Novi Ligure 2004 (saggi sulla poesia contemporanea); L’eclissi della chimera, Joker, Novi Ligure 2005 (aforismi); Pause nel silenzio, Signum, Bollate MI 2006 (poesia); Crolli emotivi, Lietocolle, Como 2006 (prose); Esequie del tempo, Manni, Lecce 2006 (poesia); Beckett e Keaton: il comico e l’angoscia di esistere, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2006 (saggio).

martedì 6 marzo 2007

La strada della cenere (Paolo Fichera)


la beatitudine sospesa del maglio
in silenziose e schiera. è dannata l’altra
ogni sasso intinto in ruggine e silenzio.
la mano è tagliata e scrive

***

si sciupa la sagoma incisa del pasto, la sera
viene si fa oltraggio, ne vuoi dimmi pasto
la sequenza luminosa l’ordine privato
il progetto ampio, dio bendato cavallo
lanciato al precipizio, cara poesia riposa in pace

***

il rimbombo opaco, il lento maglio
la mestizia, la gentilezza del frammento
frana la storia ai piedi, la ruggine della bellezza
è spezia del pasto è dove è sacro è nome
nel potere di volontà sognato
la danza ricerca l’acqua, la voce gotica
madonna nera, l’acqua santa è uno stagno

***

il manto inonda la schiena: la
salvezza vera in esausta finzione, il fiore
roco. ora ripercorri il frammento,
la strada nella cenere

***

ora assimila lo sguardo alla resa
la fanghiglia porosa che suggella la coltre
la pelle, la voce di lacrima nera

***

il ciglio è un incanto ramato
dal sentiero, l’opaco
il ciglio che allenta la luce
la carne martoriata, scavata dalla cenere

***

il tracciato avvampa,
si fa fuoco, orco, oro.
Arriveranno con ciotole di sete
in albe di sera, nell’età della resa.
Un fiume di scaglie, sciamani e croci
berremo un seme scoperto, liquido
che scortica il trapasso da manto
a fiera, il lupo della lingua arroventato
marchierà con ululati i nomi
li farà steli,
versi di avventi



Questi versi inediti di Paolo Fichera (che mi viene di accostare a quelli di Massimo Sannelli) sono come vibrazioni di timpani accompagnate da rulli di tamburi, non a caso c'è una particolare cura nella scelta delle consonanti e un evitare i moduli melodici anche attraverso una frattura della sintassi: le parole e i sintagmi sono spesso già frasi ossificate: "il rimbombo opaco, il lento maglio / la mestizia, la gentilezza del frammento…"

Dal 2003 dirige, insieme a Mauro Daltin, la rivista cartacea PaginaZero-Letterature di frontiera. Sono stato incluso nell’antologia Il presente delle poesia italiana, a cura di Carlo Dentali e Stefano Salvi. Nel 2005 ho pubblicato presso la casa editrice LietoColle la raccolta poetica Lo speziale. La raccolta Innesti è di prossima uscita presso I Quaderni di Cantarena. Mie poesie sono state tradotte in inglese, francese, spagnolo, arabo e serbo-croato. Gestisco un blog personale cattedrale.wordpress.com

lunedì 5 marzo 2007

Parola & Immagine 3 (Bernardo M. Gianni)


l'articolo precedente qui

La forma ‘intera’ del Cristo risorto, memoria e celebrazione dell’exsultet pasquale quale si ammira sulle Porte degli Angeli della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma, qui si contrae all'essenziale: scomparso il volto, perché, secondo la parola dell’Evangelo (Matteo 25, 31-46), il Cristo forestiero nella nostra storia si lascerà accogliere e riconoscere nell’indigenza del volto di ciascuno di noi, scomparsa la consistenza corporea, perché con l’Ascensione essa è di fatto rapita al nostro sguardo (Atti degli Apostoli 1, 9-11), scomparsi gli arti, perché ai piedi e alle mani dei suoi discepoli è tutt’ora affidata l’avventura della predicazione e la grazia della comunione (Matteo 10, 1-20; Giovanni 1, 1-4), come venerando stendardo e, al contempo, come mirabile ostensorio resta impresso nel suo corpo e riflesso nei nostri occhi ammirati il sigillo dei sigilli. È il signum che sopravanza la sapienza chiesta dai greci e i miracoli pretesi dai giudei (I Corinzi 1, 22-23), è la croce, l’albero della vita, la cattedra dell’amore, il patibolo paradossale che feconda e propizia la vita nuova in Cristo (Romani 6, 1-11). Quel legno poi, mortale e salvifico insieme, ha talmente marchiato il corpo e il cuore del Servo sofferente che in quel corpo e in quel cuore la croce è contratta segnandone per sempre la forma che è forma di violenza umilmente subìta, ma, al contempo, epifania di male perdonato e di vita per sempre gloriosa. Come un crociato finalmente disarmato, il Cristo di Igor Mitoraj ci può solo rivelare la concava nudità del Suo cuore, asilo dell’anima mundi: vi dimora ancora e soltanto la croce che del mondo è asse ferita e sicura e del nostro cuore scudo e salvezza. Porta di luce e rifugio dell’ombra quel torso -più che stauroforo: lui stesso fattosi croce- ci suggerisce quale sia la misura segreta riposta nell’ordine di ogni spazio e di ogni sintesi: non c’è geometria che non sia generata da quella figura, non c’è evento d’amore che non sia frutto di quella figura, non c’è corpo e non c’è anima che non siano assunti e redenti da quella figura dove Dio e l’uomo si scontrano e s’incontrano per la nostra salvezza.

Bernardo Francesco Maria Gianni, O.S.B. Oliv.
Abbazia di San Miniato al Monte Monaci Benedettini di Monte Oliveto
Le Porte Sante, 34
50125 Firenze
bernardofm@libero.it

domenica 4 marzo 2007

Liriche (Giampaolo Proni)



Zuppa inglese

Amore vorrei mescolarmi con te
e diventiamo una dolce zuppa inglese,
frullare la mia mente con la tua
come una saporita maionese,
imbottire il tuo corpo con il mio
come la carne dentro le zucchine,
essere noi due insieme lo champagne
nel quale tu sei le bollicine.

Vorrei mescolare i nostri odori
Su tutta la pelle che ci copre,
gustarmi piano piano sulla lingua
la tavolozza di tutti i tuoi sapori,
addormentarmi così stretto a te,
dentro di te così profondamente,
che non sapremo più quando sognamo
se il sogno è nella mia o nella tua mente.


Per R.

Come può esistere il mondo
Se io e te non siamo vicini?

Come fa il Sole a splendere
Se tu non mi sorridi?

Come può la Luna volare nella notte
Se tu non sei tra le mia braccia?

E il mare rotolare sulla spiaggia
Se le tue labbra non baciano le mie?

Come possono le stagioni rinascere
E gli alberi dare frutto,
Imbiondire le spighe
E le nuvole portare la pioggia
Se i nostri corpi sono separati,
Se le nostre anime non respirano insieme?

Amore mio
Corri da me
Smettiamo di far piangere il mondo!

GP 3/3/07

Credo che la poesia qui sopra sia una delle poche esposizioni di Giampolo Proni in quanto poeta lirico. Come mi scrive nella mail: "Una poesia. Sono cose molto semplici, non so se possono piacere. Ma mi vengono dirette dirette. Vorrei dire che le parole mi sgorgano dal cuore, che è letteralmente quello che sento, ma ma è un modo di dire molto usato."
Giampaolo Proni insegna semiotica della moda all'Università di Bologna, Polo di Rimini. Come narratore ha pubblicato i romanzi Il caso del computer Asia, Torino: Bollati-Boringhieri 1989 (un giallo di computer); L'indagine di Maria H., Milano: Signorelli, 1993 (un giallo per ragazzi), e La dea digitale, Roma: Fazi Editore, 2000, oltre a
diversi racconti di fantascienza, tra i quali "La corsa di Jimmy Boot", in Cyber Punk, Millelire Stampa Alternativa 1995. Scrive anche poesie perché è impossibile non scrivere poesie. Non sa dire quasi nulla di esse, però.